TAVERNARI, Vittorio
TAVERNARI, Vittorio. ‒ Nacque a Milano il 28 settembre 1919 da Giovanni – pittore e restauratore – e da Ester Agnelli. Fu l’ultimo di quattro figli.
Apprese la maestria tecnica della scultura alla scuola d’arte del marmo di Milano diretta da Francesco Wildt, figlio del noto scultore simbolista Adolfo, che frequentò dal 1935 al 1938. A diciassette anni licenziò la prima opera, Ritratto della sorella Carla (1936), in marmo bianco. Durante l’apprendistato presso Wildt conobbe Umberto Milani, Carmelo Cappello, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti ed Ernesto Treccani. La passione per l’arte, nata in ambito familiare, si alimentò in quegli anni di sperimentazione con tecniche e materiali disparati, dalla pittura al disegno e all’incisione, fino alla lavorazione di gesso, cera, legno e pietra. Dal 1939 al 1943 svolse il servizio militare tra Varese e Como, dove si unì al gruppo degli astrattisti, e presso il caffè Rebecchi strinse amicizia con Mario Radice, Manlio Rho e i protagonisti del razionalismo: Giuseppe Terragni, Pietro Lingeri e Cesare Cattaneo. Nella città lariana partecipò alla Mostra degli artisti alle armi presso il palazzo del Broletto (1942) e condivise l’atelier con l’amico Morlotti.
Nel 1944 sposò a Varese la violinista Piera Regazzoni, con la quale approfondì l’interesse per la musica classica e condivise l’intera esistenza insieme ai loro figli Giovanni e Carla. La casa varesina divenne luogo d’incontro per intellettuali e artisti che, con le loro famiglie, si legarono alla coppia di profonda amicizia, come Piero Chiara, Guido Piovene, Ezio Bassani, Renato Guttuso, Dante Isella, Giuseppe Panza di Biumo, Renato Birolli, Mario De Micheli e altri. Dopo le nozze, iniziò a lavorare al ciclo della Maternità, opere in legno e pietra dalla connotazione arcaica dove l’influsso della scultura romanica si unì alla riflessione sull’arte extraeuropea e sul primitivismo. La serie segnò una svolta decisiva per la sua poetica, che da allora s’incentrò sulla figura umana.
Più tardi ammise: «Il mio interesse è rivolto, soprattutto, alla figura umana, o, per essere più esatti, all’uomo-individuo, forma e contenuto: direi che in una figura femminile si possa leggere tutto del mondo e della vita, dalla oscura germinazione misteriosa, alla dolcezza, al dolore, al piacere, alla indicibile realtà della vita stessa» (V. Tavernari, Appunti per una poetica, 1958, p. 218).
Lontano da retaggi neoaccademici, Tavernari prese parte alle istanze di rinnovamento propugnate a Milano da artisti e critici emergenti attorno alla questione del realismo: nel 1945 fu tra i fondatori della rivista d’arte Numero, dove pubblicò alcuni scritti in risposta al saggio di Arturo Martini La scultura lingua morta; nel 1946 sottoscrisse il Manifesto del realismo, detto anche Oltre Guernica. Nello stesso anno iniziò a collaborare con L’Ordine nuovo, organo di stampa del Partito comunista italiano, con articoli sull’arte astratta e africana.
Nel 1948 la galleria del Camino di Milano tenne la sua prima mostra personale e, tre anni più tardi, la galleria del Milione espose la sua produzione astratta. Strumentale all’astrazione antropomorfica di Tavernari (1948-52) fu l’impressione suscitata dalle sculture dell’inglese Henry Moore alla XXIV Biennale di Venezia nel 1948. In Tavernari quel periodo risentì anche dell’opera di Pablo Picasso, che approfondì in un viaggio in Costa Azzurra. Nel segno astratto nacquero i Totem, Scultura per il sole (1948), Scultura per l’Isola d’Elba (1949) – ideate per una collocazione ambientale –, Nudo femminile sdraiato (1951). Il 1951 segnò la partecipazione alla IX Triennale di Milano, dove ottenne la medaglia d’argento con Grande forma antropomorfa, in gesso, allestita nel vestibolo superiore sotto l’iconico neon di Lucio Fontana. Nella stessa occasione presentò oggetti di design e mobili in legno realizzati con l’architetto Ico Parisi. In quell’anno prese parte alle collettive dell’Art Club in Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia, e a Torino espose due sculture in cemento alla Quadriennale presso il palazzo della Promotrice al Valentino.
Dai primi anni Cinquanta fu impegnato in una serie di lavori su commissione pubblica: per il restauro della sala Alessi in palazzo Marino eseguì il bassorilievo Il giorno (1953); nel 1954 ornò con bassorilievi la fontana in piazza della Libertà a Gallarate; la stessa città gli commissionò il Monumento ai caduti di tutte le guerre (1958), dove impiegò armi recuperate nei campi di battaglia. Tra le opere di committenza privata scolpì il monumento funebre per la famiglia Berger a Comerio (1954) e le tombe Riva e Mara a Busto Arsizio (1951, 1954).
Tra il 1952 e il 1953 Tavernari inaugurò una nuova fase del suo lavoro nel linguaggio della figurazione organica con cicli di opere sui temi della Maternità, della Pietà, poi del Nudo e del Torso femminile (quali Il fiume e Torso di donna del 1954), che la critica ricondusse alla tradizione scultorea di Aristide Maillol, Giacomo Manzù e Marino Marini. Nel 1954 partecipò alla XXVII Biennale di Venezia, dove espose di nuovo nel 1956 e nel 1958. In quel periodo conobbe lo storico e critico d’arte Francesco Arcangeli, con cui intrattenne un profondo legame, e che individuò nella sua opera tangenze con gli «ultimi naturalisti». Ne presentò le sculture filiformi, formalmente affini alle figure di Alberto Giacometti, presso la galleria del Fiore a Milano, e presso la galleria Schneider a Roma (1957). Dalla fine degli anni Cinquanta sperimentò la tecnica dei legni combusti e avviò un percorso di sintesi formale con i rilievi lignei Torsi (dal 1959), dalle superfici intensamente lavorate a sgorbia, situandosi tra il figurativo e l’astratto. Si concentrò sui valori pittorici bidimensionali, esprimendo una profonda sensibilità religiosa, che percorse tutta la sua produzione, rivolta alla Passione di Cristo (Crocifissione nordica, 1961; Torso di Cristo, 1962). Nel 1962 la galleria Lorenzelli di Milano tributò a questo ciclo della maturità dell’artista un’importante esposizione personale.
A quel tempo Tavernari ottenne diversi riconoscimenti, tra cui il premio del Comune di Roma all’VIII Quadriennale (1959), e le medaglie d’oro al premio Morgan’s Paint di Rimini (1961) e all’Esposizione nazionale d’arte figurativa di Spoleto (1962). La sua opera assunse una risonanza internazionale e fu esposta alle principali rassegne di scultura, come Sculpture Italienne contemporaine d’Arturo Martini à nos jours al Musée Rodin di Parigi nel 1960; l’anno seguente partecipò a collettive a Oslo, Tokyo, Pittsburgh, Dresda e Bucarest. Nel 1962 l’opera in legno Grande torso femminile (1961) entrò nelle collezioni del Museum of modern art di New York.
Nel 1964 la XXXII Biennale di Venezia dedicò a Tavernari una sala personale con undici sculture, tra cui Calvario, scolpito quell’anno, che nel 1990 l’architetto Mario Botta avrebbe collocato nella chiesa del Beato Odorico a Pordenone. Iniziò allora il sodalizio culturale con lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti, che approfondì la sua opera e ne catalogò la produzione grafica. Nonostante l’intensa attività espositiva, nel 1968 lo scultore inaugurò una stagione creativa dai risvolti lirici ed esistenziali con il ciclo dei Cieli, legni a bassissimo rilievo lavorati per abrasione e intaglio, «come spazi grandi sopra la terra appena affiorante, a riverberare le vicende dell’uomo» (Santini, 1968, p. 17). L’anno seguente la serie fu esposta al Padiglione di arte contemporanea di Milano, che ospitò la prima mostra antologica di Tavernari, con la curatela di Agnoldomenico Pica. Questi progettò il nuovo studio dell’artista a Barasso, che risultò congeniale alla sua vocazione monumentale per gli ampi spazi interni e il parco lussureggiante. Tra le nuove tematiche, affrontò in gruppi scultorei di notevoli dimensioni quella dell’amore, cui attese dal 1969, con Grandi amanti, Il cantico dei cantici, Giochi d’amore, tutti del 1972, sculture all’aperto in dialogo con l’ambiente naturale.
Il 1973 segnò il successo di critica e pubblico con la mostra antologica organizzata dal Musée Rodin di Parigi, che riunì la produzione dal 1944 e fu parzialmente riallestita presso i Musei civici di villa Mirabello a Varese. La mostra personale promossa dalla città di Rimini nel 1975 enfatizzò per la prima volta la destinazione urbana delle sue sculture, con l’allestimento nel giardino del palazzo dell’Arengo. Due anni più tardi, in seguito alla mostra antologica presso il palazzo Pretorio di Prato, il Comune toscano destinò Grande forma antropomorfa allo spazio pubblico cittadino. Nel 1977 lo scultore creò il bassorilievo in bronzo Sulla via di Damasco, in omaggio a papa Paolo VI, per una mostra ai Musei Vaticani sul tema della conversione di s. Paolo.
Al principio degli anni Ottanta Tavernari suggellò la sua passione per la musica classica con tavole in legno ispirate a Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi, e nel 1984 rese omaggio al quartetto di Franz Schubert La morte e la fanciulla con l’omonimo gruppo ligneo. Quell’anno donò l’opera d’ispirazione romanica Crocifisso (1981) alla basilica di S. Vittore a Varese. Nonostante la malattia che si manifestò allora, continuò l’attività scultorea e creò il bassorilievo commemorativo per la visita di papa Giovanni Paolo II al Sacro Monte di Varese (1984).
Morì a Varese il 29 ottobre 1987.
Negli anni Novanta il Comune di Barasso ricevette in dono e in comodato un gruppo di sculture, tra cui Il Cantico dei cantici, disposto nel 2001 nello spazio antistante all’edificio comunale. Altre opere furono affidate ai Musei civici di Varese, che, a dieci anni dalla scomparsa, ordinò la mostra antologica di scultura e grafica nel castello di Masnago. Nel 2003 il Calvario ligneo (1965), destinato nel 1979 dall’architetto Alvar Aalto alla chiesa di S. Maria Assunta a Riola di Vergato, trovò sistemazione definitiva nella Raccolta Lercaro di Bologna. Sculture di Tavernari sono conservate presso il MAMbo - Museo d’arte moderna di Bologna, il Museo del Novecento di Firenze, il MAGA - Museo d’arte di Gallarate, il FAI - villa e collezione Panza di Varese, i Musei Vaticani di Roma, e altre istituzioni in Italia e all’estero.
Opere. Fra i suoi scritti si ricordano: Sulla scultura, in Numero, I (1945), 1, p. 5; La scultura come vita, ibid., II (1946), 2, pp. 1-2; Appunti per una poetica, in M. De Micheli, Scultura italiana del dopoguerra, Milano 1958, p. 218.
Fonti e Bibl.: Istituito dopo la scomparsa, l’Archivio Tavernari (Varese) ne conserva carte, sculture, disegni e acqueforti.
P.C. Santini, I cieli di T., in Critica d’arte, XV (1968), 100, pp. 17-34; Sculture di V. T. nel Padiglione di arte contemporanea del Comune di Milano (catal.), a cura di A. Pica, Milano 1969; V. T. Sculture, 1946-1973 (catal.), a cura di P.C. Santini, Rimini 1975; V. T. Scultura e grafica (catal.), a cura di C.L. Ragghianti - P.C. Santini, Lucca 1981; Lettere a V. T., a cura di C. Tavernari - L. Piatti, Gavirate 1994; V. T. Mostra antologica (catal., Varese), a cura di F. Gualdoni, Milano 1997; C. Tavernari, Vittorio e Piera Tavernari, Varese 2017.