VIVA di LANDO
Orafo senese attivo nel 14° secolo.
Attestato a partire dal 1336, V. è detto anche "ingegnere e scultore" da Romagnoli (Biografia), che ne anticipa inoltre la prima notizia della vita al 1320. La morte è collocata da Machetti (1929) a prima del 1370, in quanto nel Libro di denunzie di contratti di quell'anno la figlia Bice è detta "del fu Viva, orafo"; Romagnoli (Biografia) lo registra invece ancora in vita nel 1372, identificandolo con un inviato del Comune di Siena a Lucignano.
Riconosciuto come figlio di Lando di Pietro e padre di Vannuccio di Viva, la personalità artistica di V. si pone dunque in un contesto di grande e prestigiosa tradizione nel settore dell'arte orafa, ma resta purtroppo non identificabile con chiari caratteri specifici. I documenti - ripubblicati e riesaminati criticamente (Cioni, 1998) - lo dicono infatti autore di vari sigilli per uffici pubblici di Siena (1337, 1340, 1341), ma nessuna matrice e neppure impronta sono collegabili a queste notizie, mentre l'unica opera di oreficeria che con certezza attesta la sua attività è da lui sottoscritta insieme a un altro orafo, Ugolino di Vieri (v.).Si tratta del reliquiario di S. Savino (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo), già nella chiesa di S. Giovenale a Orvieto, in cui compare l'iscrizione-firma "Ugholinus et Viva de Senis fecierunt istum tabernaculum". Con Ugolino di Vieri, V. aveva firmato anche un calice accompagnato da una patena recante la raffigurazione a smalto dell'Annunciazione, ricordati negli inventari quattrocenteschi della chiesa di S. Domenico a Perugia: il fortunato ritrovamento nel 1954, nel corso di lavori alla stessa chiesa, di una patena (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria) rispondente a queste caratteristiche ha portato a riconoscerla ai due orafi senesi (Santi, 1955), ma non tutta la critica è concorde con l'attribuzione (Cioni, 1998).
Il sodalizio tra V. e Ugolino di Vieri è confermato, oltre che dalle iscrizioni sugli oggetti, da alcuni documenti: nel 1336 i due orafi erano pagati insieme per accomodare una coppa d'argento e nel 1339 erano registrati ugualmente insieme per crediti e debiti legati a un acquisto di argento.
È dunque evidente che unica doveva essere a queste date la loro attività e la compresenza delle due firme complica ulteriormente quella che è già una non univoca testimonianza: se la responsabilità della bottega orafa e quindi l'allogagione di un oggetto e la sua sottoscrizione non implicavano, com'è noto, un'autografia in senso moderno, ancora più sfuggente appare il significato della doppia firma, oltretutto non costante, in quanto il più celebre e grandioso lavoro di Ugolino di Vieri - il reliquiario del Corporale di Orvieto (duomo) - è firmato nel 1338 da "[...] magistrum Ugolinum et sotios aurificies de Senis [...]". La mancanza del nome di V. in quest'ultima iscrizione non è naturalmente di ostacolo alla sua partecipazione all'impresa, ma certo indica una posizione predominante di Ugolino rispetto agli altri collaboratori, e ha portato quindi tendenzialmente ad attribuire a V. ciò che è meno diffusamente caratterizzante.Lisini (1904) e Machetti (1929), senza documentare la fonte, affermano che Ugolino di Vieri avrebbe avuto come compagni, nella realizzazione del reliquiario del Corporale, V. e Bartolomeo di Tommè detto Pizzino: secondo la tradizione, anzi, V. e Ugolino di Vieri eseguirono il reliquiario di S. Savino come prova delle loro capacità prima di ottenere la commissione di quello del Corporale (Fumi, 1896; 1919). La notizia ha certo sapore encomiastico, ma sembra di potervi cogliere uno spunto di verità nell'affermazione della precedenza del reliquiario per la chiesa di S. Giovenale su quello per il duomo: una testimonianza interna la fornisce infatti, nel basamento di quest'ultimo, lo smalto raffigurante la Presentazione di Gesù al Tempio, dove il tabernacolo che compare sull'altare è una palese immagine del reliquiario definito nella sua stessa iscrizione tabernaculum. E che non si tratti di una pura suggestione è dimostrato dalle diverse, più abbreviate soluzioni presenti in opere figurative coeve e insieme dall'enfatica centralità dell'oggetto, che spicca con il suo giallo nel punto focale dell'unica scena che occupa un intero lato breve (quello destro) del basamento. Né costituiscono un vincolante termine post quem i riconosciuti legami del reliquiario di S. Savino con architetture reali o disegnate - come il progetto di campanile denominato 'pergamena senese' (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, nr. 154; Garzelli, 1972) -, considerando che il rapporto di dipendenza non è a queste date unidirezionale, ma è anzi ormai comprovato un ruolo propositivo dell'oreficeria nei confronti delle stesse arti monumentali.I tentativi di dare un'identità artistica a V. si condensano in particolare intorno al tema di una forte impronta lorenzettiana, caratteristica per es. della statuetta della Madonna del reliquiario di S. Savino - generalmente assegnatagli per la presenza, proprio ai suoi piedi, dell'iscrizione del suo nome -, ma confacente anche al modellato piatto ed essenziale dei bassorilievi predisposti per gli smalti con le Storie di s. Savino dello stesso reliquiario, analogo tra l'altro a quello delle placchette della croce-reliquiario di Orte (Mus. Diocesano di Arte Sacra), firmata da Vannuccio di Viva nel 1352 (Cioni, 1998).L'indagine comparata tra quest'unico oggetto firmato dal figlio di V. - che documentariamente risulta in attività a Siena dal 1358 al 1367 - e le opere riferibili sia allo stesso V. sia al padre di questi Lando di Pietro ha portato inoltre Leone de Castris (1980b) a individuare una sorta di motivofirma di questa dinastia orafa nella cornice a dentelli, presente, oltre che nell'opera di Vannuccio, nei due bracci reliquiari di S. Luca e S. Ludovico (Parigi, Louvre), da lui attribuiti a Lando, nonché nel reliquiario firmato di S. Savino e in quello di S. Galgano già a Frosini (disperso), i cui smalti lo studioso mette in reciproca relazione, avanzandone l'attribuzione a V. - secondo un'ipotesi già sostenuta (Carli, 1965) - e collegandoli al medaglione con il S. Galgano in preghiera (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; Leone de Castris, 1984), visto come la sua probabile opera più antica.
Bibl.:
Fonti. - G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, p. 35; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bellartisti senesi dal secolo 1200-1800, Firenze 1976, II (ed. in facsimile del ms. del 1835).
Letteratura critica. - A. Didron, Les artistes du moyen âge en Italie, Annales archéologiques 15, 1855, pp. 365-372; A. Rossi, Inventario della sagrestia di S. Domenico di Perugia nel secolo quindicesimo, Giornale di erudizione artistica 1, 1872, 3, pp. 74-78; L. Fumi, Il santuario del SS. Corporale del duomo di Orvieto, Roma 1896, pp. 27-28; A. Peraté, Lettre d'Italie: l'Exposition d'art religieux à Orvieto, GBA, s.II, 16, 1896, pp. 497-503: 500-502; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, Bullettino senese di storia patria 11, 1904, pp. 645-678; L. Fumi, Orvieto, Bergamo [1919], p. 153; I. Machetti, Orafi senesi, La Diana 4, 1929, 1, pp. 5-110: 35; F. Santi, Ritrovamento di oreficerie medioevali in S. Domenico di Perugia, BArte, s.IV, 40, 1955, pp. 354-358; P. Dal Poggetto, Ugolino di Vieri: gli smalti di Orvieto, Milano 1965; E. Carli, Il duomo di Orvieto, Roma 1965, pp. 124-130, 141 n. 9; id., Su alcuni smalti senesi, AV 7, 1968, 1, pp. 35-47; F. Santi, Galleria Nazionale dell'Umbria. Dipinti, sculture e oggetti d'arte di età romanica e gotica, Roma 1969, p. 169; A. Garzelli, Orvieto. Museo dell'Opera del duomo, Bologna 1972, pp. 74-75; M.M. Gauthier, Emaux du Moyen Age occidental, Fribourg 1972; P. Leone de Castris, Un reliquiario senese a vetri dorati e graffiti, AV 18, 1979, 5-6, pp. 7-14: 9; id., Une attribution à Lando di Pietro: le brasreliquaire de saint Louis de Toulouse, RLouvre 30, 1980a, 2, pp. 71-76: 73-74; id., Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, orafi e smaltisti a Siena (1308-1338), Prospettiva, 1980b, 21, pp. 24-44: 44 n. 69; I. Hueck, Ugolino di Vieri e Viva di Lando, in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, cat. (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 189-195; P. Leone de Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, "Atti della I Giornata di studio sugli smalti traslucidi, Pisa 1983", a cura di A.R. Calderoni Masetti, Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s.III, 14, 1984, pp. 533-556; id., Il reliquiario del Corporale di Orvieto e lo smalto senese di primo Trecento, in Il Duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento, "Atti del Convegno, Orvieto 1990", Torino 1995, pp. 169-191: 177; E. Cioni, Scultura e smalto nell'oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998; G. Freni, The Reliquary of the Holy Corporal in the Cathedral of Orvieto: Patronage, in Art, Politics and Civic Religion in Central Italy 1261-1352, a cura di J. Cannon, B. Williamson (Courtald Research Papers, 1), London 2000, p. 117-177.A. Capitanio