VOCAZIONE
. La cosa più importante di tutta la vita è la scelta della professione, disse Pascal. Da essa infatti dipende che l'uomo si trovi in quel posto che, essendo secondo le sue inclinazioni e le sue abilità, lo mette in condizione di dare alla famiglia e alla società tutto il contributo delle sue doti naturali ed acquisite. Nel linguaggio corrente si dà il nome di vocazione a quel complesso di inclinazioni e di attitudini che dispongono una persona a un'arte, a una professione, segnatamente a quelle che richiedono speciali abilità non comuni a tutti, come la pittura, la musica, le arti in genere. Secondo il sentire comune, perché si possa parlare di vera vocazione a una carriera, non basta attrazione ad essa, che può provenire da ambizione, dal desiderio della gloria o delle comodità che essa può offrire, ma occorrono reali doti di natura, che rendono la persona veramente atta per le finalità di quella carriera. Tuttavia il nome di vocazione nel linguaggio cristiano è quasi per antonomasia usato soltanto a indicare l'invito o la chiamata che Dio fa ad un'anima perché abbracci lo stato ecclesiastico o il religioso. Tre sono gli stati che si offrono a un cristiano; quello di matrimonio, l'ecclesiastico e il religioso. Solamente per i due ultimi si parla di vocazione, perché richiedono taluni sacrifizî e rinunzie, che non sono di tutti, e perciò suppongono una particolare chiamata di Dio.
La vocazione si manifesta in tre modi. il primo consiste in un'illuminazione improvvisa, talmente forte, che non lascia luogo a dubbio alcuno sull'appello divino, e non è cosa facile resistere al suo impulso. Le vite dei santi ci offrono parecchi esempî di queste vocazioni; tuttavia i casi restano sempre piuttosto rari. Il secondo consiste in impulsi più o meno vivi e continui provenienti da vari motivi, i quali costituiscono una specie di voce imperiosa, che chiama dolcemente ma fortemente. Questo caso è abbastanza frequente, come si può vedere nelle biografie di tanti illustri sacerdoti e religiosi. Il terzo modo consiste in un ragionamento dell'intelletto, che alla luce dei principî soprannaturali comprende la sublimità del sacerdozio o della vita religiosa, non vede in sé alcuna impossibilità fisica o morale al compimento delle obbligazioni inerenti, e sente il desiderio e poi la volontà di abbracciarli. Non vi è qui impulso o attrattiva particolare, ma tutto è frutto di fede e di ragione. Anche questo caso è assai frequente.
Per molti autori, fino a non molti anni fa, la vocazione, e specialmente quella sacerdotale, comprendeva due elementi: uno intrinseco, cioè inclinazione del soggetto con altri segni divini e intimi, e l'altro estrinseco, cioè l'accettazione da parte dell'autorità competente. Altri autori invece ritengono che il primo elemento sia soltanto un prerequisito, costituente la sola, dicono, vocabilità, mentre la vocazione sarebbe costituita solamente dal secondo elemento. In teoria la differenza delle due sentenze è grande, perché altro è esigere le disposizioni del soggetto come un prerequisito obbligatorio, altro è farne un elemento essenziale. In pratica bisogna tenere molto conto delle disposizioni del soggetto, e commetterebbe una grave imprudenza quel vescovo il quale ammettesse agli ordini un soggetto mancante dei requisiti necessarî. La seconda sentenza, approvata dalla S. Sede, viene a dire che nessuno può esigere il sacerdozio con il pretesto che egli vi si senta chiamato, cioè abbia la vocazione; il solo giudice è il vescovo, il quale si regola tenendo conto dei bisogni della diocesi.
Il nuovo codice canonico (can. 2352) colpisce di scomunica coloro che costringono altri ad abbracciare lo stato ecclesiastico o religioso; e giustamente, perché se è un grave danno per la Chiesa mancare di ministri, più grave assai è avere sacerdoti e religiosi che, privi di vocazione, non corrispondano alla dignità del loro stato.