ZABUGHIN, Vladimiro
(Vladimir Nikolaevič Zabugin). – Nacque il 4 luglio 1880 a Párgola (odierna Párgolovo), sobborgo a nord di San Pietroburgo, da Nikolaj Pavlovič Zabugin, alto funzionario del ministero delle Finanze, e da Marija Andrjaševa, specializzata in oculistica.
Studiò nel ginnasio della capitale e, diplomatosi nel 1898, proseguì i suoi studi presso la facoltà di storia e filologia. Insignito con una medaglia d’oro nel 1900, grazie a un lavoro su Quinto Aurelio Simmaco e il suo tempo, si laureò a pieni voti in storia nel 1903. Parallelamente frequentò corsi privati di pianoforte e teoria musicale, per entrare successivamente in conservatorio: non riuscì tuttavia a conseguire il diploma a causa di una grave malattia e la concomitanza con gli esami di laurea. Continuò comunque a coltivare entrambi i suoi interessi in Italia, dove fu inviato nell’autunno del 1903 per perfezionarsi nella carriera di storico.
A causa della rivoluzione russa del gennaio del 1905 l’Università di San Pietroburgo venne chiusa il 4 marzo e riaperta solo per il successivo anno accademico, ciò che comportò anche la sospensione del suo assegno di studio. Tale rivolgimento non fu estraneo alla decisione di restare in Italia presa da Zabughin, che in numerose occasioni espresse la sua condanna nei confronti del regime zarista e della Chiesa ortodossa russa a esso contigua. Alla scelta di rimanere in Italia contribuì anche la sua conversione dall’ortodossia al cattolicesimo di rito greco, forse catalizzata dal sacerdote greco-albanese di Sicilia Nicola Franco, scrittore presso la Biblioteca apostolica Vaticana, e infine maturata nel luglio del 1907 presso il monastero basiliano di S. Maria di Grottaferrata guidato dall’abate Arsenio II Pellegrini. Ricevuto nel 1909 l’ordine del lettorato, prestò da allora il suo servizio liturgico per la minuscola comunità cattolico-orientale della capitale, dapprima nella chiesa di S. Maria Odigitria e dal novembre del 1910 in quella di S. Lorenzo ai Monti, adattata in base a sue indicazioni.
Tra il 1906 e il 1907 uscirono nella Rivista d’Italia i suoi primi scritti storico-letterari e il 13 luglio 1907 presentò domanda di libera docenza in storia medievale e moderna per l’Università di Roma. I suoi titoli di studio vennero però giudicati più filologici o letterari che storici, pertanto nel 1909 ripresentò domanda per una docenza in letteratura umanistica.
Nel gennaio dello stesso anno era uscito il primo volume del suo Giulio Pomponio Leto (Roma 1909), seguito da un secondo volume edito in due tomi nel 1910 e nel 1912. Un previsto terzo volume (sempre in due tomi) non vide mai la luce, ma il 30 agosto 1913 da Gressoney (Monte Rosa) licenziò l’edizione russa Iulij Pomponij Lèt in volume unico, assai più organica e sintetica, stampata l’anno successivo a San Pietroburgo. Nell’introduzione Zabughin ricordava come nel 1902 fosse stato il suo professore di storia Georg August Forsten a indicargli tale personaggio quale «soggetto ricco di spunti e inesplorato» nell’ambito del Rinascimento italiano. L’edizione italiana presenta già caratteristiche che è dato poi ritrovare in altre opere: originalità e indipendenza di giudizio rispetto alla tradizione degli studi, ricchezza di materiali trattati, straordinaria erudizione, importanza del corredo iconografico, attenzione riservata alle mani e alla scrittura dei manoscritti, stile vivace con sorprendente padronanza della lingua italiana.
La libera docenza venne concessa con decreto ministeriale del 22 novembre 1911.
Dal novembre del 1910 al dicembre del 1921 fu tra i principali animatori e redattori della rivista Roma e l’Oriente, edita dall’abbazia di Grottaferrata per favorire l’unione delle Chiese, ma in una prospettiva invero più ecumenica che non unionista: Zabughin vi pubblicò numerosissimi contributi, fra cui molti dedicati alla Chiesa in Russia, altri più prossimi ai suoi interessi umanistico-rinascimentali (come le Questioni religiose greco-slave negli scrittori del Rinascimento, Dante e la Chiesa greca, Dante e l’Oriente), nonché svariate recensioni.
Nel 1915, a Grottaferrata, si unì in matrimonio con Amelia Maria Festa, sorella della pittrice Matilde, moglie dell’architetto Marcello Piacentini.
Amelia, da cui non ebbe figli, era un’affascinante pianista nata nel 1896 dal musicista Pietro Festa e da Maria Cristina Forcella al Cairo, dove era vissuta sino a qualche anno prima con altre due sorelle e gli zii pittori Nicola e Paolo Forcella (tutti di Castellaneta).
Risiedettero al quarto e ultimo piano di un palazzetto che Zabughin aveva acquistato nel 1908 in via di Porta Pinciana 36, mentre il pianterreno fu occupato da parenti di Amelia e gli altri piani affittati. Fu qui che nel Natale del 1917 venne sospettato di attività spionistica da parte della polizia. Una perquisizione all’alba del 18 gennaio 1918 accertò, tuttavia, come il picchiettio mattutino del telegrafo che aveva messo in allarme un affittuario fosse invece dovuto alla macchina da scrivere con cui Zabughin stava scrivendo il suo reportage sui cinque avventurosi mesi da lui passati in Russia per incarico del ministro Vittorio Scialoja.
Edita qualche mese dopo con numerose fotografie, l’opera (Il gigante folle. Istantanee della Rivoluzione russa, prefazione di V. Scialoja, Firenze 1918; nuova ed., con un post scriptum di G.P. Castelli, 2019) rivela un ulteriore ambito politico-propagandistico in cui Zabughin esercitò la propria attività, con attenzione ai più moderni mezzi di comunicazione con cui accompagnava le numerose conferenze tenute per l’occasione in Russia, ma prima e dopo anche in Italia: fotografie, diapositive, pellicole cinematografiche, oltre alla musica, talora da lui stesso eseguita al pianoforte.
Le speranze di poter svolgere un ruolo politico-culturale nelle relazioni italo-russe andarono frustrate dalla piega degli eventi. Ciò nonostante nel 1920 fu tra i fondatori dell’Istituto italo-orientale per promuovere il riavvicinamento intellettuale, economico e politico dell’Italia con i Paesi dell’Oriente europeo e del bacino orientale del Mediterraneo; nel 1922, fu anche presente alla prima assemblea generale dei soci dell’Istituto per l’Europa orientale, sorto con analoghe finalità.
Nel 1918 fondò all’Università di Roma il Gruppo universitario musicale (GUM) per la diffusione della cultura e pratica musicale nell’Ateneo, ove organizzava concerti e conferenze. Nei cinque anni successivi furono aperte altre otto sedi in altrettanti atenei italiani e del nuovo Gruppo universitario musicale italiano egli divenne rettore generale. Fu anche redattore della Rivista nazionale di musica, pubblicata a Roma dall’ottobre del 1920. Attento osservatore della scena musicale contemporanea, vi pubblicò fra l’altro tre serie di articoli su La musica bizantina nei secoli, I poteri visivi della musica e Berlioz e Virgilio.
Nel maggio del 1922 presentò un’ulteriore istanza di libera docenza in storia ed estetica musicale, preannunciando la stampa di due monografie: Dell’espressione musicale libri tre e Berlioz. La domanda fu accolta limitatamente alla sola storia della musica, ma, superato l’ostacolo della cittadinanza italiana (che Zabughin aveva chiesto sin dal 1921 e che ottenne il 13 maggio 1923), la commissione esaminatrice non ebbe modo di riunirsi prima dell’inattesa morte del candidato.
Sin dal 1910 era stato accolto nell’Accademia dell’Arcadia, ove assunse il nome di Filarete Prianeo e risultò attivo soprattutto dal 1918 al 1923, periodo in cui l’antica istituzione si aprì a tematiche storico-artistiche o prettamente storiche per probabile influsso dello stesso Zabughin.
Nei primi quattro volumi di Arcadia. Atti e scritti dei soci, usciti in quegli anni, la sua presenza è costante: cicli di conferenze sulla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, La Russia nella letteratura del Rinascimento e la Letteratura umanistica dell’Istria, della Dalmazia e del Trentino, nonché il ciclo di articoli L’umanesimo nella storia della scienza. Il quarto volume è occupato per circa due terzi dal suo L’oltretomba classico e medievale dantesco nel Rinascimento, già pubblicato come monografia (Firenze-Roma 1922); una seconda parte in forma di antologia di testi, non uscì mai. Presentò anche numerosi nuovi soci, tra i quali musicisti e storici dell’arte.
Negli stessi anni uscirono il primo volume di Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso. Fortuna, studi, imitazioni, traduzioni e parodie, iconografia. Il Trecento e il Quattrocento (Bologna 1921), il cui secondo volume sul Cinquecento uscì solo postumo (Bologna 1923). L’opera è stata riedita a cura di S. Carrai e A. Cavarzere (Trento 2000) e una seconda volta a cura di B. Basile e G. Fortunato (Napoli 2017). Per la collezione I codici istoriati di Dante nella Biblioteca Vaticana Zabughin pubblicò Dante e l’iconografia d’oltretomba: arte bizantina, romanica, gotica (Milano-Roma 1922: opera di grande formato accompagnata da cinquantuno tavole e di cui erano previsti altri tre fascicoli) e infine, anch’essa postuma e priva di apparati di corredo, la Storia del Rinascimento cristiano in Italia (Milano 1924; nuova ed. a cura di B. Basile, Napoli 2011), in cui esprime la sua visione di continuità tra Medioevo e Rinascimento: tramite richiami a elementi spirituali e filosofici di autori più o meno noti, nonché l’interconnessione tra letteratura, arte figurativa e musica, viene inaspettatamente rideterminata l’importanza del cristianesimo sul Rinascimento.
Il 5 aprile 1923 uscì il primo numero del quotidiano Il Popolo, vicino al Partito popolare italiano (PPI) di Luigi Sturzo in una prospettiva cattolico-democratica e antifascista. Zabughin, presentato tra i collaboratori scientifici e letterari in qualità di membro dell’Accademia di S. Cecilia, vi scrisse frequenti recensioni di musica lirica, da camera e sinfonica. Con il sopraggiungere dell’estate, tuttavia, i suoi contributi si spostarono su tematiche letterarie e, in particolare, alpinistiche. La montagna fu in effetti, accanto alla musica, la sua passione maggiore. Iscritto alla sezione romana del Club alpino italiano (CAI) sin dal 1912, effettuò il suo tirocinio per undici anni in Val d’Aosta, dove si recava ogni estate, per spostarsi nel dopoguerra nelle Alpi orientali, tra Veneto e Trentino-Alto Adige. Frequentò spesso le Tendopoli dei ‘sucaini’, cioè degli studenti aderenti alle sezioni universitarie del CAI, e fu nel corso di quella tenutasi nell’estate del 1921 a Sulden (Solda) che nacque l’idea di dare al GUM una dimensione nazionale con l’apertura di nuove sedi.
Forse consapevole della sua vista indebolita e delle vertigini che talora lo assalivano, il 26 luglio 1923 redasse testamento prima di partire nuovamente per la Valle di Solda, in Alto Adige. Dopo oltre un mese di escursioni e spostamenti in zone circostanti, il 13 settembre partì per una scalata del ghiacciaio dell’Ortles con la guida e alcuni membri della famiglia Colonna. Giunti in prossimità di un crepaccio, Zabughin volle saltarlo, ma scivolò precipitando per trenta metri.
Soccorso e riaccompagnato in paese, morì la mattina del giorno successivo e fu seppellito nel cimitero locale, come da lui desiderato.
I suoi ultimi articoli per Il Popolo e i ricordi che su quello e sul Nuovo Trentino scrissero amici e colleghi del «giornale che egli amò sopra ogni altra cosa» restituiscono compiutamente la sua prismatica personalità, la refrattarietà al conformismo in ogni ambito e l’entusiasmo per la vita, l’arte, la musica, la montagna (che più di tutto lo ravvicinava a Dio), la gioventù e i suoi studenti da cui fu amatissimo. Precursore di svolte ermeneutiche in ambito storico, letterario, musicologico e finanche ecumenistico, le sue ardite ricostruzioni non ebbero il tempo di affermarsi a causa della prematura scomparsa.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Università degli studi «La Sapienza», AS 311; Archivio centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Liberi docenti, 2ª serie, b. 345; PCM, 1923, 2.3.705; Archivio CAI, sezione di Roma, Albo sociale, Libro primo, p. 36; Archivio notarile distrettuale di Roma, Metello Mecarelli, 1924 gennaio 14, rep. 16408; Rimini, Biblioteca Gambalunga, Fondo Augusto Campana, cass. 128, f. 2; Archivio di Stato di Taranto, Stato civile italiano, Castellaneta, Nati, 1833, 22, n. 306; Nati, 1887, 26, n. 360; Nati, 1885, 24, n. 279.
A. Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917. Riviera ligure, Capri, Messina, Bari 1977, Soveria Mannelli 2002, pp. 253-278; Id., Vladimir Zabughin e l’Italia religiosa del primo Novecento, in Europa Orientalis. Studi e ricerche sui Paesi e le culture dell’Est europeo, XII (1993), pp. 289-301. Si veda inoltre: L.A. Balboni, Gl’italiani nella civiltà egiziana del secolo XIX, III, Alessandria d’Egitto 1906, pp. 339 s.; E. Ximenes, Genti e paesi. Da Ismailia al Cairo, in Emporium, 1915, n. 243 (marzo), pp. 221-236; A. Campana, Z., V., in Enciclopedia virgiliana, V, 1, Roma 1990, pp. 653-655; G.M. Croce, La Badia greca di Grottaferrata e la rivista «Roma e l’Oriente», I-II, Città del Vaticano 1990, passim; P. Dell’Armi, Festa, Matilde, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 290-295; S. Santoro, L’Italia e l’Europa orientale, Milano 2005, pp. 46-54; C. Korolevskij, Kniga bytija moego (Le livre de ma vie): mémoires autobiographiques, I-V, a cura di G.M. Croce, Città del Vaticano 2007, ad ind.; A. Campana, V. Z. (1880-1923) e la filologia umanistica in Italia, poi in A. Giovanardi, V. Z., pensatore di confine fra Oriente e Occidente. Un profilo intellettuale, tesi di dottorato, Università degli studi di Siena, a.a. 2011-12, Siena 2013; G.P. Castelli, Il Gigante folle di V. Z.: un post scriptum, in V. Zabughin, Il gigante folle. Istantanee della Rivoluzione russa, Torino 2019, pp. 13-57.