TOMMASINI, Vittorio Osvaldo (Farfa)
– Nacque a Trieste il 10 dicembre 1881 da Filippo, facchino al porto, e da Marianna Cesaratto, originari di Vivaro d’Udine. Ebbe tre sorelle, Maria, Luigia Carolina e Irma.
Compì gli studi elementari in parte a Vivaro in parte a Trieste, dove conseguì anche la licenza tecnica. Dopo la morte del padre (13 gennaio 1901), lavorò come spedizioniere e poi come riscuotitore presso l’amministrazione di un giornale.
Esordì come poeta, firmandosi «Vittorino Tommasini», con il sonetto Ad una pipa pubblicato nel quindicinale L’Araldo di Riva del Garda (15 ottobre 1906, n. 3, p. 3), cui fece seguito, poco dopo, la poesia Erba recisa (ibid., 24 dicembre 1906, n. 6-7, p. 10). A prima del 1910 risale probabilmente l’amicizia con Umberto Poli (Saba), testimoniata dallo stesso Vittorio in una lettera del 1954 a Enrico Falqui. Il 12 gennaio 1910 assistette alla prima serata futurista presso il politeama Rossetti di Trieste, facendosi notare dalle forze dell’ordine, come narrò lui stesso, per un monito lanciato dal loggione contro i disturbatori. In quel periodo abitava in via delle Poste 13 (l’attuale via Roma 23), all’ultimo piano, insieme con la madre, una sorella e la nipote.
Allo scoppio della prima guerra mondiale fu richiamato alle armi e destinato alla milizia territoriale, ma venne congedato per problemi alla vista. Non potendo rientrare a Trieste, avendo optato per l’Italia, fece ritorno a Vivaro da dove, insieme ai familiari, emigrò a Torino prendendovi la residenza il 14 marzo 1917. Qui ebbe impieghi saltuari: fu operaio per un breve periodo presso lo stabilimento Fiat Grandi Motori di via Cigna 115 e, dal 6 febbraio 1923 fino al marzo del 1929, impiegato straordinario presso la tesoreria locale della Banca d’Italia.
Non vi sono riscontri di quanto Tommasini più volte, dagli anni Cinquanta in poi, dichiarò in merito alla fondazione, nel 1919, con Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo, a quella data quindicenne), del gruppo futurista torinese; così come problematica risulta l’attestazione di alcuni suoi disegni presso l’Esposizione internazionale futurista, che si tenne dal 27 marzo al 27 aprile 1922 al Winter Club (in galleria Subalpina), dal momento che il suo nome non figura nel catalogo. Fu però quasi certamente grazie a questa mostra, inaugurata da Filippo Tommaso Marinetti, che Vittorio conobbe di persona il capo dei futuristi ed entrò in contatto con Fillia, amico dell’organizzatore della mostra, Franco Rampa Rossi. Così come fu quasi certamente in occasione della serata futurista di beneficenza del 21 aprile, presso il teatro Scribe di Torino, che Vittorio propose senza successo a Marinetti – giunto per declamare L’alcova d’acciaio – di leggere in pubblico la sua poesia Sinfoniale lesbico.
L’arruolamento ufficiale tra le file del Movimento futurista torinese – fondato da Fillia e Tullio A. Bracci nel 1923 – avvenne nel marzo del 1924, quando Tommasini partecipò, adottando per la prima volta lo pseudonimo Farfa, alla Prima Mostra d’avanguardia, organizzata dai Sindacati artistici futuristi nelle salette sotterranee del caffè teatro Romano, in piazza Castello, e firmò, con Bracci, Fillia, Ugo Pozzo e Narciso, l’articolo Sindacati futuristi uscito sul numero unico Futurismo (9 marzo 1924). Nel novembre di quell’anno intervenne al primo Congresso futurista italiano e la sua crescente rilevanza entro il rinato movimento trovò conferma poco dopo nel largo spazio riservatogli nell’antologia I nuovi poeti futuristi (Roma 1925).
Nella seconda metà degli anni Venti, Farfa intraprese anche un’attività pubblicistica: interventi d’opinione e ‘sincopatie’ (neologismo di suo conio per indicare poesie dal carattere imprevedibile e arguto, da fruirsi in pubblica lettura) apparvero in periodici soprattutto torinesi, quali Tabarin, Vetrina futurista, Graphicus e Telefoni d’Italia di Andrea Viglongo (Danna, 2006). Pienamente inserito entro il movimento futurista non solo come poeta ma anche come artista, nel 1927 Farfa espose alla V Quadriennale di belle arti di Torino, alla mostra d’arte futurista nazionale di Palermo, alla mostra di Casa d’arte Bragaglia a Roma, alla Mostra di Trentaquattro pittori futuristi presso la galleria Pesaro di Milano e, infine, alla Mostra di poesia futurista, allestita presso Ambiente Novatore, il centro polivalente gestito da Fillia, in cui ebbe una sezione personale.
Entrato in contatto con Fortunato Depero, che lo fece pubblicare su Dinamo futurista, avviò alla fine degli anni Venti anche una variegata e riuscita attività di cartellonista, fotografo, ceramista e cartopittore.
Presente occasionalmente a Savona almeno dal 1922, il 23 luglio 1929 vi sposò Luigia Romagnoli, impiegata alle Poste, dalla quale non ebbe figli; il 7 agosto dichiarò all’anagrafe savonese di svolgere la professione di giornalista e di prendere residenza in via Istria 1-2 scala A, nel quartiere di Villapiana. Il trasferimento a Savona non si tradusse, tuttavia, in un’emarginazione dal movimento: Farfa divenne presto un punto di raccordo tra i futuristi torinesi, milanesi e liguri, contribuendo con Tullio Mazzotti a fare di Albisola il centro propulsore della ceramica futurista. La Mostra futurista Pittura-Scultura-Arte decorativa che Farfa organizzò nel 1932, con Marinetti e Fillia, alla Galleria d’arte di Savona nacque proprio da questo crocevia di esperienze.
Nella prima metà degli anni Trenta, Farfa toccò il vertice della sua fama di poeta futurista: il 24 ottobre 1930, alla galleria Pesaro, vinse la gara indetta da Marinetti per commemorare l’architetto Antonio Sant’Elia, declamando la poesia Sant’Architettura, composta poche settimane prima a Prunetto Langhe; forte di 240 secondi di applausi, venne proclamato Poeta record di Milano e incoronato da Marinetti con il casco d’alluminio. Un anno dopo, il 31 ottobre, al termine del primo circuito nazionale di poesia venne proclamato Poeta record d’Italia e, l’8 luglio 1932 venne ‘infrontato’ da Marinetti con il casco lirico d’alluminio, a mille metri di altezza, su un idroplano Caproni decollato dall’aeroporto Parodi di Genova.
Nel frattempo, nel novembre del 1931, aveva realizzato su supporto metallico il manifesto Lito-Latta, aveva contribuito con sette ricette al volume La cucina futurista (1932) di Marinetti e Fillia, e aveva composto una delle sue poesie più note e più declamate, Tuberie, pubblicata su Savona 1933.
All’uscita della sua prima raccolta di poesie Noi miliardario della fantasia, pubblicata nel 1933 per l’editore La Prora di Milano, con presentazione di Marinetti, Farfa era ormai una figura di rilievo del secondo futurismo: il volume, probabilmente già pronto nel 1930, contiene 266 testi in cui predominano l’umorismo, la freddura, lo scambio anaforico tra dominio animale, umano e meccanico.
La crescente considerazione ottenuta presso i futuristi di varie parti d’Italia lo rese sempre più insofferente verso la chiusura dell’ambiente savonese, tanto che di ritorno da una trionfale «Parlata simultanea sul Palazzo dell’intelligenza, sui vastoplastici futuristi, sulle città girevoli, sulle gallerie atmosferiche e sulle strade movibili fresche-calde» (Corriere della sera, 16 marzo 1934), tenuta alla galleria delle Tre arti di Milano, confessò a Depero di essere «ammalatissimo di... milanesismo!» e di non riuscire più a vedersi «in questa muraglia della Cina!» (F. Zanoner, Farfa nei documenti del Mart, 2009, p. 38).
Incurante del clima politico nazionale che, in piena apoteosi autarchica, virava alla xenofobia, nell’aprile del 1935 pubblicò il suo secondo libro poetico, Il poema del candore negro (La Prora, Milano), rilanciando le suggestioni del negrismo americano della fine degli anni Venti, fatto di musica jazz, danza e istintualità.
Confezionato con grande cura grafica, il poema adotta un impaginato vicino alla lirica pura, forse per influenza dell’amico savonese Angelo Barile. Da vero poeta evenemenziale, Farfa fu attentissimo a quanto accadeva nel mondo e compose spesso sull’onda di avvenimenti riportati dai giornali: tra questi la morte di Guglielmo Marconi, che gli ispirò la plaquette in versi, perlopiù endecasillabi, Marconia (Savona 1937), stesa in poche settimane e declamata nell’agosto del 1937 nella piazza di Albisola.
Canonizzato tra il 1939 e il 1943 da molte antologie futuriste più o meno militanti, Farfa proseguì la sua instancabile attività di promotore culturale inaugurando il 3 aprile 1944 a Savona, insieme con Giovanni Acquaviva, i Quarti d’ora di poesia, ossia declamazioni poetiche, dibattiti, scene musicali (Quasi un astro), lanci di manifesti (Aeropoema dei contrapposti, Manifesto patriartista), ospitati nella redazione del quotidiano Il Lavoro, nel ridotto del teatro Chiabrera o nella Sala Rossa del Comune. Ma l’opposizione dell’addetto stampa dell’Opera nazionale Balilla, Ennio Contini, che sulla Gazzetta di Savona intervenne più volte per criticare aspramente l’assenza di tinta politica e patriottica dell’iniziativa, contribuì alla chiusura di quell’esperienza il 4 marzo 1945.
Quando la morte di Marinetti e la fine della guerra spensero i riflettori sul futurismo, Farfa riprese la strada del teatro e allestì nel 1948 a Savona, con Acquaviva, I più vasti orizzonti; nel 1950 scrisse l’atto unico Binario e nel 1957 il soggetto Effetimar, dedicato alla memoria e all’opera di Marinetti.
Anche nei momenti in cui futurismo e fascismo furono più vicini in nome della patria e dell’italianità, Farfa mantenne una posizione sostanzialmente indipendente. Così, quando negli anni Cinquanta presero piede in Italia nuove esperienze artistiche di respiro europeo che si ponevano in continuità con le avanguardie storiche, con il dadaismo e il surrealismo, la sua «attitudine edonistica e curiosa, indifferente» (Ferro, 2006, p. 14) non sfuggì all’artista danese Asger Jorn – ad Albisola dal 1954 – che lo segnalò all’amico Enrico Baj. Dall’incontro savonese nel novembre del 1958 tra Farfa e Baj nacque un profondo rapporto d’amicizia, testimoniato da uno straordinario carteggio avviato intorno all’allestimento della mostra di cartopitture Farfa il futurista (1959) presso la galleria Blu di Milano.
Allo scoccare del cinquantenario del futurismo, il quasi ottantenne Farfa ritrovò l’antico slancio: pubblicò la plaquette dal titolo Ovabere. Sincopatie futuriste (Genova 1959), sottoscrisse con Baj e altri il Manifesto dell’arte interplanetaria (1959) e vide le sue cartopitture accolte in importanti mostre collettive internazionali. Trasferitosi a Sanremo nel 1961, venne poi arruolato nelle file dei patafisici, che colsero la «dimensione teatrale e umoristica» (Milan, 2014, p. 97) della sua opera e della sua personalità; nel 1964 venne nominato rettore dell’Institutum pataphysicum mediolanense, fondato l’anno prima da Baj, Lucio Fontana e Raymond Queneau, e diede alle stampe Ansiaismo (Venezia 1964), ispirato da un massiccio bombardamento del 1943 su Savona.
Fu fedele per tutta la vita a un’idea di poesia teatrale, giocosa e insolente, dal linguaggio comico e straniato, e a un’idea d’arte paradossale e näive che gli consentirono di unirsi senza soluzione di continuità alle più avanzate avanguardie del dopoguerra.
Morì a Sanremo il 20 luglio 1964 per le conseguenze di un investimento stradale.
Fonti e Bibl.: Le Carte Farfa, conservate a Rovereto presso il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART), raccolgono il nucleo residuo di un fondo archivistico in parte disperso, in parte conservato presso archivi privati. Lettere di Farfa si leggono in G. Farris, Farfa a Barile (Savona 1979); F. Zanoner, Farfa nei documenti del Mart, in Savona futurista: esperienze d’avanguardia da Marinetti a Tullio d’Albisola, a cura di L. Lecci - F. Sborgi, Genova 2009, pp. 35-41; n. monografico di Resine. Quaderni liguri di cultura, 2009, n. 119-121 (ad Acquaviva, a cura di G. Farris, pp. 187-233; a Falqui [1952-54], a cura di A. Mastropasqua, pp. 249-267; a Baj [1958-64], a cura di F. Bergadano, pp. 301-314).
In assenza di uno studio biografico monografico su Farfa, fondamentali sono i documenti, i saggi e le testimonianze raccolte nei cataloghi Io Farfa: saggi, testimonianze, inediti, Savona 1985 (in partic. E. Sanguineti, Un inchiostro liquorato, pp. 15-18); Farfa e dintorni: futurmostra, Crevalcore 1988 (in partic. A.M. Nalini, Bio-bibliografia ragionata di Farfa, pp. 47-55) e Savona futurista..., cit., 2009; da tenere presenti anche l’antologia Farfa, Poeta record nazionale futurista, a cura di L. Pennone, Savona 1970, e Teatro futurista savonese, a cura di G. Farris, Savona 1984. Un inquadramento complessivo dell’ideologia farfiana è offerto da S. Milan, Farfa, pupo e sovrano futurista, in Prima e dopo il 1909. Riflessioni sul futurismo, Atti della Giornata di studi, Genova... 2010, a cura di L. Lecci - M. Manfredini, Roma 2014, pp. 85-100, mentre per i «Quarti d’ora» v. G. Farris, Teorica futurista e dialetto, in Resine, n.s., III (1980), ottobre-dicembre, pp. 3-22. Sull’attività pubblicistica si ricavano notizie rispettivamente da: Fillia e l’avanguardia futurista negli anni del fascismo, a cura di S. Evangelisti, Milano 1986; B. Danna, Viaggi da Torino e ritorni. Scrittori, giornalisti, mediatori di cultura fra l’Unità d’Italia e il ventennio fascista, Torino 2006; F. Ragazzi, Marinetti. Futurismo in Liguria, Genova 2006. Per l’attività poetica: E. Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, Torino 1969, ad ind.; S. Milan, Introduzione alla ristampa di Farfa, Ovabere, Genova 2005, pp. 7-17; P.L. Ferro, Farfa monarca dei domini verticali della fantasia, in Resine, 2006, n. 106-107, pp. 7-20; Id., L’orzata e il tamarindo, in Poema del Candore negro, Milano 2009. Diversi interventi su Farfa poeta, artista e drammaturgo in Noi miliardari della fantasia. Farfa, Acquaviva, Tullio, Lo Duca, Lupe e i futuristi a Savona, in Resine, cit. 2009, ad indicem.