VALLETTA, Vittorio
– Nacque a Sampierdarena (dal 1926 parte del Comune di Genova) il 28 luglio 1883, in una famiglia legata ai valori risorgimentali. Il padre Federico, palermitano, era un ufficiale dell’esercito, mentre la madre, Teresita Quadrio, di origini nobili, era figlia di un ammiraglio che prestava servizio all’Accademia navale di Livorno.
La carriera professionale del padre si fermò al grado di capitano, e l’economia familiare era garantita dal suo stipendio e dal modesto patrimonio della madre.
I Valletta si trasferirono a Torino nel 1890, e presero residenza in un quartiere popolare, vicino alla stazione di Porta Nuova; il padre lavorava come addetto ai controlli ferroviari, mentre la madre contribuiva all’andamento economico della famiglia come insegnante elementare: alla sua operosità il giovane Valletta deve la sua dedizione a un vero e proprio culto del lavoro e dell’impegno.
Valletta nel 1897 si iscrisse alla sezione commerciale dell’istituto tecnico Germano Sommeiller. Dopo essersi diplomato ragioniere e perito commerciale a pieni voti, nel 1901, iniziò la ricerca di una collocazione professionale nella città in cui il nascente industrialismo moltiplicava le occasioni di inserimento in imprese industriali, commerciali e del terziario a esse legato.
Al preside del Sommeiller – Vincenzo Gitti, massone, docente di ragioneria e impegnato, secondo l’insegnamento di Fabio Besta, nella riforma della disciplina ragionieristica avviata ad acquisire compiti gestionali e di controllo delle risorse all’interno dell’impresa – il giovane Valletta fu debitore dell’inserimento negli ambienti professionali torinesi più dinamici, nonché del passaggio immediato dalla scuola al lavoro, con i primi impieghi da praticante di contabilità e organizzazione aziendale presso la cartiera di Altare (Savona) e poi alla cartiera di Germagnano, in Val di Lanzo.
Nel 1904 Valletta aprì un piccolo studio in centro città, in via Garibaldi, vicino a piazza Castello, nello stesso edificio in cui avevano sede gli uffici professionali di Gitti e di Giuseppe Broglia, commercialista di origine veneta e al centro di una selezionata rete di rapporti negli ambienti industriali e commerciali, bancari e giudiziari torinesi. Questo rapporto privilegiato con Gitti e Broglia gli garantì un significativo volume di lavoro, relazioni importanti e l’ammissione all’associazione professionale dei ragionieri, fondata e diretta dai due colleghi più anziani.
Negli stessi anni cominciò a insegnare materie contabili in diversi istituti privati e scuole popolari, mentre acquisiva una solida esperienza professionale. Il suo interesse per l’amministrazione aziendale e le sue competenze lo portarono a contatto con imprese nazionali e straniere, enti pubblici, istituti di credito, scuole di commercio, associazioni di beneficenza e istituzioni varie, ma decise anche di perfezionare la sua formazione specialistica iscrivendosi nel 1906 alla Scuola superiore di commercio, dove ottenne in brevissimo tempo il titolo universitario; nel 1907 venne nominato direttore della Scuola media maschile di commercio, un incarico impegnativo e prestigioso in ambito cittadino. Qui perfezionò la sua visione della disciplina, che partiva dalla ragioneria e dalle tecniche contabili di base, fino ad arrivare agli strumenti del controllo di gestione aziendale e alla responsabilità degli amministratori nella compilazione del bilancio nelle società anonime.
Nel 1907 diventò padre di una bambina, Fede, e in seguito ne sposò la madre, Carmela Manfrino, già segretaria dello studio di via Garibaldi.
Ormai inserito negli ambienti emergenti dell’industrialismo torinese, si trovò coinvolto – sebbene con un ruolo marginale – in un processo che ebbe grande eco sulla stampa nazionale, quello intentato nel 1909 contro gli amministratori della FIAT, imputati di falso in bilancio e frode ai danni degli azionisti. Fra questi erano Giovanni Agnelli e, in concorso di reato, il collega e mentore di Valletta, Broglia, direttore amministrativo della FIAT.
Valletta si incaricò dell’accurata perizia a difesa del collegio sindacale dell’impresa, nella quale attestava la correttezza dei bilanci e scagionava i sindaci da ogni responsabilità. Questa parte del processo si concluse nel 1912 con una sentenza assolutoria con formula piena per i membri del collegio sindacale. Valletta intervenne nel procedimento anche come testimone a favore di Broglia. Tutti gli imputati ne uscirono indenni l’anno successivo, dopo il ricorso del pubblico ministero contro la prima sentenza di assoluzione.
Alla fine del 1912, per i suoi meriti didattici e per aver partecipato nel 1911 all’organizzazione dell’Esposizione internazionale di Torino per il cinquantenario dell’Unità nazionale, Valletta venne nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Durante la prima guerra mondiale, richiamato e arruolato con il grado di tenente del genio aeronautico, venne destinato alla Direzione tecnica dell’aviazione militare (DTAM) a Torino; si occupò della contabilità delle commesse di guerra ed ebbe modo di stringere nuovi rapporti con le imprese del settore aeronautico, fra le quali figuravano molti nomi importanti – come FIAT, Caproni e Macchi – e numerose aziende meccaniche locali.
Nel 1918, quando la guerra era ancora in corso, assunse anche la carica di amministratore delegato della torinese Chiribiri, un’azienda che produceva motori per automobili e aerei e aveva conosciuto una notevole espansione dimensionale negli anni delle commesse per la mobilitazione industriale. Dopo gli eventi bellici l’azienda aprì un nuovo stabilimento con 400 operai e si dedicò alla produzione di automobili da corsa. Quale amministratore della Chiribiri, Valletta partecipò in questa fase alla Lega industriale di Torino, ed ebbe modo di inserirsi negli ambienti dell’Unione italiana fabbriche di automobili, il luogo di rappresentanza dell’industria automobilistica nazionale, frequentato da Agnelli.
Nel 1920 iniziò anche la sua carriera di docente universitario, con un incarico di insegnamento alla Scuola superiore di commercio. Da allora si guadagnò l’appellativo di ‘Professore’, che lo accompagnò in tutto il percorso di lavoro alla FIAT.
Alla grande azienda torinese Valletta approdò nel 1921, ancora una volta grazie all’amicizia con Broglia; ormai noto nei circoli industriali piemontesi, venne assunto come direttore amministrativo, proprio per sostituire l’amico quando questi – nella complessa fase seguita alla crisi della dirigenza e dell’amministrazione aziendale nelle contingenze del ‘biennio rosso’ – diede le dimissioni.
Dopo la nomina a segretario del Consiglio di amministrazione nel 1923, Valletta mantenne tuttavia sia l’attività di libero professionista sia la docenza universitaria fino al 1927, quando le sue responsabilità alla FIAT aumentarono ulteriormente, fino a portarlo alla carica di direttore generale nel 1928.
È del 1927 la pubblicazione, con Mario Fossati, del Corso di organizzazione scientifica del lavoro. Prima parte: Introduzione al corso (principi fondamentali del sistema Taylor), che rappresenta l’interesse di Valletta per il problema della formazione scientifico-tecnica dei manager da inserire nell’impresa industriale.
Valletta si inserì nella compagine aziendale in un tornante decisivo per la FIAT: questa, cresciuta in modo abnorme durante la guerra, seppe resistere, però, sotto la ferma guida di Agnelli, alla tentazione di costruire un’ingovernabile conglomerata, come accadde ai due ‘giganti dai piedi d’argilla’, Ansaldo e Ilva. Nel dopoguerra la FIAT mantenne il 90% della sua attività nel settore dell’automobile. I grandi profitti realizzati durante il conflitto mondiale furono impiegati nell’acquisizione del Gruppo piemontese – un vasto complesso metalmeccanico destinato a rafforzare l’indispensabile integrazione verticale dell’impresa – ma soprattutto nella costruzione dello stabilimento del Lingotto, il più moderno d’Europa quando venne inaugurato, nel 1923. Questa più complessa struttura produttiva richiese un tipo di organizzazione che impose l’ingresso in azienda di un vasto numero di tecnici, ingegneri e manager. È il modello del triplice investimento – impianti alle giuste dimensioni di scala, unione di produzione e distribuzione, arruolamento e promozione di manager – che è alla base dello sviluppo della grande impresa nella seconda rivoluzione industriale.
Il 1928 segnò una svolta, con la scomparsa dell’ingegner Guido Fornaca, per più di un ventennio braccio destro di Agnelli. Fu necessario affrontare un problema di successione. Ugo Gobbato, il brillante ingegnere che aveva diretto fin dalla fondazione lo stabilimento del Lingotto, venne inviato a dirigere alcune delle attività della FIAT all’estero e, di fatto, allontanato dalla guida dell’azienda. Come suo sostituto al Lingotto venne designato Alessandro Genero, grande esperto della produzione e sostenitore di una ferrea disciplina dell’organizzazione. Vero vincitore fu Valletta, che venne nominato direttore generale della FIAT e, con l’approvazione di Agnelli, disegnò una struttura fortemente accentrata, all’interno della quale le varie direzioni centrali (Tecnica, Commerciale, Siderurgica, Grandi motori), dalle quali dipendevano le diverse sezioni, dovevano riferire in dettaglio alla direzione generale la loro attività con cadenza settimanale. Nella struttura piramidale confluivano al vertice le procedure di pianificazione e controllo, e Valletta era il dirigente capace di governare tutti gli aspetti organizzativi, produttivi e finanziari della FIAT, quello dotato delle capacità politiche di mediazione interna fra i vari dirigenti, ma anche di rappresentare, nella collaborazione con Agnelli, le necessità dell’impresa nei rapporti – non sempre facili – con il regime fascista.
A Valletta era chiaro l’obiettivo aziendale della produzione di modelli accessibili a un’ampia fascia di consumatori e la necessità di mantenere buone relazioni con i Paesi industriali, potenziali mercati e fornitori di materie prime e di tecnologia per la FIAT. Le reciproche convenienze operanti negli anni precedenti sembrarono progressivamente venire meno, soprattutto per l’impresa automobilistica, che si era attrezzata per conquistare vasti mercati e si trovava a fare i conti con le chiusure internazionali del regime e con le ristrettezze imposte dalle politiche autarchiche.
Nella seconda metà degli anni Trenta il ruolo di governo e pianificazione aziendale di Valletta nella FIAT si estese, mentre l’anziano Agnelli, dopo la morte dell’unico figlio Edoardo nel 1935, si impegnò a garantire la continuità, preparando anche formalmente il passaggio di consegne con la nomina di Valletta ad amministratore delegato nel febbraio del 1939, al termine di un decennio di crisi, ma anche di notevoli profitti, come quelli derivanti dalla guerra di Etiopia. Se sul terreno delle commesse belliche si vedevano i vantaggi reciproci, la scelta di indipendenza della FIAT dalle pretese totalitarie del fascismo fu sempre chiara a Benito Mussolini e agli apparati del regime: la preoccupazione si appuntò anche sull’esito degli investimenti che portarono Agnelli e Valletta a inaugurare, nel maggio del 1939, il nuovo stabilimento di Mirafiori alla presenza del duce.
Sotto la dissimulazione retorica, le scelte della direzione della FIAT – rappresentata dalla continuità aziendale vallettiana – erano quelle di una grande impresa che puntava a competere sui mercati internazionali con gli strumenti del capitalismo avanzato, e chiedeva al governo di garantire le condizioni necessarie alla produzione e all’espansione del mercato interno, un sostegno alle esportazioni e la possibilità di continuare a importare dall’estero macchinari e materie prime indispensabili all’industria automobilistica.
Valletta si trovò a sfruttare con Agnelli i vantaggi dei pochi mesi della non belligeranza, che consentiva alla FIAT di giocare su più tavoli, con forniture agli opposti schieramenti; dopo l’entrata del Paese in guerra la scelta di Valletta fu quella di garantire il massimo sforzo produttivo per le forniture militari al regime (lo definì «collaborare con l’inevitabile»), senza perdere di vista la produzione civile e le prospettive dello sviluppo del mercato automobilistico futuro.
Valletta restò solo al comando della FIAT anche nel periodo terribile dell’occupazione tedesca, mettendo in pratica la tecnica del ‘camaleonte’: accettò tutti gli ordini degli occupanti tedeschi, attuando un silenzioso ostruzionismo e salvando numerosi lavoratori dalla deportazione in Germania, e allo stesso tempo finanziò il Comitato di liberazione nazionale (CLN) e prese contatti con gli Alleati.
Tuttavia alla fine della guerra venne messo sotto processo di epurazione, mentre la FIAT fu affidata a quattro commissari nominati dal CLN: l’ingegnere Gaudenzio Bono, che sarebbe divenuto in seguito il più stretto collaboratore di Valletta; l’ingegnere Arnoldo Fogagnolo, un altro tecnico FIAT, direttore della Grandi motori; Aurelio Peccei, dirigente del settore commerciale; il dirigente comunista ed ex operaio della FIAT Giovanni Battista Santhià. Valletta, che visse in questo periodo di gestione quasi in clandestinità, mantenne tuttavia saldamente il controllo dell’azienda. Dichiarò Peccei in un’intervista: «Personalmente, ero favorevole ad una certa e anche abbastanza ampia epurazione ma non di Valletta. Non era soltanto utile, ma necessario, anzi indispensabile. [...] era l’unico che sapesse mandare avanti l’azienda» (testimonianza resa a Piero Bairati il 3 maggio 1982; si veda Bairati, 1983, pp. 143 s.). Caduta l’accusa di collaborazionismo, progressivamente i responsabili politici dell’immediato dopoguerra si trovarono a constatare come una soluzione all’insegna della continuità fosse necessaria per riportare in attività un’impresa che si collocava ai vertici del capitalismo nazionale. Dopo la morte di Agnelli e la sua riabilitazione da parte dell’Alta Corte di giustizia, nel dicembre del 1945, anche gli orientamenti della famiglia proprietaria furono a favore di una riconferma del mandato per la ricostruzione della FIAT a Valletta, che in effetti nel marzo del 1946 tornò trionfalmente in azienda, e venne nominato presidente nel luglio successivo.
Possedeva meno dell’1% delle azioni e il controllo proprietario era saldamente nelle mani della famiglia Agnelli, ma l’erede designato – il figlio di Edoardo, Giovanni Agnelli, detto Gianni, all’epoca venticinquenne – non si ritenne pronto ad assumere responsabilità nell’impresa: si aprì quindi la «grande stagione del Professore» (Bairati, 1983, p. 156).
Dopo l’autarchia e la guerra, nelle contingenze più difficili della ricostruzione, quella di Valletta fu una voce importante a rappresentare il fronte più avanzato del capitale privato industrialista, com’è testimoniato nell’interrogatorio sostenuto nel 1946 alle audizioni della commissione economica dell’Assemblea costituente. Valletta si mostrò allora ottimista sulle potenzialità economiche del Paese, a patto che fosse in grado di operare in fretta alcune scelte capaci di orientare lo sviluppo industriale sfruttando le condizioni favorevoli rappresentate dai bassi salari, da un aggiornamento tecnologico accelerato, da una produzione automobilistica specializzata nei modelli di piccola cilindrata e a prezzi bassi. Lo sguardo al mercato nazionale e ai mercati internazionali imponeva, secondo Valletta, la rottura dell’isolamento dell’economia italiana e il suo inserimento nei circuiti industriali e finanziari occidentali (Interrogatorio..., 1946, p. 350).
Valletta fu allora in grado di convincere le autorità statunitensi a finanziare il rilancio della FIAT, soprattutto attraverso l’European recovery program, di cui l’azienda torinese fu il principale beneficiario in Italia, ottenendo in prestiti e finanziamenti una cifra pari a quasi 31 milioni di dollari (il 12% circa del totale stanziato) per un vasto rinnovamento impiantistico, che concretizzò il piano concepito e iniziato nel 1936 da Agnelli con la costruzione del nuovo stabilimento di Mirafiori. Il progetto dettagliato, contenente le indicazioni sui macchinari che la FIAT aveva bisogno di acquistare, venne presentato nell’ottobre del 1948 e fu talmente particolareggiato da stupire gli interlocutori statunitensi: vi erano elencate ben tremila voci di spesa, corredate di indicazioni analitiche riguardanti gli oltre quattrocento costruttori di macchinari a cui la FIAT intendeva rivolgersi. Valletta insisteva sulla centralità della produzione automobilistica, rassicurando le autorità statunitensi e italiane sulla congruenza degli investimenti proposti con le potenzialità del mercato nazionale e il programma di sviluppo dell’azienda. Ottenne ciò che serviva al rilancio della ‘nuova’ FIAT, crediti dalle banche americane e finanziamenti dal Piano Marshall, oltre a una sicura reputazione negli ambienti industriali statunitensi, dov’era considerato un interlocutore affidabile e un tenace negoziatore.
Esito del programma di ibridazione del ‘modello americano’ a Torino fu, nel 1955, la produzione della prima vera utilitaria italiana: la 600. Due anni dopo arrivò sul mercato la nuova 500: a partire dal 1950, in poco più di dieci anni, la FIAT decuplicò la produzione di automobili, arrivando a oltrepassare la soglia del milione di vetture annue nel 1963. Nello stesso 1955 Valletta diede inizio al raddoppio dello stabilimento di Mirafiori: la motorizzazione di massa in Italia era diventata realtà.
La responsabilità di Valletta al governo dell’impresa in questa fase era totale: le sue furono le scelte di un imprenditore ‘schumpeteriano’, capace di realizzare un vasto piano di innovazione tecnologica gestendo la complicata macchina aziendale e le risorse umane a sua disposizione con ferrea determinazione, chiarezza dei fini e coscienza del potere di indirizzo della maggiore impresa italiana sull’intero sistema economico nazionale.
Tutto questo venne realizzato in un clima di scontro e di repressione del sindacato socialcomunista FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici), che alla metà degli anni Cinquanta venne sconfitto alle elezioni per la commissione interna. Alla durezza delle condizioni di lavoro per gli operai e alle rivendicazioni sindacali, Valletta opponeva le certezze di un welfare aziendale (case, pensioni, assicurazioni sociali) elargito dalla FIAT in misura superiore alle altre aziende del settore metalmeccanico; esigeva dalle rappresentanze dei lavoratori disciplina e responsabilità in cambio dell’impegno della FIAT a produrre lavoro, reddito e nuovi consumi. Le sue preoccupazioni non si estesero mai alle conseguenze sociali della sua azione imprenditoriale, potenzialmente esplosive in una città che, in seguito all’espansione della FIAT, in dieci anni aumentò la sua popolazione di oltre 300.000 abitanti, in gran parte provenienti dal Sud.
La FIAT di Valletta fu un’azienda fortemente accentrata, che ottenne grandi risultati produttivi, tanto da arrivare a occupare la quinta posizione a livello mondiale quando il Professore lasciò la presidenza, nel 1966, a Gianni Agnelli.
L’ultima iniziativa imprenditoriale di Valletta fu il contratto firmato con il governo dell’Unione Sovietica per la costruzione di un grande impianto sulle rive del fiume Volga, alla periferia di Stavropol′ (poi ribattezzata Togliatti, e nota in Italia come Togliattigrad), destinato a produrre una vettura di media cilindrata per quel Paese a economia pianificata.
Dopo aver lasciato la presidenza, nel dicembre del 1966, venne nominato senatore a vita per altissimi meriti in campo sociale dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Morì a Pietrasanta (Lucca) il 10 agosto 1967.
Fonti e Bibl.: Torino, Archivio storico FIAT (all’interno del Centro storico FIAT); Interrogatorio del prof. V. V., in Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente, II, Industria, t. III, Appendice alla relazione (interrogatori), Roma 1946, pp. 345-355; nella collana Progetto Archivio storico Fiat: I primi quindici anni della Fiat: verbali dei Consigli di amministrazione, 1899-1915, I-II, Milano 1987; Fiat 1915-1930: verbali dei Consigli di amministrazione, I-II, Milano 1991; Fiat 1899-1930: storia e documenti, Milano 1991.
L’unica biografia di Valletta è quella di P. Bairati, V. V., Torino 1983. Notizie su di lui sono reperibili anche in V. Castronovo, Giovanni Agnelli: la Fiat dal 1899 al 1945, Torino 1977; M. Giovana, Torino: la città e i “signori Fiat”, Roma 1977; D. Giacosa, I miei 40 anni di progettazione alla Fiat, Milano 1979; G. Sapelli, Gli “organizzatori della produzione” tra struttura d’impresa e modelli culturali, in Storia d’Italia, Annali, IV, Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino 1981, pp. 591-696; B. Bottiglieri, Strategie di sviluppo, assetti organizzativi e scelte finanziarie nel primo trentennio di vita della Fiat, in Fiat 1899-1930..., cit., pp. 13-76; G. Berta, Conflitto industriale e struttura d’impresa alla Fiat (1919-1979), in Meridiana, 1993, n. 16, pp. 159-178; F. Amatori, Impresa e mercato. Lancia 1906-1969, Bologna 1996; Id., Gli uomini del Professore. Strategia, organizzazioni, management alla Fiat fra anni Venti e anni Sessanta, in Grande impresa e sviluppo italiano: studi per i cento anni della Fiat, a cura di C. Annibaldi - G. Berta, I, Bologna 1999, pp. 203-281; G. Bigazzi, La grande fabbrica: organizzazione industriale e modello americano alla Fiat dal Lingotto a Mirafiori, Milano 2000; La Fiat nel mondo, il mondo della Fiat, 1930-1950: il mercato mondiale dell’auto e i lavoratori dell’industria automobilistica nelle carte dell’Archivio storico Fiat, a cura di C. Casalino - V. Fava, Venezia 2001.