Volontariato
Il termine 'volontariato' è stato introdotto nel lessico delle scienze sociali molto recentemente e non senza ambiguità e indeterminatezze connesse alla sua originaria connotazione di senso comune. Si tratta non tanto di una categoria concettuale quanto di una generalizzazione empirica, mutuata dal senso comune, che mescola insieme molteplici dimensioni analitiche prestandosi così a diverse interpretazioni semantiche e politiche. Né esso, come vedremo, trova precisi corrispondenti in gran parte della letteratura internazionale che si occupa dello stesso tipo di fenomenologie.
Il termine è mutuato dal linguaggio militare, dove descrive lo stato di chi presta servizio militare oltre il periodo di leva obbligatorio; solo a cominciare dagli anni trenta passa a indicare la prestazione di un'attività gratuita presso enti pubblici o privati a carattere civile o religioso (v. Melucci, 1991). Con esso vengono tuttavia indicati indifferentemente sia i soggetti che svolgono un'attività di volontariato - senza una precisa distinzione tra singoli individui e soggetti organizzati - che i contenuti delle attività sociali svolte da tali soggetti. Non stupisce così che lo stesso termine venga utilizzato per riferirsi all'impegno libero e gratuito di singoli cittadini, all'esistenza di organizzazioni e di istituzioni che si avvalgono di volontari, ma anche all'azione di servizio svolta da questi stessi soggetti.
Come nota ancora Melucci, benché in altre lingue esistano termini equivalenti (Volontariat, voluntariado, bénévolat, voluntarism), soltanto nel nostro paese questo termine astratto è entrato così decisamente nel linguaggio politico-sociale e nella terminologia scientifica. Nella letteratura internazionale esiste infatti una chiara distinzione lessicale tra i termini che si riferiscono all'azione volontaria (voluntary action, action volontaire, ecc.) e quelli riferiti agli attori (Bürgerinitiativen, volunteering, ecc.) e ai tipi di organizzazione (voluntary organizations, associations charitables, ecc.) che sviluppano tale forma di azione. Diventa per questo preliminare una chiarificazione concettuale che superi l'imprecisione semantica e la polisemia del termine italiano.Si conviene quasi unanimemente che il termine 'azione volontaria' identifica un tipo particolare di azione sociale che va distinta dal campo più generale che comprende ogni forma volontaria di azione. La volontarietà cui allude il termine non la distingue infatti da tutte quelle azioni sociali che vengono svolte per scelta autonoma di chi le compie e senza alcuna costrizione esterna. Un aspetto spesso richiamato per caratterizzare l'azione volontaria è la gratuità, ovvero l'assenza di benefici economici ottenibili come contropartita diretta dell'azione svolta. Essa viene considerata come un'azione disinteressata, aliena da ogni logica di tipo utilitaristico ed economico. Tuttavia anche la gratuità non appare un criterio sufficiente a distinguere l'azione volontaria da altre forme di azione (come un'attività di leisure) che non vengono svolte allo scopo di ottenere in cambio una ricompensa economica. La gratuità non garantisce in alcun modo che dall'azione in questione non sia possibile ottenere altre forme di ricompensa sociale (in termini, ad esempio, di reputazione e di prestigio, di accesso a informazioni o a risorse altrimenti difficilmente reperibili, a forme di contraccambio non mediate dal denaro, e via dicendo). Inoltre dall'azione volontaria così intesa possono derivare benefici economici indiretti, poiché attraverso di essa possono essere acquisite competenze professionali o vengono stabilite relazioni vantaggiose sul piano politico e professionale (ibid.).
Ciò che caratterizza l'azione volontaria e la distingue dalle altre forme volontarie di azione è così un ulteriore aspetto, connesso alla natura degli obiettivi dell'azione: essa è infatti orientata a produrre benefici a vantaggio esclusivo di soggetti chiaramente distinti da chi svolge l'azione e si configura quindi come prestazione di servizio o distribuzione di un bene ad altri. L'azione si qualifica cioè come una forma di altruismo sociale o di filantropia (ma anche, in un senso più ampio, di solidarietà sociale), come un tipo di azione che assume "la forma del regalo offerto generosamente" (v. Mauss, 1925), sebbene il più delle volte venga prodotto ed erogato su base organizzata.
La presenza di una finalità altruistica differenzia l'azione volontaria anche dalla partecipazione a un'azione collettiva volta al perseguimento di un bene collettivo, anche quando ciò comporta uno svantaggio relativo per chi vi è coinvolto nei confronti di chi agisce da free rider, ovvero di chi si limita a fruire dei vantaggi prodotti dall'azione senza parteciparvi (v. Olson, 1965). In questo senso la partecipazione sindacale e la militanza politica non costituiscono una forma di azione volontaria, in quanto si tratta di azioni rivolte al conseguimento di un bene (materiale o simbolico) che potrà essere disponibile a tutti. L'azione volontaria è invece tale quando non presuppone alcuna contropartita diretta, si configura cioè come un'azione la cui finalità è di procurare benefici a vantaggio esclusivo di chi ne è destinatario.
Più problematica è invece la posizione di quelle forme di azione finalizzate al mutuo soccorso (self help) e alla collaborazione tra persone che hanno in comune lo stesso problema. Secondo la prospettiva delineata, l'azione di un'associazione volontaria di self help non si differenzierebbe da quella di un gruppo d'interesse o di una cooperativa (se non per il fatto che le prime sono finalizzate a rispondere a bisogni sanitari e assistenziali). Spesso tuttavia tali fenomeni sono prodotti dall'iniziativa dei membri di una specifica categoria che offrono aiuti e servizi ad altri individui appartenenti alla stessa categoria (v. Melucci, 1991); in molti di questi casi i servizi vengono infatti forniti a soggetti che non fanno parte del gruppo promotore (v. Ascoli, 1985).L'azione volontaria così intesa va infine tenuta distinta dalle forme di aiuto reciproco e di solidarietà che si sviluppano nelle cerchie familiari allargate (ad esempio, tra genitori e figli appartenenti a diversi nuclei familiari), oppure nell'ambito di uno stesso territorio (come nel caso dell'aiuto di vicinato). Essa infatti, perlomeno nella sua accezione moderna, si riferisce a comportamenti che vengono adottati in modo organizzato, cioè continuativo e regolato, all'interno di organizzazioni e istituzioni specificamente orientate alla produzione di aiuti e di servizi. Adottando questa prospettiva, la volontarietà dell'azione non riguarda tanto il fatto che l'individuo scelga liberamente il comportamento adottato, quanto il fatto che la sua adesione all'organizzazione di servizio sia libera e volontaria. Anche la gratuità indica non solo la rinuncia a qualsiasi ricompensa economica, ma anche l'assenza di vincoli contrattuali e professionali tra i volontari e l'organizzazione nel cui ambito essi operano.Il termine 'volontariato', nell'accezione qui proposta, finisce così per indicare un'area di azioni sociali organizzate, caratterizzate dalla compresenza di tre elementi: volontarietà della partecipazione individuale, gratuità dell'impegno e finalità altruistica. Si tratta di una definizione che include nel suo campo semantico diverse fenomenologie concrete: dalle organizzazioni volontarie (cioè composte esclusivamente o prevalentemente da volontari) che svolgono un'attività di servizio con finalità altruistiche o di self help, all'attività volontaria svolta da singoli individui nell'ambito di istituzioni pubbliche o private di servizio (come cooperative sociali, agenzie pubbliche di servizio sociale, istituzioni religiose ed educative, scuole, ecc.).
L'interpretazione della persistenza e anzi della rinnovata affermazione del volontariato nelle società contemporanee è appena cominciata, anche se non mancano autorevoli contributi che fanno già parte della tradizione internazionale delle scienze sociali (v. Beveridge, 1948; v. Titmuss, 1971).Le analisi più recenti si sono concentrate sulle 'determinanti di sistema' dell'azione volontaria, preoccupate soprattutto di collocare il suo sviluppo nel quadro di crisi e di trasformazione dei moderni sistemi di welfare (v. Ardigò, 1981; v. Kramer, 1981; v. Paci, 1989). Questi approcci vedono la specificità del volontariato nella capacità di attivare meccanismi allocativi dei servizi distinti da quelli prevalenti nel sistema pubblico e nel mercato privato, particolarmente adeguati all'emergere di bisogni di tipo postmaterialistico o postmoderno (v. Donati, 1993). La recente ripresa dell'azione volontaria viene quindi ricondotta all'emergere di bisogni sociali che non riescono ad avere risposte adeguate né dal settore pubblico né da quello privato, per i quali si assiste cioè a un "fallimento dello Stato" (Weisbrod) e a un "fallimento del mercato" (Hansmann). Secondo Weisbrod (v., 1977), il settore volontario (al pari del complesso delle organizzazioni non profit), non essendo vincolato all'obiettivo di soddisfare la domanda sociale dominante, è maggiormente in grado rispetto allo Stato di fornire servizi alle minoranze che esprimono domande particolarmente differenziate e specifiche. Secondo Hansmann (v., 1980), i beni e i servizi la cui offerta determina un'"asimmetria informativa" a svantaggio dei consumatori (come ad esempio tutti quei servizi alla persona la cui qualità è difficilmente verificabile dai beneficiari ex ante, cioè prima della loro fruizione) vengono prodotti in modo più affidabile da quelle organizzazioni non profit (tra cui anche quelle di volontariato) che, non perseguendo un utile economico, non espongono i consumatori alla propensione dell'impresa privata lucrativa a sfruttare il proprio vantaggio informativo (diminuendo la qualità dei servizi forniti oppure elevandone il prezzo a qualità costante).
Il limite principale di queste interpretazioni è di considerare solo fattori di domanda e non anche fattori di offerta, non dando così rilevanza alle condizioni e ai meccanismi di produzione dell'azione volontaria. La crisi dei sistemi maturi di welfare, con l'ampio ventaglio di bisogni materiali e di esigenze etiche che essa lascia scoperto, costituisce senz'altro il quadro strutturale e culturale entro cui è cresciuto il volontariato moderno. Questa stessa crisi, tuttavia, ha determinato in diversi paesi non solo una riscoperta dell'azione volontaria, ma anche disimpegno e deresponsabilizzazione nei confronti del bene comune, indebolimento e corporativizzazione delle solidarietà intermedie, sfiducia verso i sistemi pubblici di welfare, un ritorno ai valori del mercato (v. Ardigò, 1980). Questi segnali contrastanti richiedono dunque una spiegazione complessa delle condizioni e dei meccanismi di costituzione dell'azione volontaria.
Le spiegazioni dal lato dell'offerta insistono sull'esistenza di credenze morali e religiose che attribuiscono alla pratica filantropica un valore etico-morale o 'salvifico'. Secondo la nota analisi di Max Weber (v., 1922), la pratica della caritas, oltre a rispondere alle esigenze di protezione tra pari, costituisce un importante strumento di salvezza individuale, pur assumendo un significato diverso a seconda del tipo di religione dominante. È nota a questo proposito la distinzione, operata sempre da Weber, tra dottrine religiose improntate a un'"etica delle buone opere" e quelle improntate a un'"etica della convinzione": mentre nelle prime (tra cui si colloca la religione cattolica) la caritas costituisce un elemento chiave per la possibilità di redenzione dell'individuo, nelle seconde (tra cui le dottrine protestanti) essa diviene l'espressione di una personalità morale globale che non è valutabile sulla base di alcuno specifico comportamento. Sotto l'influenza di diverse credenze religiose, l'azione volontaria assume dunque significati e realizzazioni diverse, passando dalla dignità di sacramento a quella di organizzazione razionale e impersonale "volta a esclusiva gloria di Dio" (ibid.; tr. it., pp. 271-272).
Più recentemente James (v., 1989) ha spiegato la maggiore diffusione in alcuni paesi del volontariato (e più in generale del settore non profit) sulla base, oltre che dell'esistenza di una domanda sociale insoddisfatta, anche della presenza di "imprenditori religiosi", ovvero di una base di benefattori dotati di forti motivazioni etiche e religiose. Altri autori (v. Ardigò, 1980; v. Donati, 1993) hanno individuato le ragioni della crescita del volontariato nell'emergere di nuovi orientamenti culturali sviluppatisi come reazione all'interruzione dei canali di comunicazione tra 'mondi vitali' e sistema di welfare, che si offrono come nuove fonti etico-valoriali da cui attingere per ricostruire un senso di obbligazione civile.
Queste interpretazioni hanno senz'altro il merito di sottolineare come l'azione volontaria si mobiliti sulla base di principî regolativi specifici, diversi da quelli che governano l'azione economica e quella pubblica, e mettono inoltre l'accento sulle dinamiche socioculturali che accompagnano l'emergere, nella società moderna, di azioni organizzate con finalità solidaristica. Restano tuttavia poco esplorate le modalità specifiche attraverso cui la presenza di valori etici e religiosi nella società viene attivata in funzione della realizzazione di azioni specifiche.
Oltre alla considerazione delle determinanti strutturali e dei sistemi di credenza, diventa allora importante prestare attenzione ai processi di natura aggregativa e organizzativa che stanno alla base dello sviluppo del volontariato. Come ha messo in evidenza Paci (v., 1989), la condizione principale per la diffusione dell'azione volontaria è data dall'esistenza di una base organizzativa stabile e di una fonte di identificazione collettiva: in altre parole dall'esistenza di associazioni volontarie e di istituzioni pubbliche e private che 'attraggano' motivazioni altruistiche e disponibilità individuali all'impegno e le regolino in funzione della produzione di un servizio collettivo. Da questo punto di vista il volontariato può essere accostato ad altre forme contemporanee di azione collettiva, come i movimenti ambientalisti, i movimenti fondati su base etnica e religiosa, le istanze localistiche. Con queste forme di mobilitazione collettiva l'azione volontaria condivide diverse caratteristiche: il fatto di collocarsi in una prospettiva più etico-culturale che politica (v. Melucci, 1984), la predilezione per il piccolo gruppo e una strutturazione organizzativa policefala e reticolare (v. Gerlach e Hine, 1970), la promozione di nuove forme di solidarietà fondate sul dono e sullo scambio simbolico (v. Donati, 1996).
Il volontariato si riferisce, nella sua accezione moderna, all'esistenza di forme associative specificamente orientate alla produzione di aiuti e di servizi. Il suo sviluppo storico è avvenuto attraverso il superamento della solidarietà fondata su legami privati (di parentela o di vicinato), in vista di un'azione più ampia e motivata da convinzioni civili o etico-religiose (v. Rossi, 1980). L'istituzione o l'associazione volontaria costituiscono il luogo di coagulo e di riconoscimento di questo genere di motivazioni, e consentono che l'intervento raggiunga una dimensione e un'efficacia che nessuna iniziativa individuale isolata può pensare di avere. Non va inoltre dimenticato che solo da quando si è costituita in forma organizzata l'azione volontaria è divenuta una componente permanente e autonoma del tessuto sociale, e può essere più agevolmente isolata rispetto a forme comunitarie di solidarietà.
Storicamente le modalità attraverso cui l'azione volontaria è stata realizzata sono due: il mutuo soccorso, ovvero l'aiuto reciproco organizzato su base permanente tra persone che appartengono alla stessa categoria sociale, e l'azione solidaristica (o filantropica) svolta, di nuovo in forma organizzata e permanente, da alcuni individui che procurano ad altri individui - di condizioni sociali più svantaggiate - i servizi di cui questi ultimi necessitano (v. Beveridge, 1948). Entrambe queste forme affondano le loro radici nell'epoca medievale: il mutuo soccorso trae le sue origini dalle aggregazioni mutualistiche sorte nell'ambito delle corporazioni di mestiere e delle confraternite (v. Black, 1984), che riunivano ristrette categorie di lavoratori specializzati e di artigiani con lo scopo di far fronte alle situazioni di bisogno degli associati; l'azione filantropica nacque grazie soprattutto all'iniziativa di congregazioni religiose (di professione sia cattolica che protestante) e di esponenti laici delle comunità locali con finalità di carità e di beneficenza (v. Geremek, 1986).
L'azione volontaria trovò il suo consolidamento organizzativo e istituzionale in concomitanza con le grandi trasformazioni sociali dell'età moderna, quando l'esplodere della questione sociale rese necessari il superamento dell'impostazione moralistica originaria e una riorganizzazione che creò la necessità di fondare istituzioni specializzate (ibid.). È tra il XVIII e il XIX secolo, ben prima quindi dello sviluppo dello Stato sociale moderno, che si pongono le premesse, sia in Europa che negli Stati Uniti, per lo sviluppo di un'azione volontaria praticata in modo sistematico e secondo principî razionali.
Le società di mutuo soccorso, sotto la spinta propulsiva delle idee socialiste e cattolico-sociali, allargarono notevolmente la loro base associativa, sino a superare in molti casi l'originaria impostazione corporativa; inoltre la loro azione si estese (almeno in una prima fase) dalla funzione originaria di tipo assicurativo a funzioni finanziarie, ricreative e sindacali (v. Paci, 1989). Parallelamente esse ottennero in molti paesi (tra cui per prima la Gran Bretagna, con una legge del 1793 che ne definì lo statuto giuridico) un pieno riconoscimento istituzionale che ne sancì le due principali caratteristiche: la natura 'amichevole' del rapporto tra i soci (da cui discende la denominazione inglese di friendly societies) e la natura volontaria dei contributi (v. Beveridge, 1948). In altri paesi, come l'Italia, il forte sviluppo delle società di mutuo soccorso fu invece particolarmente travagliato a causa sia delle divisioni politico-ideologiche all'interno del movimento mutualistico e dell'orientamento spiccatamente politico delle organizzazioni sindacali (più interessate alla rappresentanza politica della classe operaia che all'autotutela economica e sociale), che dell'impostazione fortemente centralistica assunta dalle politiche sociali (v. Paci, 1989).
Anche le società filantropiche conobbero nel XIX secolo un grande mutamento, connesso da un lato all'esplodere della povertà e dell'esclusione sociale provocate dall'industrializzazione, dall'altro al cambiamento intervenuto nella posizione sociale e negli interessi della donna (v. Beveridge, 1948). In Italia pressoché tutte le società filantropiche sorte in quel periodo dovettero la loro origine all'iniziativa di ordini religiosi o di eminenti personalità (come don Giovanni Bosco, don Orione, don Guanella, ecc.). Il quadro sociale in cui queste organizzazioni agivano era caratterizzato dalla residualità dell'intervento pubblico e dall'estesa proliferazione di enti privati e di istituzioni religiose. Esse svilupparono un orientamento di tipo marcatamente assistenzialista, a fondamento del quale stava la concezione secondo cui l'azione volontaria rispondeva più a un 'dovere morale' di chi prestava soccorso che a un 'diritto' all'assistenza di chi versava in condizioni di povertà. L'intervento concreto si traduceva così nella beneficenza (il cui scopo era di operare una redistribuzione del 'superfluo') e nell'assistenza finalizzata soprattutto all'edificazione morale dei volontari.
Lo sviluppo dei moderni sistemi statali di protezione sociale ha comportato, a cominciare dalla seconda metà dell'Ottocento, una graduale riduzione dell'azione volontaria. L'avvento dei programmi statali di assicurazione obbligatoria contro la malattia, la vecchiaia e la disoccupazione comportò la veloce scomparsa delle società di mutuo soccorso (v. Paci, 1989), mentre lo sviluppo delle politiche pubbliche evidenziò rapidamente i limiti di diffusione e il dilettantismo dell'intervento filantropico. L'espansione dell'intervento statale non comportò tuttavia né l'eliminazione né la completa svalutazione dell'azione volontaria. Considerata come una 'risorsa' per le politiche statali, essa assunse una funzione di supporto e di complemento dell'intervento dello Stato. Non è un caso che proprio lord Beveridge - tenace propugnatore di un intervento statale che offrisse una piena copertura dei bisogni di tutta la popolazione britannica - concluse il suo noto rapporto sull'azione volontaria attribuendole il ruolo di fornire servizi 'aggiuntivi' a quelli necessari per assicurare il minimo vitale a tutta la popolazione, che erano di competenza delle autorità pubbliche; secondo Beveridge non ci doveva essere sovrapposizione tra intervento pubblico e azione volontaria: al primo competevano la protezione e la sicurezza di tutta la popolazione; alla seconda l'erogazione di servizi 'superflui' e la sperimentazione di servizi innovativi.
Fu in questa fase che all'azione volontaria venne anche riconosciuta l'importante funzione di alimentare il senso di solidarietà sociale e il consenso della popolazione all'intervento delle autorità pubbliche. Nel suo noto studio sul servizio britannico di donazione del sangue, Titmuss (v., 1971) svolse un'attenta comparazione tra il sistema inglese, fondato sulla donazione volontaria, e il sistema americano, fondato in gran parte sulla commercializzazione del sangue. La sua conclusione fu duplice: il sistema inglese appariva superiore sia sotto il profilo dell'efficienza (in quanto comportava un costo inferiore) che sotto il profilo dell'efficacia. La raccolta volontaria, non derivando da motivazioni strumentali, sembrava infatti garantire una migliore qualità del sangue, testimoniata dalla minore incidenza in Gran Bretagna dei casi di epatite dovuti a trasfusione di sangue infetto. L'azione volontaria, concluse Titmuss, non solo consentiva di risparmiare, ma garantiva anche un servizio più responsabile e 'sicuro'. Tra le conquiste dello Stato sociale ci doveva così essere il riconoscimento del 'diritto di donare', inteso come la possibilità per i cittadini di contribuire volontariamente, sulla base di un sentimento di appartenenza civile, alla realizzazione del bene comune. Integrata in un sistema pubblico che ne orientasse e ne legittimasse l'intervento, l'azione volontaria poteva così diventare uno dei pilastri dello Stato sociale.
L'ultima, importante svolta nella storia dell'azione volontaria è avvenuta a cominciare dagli anni settanta, in concomitanza con l'esaurirsi del processo di espansione crescente dell'intervento pubblico in campo sociale. Si assiste infatti, in pressoché tutti i paesi occidentali, all'emergere di un 'nuovo volontariato', caratterizzato dalla costituzione di nuove organizzazioni autonome dalle istituzioni religiose e politiche e disposte ad assumersi responsabilità di tipo pubblico nella risposta ai bisogni sociali insoddisfatti. In queste organizzazioni l'impostazione assistenzialista viene abbandonata a favore di un orientamento che privilegia da un lato la funzione di tutela dei gruppi sociali più svantaggiati (cui viene riconosciuto il diritto a essere assistiti e reintegrati nella società) e dall'altro la qualità e la specializzazione dei servizi forniti (v. Kramer, 1981). Diversamente dalle organizzazioni filantropiche tradizionali, le nuove organizzazioni privilegiano il rapporto con l'istituzione pubblica e la competenza: l'impegno volontario richiede non solo una scelta etica, ma anche una preparazione specialistica ad hoc che viene messa al servizio della collettività. Anche la gamma delle attività si amplia, riflettendo questa accentuazione della specificità dell'azione: oltre ad attività assistenziali e di tipo terapeutico-riabilitativo, si segnala la diffusione di interventi di pronto soccorso, di tutela dei diritti, di counselling, di assistenza specializzata, e via dicendo.
Per comprendere i motivi della rapida specializzazione di cui il volontariato è protagonista, bisogna considerare che le nuove organizzazioni hanno avviato servizi che, al momento della loro costituzione, erano profondamente innovativi non solo per le tecniche utilizzate, ma anche perché individuavano domande e bisogni sociali non trattati in modo soddisfacente dall'intervento pubblico. La realizzazione di servizi di natura 'primaria' (ibid.) espone le organizzazioni volontarie, nel volgere di pochi anni, a una crisi di 'sovraccarico', causata dalla necessità di fornire una risposta a bisogni ormai visibili e riconosciuti, ma per i quali si rivela ben presto illusorio pretendere una diretta responsabilizzazione delle autorità pubbliche. A ciò va aggiunta la sollecitudine con cui le istituzioni pubbliche hanno proceduto ad appaltare servizi a queste organizzazioni in cambio di un sostegno finanziario continuativo (v. Smith e Lipsky, 1993).
L'avvenuta specializzazione dell'azione volontaria sembra dunque indicare il compimento del passaggio da un'azione caritativa motivata prevalentemente sul piano etico-morale a un'azione che assume i caratteri propri della produzione in forma collettiva di un servizio sulla base di competenze specialistiche. Il percorso di sviluppo del volontariato può essere interpretato nel senso della progressiva differenziazione e specializzazione delle sue forme organizzative e delle sue forme d'azione. Esso segna il passaggio dalla filantropia tradizionale, motivata da convinzioni religiose o da legami di tipo corporativo da cui discendono specifiche regole prescrittive per l'azione, al volontariato organizzato vero e proprio, ovvero a un'attività pragmatica condotta in forma associata, sulla base di un'impostazione razionale e di obiettivi puntuali e ravvicinati nel tempo.
Il processo delineato sembra prestarsi a un'interpretazione in chiave di progressiva burocratizzazione dell'azione volontaria (v. Kramer, 1981). Altre considerazioni suggeriscono tuttavia una visione meno lineare ed evoluzionistica delle trasformazioni dell'azione volontaria. In primo luogo bisogna notare la rilevanza ancora attuale delle credenze religiose come fonti di mobilitazione e di legittimazione dell'impegno volontario. In secondo luogo si osservi che lo specialismo, se da un lato indica una linea di progressiva professionalizzazione del volontariato, dall'altro costituisce il prodotto dello sviluppo di una concezione avanzata e non paternalistica dell'azione volontaria, attenta alla specificità dei bisogni sociali e fondata sul riconoscimento del ruolo insostituibile dello Stato sociale.
L'immagine che prevale nel senso comune attribuisce al volontariato un carattere sostanzialmente 'eroico': esso sembra fondarsi sull'impegno diretto di un drappello, più o meno ampio ma molto coeso al suo interno, di volontari seriamente motivati e disponibili a contribuire con una notevole mole di lavoro gratuito alla realizzazione dello scopo sociale dell'organizzazione di cui fanno parte. Il carattere spesso informale e semplificato delle organizzazioni volontarie, la scarsità di risorse finanziarie e di professionisti, la quantità generalmente modesta di volontari attivi e il volume complessivamente ridotto dei servizi forniti dalle organizzazioni sembrano indicare in effetti i contorni di un volontariato fortemente ancorato alle opzioni dello spontaneismo, a conferma dell'idea che esso costituisca un fenomeno 'di nicchia', non destinato certamente a svanire ma connesso a una concezione premoderna, comunitaria e amatoriale dei processi di partecipazione sociale. Un'immagine di questo tipo è sicuramente riduttiva. Se è vero infatti che all'interno del volontariato esiste una quota consistente di organizzazioni che sembrano vicine a questa visione 'eroica', tuttavia la letteratura internazionale più recente ha proposto una visione dell'organizzazione volontaria quasi rovesciata rispetto a quella del piccolo gruppo spontaneo e informale di volontari dediti all'azione diretta.Le dimensioni stesse del fenomeno non appaiono irrilevanti, se si considera che in Italia risultano attualmente operanti circa 10.000 gruppi, che mobilitano circa 400.000 individui per una media di quattro ore settimanali in modo continuativo. Alla notevole diffusione territoriale si accompagna inoltre la presenza di organizzazioni che operano su base nazionale e internazionale, e che sono sempre più frequentemente accreditate presso le più importanti istituzioni (come le Nazioni Unite, da cui hanno ottenuto riconoscimento importanti organizzazioni volontarie come Amnesty International, il WWF, Médecins sans frontières).
Ecco sinteticamente presentati i caratteri salienti che sono comuni alla maggior parte delle organizzazioni volontarie attualmente esistenti.Caratteristiche dei volontari. Il volontariato costituisce un fenomeno della classe media, praticato da soggetti con istruzione superiore, più dalle donne che dagli uomini (v. Ascoli, 1987; v. Wolfenden, 1978; v. Smith, 1975). Considerando la collocazione lavorativa, la figura dominante è rappresentata dalla donna d'età medio-alta, di elevato status sociale e impegnata in ruoli familiari (casalinga oppure pensionata). Per questi soggetti l'impegno volontario costituisce l'estensione sul piano sociale dei compiti di cura già svolti nell'ambito familiare e scarsamente riconosciuti nel mercato del lavoro retribuito (v. Baldock, 1987; v. Hardwich e Graycar, 1987). La 'base di mobilitazione' delle organizzazioni volontarie appare tuttavia in fase di progressiva diversificazione. L'inserimento recente di figure nuove di volontari - giovani, anziani, lavoratori occupati - segnala che la capacità di attrazione dell'azione volontaria va oltrepassando i tradizionali 'serbatoi' costituiti dalle comunità religiose, per rivolgersi a categorie sociali tradizionalmente disinteressate a questa forma d'azione.
Forme di reclutamento. In molte organizzazioni il requisito cruciale per partecipare non è la presenza di forti convinzioni morali o religiose quanto una motivazione sociale e un insieme di competenze riferite direttamente ai compiti di servizio esplicati; la partecipazione in qualità di volontari non è generalmente subordinata a una forte adesione ideale alle credenze collettive del gruppo, ma dipende piuttosto dai risultati conseguiti e dalla soddisfazione tratta dall'attività svolta: si tratta dunque di una forma d'azione a forte valenza pragmatica.
Risorse. Molte organizzazioni utilizzano un mix di risorse volontarie, professionali ed economiche, senza che l'aumentare di quelle finanziarie o professionali deprima il ruolo e l'impegno dei volontari; inoltre molte di esse sono state capaci di instaurare sinergie positive tra le diverse risorse, che sono cresciute e si sono rafforzate reciprocamente invece che annullarsi a vicenda.
Partecipazione dei volontari. Avviene soprattutto attraverso la realizzazione del servizio e un limitato e circoscritto impegno organizzativo; molte organizzazioni hanno sancito il carattere circoscritto della partecipazione associativa dei volontari distinguendo (sia formalmente che di fatto) la figura del socio da quella del volontario.
I processi decisionali. Non prevedono la condivisione totale delle decisioni, ma lasciano spesso alla base volontaria uno scarso potere di influenza sulle decisioni collettive; in generale si riscontra un'elevata concentrazione dei processi decisionali in una leadership circoscritta e insediata stabilmente nei centri nevralgici delle organizzazioni, e la partecipazione democratica dei soci si riduce spesso alla semplice frequenza delle assemblee e all'esercizio di un potere elettivo fortemente controllato dal centro.
Differenziazione interna. Molte organizzazioni, pur lasciando ampio spazio alle relazioni informali, hanno sviluppato al loro interno una notevole differenziazione che consente di distinguere da un lato le funzioni marcatamente associative - riguardanti l'identità associativa e gli obiettivi ultimi dell'organizzazione - e dall'altro le funzioni più specificamente gestionali, relative cioè alla realizzazione del servizio svolto; la differenziazione ha consentito una gestione più esplicita del potere e dei rapporti tra i diversi livelli di responsabilità.
Leadership. La guida delle organizzazioni volontarie è spesso a carattere misto: comprende cioè sia operatori impegnati nel servizio che leaders storici che incarnano le radici identificative dell'organizzazione; sono rari i casi in cui una delle due componenti prende permanentemente il sopravvento sull'altra.
Attività. Pur nella diversificazione delle impostazioni e nonostante il carattere generalmente 'leggero' dei servizi forniti, le attività svolte assumono spesso un aspetto alquanto diversificato e complesso, che contrasta con l'idea di un volontariato 'marginale' e dilettantistico; al crescere del mix di risorse, aumenta anche la capacità organizzativa di gestire servizi complessi e diversificati.
L'insieme di queste tendenze delinea un'immagine del volontariato molto lontana da quella tradizionale e ancora diffusa nell'opinione pubblica. Le organizzazioni volontarie sviluppano al loro interno sistemi di relazione e tensioni di non minore entità di quelle che si sviluppano in imprese professionali di simile dimensione. Spesso la semplicità dell'impianto formale non consente di cogliere immediatamente la complessità e la difficoltà di gestione di organizzazioni che producono servizi collettivi, ma che al contempo danno rilevanza a un insieme di funzioni organizzative - inerenti al rafforzamento dell'identificazione collettiva - che in organizzazioni più professionalizzate assumono invece un rilievo secondario. (V. anche Altruismo; Associazione; Benessere, Stato del; Povertà; Solidarietà).
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