VIX
Villaggio situato alcuni km a N-O di Châtillon sur Seine (Côte d'Or) dominato dal monte Lassois, una collina isolata che sovrasta il passaggio della vallata. La località conobbe la sua più intensa occupazione alla fine della prima Età del Ferro, cioè nel VI sec. a. C. Potentemente fortificato, il Monte Lassois fu un oppidum importantissimo, così come dimostrano le centinaia di migliaia di frammenti ceramici, le fibule e i piccoli oggetti della vita quotidiana venuti alla luce. Il ritrovamento di centinaia di frammenti di ceramica attica a figure nere, di oggetti di ambra e di corallo attestano l'esistenza di vaste correnti commerciali. Per quell'epoca si ignora il posto della (o delle) necropoli in corrispondenza all'abitato; ma nel corso di un saggio fu scoperta nel 1953 una tomba principesca che, per l'opulenza della sua suppellettile, sorpassa tutte quelle coeve note in Gallia.
In origine la tomba doveva essere costituita da un vasto tumulo di 40 m di diametro, costruito in pietra a secco. La coltivazione e i lavori agricoli avevano livellato questo rialzo fin dall'epoca romana; ma al centro, scavata nella sabbia alluvionale di cui è composto il suolo naturale, esisteva una camera funeraria cubica di 3 m di lato. Le pareti erano rivestite di legno e un soffitto ugualmente di legno ricopriva la fossa. Ben presto per effetto sia del peso delle pietre del tumulo, sia dell'umidità, questo soffitto deve aver ceduto, gli elementi litici invasero allora la camera funeraria, rovinando più o meno la suppellettile, ma, nello stesso tempo, proteggendola. In mezzo alla camera funeraria giaceva, orientata N-S, la cassa di un carro costruito in legno; solo le guarnizioni di metallo che lo decoravano ci sono pervenute: esse sono principalmente delle placchette di bronzo a traforo, in alternanza con delle balaustre dello stesso metallo; alle due estremità della cassa si trovarono delle sottili sfoglie di bronzo, ornate di motivi a stampo. Le quattro ruote del carro erano state smontate e appoggiate verticalmente lungo una parete, dopo essere state accuratamente avvolte in bende di stoffa; queste ruote, di m 0,75 di diametro, avevano 10 raggi; manicotti e cerchi di bronzo ricoprivano i mozzi. È stata possibile una ricostruzione del veicolo, e si è visto allora che si trattava in realtà di una specie di lettiga, che poteva essere sia portata a mano, sia montata sul telaio a quattro ruote. Entro la cassa del carro giaceva lo scheletro di una donna di circa trent'anni, ornata di tutti i suoi gioielli. La testa era ancora sormontata da un bellissimo diadema d'oro, del peso di 480 gr, costituito da un arco a ferro di cavallo, terminante con zampe di leone appoggiate su due bulle piriformi, la cui base è cesellata molto finemente (v. vol. iii, fig. 824). Un piccolo cavallo alato, una specie di Pegaso, riunisce ciascuna estremità dell'arco alla sua bulla terminale: si tratta di un gioiello senza equivalenti nella oreficeria antica. La defunta era ornata di due collane: l'una, un torques di bronzo, cavo, avvolto originariamente da una cinghia di cuoio attorta a spirale; l'altra composta di grosse perle d'ambra e di pietre dure (diorite) levigate. Numerose fibule servivano a trattenere le vesti: esse sono di un tipo caratteristico per la fine della prima Età del Ferro, alcune ornate di corallo, di ambra, di oro. Ai polsi erano infilati braccialetti di schisto e di perle d'ambra. Ciascuna caviglia era ornata di un bell'anello di bronzo fuso.
La sepoltura conteneva una ricchissima suppellettile. Prima di tutto, situato nell'angolo N-O della camera sepolcrale, un enorme cratere di bronzo del tipo a volute; questo è di dimensioni colossali - misura m 1,64 di altezza e pesa 208 kg - ed è ornato di due anse raffiguranti un busto di Gorgone anguipede. Il collo è decorato da un fregio in appliques di rilievi cesellati rappresentante una sequenza di carri a due ruote, condotti da un auriga e trascinati da quattro cavalli; un oplita vestito della corazza e con lo scudo segue ciascuno dei carri. Le qualità artistiche eccezionali di questi rilievi li fanno classificare fra i più notevoli che ci abbia lasciato l'antichità. Se ne conoscono altri di questo tipo, ma sono tutti di dimensioni molto minori: si possono citare particolarmente i crateri scoperti a Trebenište (v.) vicino al lago di Ochrida e il cratere dell'Antiquarium di Monaco: ma questi ultimi vasi non superano il m 0,75 di altezza. Il cratere di V. è munito di un coperchio concavo a maniglie con piccoli trafori disposti in forma di petali di margherite; al centro, al di sopra di un umbilico conico, si trova una statuetta femminile panneggiata, in atteggiamento ieratico, di uno stile eccessivamente sobrio; in generale la sua fattura ricorda la produzione di bronzi laconici, mentre si è piuttosto tentati di vedere nel cratere stesso un prodotto di officine corinzie. Sul coperchio erano state deposte tre coppe, l'una apoda in argento, con l'ombelico d'oro, che ricorda le phiàlai scoperte a Perachora; un'altra attica a figure nere, raffigurante una amazzonomachia: questa coppa è classificabile in una serie della ceramica greca, quella delle cosiddette droop-cup (v. Vol. v, p. 39), fabbricate ad Atene tra il 530 e il 520 a. C.; la terza, a vernice nera senza decorazione, a piede ribassato, è un po' più recente. Ai piedi del cratere, sul pavimento della tomba, si trovava una oinochòe trilobata, di origine incontestabilmente etrusca: essa era vicina a due bacini di bronzo, incastrati uno nell'altro, ad anse dritte, decorati di palmette, che sono stati verisimilmente anch'essi fabbricati in Etruria. Infine un grande lebete di bronzo, di m 0,56 di diametro, completava la suppellettile funeraria. Sembra che al momento della inumazione tutti gli oggetti siano stati avvolti da una specie di copertura di cuoio o di stoffa ornata qua e là di dischetti e di uncini di bronzo. In base a questi elementi la data del seppellimento può essere stabilita con sicurezza nell'ultimo venticinquennio del VI sec. o immediatamente all'inizio del V a. C. La tomba di V. appare come la più lussuosa delle tombe con carro hallstattiane, attualmente scoperte in Francia. Queste tombe con carro sono rare in Gallia, dove se ne conoscono quindici solamente.
Il tumulo di V. pone molti problemi e discussioni: da dove sono venuti fino a V. questi pezzi così preziosi e, in alcuni casi, così ingombranti e fragili? Sembra che si debba scartare l'ipotesi di una penetrazione attraverso il corridoio Rodano-Saöne; anche se è chiaramente accertato (e gli innumerevoli oppida del litorale mediterraneo - Ensérune, Le Cayla, Montaurès - lo garantiscono), che l'ellenizzazione del Mezzogiorno della Gallia fu intensa, tuttavia l'influenza greca resta isolata su di una stretta striscia costiera senza penetrazione all'interno; l'assenza di scoperte di oggetti greci o etruschi a N della Provenza, è significativo. La via di accesso sembra piuttosto che sia passata attraverso i colli alpini, particolarmente il Gran S. Bernardo, l'altopiano svizzero e il Giura; questo itinerario in effetti è disseminato di ritrovamenti greco-etruschi (idria di Grächwil, presso Berna, anfora di Conliège, nel Giura). Qualche studioso ha ritenuto che il grande cratere dovesse essere stato trasportato smontato e che un artefice esperto lo abbia poi ricomposto. I rilievi in appliques recano lettere di contrasseguo per il loro montaggio sul collo del vaso. (Tali lettere sono state attribuite all'alfabeto di Locri o di Siracusa dalla Guarducci). La presenza di un artista del genere spiegherebbe anche il tipo insolito del diadema, e l'inserzione nella forma generale celtica, di un raffinato particolare di gusto greco, quale la figura del cavallino.
Qual'è infine la ragione della così grande opulenza di questa tomba? La posizione geografica del Monte Lassois, situato nel punto in cui la Senna cessa di essere navigabile, e che vigila l'accesso alle contrade meridionali, è un argomento in favore dell'ipotesi di uno stanziamento in questo luogo di un vasto mercato-fiera, una specie di emporium, dove una corrente commerciale proveniente da N-O, che portava materie prime, in particolare lo stagno dei monti Cassiteriti, s'incontrava con un'altra corrente proveniente dal S-E, che portava prodotti italo-greci. Cratere, diadema, bacino, oinochòe e coppe, potrebbero anche essere il prezzo di un pedaggio che i commercianti meridionali pagavano presso i potenti principi celti che governavano l'oppidum di Vix.
Bibl.: Per la topografia: R. Joffroy, L'oppidum celtique du Mont Lassois de Vix (Côte d'Or), in Revue des Arts, IV, 1954, pp. 13-16. Per la tomba celtica e la sua suppellettile: R. Bloch-R. Joffroy, L'alphabet du cratère de Vix, in Revue de Philologie, XXVII, 1953, pp. 174-191; J. Charbonneaux, Le mobilier funéraire de la tombe de Vix, in Revue des Arts, III, 1953, pp. 198-202; R. Joffroy, Le trésor de Vix, in Mon. Piot, LXVIII, i, 1954, pp. 1-64; P. Amandry, Autour du cratère grec de Vix, in Revue Arch., XLIII, 1954, pp. 125-140; J. Delepierre, Le sujet de la frise du cratère de Vix, Parigi 1954; J. Carcopino, Les trouvailles de Vix, in Revue des deux mondes, 15 Gennaio 1955, pp. 208-224; G. Vallet-Fr. Villard, Un atelier de bronziers: sur l'école du cratère de Vix. in Bull. Corr. Hell., LXXIX, 1955, pp. 50-74; A. France-Lanord, La reconstitution du char de Vix, in Comptes Ren. Acad. Inscr. et Bell. Lett., 1957, pp. 110-113; R. Joffroy, Le char de Vix et les tombes à char, ibid., pp. 113-119; A. Rumpf, Krater lakonikos, in Charites, 1957, pp. 127-135; C. Rolley, L'origine du cratère de Vix: remarques sur l'hypothèse laconienne, in Bull. Corr. Hell., LXXXII, 1958, pp. 168-171; Ch. Picard, Sur le diadème d'or de Vix: l'enigme des grandes pavots et des petits Pégases, in Revue Arch., 1962, 2, pp. 87-91; M. Guarducci, L'alfabeto del cratere di Vix, in Rend. Lincei, XVIII, 1963, fasc. 1-2, pp. 3-19.