vocativo
Il vocativo è un elemento nominale (1) o più raramente pronominale (2) che serve a richiamare l’attenzione di un destinatario rivolgendogli la parola, e a identificarlo selezionandolo fra diversi possibili interlocutori (Mazzoleni 1995: § 1). Oltre che iniziare una conversazione con un destinatario nuovo, come nei primi due esempi, un vocativo può anche risvegliare l’attenzione di un interlocutore già coinvolto nel dialogo in corso (3):
(1) – Scusa, giovanotto …
Mi volto. Una vecchia che sembra fatta con gli scarti (Benni 1990: 23)
(2) Ehi, voi due, – li facciamo fermare, – dove avete preso questa legna? (Calvino 1949: 76)
(3) “E a questo punto, signori miei, v’invito a togliervi il cappello” (De Crescenzo 1985: 36)
Il vocativo è una forma caratteristica del discorso orale ma si trova anche nei testi scritti. Innanzitutto può essere mimato nei dialoghi letterari come negli esempi precedenti, può essere rivolto da un autore ai propri lettori (4), e compare poi di solito all’inizio delle lettere (➔ lettere e epistolografia), dove alla fine si trova normalmente anche l’auto-identificazione del mittente (5):
(4) Giovane lettore di Musica Jazz che adori Miles e gli Steps Ahead: fermati un attimo (Piras 1987: XXXVI)
(5) Cara Amica, Gentile Amico,
possedere la più splendida e preziosa raccolta di volumi […] non è più un sogno né un privilegio riservato a pochi.
[…]
Cordialmente,
Il Direttore [Nome Cognome]
(da una lettera di vendita per corrispondenza)
L’auto-identificazione del mittente di un turno dialogico, parallela e simmetrica all’identificazione del destinatario con un vocativo, costituisce il cosiddetto vocativo inverso (Mazzoleni 1997), un fenomeno tipico delle varietà italiane centro-meridionali e connesso al sostrato dialettale. Nel discorso familiare rivolto ai bambini (Sorrento 1949; Savoia 1984; ➔ baby talk) il mittente si auto-identifica alla fine dell’enunciato con il termine che indica il suo rapporto di parentela con il suo più piccolo interlocutore, probabilmente per rinforzare l’atto linguistico compiuto, che di solito è un ordine, un consiglio o una raccomandazione:
(6)
a. [Lo zio al nipote:] Và, và, zio, và! (dal film Scugnizzi di Nanni Loy, 1989)
b. mangia, mammà
Il meccanismo di base del vocativo si può anche sfruttare in maniera fittizia, rivolgendolo a entità che non possono essere normali destinatari di un vero discorso, come ad es. a un defunto (7), al proprio testo (Caro diario), alle Muse che devono ispirarlo (8) o addirittura in modo figurato a sé stessi (9):
(7) Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior
(Giosuè Carducci, “Pianto antico”, vv. 9-12)
(8) O contraddizione, Musa del comico, o diva ironia, o elegante mantello dell’humor e spada della satira e lama del witz e gavettone del lazzo e voi giochi di parole e nuvole nel nonsense e tu, amica dei comici, sola vera ispiratrice, sguardo severo, spleen, tragedia, serietà, tu o Morte, aiutatemi a cantare (Benni 1990: 141)
(9) Mio cuore, tu stai soffrendo
Cosa posso fare per te?
[…]
Oh mio povero cuor (Rita Pavone, “Cuore”, RCA Italiana, 1963)
Infine con un vocativo il mittente può proiettare sul suo destinatario una connotazione positiva o negativa, con aggettivi come povero (9) o caro in senso affettivo – già visti in (5) e che si possono trovare anche sostantivati (10) –, o con appellativi valutativi (11):
(10) Cara ti amo (titolo di una canzone di Elio e le Storie Tese, Aspirine Music, 1989)
(11) Ci sto – disse Ettore – non ho paura di te, ladro di biciclette (Benni 19887: 55).
Nell’➔italiano standard il vocativo è espresso dal caso nominativo (Mazzoleni 1995: § 2.1), ma questo fatto si osserva solo con i pronomi di seconda persona singolare perché anche nella forma ‘di cortesia’ (➔ cortesia, linguaggio della) l’accusativo Lei ha da tempo soppiantato il nominativo Ella (➔ allocutivi, pronomi):
(12) Michele, tu [/*te] che te ne intendi … (dalla pubblicità di un whisky in TV)
(13) Lei, signor Ministro, cosa intende fare per la scuola italiana?
Un vocativo può essere semplice o avere un’articolazione interna, eventualmente anche molto complessa. Nel primo caso (➔ appellativi) si trovano, ad es., nomi comuni (1), aggettivi sostantivati (10), nomi propri (14), titoli professionali (15) e termini di parentela (16):
(14) Tu dormi troppo, Giovanni! (Brancati 1971: 32)
(15) Avvocato, tutta Italia l’ha vista piangere in televisione («La Domenica del Corriere» 27 settembre 1986, cit. in Serianni 1988: VII, § 90)
(16) Papà, vuoi una pesca o una pera? (Brancati 1984: 110)
Nel secondo caso sono possibili numerose combinazioni:
(a) un nome comune può essere seguito da un ➔ sintagma preposizionale (11), preceduto da un aggettivo (4), e seguito (3) o anche preceduto (9) da un aggettivo possessivo di prima persona (cfr. Serianni 1982), che collega il destinatario al mittente;
(b) un aggettivo affettivo può precedere un nome comune (5) e un titolo professionale (17), che può seguire un titolo generico (13) o precedere un cognome (18):
(17) E a voi, caro professore, risulta che … (De Crescenzo 1985: 23)
(18) Ingegner Bianchi, a lei la parola
(c) nei casi più complessi si possono trovare sequenze di aggettivi possessivi di prima persona seguiti da aggettivi affettivi e da nomi (9), e nomi o pronomi seguiti da apposizioni nominali (come in 7 e 8) oppure da frasi relative (come in 4, 12 e 19):
(19) Il vostro compagno ha ingerito del veleno […] vorremmo sapere se qualcuno di voi lo ha visto mangiare qualcosa […]. Lei signorina Sabelli che era la più vicina (Benni 19887: 135)
Oltre al ➔ troncamento degli appellativi e all’uso di don /donna come titoli generici (Mazzoleni 1995: §§ 2.1 e 3.2.2.1), negli italiani regionali centro-meridionali sono frequenti la posposizione dell’aggettivo possessivo di prima persona (Sgroi 1992: § 1.1.1, anche per 20) e l’uso traslato dei termini di parentela in senso affettuoso:
(20) Leopoldo (al telefono): No, Alfio mio, non sono più don Leopoldo di venticinque anni fa (Brancati 1984: 83)
(21) Rachelì, figlia mia [detto da una vicina di casa], nun te proccupà: il vestito te lo sistemo io (De Crescenzo 1985: 39)
Soprattutto in poesia, in continuità con la tradizione letteraria, il vocativo è spesso introdotto da o (22), che si trova però anche nella prosa recente, di solito con una certa carica ironica (8):
(22) Vi riconosco, miei simili, o mostri
della terra (Quasimodo, “Giorno dopo giorno”, vv. 2-3)
Nella varietà di italiano parlata a Roma, invece (D’Achille 1995; ➔ Roma, italiano di), il vocativo può essere preceduto da a come in (23), rivolto dal pubblico al protagonista evidentemente non proprio brillante di un numero di magia da avanspettacolo:
(23) A mago, fatte sparì [= fatti sparire]
O si usa però anche come ➔ interiezione esclamativa (24), parallelamente ad ah e oh, che si possono comunque trovare combinati con un vocativo (come in 9 e 25):
(24) [Miles] Davis che […] scende più volte (o miracolo) tra il pubblico accoccolato sull’erba (Candini 1985: 13)
(25) – Ah, Marche, – dissi, – ah, terra marchigiana, io so anche come la tua pazzia può essere ingrata […]. Oh, Marche dolcissime, o terra dolce delle Marche (Volponi 1965: 147).
Il vocativo è indipendente ed esterno rispetto alla frase (Mazzoleni 1995: § 2.4.1): può costituire un intero turno dialogico, magari insieme a un segnale discorsivo (Bazzanella 1995; ➔ segnali discorsivi) come in (1) e (2), e quando si combina con una frase la precede (come in 15 e 16), ma può anche seguirla (come in 11 e 14), o interromperla in modo incidentale (3 e 17).
Di solito viene staccato con pause, rese graficamente con virgole (cfr. gli esempi citati sopra; ➔ virgola). Tali virgole non sono però sempre presenti, cosa considerata da molti impropria o erronea, come si vede da (10), (26) e (27) dove il vocativo è preposto, posposto e interposto:
(26) – Dove volete andare signori? – chiese con voce cerimoniosa (Benni 1990: 119)
(27) Voi adesso egregio signore ci firmate […] dodici cambiali (De Crescenzo 1985: 43)
Il mittente può riferirsi al suo destinatario anche con un pronome (➔ allocutivi, pronomi), un aggettivo possessivo o più raramente un ➔ sintagma nominale inseriti nella frase, che hanno relazioni strutturali con il verbo, e che si possono comunque combinare con un vocativo nominale esterno:
(28) – Non ti facevo così colto René – dissi un po’ inquieto (Benni 1990: 111)
(29) [intervistatrice televisiva a ministro:] Onorevole Botero, la sua circoscrizione sembra averla abbandonata (dal film Il portaborse di Daniele Luchetti, 1991, cit. in Renzi 1995: § 1.2.2.1)
(30) La mamma rivolta al figlio piccolo: “Oh, il mio bimbo ha fame, vero? Ora la tua mamma ti dà la pappa: apri la tua boccuccia, tesoro!”
Il riferimento a un destinatario è intrinsecamente definito perché identifica una persona specifica; ma se viene compiuto con un sintagma nominale inserito nella frase è come di norma preceduto dall’articolo definito, mentre un vocativo compare senza alcun determinante:
(31)
a. Rivolto dalla moglie al direttore che il marito ha portato a cena a casa: “Oh, mio marito ha finalmente portato il Signor Direttore a cena da noi!”
b. “Oh, benvenuto (*il) Signor Direttore, si accomodi!”
Nell’➔italiano antico invece l’articolo definito può comparire quando il vocativo «è costituito da un titolo seguito da una designazione di rango» (Renzi 2010: 1311), subito dopo il titolo (32), mentre nel fiorentino parlato e nelle sue derivazioni letterarie si trova nei vocativi dove il nome è preceduto da un aggettivo possessivo (33) ed eventualmente anche da un aggettivo affettivo (34):
(32) Meravigliatevi voi, messer lo conte (Giamboni 1994: cap. 34, § 3)
(33) più vi conosco, più ve ne voglio [di bene], il mio uomo (Bacchelli 1947: vol. 1°, 309)
(34) Ma questa volta passate i limiti. Medioevale siete, il mio caro Taddei (Buzzati 19774: 85)
Nell’italiano contemporaneo quest’ultimo tipo di combinazione (Mazzoleni 1995: § 2.3.1) si trova soltanto con vocativi dove l’aggettivo affettivo precede articolo e possessivo come caro il mio Luca (➔ appellativi), mentre i vocativi con il nome comune preceduto dall’aggettivo dimostrativo quello (Serianni 1988: VII, § 132b), utilizzati, ad es., ancora da ➔ Alessandro Manzoni, risultano ormai desueti:
(35) “Accostatevi, quella giovine”, disse la signora a Lucia, facendole cenno col dito (Alessandro Manzoni, I promessi sposi IX).
Bacchelli, Riccardo (1947), Il mulino del Po, Milano, Mondadori.
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