volontarismo
Termine usato in generale (in contrapposizione a «intellettualismo» e a «razionalismo») per designare: (1) ogni concezione che ponga una preminenza della volontà sull’intelletto, o comunque su ogni altra funzione spirituale (v. psicologico e teologico); (2) ogni concezione che faccia della volontà il fondamento ultimo di tutta la realtà (v. metafisico). Il termine fu introdotto da F. Tönnies (nei suoi Studien zur Entwicklungsgeschichte des Spinoza, 1883), poi diffuso da Paulsen (in Einleitung in die Philosophie, 1892) e da Wundt (in Grundriss der Psychologie, 1896). Il v. psicologico si ritrova più o meno in tutte le correnti mistiche, ma riceve le sue tipiche formulazioni, durante la scolastica, con i vittorini (Ugo di San Vittore definisce la fede voluntaria certitudo absentium e accentua in essa l’affectus, cioè l’amore che orienta verso l’oggetto la volontà) e, ancor di più, con Enrico di Gand (per il quale l’intelletto è essenzialmente passivo e il suo oggetto è sottomesso alla volontà, per essenza sempre attiva) e con l’agostinismo francescano, particolarmente con Duns Scoto, il quale sostiene l’autonomia della volontà che non è mai necessitata dall’intelletto. Lo stesso mondo dei valori è costituito dall’atto libero di Dio che li pone, senza che nulla possa determinare il suo agire (v. teologico). Da questo schietto motivo volontaristico Duns Scoto, pur mantenendo fermo nel concetto di Dio l’attributo della teoreticità e dell’onniscienza, trae le più decise conseguenze: la maggior parte delle verità religiose può essere, per lui, creduta solo per fede, e la stessa teologia non è tanto un’esposizione teorica di quel che si sa, quanto una determinazione pratica di quel che si deve fare. Tale v. è poi proseguito con Guglielmo di Occam, estendendosi nell’occamismo successivo al problema del rapporto tra Dio e i principi topici fondamentali (e, infine, se Dio è condizionato dal principio di contraddizione): accentuando il concetto dell’onnipotenza di Dio, tutto il mondo dei cosidetti «principi» e «valori» della filosofia greca era messo in crisi. Nella filosofia moderna, già in Berkeley e in Leibniz, è fondamentale il concetto che la volontà o l’appetito è il fondo ultimo dell’anima. Posizione speciale è quella di Kant, in cui il volere pratico (che genera l’esperienza morale e che quindi presuppone quella libertà che non è mai dato incontrare nel mondo determinato dal principio di causalità secondo le categorie dell’intelletto) manifesta una superiorità ideale, che dà origine al cosiddetto «primato della ragion pratica» sulla ragione teoretica. Allo sviluppo del v. psicologico nei secc. 19° e 20° hanno contribuito pensatori di varie tendenze: da Marx, che teorizza il pensiero come praxis o «attività sensitiva umana» , trasformatrice del reale («nella prassi soltanto l’uomo può provare la verità, cioè la realtà e potenza, l’oggettività del proprio pensiero»: 2ª Tesi su Feuerbach) a Maine de Biran, che pone il volere a base del conoscere (volo, ergo sum), a Beneke e al suo continuatore K. Fortlage (i quali pongono una tendenza, un impulso a base di ogni processo psichico, e nel sistema di tali impulsi fanno consistere l’anima), ai teorici delle varie filosofie dell’azione (Lachelier, Renouvier, Spir, Blondel, ecc.), del pragmatismo (W. James, Schiller), del contingentismo (Boutroux), della «volontà di potenza» (Nietzsche), dell’esistenza come scelta e opzione. L’idealismo italiano ha inteso superare le astratte opposte unilateralità dell’intellettualismo (priorità o preminenza dell’intelletto sulla volontà e sulle altre forme spirituali) e del v. (priorità o preminenza della volontà sull’intelletto e sulle altre forme spirituali), distinguendo (con Croce) la volontà, come spirito pratico, dal pensiero come spirito conoscitivo o teoretico, ossia (con Gentile) identificando conoscenza e volontà, autocoscienza e processo pratico, volitivo, di formazione dell’Io. Il v. metafisico, che quasi sempre porta al v. psicologico, si sviluppa particolarmente nel pensiero moderno. È già evidente nella concezione fichtiana dell’Io puro come volontà e attività, e in quella schellinghiana dell’essere originario come produttività; trova la formulazione tipica in Schopenhauer e in Hartmann, e informa le dottrine di vari pensatori, quali Wundt, Paulsen, Fouillée, e altri.