VIVA di Lando
VIVA di Lando. – Sono incerti gli estremi della sua biografia: attestato a partire dal 1336 (Cioni, 1998, p. 478), Ettore Romagnoli (1835, 1976) ne anticipa la prima menzione – non documentata – al 1320, registrandolo ancora in vita nel 1372 come inviato del Comune di Siena a Lucignano. Ippolito Machetti pone invece la sua morte ante 1370, anno cui risale il Libro di denunzie di contratti in cui la figlia Bice è detta «del fu Viva, orafo» (1929, p. 35). Il reliquiario del cranio di s. Savino (Museo dell’Opera del duomo di Orvieto), con firma doppia di Viva e Ugolino di Vieri, è la sola opera pervenuta da lui sottoscritta.
Una solida tradizione storiografica – da accogliere con cautela secondo Giampaolo Ermini (2016, p. 110) – lo vuole figlio di Lando di Pietro e padre di Vannuccio di Viva e dunque proveniente da una famiglia dedita all’arte orafa da più generazioni. All’attività di Lando, anche architetto, ingegnere e scultore, è da riferire la corona della cerimonia di incoronazione di Arrigo VII (Milanesi, 1854), mentre altre proposte restano discusse dalla critica: su tutte, quella di attribuirgli i due reliquiari a braccio di s. Luca (inv. OA 10944) e di s. Ludovico di Tolosa (inv. OA 3254) del Louvre (Leone de Castris, 1980); il frammentario Crocifisso ligneo della basilica dell’Osservanza di Siena, al cui interno è un cartiglio con il nome dell’artista, illustra invece le sue doti di scultore (Bagnoli, 1987, pp. 65-68).
Al figlio Vannuccio di Viva, documentato tra il 1348 e il 1367, spetta la Croce del Museo diocesano di Orte, recante la sua firma e la data d’esecuzione: 1352 (Cioni, 1998, pp. 630 s.).
Come detto, la prima notizia documentata riguardante Viva risale al 1336, quando fu pagato, assieme a Ugolino di Vieri, per l’accomodatura di una coppa d’argento per il Comune di Siena (ibid., pp. 478 s.). Giampaolo Ermini ha recentemente individuato una coppia di documenti, non ancora pubblicati, che proverebbero un rapporto tra Lando e Viva – detto «orafo» – già nel novembre del 1332, permettendo così di ampliare la biografia di quest’ultimo (Ermini, 2016, p. 110). Una serie di carte del 1339 conferma il legame tra Viva e Ugolino, menzionati come creditori di «Andrea di Ghuglielmaccio» e debitori di «Andrea d’Amannato» e «Nicolò di Gheri» (Cioni, 1998, p. 478 nota 18), mentre tre documenti datati al 1337, al 1340 e al 1341 rivelano l’attività d’intagliatore di sigilli svolta da Viva (ibid., p. 106 nota 106). Tra il 1341 e il 1342 tre prestiti, probabilmente di natura forzosa, gli furono restituiti tramite i figli di maestro Vieri, due volte da Luca e una volta da Ugolino (Ermini, 2016, p. 108 nota 62), indizio della probabile assenza di Viva da Siena e del perdurare del suo legame con Ugolino in quegli anni (ibid.). Nel 1341 è documentato il versamento di un prestito di Viva, il cui ammontare – 5 fiorini – fu consegnato tramite un messo comunale (ibid., p. 108 nota 63). Infine, nel 1342, l’artista risulta allirato in S. Martino a Siena, nella lira dell’abbazia Nuova di Sotto, orafo maggiormente tassato in quell’anno, per un ammontare di 29 lire (p. 109 nota 83).
Il reliquiario del cranio di s. Savino, proveniente dalla chiesa di S. Giovenale di Orvieto e conservato nel Museo dell’Opera del duomo della città, è la sola opera che si conservi sottoscritta da Viva, insieme a Ugolino di Vieri: «Ugholinus et Viva d(e) Senis fecierut istum tabernaculu(m)».
Realizzato in rame fuso, sbalzato, cesellato, bulinato e dorato, ornato di smalti traslucidi su bassorilievo d’argento e di microsculture, il manufatto poggia su una base dodecagonale sorretta da sei leoni. Ignoti i committenti e la data di esecuzione dell’opera, la cui analisi si è spesso limitata al confronto con il reliquiario del Corporale, con firma di Ugolino di Vieri e soci. Impossibile determinare le spettanze dei due artisti nell’esecuzione di un oggetto del genere, in cui smalti – quelli con Scene della vita di s. Savino i più importanti – e microsculture sono perfettamente assemblati alla struttura orafa.
Pietro Toesca (1951, pp. 896 s.) attribuiva la concezione generale del manufatto a Ugolino, riservando a Viva l’esecuzione, compresa la statua della Vergine, che Enzo Carli assegnava invece a Ugolino (1965, pp. 129-131). Sempre Carli (1968), successivamente, si interrogò sui rapporti tra gli smalti del basamento, in particolare la scena di Teodorata cade da cavallo, e quelli del perduto reliquiario di s. Galgano un tempo a Frosini (Chiusdino), domandandosi se essi fossero opera di smaltisti diversi oppure dello stessa artista in due momenti distinti. La cultura lorenzettiana osservabile nella statuetta della Madonna col Bambino (Carli, 1965, p. 130; Hueck, 1982, p. 195; Cioni, 1998, pp. 506 s.) e nella maggior parte degli smalti mette d’accordo la critica per una datazione nel quinto decennio del Trecento (Riccioni, Tomasi, in Opere firmate, 2013, p. 72).
L’identificazione di Viva in uno dei soci al fianco di Ugolino nella realizzazione del reliquiario del Corporale (1338), proposta – ma non documentata – da Alessandro Lisini (1904, p. 659) e da Machetti (1929, pp. 21 s.; 26, 34), resta in attesa di conferme ulteriori, se si esclude la non documentata tradizione per cui il reliquiario di s. Savino fu un saggio di abilità tecnica dei due orafi per ottenere la prestigiosa commissione orvietana (Fumi, 1896; Id., 1919).
Il perduto calice di argento dorato, ornato di smalti, munito di patena con l’Annunciazione, descritto nell’inventario del 1458 della sacrestia di S. Domenico a Perugia, recava anch’esso la firma di Ugolino e Viva: «Iste calix fecit Ugholinus et Viva de Senis» (Riccioni, Tomasi, in Opere firmate, 2013, p. 77). Se la patena fortuitamente trovata nel 1954 nella stessa chiesa è stata a lungo identificata dalla critica con quella originariamente associata al calice (Santi, 1955, p. 356; Carli, 1964, p. 20; Id., 1965, p. 129 s.; Di Dario Guida, 1967, p. 225; Calderoni Masetti, 1992, p. 253), le indagini più recenti suggeriscono di usare maggiore cautela in proposito, in ragione di motivazioni documentarie (Hueck, 1982, p. 189) e stilistiche (Cioni, 1998, pp. 618 s.).
Accanto a queste opere sottoscritte da Viva assieme a Ugolino, si segnalano quelle attribuitegli per via stilistica. Pierluigi Leone de Castris (1980, p. 74) propone di assegnare alla mano di Viva il perduto reliquiario di s. Galgano, la cui cornice a dentelli sarebbe un marchio di fabbrica della sua famiglia, presente nel reliquiario di s. Savino, nei reliquiari a braccio del Louvre – da lui attribuiti a Lando di Pietro – e nella Croce di Orte, sottoscritta da Vannuccio di Viva. Più recentemente, Elisabetta Cioni ha riferito all’attività di Ugolino e di Viva la corona per la reliquia della testa di s. Galgano, oggi nel Museo dell’Opera del duomo di Siena, e un tempo parte integrante dell’omonimo reliquiario, conservato nello stesso museo (2005, pp. 96 s.).
Come per altri orafi senesi del XIV secolo, la definizione del profilo artistico di Viva di Lando è limitata alla conoscenza di una sola opera a lui certamente collegabile, firmata per giunta assieme a un altro artista, per cui non è possibile operare un distinguo di spettanze, non conoscendosi le modalità di produzione e di ripartizione del lavoro delle botteghe orafe, né il significato delle sottoscrizioni apposte su questo genere di opere.
Fonti e Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, I, Siena 1854, p. 230; A. Rossi, Inventario della sagrestia di S. Domenico di Perugia nel secolo quindicesimo, in Giornale di erudizione artistica, I (1872-1873), pp. 74-78; L. Fumi, Il santuario del Ss. Corporale del Duomo di Orvieto, Roma 1896, pp. 27 s.; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, in Bullettino senese di storia patria, XI (1904), pp. 645-678; L. Fumi, Orvieto, Bergamo 1919, p. 153; I. Machetti, Orafi senesi, in La Diana, IV (1929), pp. 5-110; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, II, Il Trecento, Torino 1951, pp. 590-592, 894-897; F. Santi, Ritrovamento di oreficerie medioevali in S. Domenico di Perugia, in Bollettino d’arte, s. 4, XL (1955), pp. 354-358; E. Carli, Il reliquiario del Corporale ad Orvieto, Milano 1964, passim; Id., Il Duomo di Orvieto, Roma 1965, pp. 123-142; P. Dal Poggetto, Ugolino di Vieri: gli smalti di Orvieto, Milano 1965, passim; M.P. Di Dario Guida, Precisazioni su Ugolino di Vieri e soci, in Napoli nobilissima, s. 3, VI (1967), pp. 217-226; E. Carli, Su alcuni smalti senesi, in Antichità viva, VII (1968), 1, pp. 35-47; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi, 1200-1800 (1835), II, Firenze 1976, pp. 167-169; P. Leone de Castris, Une attribution à Lando di Pietro, le bras-reliquaire de saint Louis de Toulouse, in Revue du Louvre, XXX (1980), pp. 71-76; I. Hueck, Ugolino di Viva e V. di L., in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d’arte (catal., Siena), a cura di G. Chelazzi Dini, Firenze 1982, pp. 189-195; P. Leone de Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, in Atti della I Giornata di studio sugli smalti traslucidi, Pisa 1983, a cura di A.R. Calderoni Masetti, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XIV (1984), pp. 533-556; A. Bagnoli, in Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena, 1250-1450 (catal., Siena), Firenze 1987, pp. 64-68; A.R. Calderoni Masetti, Sui disegni figurati trecenteschi del Museo dell’Opera del duomo a Orvieto, in Ori e tesori d’Europa. Atti del Convegno di studio..., 1991, a cura di G. Bermanini - P. Goi, Udine 1992, pp. 245-254; P. Leone de Castris, Il reliquiario del Corporale a Orvieto e lo smalto senese di primo Trecento, in Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento. Atti del Convegno internazionale..., Orvieto... 1990, Torino 1995, pp. 169-191; E. Cioni, Scultura e smalto nell’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, passim; A. Capitanio, V. di L., in Enciclopedia dell’arte medievale, IX, Roma 2000, pp. 728 s.; G. Freni, The Reliquary of the Holy Corporal in the Cathedral of Orvieto: Patronage and Politics, in Art, Politics and Civic Religion in Central Italy, 1261-1352, a cura di J. Cannon - B. Williamson, London 2000, pp. 117-177; E. Cioni, Il reliquiario di S. Galgano. Contributo alla storia dell’oreficeria e dell’iconografia, Firenze 2005, pp. 96 s.; Opere firmate nell’arte italiana. Siena e artisti senesi. Maestri orafi, a cura di M.M. Donato, Roma 2013 (in partic. S. Riccioni - M. Tomasi, scheda n. 5.P., pp. 67-69, scheda n. 5.S.1, pp. 70-76, scheda 5.S.2, pp. 77-79); G. Ermini, «In mano di Mario». Notizie inedite e nuovi argomenti per Ambrogio Lorenzetti e gli orafi senesi del Trecento, in Prospettiva, CLXI-CLXII (2016), pp. 104-121.