Volgete li occhi a veder chi mi tira
Sonetto di D. (Rime LIX), sullo schema abba abba, cde dce, conservato sotto il suo nome nei codici Chigiano L VIII 305, Trivulziano 1058, nel II IV 144 della Nazionale di Firenze, nel Vaticano 3214 e nel Bartoliniano; adespoto invece nel codice 824 della Capitolare di Verona; attribuito a Puccio Bellondi nel Marciano IX it. 191 e nell'affine Vaticano lat. 5225. Il Barbi ritiene possibile che tale attribuzione sia nata dallo scambio, non infrequente nei manoscritti, fra destinatario e autore; tanto più che nei codici suddetti il sonetto è seguito da uno di Puccio (cui virtù move mai non s'affatica) che potrebbe essere responsivo, sebbene sia, contro l'uso corrente, su rime diverse.
Rivolgendosi agli amici, D. afferma che non può più seguire la loro compagnia, perché è trascinato via con forza da Amore, che mediante le donne gentili gli reca tormento; e li prega d'invocarlo affinché esso gli doni la sua virtù, lo renda capace di quell'amorosa sofferenza e soggezione che è la suprema esperienza d'amore. Esso gli è giunto fero nella mente e qui dipinge una donna così gentile che l'anima tutta a lei s'inchina e fa risuonare una voce sottile che esorta il poeta a non volersi privare della vista di tanta bellezza.
Per il Contini, che ritrova nel sonetto una tematica di scuola, l'invio al Bellondi confermerebbe l'appartenenza di esso alla fase del tirocinio guittoniano, anche se già aperto a tonalità di stanchezza elegiaca un po' cavalcantiana; alla prima maniera di D. ricondurrebbero, infatti, certe particolarità linguistiche e stilistiche, come la rima vui / pui / sui (vv. 2, 6, 7), laghi per " lasci " (v. 6); e, ancora, l'immagine della donna dipinta nella mente, che è tòpos siciliano, ricorrente in una delle prime canzoni dantesche, La dispietata mente (Rime L), con cui il sonetto ha comuni altre forme. Ma converrà forse insistere maggiormente sulla vicinanza (soprattutto delle terzine) ai modi cavalcantiani: basti pensare a quella voce che risuona nel silenzio assorto dell'anima con un carattere di arcana illuminazione e alla ricerca di vaga e un po' rarefatta dolcezza che affiora in tutto il sonetto. V. anche BELLONDI, Puccio.
Bibl. - Contini, Rime 44-45; Barbi-Maggini, Rime 213-216; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 57-58.