VILLAVECCHIA, Vittorio
– Nacque ad Alessandria il 28 maggio 1859 in un’antica famiglia originaria di Solero, paese a pochi chilometri dal capoluogo piemontese, da Francesco e da Annetta Mussi.
Il padre, ufficiale dell’esercito sabaudo, in gioventù aveva partecipato ai moti insurrezionali del 1821 al seguito di Santorre di Santarosa e per questo rimase in esilio per oltre vent’anni.
Dopo le scuole superiori Villavecchia si iscrisse nel 1877 alla facoltà di fisica matematica dell’Università di Torino. Dal 1878 studiò al Politecnico di Zurigo, dove nel 1881 conseguì il diploma di chimico tecnico. Dopo alcuni anni di attività nel campo della produzione degli zuccheri in Italia e all’estero, si trasferì all’Università di Roma, dove ottenne la laurea in chimica nel 1885 (Relazione a S.E. il ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio della Commissione esaminatrice per il concorso alla cattedra di professore ordinario di merceologia e chimica nella R. Scuola superiore di commercio in Bari, in Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 3 gennaio 1891, n. 2, pp. 43-46).
Alla scuola di Stanislao Cannizzaro, all’epoca direttore dell’Istituto chimico romano, si occupò dapprima di chimica organica e precisamente della sintesi e delle proprietà di derivati della santonina (Sopra alcuni derivati della santonina, in Memorie della Regia Accademia nazionale dei Lincei, s. 4, I (1885), pp. 733-738). La determinazione della struttura chimica di tale sostanza fu l’oggetto di studio principale di Cannizzaro e dei suoi allievi negli ultimi decenni del XIX secolo. Dopo un breve periodo alla stazione agraria di Roma, nel 1886 fu indirizzato dal maestro a operare presso il Laboratorio chimico centrale delle gabelle.
La nascita di questo Laboratorio ebbe origine dall’incarico che Cannizzaro aveva avuto alcuni anni prima dal ministero delle Finanze di studiare dal punto di vista scientifico la coltura del tabacco e la manifattura dei suoi prodotti, in vista della riacquisizione da parte dello Stato della loro gestione diretta. In uno studio preliminare, Cannizzaro aveva sottolineato l’importanza dello studio chimico per il miglioramento della coltura del tabacco e aveva caldeggiato la costruzione di un laboratorio dotato di personale specializzato. Le idee dello scienziato siciliano non furono accolte integralmente; tuttavia, nel 1884 vennero stanziati adeguati fondi per la costruzione del Laboratorio, a opera del figlio di Cannizzaro, Mariano, in locali adiacenti alla Manifattura dei tabacchi, nel quartiere romano di Trastevere. Iniziò a funzionare nel 1886 con il nome di Laboratorio chimico delle gabelle, in quanto doveva occuparsi anche delle analisi merceologiche, prime tra tutte quelle degli zuccheri greggi e raffinati e dei prodotti contenenti zucchero, per la determinazione dei relativi dazi. Il Laboratorio venne perciò diviso in due sezioni: la prima si occupava degli aspetti chimici concernenti il tabacco e i suoi derivati; la seconda aveva il compito di mettere a punto ed effettuare le analisi necessarie a stabilire, dapprima per gli zuccheri, in seguito anche per molte altre merci, le tariffe doganali e le tasse di fabbricazione (r.d. 7 giugno 1886 n. 3929).
Direttore del Laboratorio fu designato Cannizzaro, che nella sezione delle gabelle si fece coadiuvare da Raffaello Nasini e da Villavecchia. Negli anni immediatamente successivi il Laboratorio chimico delle gabelle istituito nella capitale fu affiancato da altri laboratori provinciali, prima a Genova e a Livorno, in seguito in altre città d’Italia fino a creare un vero e proprio sistema nazionale di analisi delle merci coordinato da quello centrale di Roma. Le tipologie dei prodotti analizzati aumentarono rapidamente già nei primi anni di funzionamento e così pure il numero di analisi effettuate che passò da alcune centinaia nel 1886 ad alcune migliaia nel 1889 (Relazione sulle analisi e sulle ricerche eseguite durante il triennio 1886-89 nel Laboratorio chimico centrale delle gabelle, diretto dal senatore Stanislao Cannizzaro, a cura di R. Nasini - V. Villavecchia, Roma 1890).
Nel 1891 Nasini si trasferì all’Università di Padova, avendo vinto il concorso per la cattedra di chimica generale. Villavecchia diventò quindi il vicedirettore del Laboratorio chimico delle dogane. Anche per Villavecchia si era aperta in quegli anni la strada per la docenza universitaria, avendo vinto già nel 1890 il concorso come professore ordinario di merceologia e chimica nella R. Scuola superiore di commercio di Bari. Aveva però rinunciato alla cattedra restando nel Laboratorio chimico delle gabelle.
L’eventuale obiettivo di indirizzare la propria carriera verso il mondo accademico fu forse ostacolato dalla mancata concessione nel 1893 da parte del ministro dell’Istruzione Pubblica della libera docenza richiesta da Villavecchia per applicazioni della chimica, su parere negativo del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Pur nell’elogio dei titoli scientifici del candidato, definiti pregevoli e tali da poterlo ritenere idoneo per altra docenza, la motivazione addotta per tale sorprendente indicazione fu che essi non apparivano comunque sufficienti per l’insegnamento delle numerosissime materie comprese nel dominio della cattedra recentemente istituita in Roma «appositamente per il prof. Paternò» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale dell’Istruzione superiore, Libera docenza, 1891-1895, b. 183). Traspare da tale affermazione come pesarono in tale parere del Consiglio superiore le resistenze che poco tempo prima erano state manifestate in occasione del trasferimento a Roma di Emanuele Paternò proprio su una cattedra con lo stesso nome.
Da quel momento gli interessi di Villavecchia si focalizzarono sul Laboratorio chimico delle gabelle di cui dal 1896 divenne direttore per la rinuncia di Cannizzaro. Ne mantenne la direzione per quasi quarant’anni, pur riaccostandosi alla docenza universitaria, dal 1911 fino alla quiescenza, come incaricato esterno di merceologia presso il R. Istituto superiore di studi commerciali dell’Università di Roma.
Negli anni divenne il principale cultore italiano e uno dei più affermati a livello mondiale nel campo della moderna merceologia. Particolarmente significative a tale scopo furono alcune opere che egli pubblicò. Citiamo innanzitutto il Dizionario di merciologia: ad uso del commercio, arti ed industrie (Genova 1895).
Questo era nelle intenzioni dell’autore un libro essenzialmente pratico alla portata di industriali, commercianti e ufficiali tecnici dello Stato. Vi era raccolto in articoli ordinati alfabeticamente tutto ciò che si riferiva alle varie numerosissime merci, oggetto di traffici e di commerci. Di ognuna di esse si descrivevano i caratteri esteriori, le proprietà fisiche e chimiche, la composizione, la provenienza, il modo di estrazione o di produzione, le sofisticazioni, i saggi caratteristici e ogni altra informazione utile.
Nel corso degli anni l’opera ebbe molte edizioni e si arricchì e ampliò notevolmente, pubblicata a opera di allievi anche decenni dopo la morte dell’autore.
Analogo successo ebbe il Trattato di chimica analitica applicata (Milano 1916). L’opera muoveva dalla riflessione sul ruolo che l’analisi chimica applicata all’esame dei prodotti industriali e alimentari svolgeva nell’acquisto di materie prime, nel controllo dei processi produttivi e nella determinazione del valore, delle impurità e delle adulterazioni dei prodotti finiti. I metodi seguiti in tali analisi industriali e commerciali erano comunque applicazioni di principi generali a casi speciali; in alcune situazioni erano meno rigorosi dei metodi scientifici, mentre in altre l’accuratezza era comparabile a quella delle indagini più esatte. La scelta del metodo da utilizzare era comunque di notevole importanza nella pratica, in cui si richiedeva la massima esattezza compatibile con il fine, con il minor dispendio possibile di tempo. Tutto ciò dimostrava quanto fosse utile per l’analista avere a disposizione una raccolta di metodi e standard per analisi industriali e commerciali che, ufficialmente prescritti o ripetutamente testati, potessero essere adottati con sicurezza. Anche tale Trattato ebbe negli anni molte edizioni sempre più ampie e conobbe una diffusione internazionale grazie alle sue traduzioni in inglese, francese e spagnolo.
Nel 1906 fu organizzato a Roma il VI Congresso internazionale di chimica applicata, presieduto da Paternò. Del congresso Villavecchia fu segretario generale e curatore degli Atti insieme a Paternò (Atti del 6° Congresso internazionale di chimica applicata [...] 1906, Roma 1907).
Durante la prima guerra mondiale il ruolo di Villavecchia e del Laboratorio chimico della gabelle divenne importante soprattutto dopo Caporetto, nell’ambito della generale ristrutturazione del Servizio materiale chimico di guerra. Paternò, che era stato fino ad allora il principale referente dei comandi militari, venne nei fatti sostituito da Villavecchia, che assunse la carica di direttore generale dei servizi chimici di guerra. In particolare, al Laboratorio chimico diretto da Villavecchia fu affidato lo studio per la produzione nazionale di iprite, sostanza aggressiva sempre più diffusa presso gli altri eserciti, verso la quale Paternò manteneva però una posizione non favorevole.
Villavecchia si sposò alle soglie del Novecento, in età relativamente tarda, con Felicita Bellucci, di origini umbre.
Dal matrimonio nacquero quattro figli. La primogenita, nata nel 1902, fu la scrittrice Maria Bellonci. In alcune sue opere più autobiografiche, in particolare Pubblici segreti (Milano 1965), essa fece riferimento al profondo legame che la unì al padre e alle sue origini piemontesi.
Villavecchia restò in piena attività fino alle soglie dei settantotto anni, quando le sue condizioni di salute peggiorarono in pochi mesi.
Morì a Roma il 29 maggio 1937.
Fonti e Bibl.: G. Rossi, V. V. in La chimica e l’industria, XIX (1937), pp. 348 s.; A. Di Meo, Scienza e Stato. Il laboratorio chimico centrale delle gabelle dalle origini al secondo dopoguerra, Roma 2003.