volere
Le presenze di v. nell'opera dantesca assommano a 694 (Vita Nuova 60; Rime 53; Rime dubbie 13; Convivio 182; Inferno 79, Purgatorio 84, Paradiso 75; Fiore 131; Detto 17), distribuite su 64 tipi formali diversi, attestati con frequenza assai varia l'uno dall'altro.
Oltre alla coesistenza di forme arcaiche accanto ad altre consuete per i Fiorentini del tempo, appartengano esse o meno all'uso moderno, a determinare questo squilibrio contribuiscono vari fattori: l'accoglimento di forme foneticamente regolari a fianco di altre prodotte dall'analogia con altri verbi; la frequente mancanza di palatalizzazione nella consonante finale del tema; l'oscillazione tra forme con vocale tonica dittongata o conservata scempia; l'adozione di vari tipi flessionali per uno stesso tempo e modo; vi contribuisce inoltre la presenza di forme con apocope della vocale finale e con enclisi di particelle pronominali o avverbiali.
Le forme attestate con maggior frequenza sono quelle dell'indicativo presente singolare: I pers. (124 volte), vo' (72), vòi (8), voglio (39), vogl' (2), vogli' (3); II pers. (58 volte), vo', vogli, voli e vuo'mi (1 volta ciascuno), vuo' (33), vuogli (3), vuoi (10), vuoli (8); III pers. (193 volte), vòl (5), vole (13), vuol (79), vuole (92), vuolsi (4). Segue l'infinito, con 111 presenze, di cui una settantina con valore di sostantivo (in Pd XXIX 73 nella forma plurale voleri); la III singol. del pass. rem. ricorre 49 volte (volle, 23; volse 16). Le altre forme estranee all'uso moderno sono le seguenti: I pers. plur. indic. pres. volem, volemo e volenci; I e III pers. singol. ind. imperf. volea (nella I singol. anche voleva); III pers. plur. ind. imperf. volean e voleano; III pers. plur. pass. rem. volsero, che è l'unica usata; I singol. cong. imperf. volesse; I e III singol. cond. pres. vorria.
I. Verbo. - Sia dal punto di vista sintattico che da quello semantico, l'uso di v. presenta una ricca varietà di aspetti, tanto che parecchi esempi potrebbero servire sia per esemplificare un certo valore, sia per illustrare una costruzione sintattica particolare. Inoltre, la determinazione delle varie sfumature di significato è spesso possibile solo se gli stilemi e le congiunture ritmiche o sintattiche che v. contribuisce a formare vengano esaminati nell'ambito di un contesto più ampio o siano esaltati da una lettura attenta ai valori espressivi. Nello svolgimento di questa voce, si partirà dal significato fondamentale, che è quello di " tendere con decisione, o anche soltanto con il desiderio, a fare o a conseguire qualche cosa, o essere risoluto (e comandare e disporre) che altri la faccia ", per tentare d'individuare gli aspetti più significativi, non senza avvertire che in più casi si potrebbe interpretare il tono e il colorito dell'espressione in modo diverso da quello proposto. L'ampiezza della documentazione e il frequente ripetersi di stilemi identici consentono di escludere dalla registrazione luoghi privi di particolare significato.
1. È usato assolutamente, come transitivo e come verbo servile. Nella reggenza infinitiva, ammette di essere preceduto dalla particella pronominale che si riferisce in realtà all'infinito: Vn XVI 9 9 mi voglio atare; Cv II Voi che 'ntendendo 19 Io men vo' gire; IV XIV 5 volendosi difendere; Fiore CXIX 1 Chi sen vuol adirar; CIV 1 si volle soffrire; ecc.; questa particolarità non è rispettata in Cv IV XXVIII 19 volete partirvi d'esta vita, e in Pd XXIV 105 Quel medesmo / che vuol provarsi... Di norma, ha l'ausiliario ‛ avere '; e ‛ essere ' o ‛ avere ' quando il verbo servito abbia come ausiliare ‛ essere ': Vn XXII 16 13 qual l'avesse voluta mirare; Rime dubbie XVI 12 dilettare il core / ... non s'è voluto; Pg XVII 36 hai voluto esser nulla; Pg II 99 chi ha voluto intrar; XXXI 141 i' avrei voluto ir per altra strada.
2. Con uso assoluto, esprime per lo più la ferma e decisa volontà: If XXVII 119 assolver non si può chi non si pente, / né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente; Pd XVII 49 Questo si vuole e questo già si cerca, / e tosto verrà fatto a chi ciò pensa / là dove Cristo tutto dì si merca. Altre volte allude più direttamente al possesso della facoltà volitiva (cioè de la virtù che vuole, Pg XXI 105; e così in Pd VII 25, Rime CXVI 33) o all'abito di esercitarla: l'angelica natura / è tal, che 'ntende e si ricorda e vole (Pd XXIX 72); persona che vede e vuoi dirittamente e ama (XVII 105).
3. Usato come transitivo, quando è seguito da un complemento oggetto di cosa, questo esprime il fine che il soggetto tende a conseguire: Rime LXXX 20 si mira per volere onore; Pg XIII 124 Pace volli con Dio; Pd XIX 126 quel di Boemme / ... mai valor non conobbe né volle; il fine può essere anche indeterminato: If II 37 qual è quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta; Pd XXXIII 35 Ancor ti priego, regina, che puoi / ciò che tu vuoli, che conservi sani, / dopo tanto veder, li affetti suoi. Anche nel senso di " esigere ", " chiedere in modo perentorio " (per ottenere da altri): Detto 384 Amor vuoi questi doni: / corpo e avere e anima.
L'esempio di Rime CIV 61 [Amore] poi che prese l'uno e l'altro dardo, / disse: " Drizzate i colli: / ecco l'armi ch'io volli; / per non usar, vedete, son turbate... ", è interpretato da Barbi-Maggini " l'armi che è mio compito adoperare ", e in questo caso l'infinito sottinteso retto da volli dev'essere ricavato da usar. Si potrebbe però anche interpretare " che deliberai di possedere ", " che giudicai preferibili " e cioè, in ultima analisi, " le mie armi ".
4. Seguito da un verbo all'infinito, esprime la tendenza a conseguire o la determinazione di fare qualche cosa.
Gli esempi più significativi di questo uso, assai frequente, sono: Vn IV 1 molti.., si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altrui; XIV 5 Amore volea stare... [nei miei occhi] per vedere la mirabile donna; Rime LIX 13 Dunque vuo' tu per neente / a li occhi tuoi sì bella donna torre?; CIII 1 Così nel mio parlar voglio esser aspro; Cv IV V 13 li romani cittadini non l'oro, ma li possessori de l'oro possedere voleano; XII 11 Se l'uno de li piedi avesse nel sepulcro, apprendere vorrei; If XXII 73 Draghignazzo anco i volle dar di piglio / giuso a le gambe; Pg XXVII 44 Ond' ei crollò la fronte e disse: " Come! volenci star di qua? "; Pd XVIII 134 colui che volle viver solo; Fiore XXVII 5 ella volea fondar una pregione; Cv 4 ad agio vo' star più che 'l re di Francia! Altri esempi in Vn VIII 9 7, XIX 9 30; Rime LXXII 2; Cv III Amor che ne la mente 10, IV XXVIII 19 (tre volte); If XVII 83, Pg XVIII 110, Pd II 110, XXVI 54; Fiore XI 8, XXXV 13, XLV 6, CCXXXII 6; Detto 42 e 141; e altri ancora.
Quando il sintagma cade in una proposizione secondaria, l'infinito è spesso sottinteso e dev'essere ricavato a senso dal predicato della proposizione reggente: Vn XII 14 40 del tuo servo ciò che vuoi ragiona; Cv II IV 7 come può bene ritrovare chi vuole; If II 118 E venni a te così com'ella volse; Pg XXXII 108 la mente e li occhi ov'ella volle diedi; Fiore C 3 Proteusso... si solea / mutare in tutto ciò ched e' volea; e così in Vn XII 16 (seconda occorrenza), Cv II VI 3, If XXIX 101, XXXII 112, Pd XXXIII 51, Fiore XCV 9, CLXXXIX 2.
Seguito dalla congiunzione ‛ che ' e dal congiuntivo, esprime la decisione ad agire sulla volontà altrui, determinandola direttamente o indirettamente a un certo comportamento. Anche per quest'uso verrà omesso qualche esempio. Si veda Vn XII 10 1 Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore; Rime LI 7 però ciascun di lor voi che m'intenda; CVI 60 ma questo vo' per merto / ... ch'abbiate a vil ciascuno e a dispetto; If XXI 100 Ei chinavan li raffi e " Vuo' che 'l tocchi ", / diceva l'un con l'altro, " in sul groppone? "; XXIX 115 quei, ch'avea vaghezza e senno poco, / volle ch' i' li mostrassi l'arte; Fiore CLXXI 2 E s'egli viene alcun she ti prometta, / e per promessa vuol ch'a lui t'attacci...; Detto 397 D'orgoglio vuol sie voto (qui la congiunzione è sottintesa). E ancora in Vn XII 7 e 12 19; Rime XCI 99, CVI 118, CXVI 7, Rime dubbie XXIV 5 e 8; If XXV 140, Pd XXXII 111; Fiore CXXXIV 3; Detto 1 (in dittologia sinonimica con parli, " gli pare "), 75, 390 e 392.
Questa costruzione ricorre con particolare frequenza alla I singol. dell'indicativo presente nella Commedia e nel Fiore. Com'è reso evidente dalla posizione in apertura di verso, dall'anastrofe del soggetto e dall'intensità dell'accento, il sintagma mira a esprimere vigorosa e ferma volontà, in If XV 91 Tanto vogl'io che vi sia manifesto, / pur che mia coscïenza non mi garra, / ch' a la Fortuna, come vuol, son presto. In altri casi introduce con efficacia un consiglio, un suggerimento, una preghiera: If VI 77 E io a lui: " Ancor vo' che mi 'nsegni / e che di più parlar mi facci dono... "; Pg XXI 123 ma più d'ammirazion vo' che ti pigli; XXXIII 32 Da tema e da vergogna / voglio che tu omai ti disviluppe; Fiore L 1 A Malabocca vo' primieramente che tu sì no gli mostri mal sembiante; LXV 4 con questi motti vo' che la dipinghe (" che la lusinghi "); e ancora in If VII 72 e 117, XII 129, XXVII 72, Pg XVII 125, XXXIII 76, Pd IV 106; Fiore XLI 3, L 7, LI 1, LIII 7 e 14, LXXXVII 9. In qualche esempio del Fiore la forma i' vo' è rafforzata da ben con valore intensivo; il sintagma assume sfumature assai varie: per sottolineare che una concessione viene accordata (XVI 9 Allor mi disse: " I' vo' ben che tu venghi / dentr' al giardino, sì come ti piace... "), per consentire (XXXIX 3 i' vo' ben che tu ami il mondo tutto), per dar forza a un impegno (CCIX 7 I' vo' ben che ciaschedun saccia /, ched i' te pagherò di tue derrate); e, con diverso avverbio, per indicare preferenza: Sì ch'i' vogli' anzi ch' on mi sia ubbidente (CXVII 12). E vada qui anche Pd VIII 138 ma perché sappi che di te mi giova, / un corollario voglio che t'ammanti, dove voglio mira a dar rilievo all'affetto con il quale Carlo Martello si appresta a risolvere ancor più compiutamente il dubbio di Dante.
Il sintagma ha senso più lieve nella formula Or vo' che sappi, cui Virgilio ricorre in If IV 33 e XII 34 (e cfr. IV 62) per confermare la veridicità di una sua asserzione.
Pur continuando a esprimere la decisione ad agire sulla volontà altrui, v., invece di ‛ che ' e il congiuntivo, regge l'infinito nei rari esempi in cui il verbo seguente si trova al passivo: Rime LXXXIII 41 altri... d'intendimenti / correnti voglion esser iudicati; Fiore CXXXVI 7 I' sì vogl'esser confessato / d'ogne peccato. E così in Pd XVII 30 come volle / Beatrice, fu la mia voglia confessa (dove il senso richiede che al volle si sottintenda " che fosse confessata ").
Resta isolato l'esempio di Cv IV XIII 15 l'uomo di diritto appetito... quelle sempre di lungi da sé essere vuole, dove il verbo dà rilievo alla fermezza del proposito dell'uomo nobile di tener lontane da sé le ricchezze.
5. Spesso ci si riferisce non alla volontà dell'uomo, ma alla volontà o determinazione di una potenza superiore: Rime CIV 78 se giudizio o forza di destino / vuoi pur che il mondo versi / i bianchi fiori in persi, cioè che gli uomini passino da buono e felice stato a uno oscuro e triste.
Gli esempi più numerosi si hanno con riferimento a Dio, indicato o direttamente, o mediante una perifrasi o l'allusione a uno dei suoi attributi. Si vedano, fra gli altri, i passi di Cv III IV 10 Iddio... volse in questa vita privare noi da questa luce; If I 126 quello imperador che là sù regna / ... non vuol che 'n sua città per me si vegna; XXIII 55 l'alta provedenza... lor volle / porre ministri de la fossa quinta; Pg XVI 44 E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso, / tanto che vuol ch' i' veggia la sua corte; Pd III 45 La nostra carità non serra porte / a giusta voglia, se non come quella / che vuol simile a sé tutta sua corte; XX 98 la divina volontate / ... vuol esser vinta. E così in Rime LXXXVII 10, Cv III VII 16, IV V 3, XXIV 17, Pg VII 122, VIII 66, X 108, XIII 117, XIV 79, Pd VI 55, VII 56, XXII 95, XXV 40 e 85, Fiore XXVIII 9, CX 5 e 7. Allo stesso ambito semantico appartengono i ben noti esempi di If III 95-96 vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare (ripreso in V 23-24), VII 11, XXI 83 nel cielo è voluto / ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro (si noti la forma impersonale).
Con riferimento a Cristo: Cv IV XXIII 10 Cristo... volle morire nel trentaquattresimo anno de la sua etade (un altro esempio nello stesso paragrafo; un altro ancora al § 11); Pd XXXII 114 'l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma.
6. Preceduto da negazione, se è seguito da altro verbo, esprime non l'assenza della volontà, ma la volontà attiva del contrario, venendo così a corrispondere a " desiderare di non... ", " rifiutarsi di ".
Seguito dall'infinito: Vn XIX 14 64 se non vuoli andar sì come vana, / non restare ove sia gente villana; XXXVIII 3 perché non vuoli tu ritrarre te da tanta amaritudine?; Rime LXV 7 Qui non voglio mai tornare; Cv IV IX 8 la... equitade per due cagioni si può perdere, o per non sapere quale essa si sia o per non volere quella seguitare; If XXVIII 57 Or dì a fra Dolcin dunque che s'armi / ... s'ello non vuol qui tosto seguitarmi; Pg XVI 145 Così tornò, e più non volle udirmi; Fiore CX 13 a lavorare e' non vuol metter mano. E inoltre in Vn VIII 10 17, XIX 6 9, XXXI 9 10, Rime C 74, Rime dubbie 14, XX 7, Cv IV III 7, V 13 (prima occorrenza), XI 9, XXVIII 8, Pg XIII 69, Fiore XIV 11, XXXVIII 6, XLII 5, LXII 8, I XVI 3, XCIX 6.
Seguito dalla congiunzione ‛ che ' e il congiuntivo: Cv III I 6 di questa ragione due grandi ammaestramenti si possono intendere: l'uno si è di non volere che alcun vizioso si mostri amico; Fiore XIX 7 e' non volea ched i' v'entrasse; anche CXIX 13, Detto 72, Pg III 33. Per prevenire in modo garbato una preghiera, ed esimersi dal soddisfarla: VII 87 Prima che 'l poco sole omai s'annidi / ... tra color non vogliate ch'io vi guidi.
Il maggior numero degli esempi con complemento oggetto di cosa appartiene ai due poemetti attribuiti, mentre nelle opere sicuramente autentiche quest'uso è assai raro. Con il valore di " rifiutare ": Fiore CCXVII 9 non volle caval per limoniere; LXXV 9, LXXXIII 10, CXVII 5, Detto 23, 24 e 194. Nel senso di " condannare ": If XI 81 le tre disposizion che 'l ciel non vole, / incontenenza, malizia e la matta / bestialitade. " Non tollerare ", " non ammettere ": Pg XXV 1 Ora era onde 'l salir non volea storpio, " non consentiva indugi ". Ha senso lievemente diverso in If XXI 50 Però, se tu non vuo' di nostri graffi, / non far sopra la pegola soverchio, " se desideri " di non esser graffiato da noi. In Cv IV XXVIII 9 Dio non volse religioso di noi se non lo cuore, la presenza di due negazioni finisce per dare alla frase un significato positivo: " Dio volle che soltanto il nostro cuore "; e così, ma in costruzione lievemente diversa, in Fiore CIII 6.
7. In un secondo, e di poco meno tolto gruppo di esempi, il valore fondamentale del verbo si attenua in quello di " desiderare vivamente " (con implicito il concetto di richiedere, cercar di fare o di ottenere, ecc.). Una distinzione sicura tra l'accezione propria e quella attenuata non è sempre possibile, tanto sottile è la differenza fra loro per il fatto stesso che nell'idea di v. è implicita quella del desiderare.
Seguito dall'infinito: Vn XIX 9 32 qual vuol gentil donna parere / vada con lei; Pg VIII 48 vidi un che mirava / pur me, come conoscer mi volesse; Pd I 51 pur come pelegrin che tornar vuole (che potrebbe anche alludere all'istinto di un animale, se in pelegrin, come sostiene il Sapegno, si deve vedere un tipo di falco); Fiore LXXXIX 11 e si voglion mangiar le gran pietanze, e XCV 4. Per contrapporre l'idea del desiderio a quella della possibilità di vederlo soddisfatto: Chi volesse / salir di notte, fora elli impedito / d'altrui, o non sarria ché non potesse? (Pg VII 49). E si notino ancora i seguenti sintagmi, ricorrenti più volte: v. ‛ andare ' (Vn XII 11 8, 16 [prima occorrenza], XIII 6, Cv IV VII 7 [due volte], Pg XXIV 141, Fiore LXII 5); v. ‛ campare ' (CXXV 1; e, con singolare consonanza, If 193 A te convien tenere altro vïaggio / ... se vuo' campar d'esto loco selvaggio, e Detto 101 Or non tener sua via / se vuo' da lu' campare); v. ‛ gioire ' (Fiore LVI 9, CLVI 1); v. ‛ parlare ' (If VIII 87, Fiore CLXV 1); v. ‛ udire ' (Rime CVI 123, If XXX 148, Pg XXVIII 83, Pd XXVI 109, XXIX 11); v. ‛ vedere ' (Cv II Voi che 'ntendendo 24, I XI 13, If XXXI 103, Pd XXXIII 137); e anche Se voi volete vedere o udire / ... Toschi o Lombardi... (If XXII 97). E così, ancora, con altri infiniti, in Vn XXXI 8 4, Rime LX 3.
Il sintagma più frequente fra quelli di questo tipo è però ‛ v. dire ', che ricorre complessivamente 52 volte. In 49 esempi, ciascuno dei due verbi conserva il suo valore autonomo, v. ha il significato di " intendere ", " avere intenzione " e tutto il nesso assume accezioni particolari per effetto dell'uno o dell'altro senso secondo il quale è usato ‛ dire '. Data la costanza di significato di v., per questo gruppo sembra sufficiente indicare il numero delle occorrenze in ciascuna opera (Vita Nuova 11, Rime 1, Rime dubbie 1, Convivio 14, Inferno 4, Purgatorio 6, Paradiso 8, Fiore 4) e registrare un esempio per ciascuno dei nessi sintattici cui ‛ v. dire ' dà vita. Usato assolutamente: qual è colui che tace e dicer vole, / mi trasse Beätrice (Pd XXX 127); con il complemento oggetto: alquanti motti ch'i' voglio ancor dire / a ritenere intendi (Fiore XLV 2); con un complemento di argomento: i' vo' con voi de la mia donna dire (Vn XIX 4 2); per introdurre un discorso diretto: già voleva dirti: / chi è 'n quel foco che vien sì diviso...? (If XXVI 51); seguito da una proposizione oggettiva, infinitiva o interrogativa indiretta: se l'avversario volesse dicere che ne l'altre cose nobilità s'intende per la bontà de la cosa... (Cv IV XIV 11); Se dir voleste... / di dare indugio a quel ch'io vi domando... (Rime L 27); Molti volendo dir che fosse Amore / disser parole assai (Rime dubbie XXIX 1); nell'inciso a voler dir lo vero (If II 22), dove voler è fraseologico; in un costrutto tendente a correggere e precisare un'espressione precedente: certe Intelligenze, o vero per più usato modo volemo dire Angeli (Cv II II 7); per chiarire il significato di un passo citato (ed è stilema esclusivo del Convivio): quando dico: Ogni intelletto di là su mira, non voglio altro dire se non ch'ella è così fatta... (III VI 6).
Nei tre esempi residui, i due verbi formano un nesso unito e inscindibile, e tutta la locuzione vale " significare ": Cv IV VI è... da vedere che questo vocabulo vuole dire; per proporre l'interpretazione allegorica di un mito: dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere... che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento de la sua voce fa[r]ia mansuescere e umiliare li crudeli cuori (II 13); e si veda ancora X 3.
Un altro gruppo unitario è costituito dai numerosi esempi della Commedia (in un caso del Fiore) nei quali v. ricorre alla II singolare (raramente nella II plurale) dell'indicativo presente o futuro inserito in una proposizione condizionale. L'uso di questo costrutto è suggerito dalla narrazione delle vicende del viaggio di D. nell'aldilà (If I 121 A le quai [le beate genti] poi se tu vorrai salire, / anima fia a ciò di me più degna; Pg XIX 80 Se... volete trovar la via più tosto, / le vostre destre sien sempre di fori), dall'andamento del dialogo fra il poeta e uno dei suoi interlocutori (Pg IV 67, Pd X 100, XXVIII 62) e dall'espediente dell'appello al lettore (X 24); più frequentemente compare nella proposta, in If XIX 34 enunciata da Virgilio, in tutti gli altri casi da D., di compiere cosa gradita all'interlocutore (XV 34 e se volete che con voi m'asseggia, / faròl; XXXIII 115), specie quella di ricordarlo fra i vivi o di pregare per lui dopo il ritorno in terra: Pg XIX 95 Chi fosti... mi dì, e se vuo' ch'io t'impetri / cosa di là ond'io vivendo mossi; XIII 143, If XXVIII 92. E si veda anche Fiore LXIX 2.
Appartengono al lessico della Commedia anche le locuzioni ‛ se vuoi sapere ' (If XXXII 55, Pg XXVI 89), ‛ tu vuoi sapere ' (If II 85, V 53, Pd V 13, IX 112, X 91) e Io vo' saper (IV 136), tutte suggerite dal desiderio di D. di essere informato su qualche aspetto del viaggio (in genere sull'identità del suo interlocutore) o di veder risolto un suo dubbio e dalla dichiarata disponibilità di chi parla con il poeta ad accontentarlo. E vadano qui anche Rime XCI 90 se vuoi saper qual è la sua persona, e Pd VIII 112 Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?
Due esempi hanno simile struttura sintattica, ma diverso valore espressivo; in Pd XXIV 127 tu vuo' ch'io manifesti / la forma qui del pronto creder mio, D. vuol rassicurare s. Pietro di aver ben compreso cosa egli gli abbia chiesto interrogandolo sulla fede; nel commentare le parole di Ugolino Tu vuo' ch'io rinovelli / disperato dolor che 'l cor mi preme (If XXXIII 4) i critici richiamano la fonte virgiliana (Aen. II 3 " Infandum, regina, iubes renovare dolorem "), implicitamente chiarendo il significato di tu vuo' che, come lo iubes latino, vale " mi costringi ".
Sempre con il significato di " desiderare ", v. è costruito con il complemento oggetto di cosa. Se ne hanno esempi in Rime L 45 quelle cose che a voi onor sono / dimando e voglio; If XVIII 62 se di ciò vuoi fede o testimonio; XXX 62 io ebbi, vivo, assai di quel ch' i' volli; Pg XX 26 con povertà volesti anzi virtute / che gran ricchezza posseder con vizio (qui vale " preferire " di avere); Pd III 71 Frate, la nostra volontà quïeta / virtù di carità, che fa volerne / sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta (con il senso più tenue di " cercare la soddisfazione di un desiderio "). In una domanda: Dite costinci: che volete voi? (Pg IX 85). E si vedano anche Vn XIII 8 3, XXXII 5 6; If XXVI 74, XXX 129, Fiore XLVIII 3. Pur comparendo in un contesto dottrinario, il verbo non ha valore diverso in Cv II III 8 li cattolici pongono... [l'Empireo] essere immobile, per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole, dove il verbo chiarisce che l'immobilità dell'Empireo è dovuta al fatto che esso ha in sé Dio, che è " oggetto del suo desiderio ".
Seguito da complemento oggetto indicante persona, ha accezioni e sfumature particolari. Può indicare desiderio d'amore (Fiore LXI 11 ella il vol pur giovane e gagliardo), può significare " avere in grazia " (Dona e riceve l'om cui questa [la Leggiadria] vole, Rime LXXXIII 115), " accettare " come proprio seguace e come compagno (Detto 49 Amor nessun non vaglia, / ma ciascun vuole ed ama; Fiore CXXXIV 24 vi dico ch' i' non vo' tapinatori; e così in CLXXXII 12). Quest'ultima accezione è talvolta chiarita da un complemento predicativo: Pg XXIV 125 li Ebrei ch'al ber si mostrar molli / ... no i volle Gedeon compagni; Rime dubbie VI 13.
Come manifestazione o formulazione di un desiderio, è spesso usato il condizionale, reggente sia un complemento, sia un infinito o una proposizione dipendente: Rime LII 1 Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento; If VI 33 lo demonio Cerbero... 'ntrona / l'anime si, ch'esser vorrebber sorde; Cv IV XI 14 prima morire vorrebbero che ciò fare; Pd XXIII 15 fecimi qual è quei che disïando / altro vorria, e sperando s'appaga. E così in Rime XCIII 5, Rime dubbie XXIV 1, If XX 120, XXVIII 87, XXXI 97, Fiore VIII 13, CII 8, CLIII 6, Detto 232.
8. Inserito in particolari contesti, v. assume accezioni più limitate rilevabili dal senso complessivo del passo.
In molti casi, di cui si registrano solo i più significativi, allude al comportamento di chi " pretende " qualche cosa oltre i limiti imposti dalle proprie capacità, dalla convenienza, dalla legge morale, e si comporta (o aspira a comportarsi) in modo conseguente.
Se ne hanno esempi in Cv I XI 12 sono alquanti, e non pochi, che vogliono che l'uomo li tegna dicitori; e per scusarsi dal non dire o dal dire male accusano e incolpano... lo volgare proprio; IV XV 16 sono molti idioti che non saprebbero l'a.b.c., e vorrebbero disputare in geometria, in astrologia e in fisica; If XXXI 91 Questo superbo volle esser esperto / di sua potenza contra 'l sommo Giove; Pd XIX 79 Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d'una spanna?; Fiore CVII 13 Di gran follia credo m'intramettesse / voler insegnar vender frutta a trecca; e così in Cv IV V 19, If XX 38, Pd XXI 130, Fiore CLXXIX 2; ecc.
Può esprimere l'idea del ‛ proposito ', dell' ‛ intenzione ' di raggiungere un determinato fine o di agire in un dato modo. Anche quest'uso è molto frequente; talora è reso esplicito dal contesto, più spesso è rilevabile dal senso complessivo del brano. Si vedano gli esempi di Vn X 3 uscendo alquanto del proposito presente, voglio dare a intendere quello che lo suo salutare in me vertuosamente operava; XXVI 4 io... volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, né le quali...; Rime XLVIII 9 se voli, amico, che ti vaglia / vertute naturale od accidente, / con lealtà in piacer d'Amor l'adovra; Cv I I 11 volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convivio di ciò ch' i' ho loro mostrato; III IX 10 coloro che vogliono far parere le cose ne lo specchio d'alcuno colore, interpongono di quello colore tra 'l vetro e 'l piombo; Fiore LXIX 12 Chi Malabocca vuol metter al chino, / sed egli è saggio, egli 'l lusingherà; CXXXIV 7 ella volea / donargli il fior; e quest'era sua 'ntenza. E così in altri passi della Vita Nuova, delle Rime, del Convivio e del Fiore.
Vale " deliberare " nella descrizione del modo tenuto da Minosse nel render nota ai dannati la sua sentenza: cignesi con la coda tante volte / quantunque gradi vuol che [l'anima] giù sia messa (If V 12).
Anche " permettere ", " concedere ": Pg V 78 quel da Esti il fé far, che m'avea in ira / assai più là che dritto non volea; Fiore CLXXI 6 E sì vo' ben che 'l basci e che l'abbracci; / ma guarda che con lui più non t'impacci.
" Richiedere ", " cercare di ottenere ": If XIX 90 or mi di: quanto tesoro volle / Nostro Segnore... da San Pietro...?; Pg I 87 Marzïa... quante grazie volse da me, fei; e così, nell'ammonimento rivolto da Ragione ad Amante a non richiedere dall'amore della donna solo il piacere sensuale (Fiore XXXIX 8).
Appartiene praticamente al lessico del Convivio (fuori del quale è attestato una volta nell'Inferno) l'uso di v. per alludere a una dottrina o a un'opinione autorevolmente esposta da un filosofo, da un padre della Chiesa o da altri. Oltre che nell'inciso ‛ sì come vuole Aristotile ' (o in altre formule analoghe), presente sette volte, quest'uso è attestato in parecchi esempi, nei quali v. regge una proposizione oggettiva o infinitiva: 'l Filosofo… vuole una sola essenza essere in tutti li uomini... e Plato vuole che tutti li uomini da una sola Idea dependano, e non da più, IV XV 6; e così in II IV 5, III V 4, IV XIV 6, XXI 2 (due volte), 3 e 14. In qualche caso, invece del semplice v., si ha parve volere (XXIII 8) o par volere (II VIII 9, quattro volte). Un cenno a parte meritano gli esempi di Cv IV Le dolci rime 16, 21 e 61, nei quali v. è usato in quest'accezione con riferimento all'opinione espressa da Federico II e da coloro che, accogliendola, l'hanno modificata a proprio vantaggio, sulla natura della nobiltà. Il verbo ricorre anche in alcuni esempi, nei quali il soggetto, invece che una persona, è un sostantivo astratto quale scienza (If VI 107), legge (Cv II VIII 9) e oppinione (IV XV 3).
Riferito a entità astratte personificate, v. assume il significato di " ordinare ", " disporre ": Cv II I 13 la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza (altro esempio nello steso paragrafo); IV XXIV 2 la Ragione vuole che dinanzi a quella etade l'uomo non possa certe cose fare sanza curatore; Pg X 93 giustizia vuole; e così in Fiore XL 6, CX 14, CLVI 7, CLXXII 4. Quando invece il soggetto è ‛ occhi ' (Vn XXXV 3, XXXVII 2), ‛ pensiero ' (XXXVIII 2, Cv III III 13) o ‛ appetito ' (IV XXVI 7), non si discosta dal significato consueto, essendo il suo uso estensivo motivato dal processo di personificazione di sentimenti e simili così diffuso nello stile dantesco.
9. In frasi esprimenti intenzione è spesso di uso strettamente fraseologico.
Questa particolarità è più evidente allorquando il sintagma con v. è retto da locuzioni come ‛ mi venne la volontà di ' (Vn XXI 1 vennemi volontade di volere dire... in loda di questa gentilisssima; VI 1) e ‛ pensare di ' (XIII 6 io pensava di volere cercare una comune via di costoro, XXXI 1), cioè in costruzioni ampiamente documentate nella lingua del tempo, come ha dimostrato il Barbi (Vita Nuova, 21 n. 2). Essa risulta chiara anche in locuzioni del tipo se anche vogli considerare... (XXIV 4), se... volemo bene vedere... (Cv I IX 2), se volesse chiamare... (IV XXII 10) e chi volesse... considerare (Vn XXIV 5), ampiamente attestate in prosa (Vn XII 17, XXVIII 2, XXX 2, Cv IV XIV 15, XVI 4, XVII 11, XXII 14, XXVII 12) e, eccezionalmente, in Rime CVI 142.
Ugualmente dev'essere considerato fraseologico in molti esempi, frequenti specie nel Fiore, in cui v. compare come verbo servile, ma al di fuori degli schemi già indicati, per dare una sfumatura particolare, non sempre facilmente definibile, al contesto. Si veda in particolare If IV 47 per volere esser certo / di quella fede che vince ogne errore; XXIII 36 io li vidi venir con l'ali tese / ... per volerne prendere; Fiore CLXI 4 Dido non gotte ritenere Enea, / ched e' non si volesse pur fuggire (si noti la particella pronominale enfatica); CLXXVIII 3 se... la donna veggia c'ha dottanza / di non volerle far questa prestanza. E così in Vn XL 10 9, Cv IV XVII 11 (terza occorrenza), Rime dubbie XIV 14 e, più volte, nel Fiore.
È fraseologico anche quando, preceduto da negazione, contribuisce a dar vita a forme perifrastiche corrispondenti a imperativi negativi, secondo gli schemi non vogliate negar l'esperïenza / ... del mondo sanza gente (If XXVI 116; ed è esempio isolato), e non vo' che tu paventi (XXI 133), attestato in altri sette esempi della Commedia e in sei del Fiore.
10. Vadano a parte alcuni esempi interessanti per la sfumatura psicologica che esprimono o per il fatto di appartenere a modi comuni nel discorso.
Per dichiarare di accettare un desiderio altrui: Da po' che vv' volete, e così sia (Fiore LXXXVI 14); accennando a una supposizione che sembra trovare conferma nei fatti: s' i' vo' credere a' sembianti / che soglion esser testimon del core (Pg XXVIII 44); per esimersi dal dire o dallo spiegare più: O dolce frate, che vuo' tu ch' io dica? (XXIII 97). In un modo di dire familiare corrispondente a " vada come vada ", " si risolva la situazione in un modo o nell'altro ": Come vuole andar, sì vada (Fiore CCX 4; vuole è usato impersonalmente).
E ancora. In incisi ipotetici: se bene volemo agguardare (Cv I V 9); pur ch'io volesse (Vn XXXI 16 63); volendo lo suo officio figurare con una imagine (Cv IV IX 10; v. anche Rime XLVII 14); in funzione di congiunzione copulativa: o vuol merzede o vuol tua cortesia (LX 12). Anche chi vuole (Cv I III 11, II III 4); in funzione lievemente diversa: credal chi vuol (Fiore CXCV 14; e cfr. in Rime LXII 4); quando vuol (Fiore CCXVII 8); s'ella vuol (LII 3); come vuoi (Rime CXVI 64); come vol o vuol (Vn XII 12 22, If XV 93); quantunque vorrai (XXXII -84); quanto vuol (Rime LXXX 25). In particolare: Cv IV XIV 12 quanto vuole sia presuntuoso, " per presuntuoso che sia "; anche in strutture che finiscono per corrispondere a un pronome o aggettivo indefinito dell'uso moderno: qual vuol sia che (Pg XXXII 69), " chiunque "; per qual ragione essere voglia (Cv IV XXVII 15), " per qualsivoglia motivo "; quel Giovanni / che prender vuoli (Pd IV 30), " quale fra i due santi di questo nome, tu scelga ".
11. Appartiene solo al Fiore l'espressione ‛ v. bene a uno ' nel senso di " amarlo ", " esserne innamorata ", o anche " provare affetto per lui ": CXLII 5 priegati, se ben mai gli volesti, / che per l'amor di lui questa ghirlanda / deggie portare; CLXI 12, CXCII 11. Al contrario: LXXXVI 11 gran mal gli volete, " provate antipatia per lui ", " gli siete ostile ".
12. Si riuniscono qui alcuni esempi di replicazione particolarmente significativi per la variazione dei costrutti sintattici o per la differenza delle accezioni: Cv I VI 3 sono signori... che comandano lo contrario di quello che vogliono, e altri che sanza dire vogliono essere intesi, e altri che non vogliono che 'l servo si muova; XIII 2 (si vogliono [con il si passivante; due volte] accostato a colui che vuole); III II 7 (volere essere... essere vuole... vuole essere unita); Rime LXVI 8 qualunque vuoi di me, quel vo' che sia; XCI 7 e 8 (qui v. sostantivo); If XXIX 102 " Dì a lor ciò che tu vuoli "; / e io incominciai, poscia ch'ei volse; Pg XIV 77 e 78 Tu vuo' ch' io mi deduca / nel fare a te ciò che tu far non vuo' mi; Pd XI 116 e 117 del suo [della Povertà] grembo l'anima preclara / mover si volle... / e al suo corpo non volle altra bara; XX 138 quel che vole Iddio, e noi volemo; XXXIII 14 e 15 qual vuol grazia e a te non ricorre, / sua disïanza vuol volar sanz'ali; Fiore Cv 9 e 10 Ancor vo' da le genti tal vantaggio / ch' i' vo' riprender sanz'esser ripreso; Detto 367 e 368 Amor m'ha cinto il crocco, / con che vuoi ched i' tenda / s'i' vo' gir co llui 'n tenda.
13. Quando da v. esula un riferimento alla volontà, esso acquista il significato di " richiedere ", " aver bisogno di ", " esigere " (in rapporto a particolari circostanze di fatto, per effetto di un'esigenza pratica, in conseguenza di un ragionamento, ecc.).
Come transitivo, compare solo nel Convivio e nel Purgatorio, riferito a persone e cose: Cv II II 3 non subitamente nasce amore e fassi grande e... perfetto, ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri; III 5 Tolomeo... costretto da li principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori de lo Stellato; XIII 28. L'angelo nocchiero remo non vuol, né altro velo / che l'ali sue, tra liti sì lontani (Pg II 32); il pendio del Purgatorio era talmente ripido che, a salirlo, e piedi e man volea il suol di sotto (IV 33); e così IX 124. Ha lo stesso valore quando compare usato assolutamente o con reggenza verbale: Cv I IV 12 la presenza ristringe lo bene e lo male in ciascuno più che 'l vero non vuole (" più di quanto non sia imposto " dalla situazione reale; cfr. anche § 13); X 5 l'ordine de la intera scusa vuole ch'io mostri come a ciò mi mossi per lo naturale amore de la propria loquela; III XI 1, Pg XIV 15 tu ne fai / tanto maravigliar de la tua grazia, / quanto vuol cosa che non fu più mai; XIX 15.
Quando invece è seguito da ‛ essere ' in funzione di copula o da un infinito di forma o di significato passivo (e, in qualche caso, il ‛ si ' passivante che in realtà si riferisce all'infinito seguente è preposto alla forma di v.), acquista il significato di " deve ", " è necessario che ", " occorre che ": Rime L 66 Canzone, il tuo cammin vuol esser corto; XCIX 4 questa pulzelletta [cioè il componimento poetico inviato a messer Brunetto] / … vuol esser letta; Cv III 13 lo multiplicato incendio pur vuole di fuori mostrarsi, che stare ascoso è impossibile; V 1 de la quale [parte] per meglio vedere, tre parti se ne vogliono fare; I VII 2 e 11, X 1 (due volte) e 2, IV XII 4, XXVII 12 (seconda occorrenza); Pg XIII 40 Lo fren vuol esser del contrario suono. Pur essendo seguito da un infinito attivo e non passivo, vale " dovere ", " esser necessario che ", anche nel costrutto impersonale di Cv IV XIV 11 rispondere si vorrebbe non con le parole ma col coltello a tanta bestialitade, e là dove, con riferimento all'influenza esercitata dal Primo Mobile, è riferito l'assioma che quanto più una virtù è grande, tanto più " deve " produrre effetti benefici: Maggior bontà vuol far maggior salute (Pd XXVIII 67).
Sempre con il significato di " conviene ", " bisogna ", " si deve ", ricorre con particolare frequenza nella forma impersonale " si vuole ": Cv IV II 12 ‛ rima '... largamente... in questo proemio prendere e intendere si vuole; If XVI 15 a costor si vuole esser cortese; Pg XXIII 6 'l tempo che n'è imposto / più utilmente compartir si vuole. E così, più volte nelle Rime (2), nelle Rime dubbie (1), nel Convivio (9), Purgatorio (3), Paradiso (3) e Fiore (1).
Nel Convivio ricorre 13 volte la formula ‛ si vuole ' o ‛ si vuol sapere che ' (anche nelle forme sapere si vuole, si volea sapere), la quale serve d'introduzione a una spiegazione: II I 2 a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi.
II. Infinito sostantivato. - L'infinito di v., usato in funzione di sostantivo, occupa un'area semantica analoga, ma più limitata, di quella accertabile per le forme finite del verbo; inoltre assume accezioni estensive che, almeno nel linguaggio dantesco, sono proprie soltanto di questa forma.
Come sinonimo di " volontà " indica la facoltà del volere sia in sé e per sé, sia colta nei singoli atti in cui essa viene a manifestazione; con quest'ultima accezione talora si dà rilievo all'identità dei voleri fra due persone o, al contrario, alle difficoltà che la volontà incontra per potersi pienamente attuare per effetto di circostanze esterne, dei limiti di altre facoltà umane, e così via.
Se ne hanno esempi in Pg XVI 76 lume v'è dato a bene e a malizia, / e libero voler; XX 1 Contra miglior voler voler mal pugna; If II 139 Or va, ch' un sol volere è d'ambedue; XXXII 76 se voler fu o destino o fortuna, / non so; Cv I I 19 non al mio volere ma a la mia facultade imputino ogni difetto; Pg V 66 Ciascun si fida / del beneficio tuo sanza giurarlo, / pur che 'l voler non possa non ricida. E così in Cv III XIV 15, If XIX 39, Pg XI 33, XXI 108, Pd XV 72, XXXIII 103 (anche V 36 ma in variante cara al Boccaccio rispetto alla vulgata ver; cfr. Petrocchi, ad l.).
Preceduto da negazione, non indica mancanza di volontà, ma volontà attiva di volere il contrario di quanto è stato precedentemente enunciato (cfr. 5.): del non sapere ben sé menare le più volte non è l'uomo vituperato, ma del non volere è sempre, perché nel volere e nel non volere nostro si giudica la malizia e la bontade (Cv I II 6); e così in VI 5 (due volte).
Risale a Tommaso d'Aquino (Sum. theol. III Suppl. Append. II 2) la distinzione fra una volontà assoluta e una volontà condizionata o relativa. A questa dottrina ricorre Stazio per spiegare come le anime espianti, con la loro volontà assoluta (o voler; Pg XXI 61 e 63) vorrebbero che la loro pena avesse fine, ma con la volontà relativa (o talento, v. 64) consentono alla pena loro inflitta. Alla stessa distinzione ricorre Beatrice per risolvere il dubbio proposto da D. in merito alla virtù imperfetta, e quindi al minor grado di beatitudine, delle anime del cielo della Luna; lasciandosi smonacare, queste anime cedettero in parte alla violenza loro fatta, mentre il loro v., se fosse stato... intero / … l'avria ripinte per la strada / ond'eran tratte (Pd IV 82); e così al v. 107 (allo stesso tema si collega anche l'esempio volontà, se non vuol, non s'ammorza, v. 76).
La locuzione buon volere (o buon voler), presente in Pg XII 124, XVIII 96, Pd IV 19, di norma indica la disposizione della volontà al bene, di cui fece esperienza Traiano, quando de lo 'nferno, u' non si riede / già mai a buon voler, tornò a l'ossa (XX 107); nell'ambito del lessico d'amore, essa indica invece la vocazione, e anche la disponibilità, dell'uomo ad amare: se di buon voler nasce merzede, / io l'addimando per aver più vita / da li occhi di Madonna (Rime XCI 13). Nonostante l'apparente analogia formale, tutt'altro significato ha ben volere, che è esclusivo del Fiore, dove indica sia " l'affetto ", " la simpatia " che lega una persona all'altra (né piaccia a Dio... / ch' i' a le genti mostri bon volere / ... ched i' pensasse poi di far lor male, LXVIII 6), sia la prontezza della donna nell'accondiscendere alla richiesta d'amore dell'amante: Richie', ch'almen n'avra' su' ben volere, / con tutto ti vad'ella folleggiando, / ché tu no lle puo' far maggior piacere (LIX 9).
Al contrario, mal volere indica la disposizione della volontà al male: If XXIII 16 Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa, / ei ne verranno dietro... crudeli; XXXI 56. Lo stesso significato avrebbe nel discusso passo di Pg V 112 Giunse quel mal voler che pur mal chiede / con lo 'ntelletto, se si accogliesse l'interpretazione del Lombardi, Vandelli, ecc. (il diavolo [quel] accoppiò l'innato " malvolere " con le forze dell'intelletto); il Sapegno e la maggior parte degli interpreti moderni aderiscono però alla concorde interpretazione dei commentatori antichi, i quali considerano quel mal voler come una perifrasi unitaria per indicare, concretamente, il diavolo.
Può essere anche sinonimo di " desiderio ". In un gruppo di rime, esso indica " il desiderio d'amore ", " il sentimento che induce ad amare "; se ne ha un esempio nella definizione che della natura di Amore si dà in Rime dubbie XXIX 8 alcun disse ch'era desidero / di voler nato per piacer del core (definizione, questa, che fa di Amore " un fatto edonistico e volitivo; si noti... che volere e volontà in testi antichi ebbero il significato di ‛ desiderio ' oltre che di ‛ voglia carnale ' ", Contini), e così al v. 13 e in XX 6, XXIV 3, Rime XCI 8. Più frequentemente ha significato meno specifico, potendosi attribuire all'una o all'altra fra le aspirazioni dell'uomo in genere (Rime CVI 71 l'avaro... non po' vedere / lo suo folle volere; altro esempio al v. 2) o di D. personaggio della Commedia: Pg XXIV 78 ma già non fïa il tornar mio [nel Purgatorio] tantosto, / ch'io non sia col voler prima a la riva dell'isoletta; XXVII 121 Tanto voler sopra voler mi venne / de l'esser sù, ch'ad ogne passo poi / al volo mi sentia crescer le penne; XVIII 8, XXIV 69 (qui è riferito alla turba dei golosi, che è per magrezza e per voler leggera, " resa agile dalla sua magrezza e dal desiderio di affrontare la penitenza ", Sapegno), XXV 28, XXVI 91, Pd IX 19. Così, anche in Fiore CCI 4.
Una singolarità sintattica si presenta in Pd IX 14, dove la funzione sostantivale è offerta dall'intero sintagma formato da v. e dall'infinito seguente: un altro di quelli splendori / ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi / significava nel chiarir di fori, manifestava con la sua luce " il desiderio " di compiacermi.
Come soggetto di ‛ essere ' o come oggetto di ‛ avere ' dà vita a forme perifrastiche sinonimiche di " volere " (verbo) o di " desiderare ": da ch'è tuo voler (Pg I 55); Tu... hai voler (Pd XI 22); i' ho fermo volere (Fiore XL 12); e così in LXVIII 3, CCXXVII 12.
Le locuzioni avverbiali attestate sono: a suo senno e a suo volere, " a suo piacimento " (Cv I V 5; con lo stesso senso, nella suggestiva apertura del sonetto a Guido: messi in un vasel, ch'ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio, Rime LII 4); per volere d'Amore (Cv III I 4; e cfr. I VII 6, Vn IX 11 11); contra loro volere (Cv I VII 13), " in modo diverso da quanto vorrebbero " (v. anche Rime dubbie XXVIII 4). In particolare, Pd XII 25 Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande / ... insieme a punto e a voler quetarsi, " nello stesso punto e con volontà unanime ".
In qualche caso assume un'accezione più limitata. " Proposito ", " intenzione ": Rime LI 13 dico ben, se 'l voler non mi muta, / ch'eo stesso li uccidrò; XCI 39; più specificamente, il proposito rivolto al bene: Pd XXVII 124 Ben fiorisce ne li uomini il volere. Anche " stato d'animo " (Fiore XCI 12) o l'insieme di ciò che un uomo sente, le sue idee, le sue aspirazioni, in quanto sono movente di un comportamento: tutti i suoi voleri e atti buoni / sono (Pd XIX 73; si noti il plurale). E, persino, " lo zelo " con cui s. Domenico combatté le eresie: Poi, con dottrina e con volere insieme, con l'officio appostolico si mosse (XII 97).
Oltre che alla volontà umana, è riferito alla volontà di Dio che è giusto voler (Pg II 97), talvolta esplicitamente ricordato come voler divino (If XXI 82), voler di Dio (Pg XXVIII 125), voler del primo amor (Pd VI 11). L'adeguazione dei desideri dei beati con la volontà divina è anzi essenziale alla beatitudine: Se disiassimo esser più superne, / foran discordi li nostri disiri / dal voler di colui che qui ne cerne (III 75), sicché a tutto il regno piace / com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia (v. 84). Altro esempio in Pg XVII 18. E vadano qui anche gli altri due esempi in cui è riferito a volontà diversa da quella umana: Pg XI 10 del suo voler li angeli tuoi / fan sacrificio a te; Pd VI 57 Cesare per voler di Roma il [il segno dell'aquila] tolle (e dovrà intendersi " del popolo romano ": volontà collegiale, non di singolo individuo).
Ben noto, ma non del tutto indiscusso, è l'esempio di If V 84 Quali colombe dal disio chiamate / con l'ali alzate e ferme al dolce nido / vegnon per l'aere, dal voler portate. La maggior parte degl'interpreti si richiamano all'osservazione del Parodi, per il quale " queste colombe paiono animate da una volontà quasi umana " (in Poesia e storia della D.C., Venezia 1965, 39); il Sapegno precisa che " questa volontà (il disio, il voler, che sarà da intender... come ‛ estro amoroso ', meglio che come ‛ desiderio dei figli che han lasciato nel nido ') è più precisamente un istinto; e il poeta ne sottolinea il carattere di forza irresistibile ". Il Pagliaro (Ulisse 133-134), anche in considerazione del fatto che per D. gli animali sono capaci solo di istinti e non di ‛ volere ' (cfr. Cv IV VII 11 vivere ne li animali è sentire - animali, dico, bruti) propone d'interpungere dopo aere e di riferire dal voler portate ad anime, ricavabile dal v. 80 e anaforicamente ripreso dal cotali del v. 85; interpunzione, questa, non accolta dal Petrocchi (ad l.), per il quale " dal voler portate... va unito a vegnon, cioè al moto del volo "; e v. anche Porena.