Voi che portate la sembianza umile
Sonetto della Vita Nuova (XXII 9-10), su schema abba abba, cdc dcd, presente nella tradizione ‛ organica ' del libro e delle sue rime e nella Giuntina del 1527. D. si rivolge alle donne che ritornano dalla lamentazione funebre effettuata in casa di Beatrice sul corpo del padre di lei, defunto. Come racconta la prosa, il poeta le sente, mentre passano, parlare con pietà della sua donna affranta dal dolore e ne è commosso fino alle lagrime. Decide poi di scrivere un sonetto in cui racchiudere le loro parole (Se' tu colui c'hai trattato sovente, in questo stesso capitolo, §§ 13-16), immaginandole come risposta a un proprio discorso rivolto a loro, che è l'argomento di questo primo sonetto. I due componimenti sono dunque collegati secondo la formula del contrasto.
Mentre però le parole attribuite alle donne nell'altro sonetto corrispondono a quelle effettivamente pronunciate secondo il racconto in prosa, qui, invece, D. immagina il discorso che avrebbe voluto tenere con loro: però che volentieri l'averei domandate, se non mi fosse stata riprensione, presi tanta matera di dire come s'io l'avesse domandate ed elle m'avessero risposto (§ 7). Ma è finzione solo parziale, in quanto anche nel racconto in prosa si svolge, in sostanza, un colloquio. Le donne, passando dinanzi a D., sembrano parlare per essere udite da lui, per stabilire un tramite fra lui e Beatrice. Forse è qui la ragione intima dell'attenzione rivolta dal poeta, nel sonetto, ai volti, ai gesti: alla sembianza umile, agli occhi bassi, segnati dalle lagrime, al pallore pietoso, al viso ‛ sfigurato ' delle donne. Questa liturgia di pena, mentre definisce icasticamente, come una teoria pittorica e patetica, il coro delle gentili, serve ad avvicinare il poeta a Beatrice, a riunire in una comunanza compartecipe di dolore due persone che le convenzioni sociali tengono divise. La vista delle donne evoca l'immagine viva, la presenza di Beatrice, sì che D. la può vedere bagnar nel viso suo di pianto Amore (v. 6; e non si dimentichi che al v. 5 ella è chiamata nostra donna gentile); e la metafora, che il Sapegno definisce " un po' barocca ", ma anche pervasa di un che di " delicato e gentile ", è un'intensa e concisa iperbole affettiva, preparata dall'onda melodiosa e mesta delle precedenti interrogazioni alle donne, dall'atmosfera di dolcezza pietosa e d'intima gentilezza che la loro presenza evoca.
Questa compostezza e levità sentimentale si estende alla prima terzina che risolve l'ipotetica angosciosa (se venite da tanta pietate, v. 10) nel conforto della compagnia e del fraterno parlare (piacciavi di restar qui meco alquanto, / e qual che sia di lei, noi mi celate, vv. 11-12), mentre un qualche indebolimento dell'ispirazione appesantisce l'ultima terzina, particolarmente affidata a sussidi retorici, quali la triplice ripetizione del verbo ‛ vedere ', una volta per verso (Io veggio / ... e veggiovi / ... vedesse).
Poiché un accenno di dialogo fra il poeta e alquante donne pietose (da collegare assai probabilmente alla stessa luttuosa occasione su toccata) è nel sonetto Voi donne, che pietoso atto mostrate (v.), e argomento affine a quello della presente rima ha l'altro sonetto Onde venite voi così pensose, assai inferiore tuttavia nel merito poetico, si è avanzata l'ipotesi che questi componimenti siano prove o redazioni anteriori della coppia di sonetti poi inclusa nella Vita Nuova: comunque stiano le cose, la priorità di Onde venite rispetto a Voi che portate pare accertata in maniera inequivocabile (si vedano le penetranti osservazioni del Contini in Rime 74; cfr. anche Barbi-Maggini, Rime 96-97, e Dante's lyric poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 109-110).
Cfr., anche per la bibliografia, SE' TU COLUI C'HAI TRATTATO SOVENTE.