VOLPE, Giovanni Battista, detto Rovettino
VOLPE (De Grandis), Giovanni Battista, detto Rovettino. – Nacque probabilmente a Venezia nel terzo decennio del Seicento, o all’inizio del quarto. Atti notarili rogati nel 1662 indicano che Giovanni Battista Grandis, detto Roeta, era figlio di Antonio de Grandis, detto Volpe, del quondam Martin e della consorte «Elena Roetta», sorella di Giovanni Rovetta (Rismondo, 2016, p. 164).
Già nel 1652 lo zio, Giovanni Rovetta, maestro di cappella in S. Marco, aveva disposto che a suo nipote Giovanni Battista «Volpe», diacono della chiesa di S. Fantin, che aveva ottenuto dispensa papale per non avere ancora raggiunto l’età prescritta dal Concilio di Trento, fosse corrisposto il patrimonio per l’ordinazione sacerdotale, traendolo dai cospicui investimenti attuati nei depositi della zecca veneziana (forma d’investimento assai praticata dai musici marciani; p. 165). La consorte di Giovanni Rovetta era deceduta già nel 1646 (p. 167, n. 195) e, alla sua morte, quegli investimenti giunsero nelle mani della sorella Elena e del figliolo, il che fu sancito definitivamente con atto notarile rogato nel 1669 (pp. 164 s.). Il giovane Volpe ricevette la tonsura clericale e i primi ordini il 21 dicembre 1643 (Vio, 1994, p. 125). Nel 1645 curò la pubblicazione del terzo libro di Madrigali concertati a due, tre e quattro voci dello zio, presso gli editori Vincenti di Venezia, e negli anni seguenti la ristampa presso gli editori Phalèse di Anversa di alcune composizioni dello zio uscite in precedenza dai torchi veneziani; di certo, nel 1648, Manipulus e messe musicus duarum et trium vocum concertantium, ossia l’opera X, sul cui frontespizio il nome del curatore è storpiato: «collectore [...] Ioan. Baptista Velpio». Nella lettera di dedica dei Madrigali concertati Volpe afferma di aver voluto onorare tanto l’autore delle musiche, Rovetta, quanto il dedicatario, «il signor Francesco Cavalli organista di S. Marco [...] che si è tanto affaticato nell’indrizzarmi per quella via nella quale egli s’è condotto già al sommo della Virtù». Il ruolo svolto da Cavalli nella formazione del giovane compositore doveva essere ancora in atto a quel tempo, se Volpe manifestò il desiderio di poter continuare a ricevere dal dedicatario «i soliti favori de’ suoi dottissimi et ambitissimi ammaestramenti».
Nello stesso anno 1645, il 29 ottobre, iniziò l’attività musicale in seno alla cappella ducale marciana come uno dei due organisti assunti «per sonar li doi organetti che s’attrovano sopra li Nichi» (Archivio di Stato di Venezia, Procuratia de supra, Chiesa, reg. 144, c. 238), cioè gli strumenti portativi dei quali si fa spesso cenno nella documentazione della Procuratia, usati per accompagnare i cantori o gli strumentisti solisti. Talvolta i due organisti addetti agli ‘organetti’ sostituivano i due maggiori titolari, nei casi non infrequenti di loro assenza; e infatti l’11 aprile 1651 a Volpe fu affidato l’incarico di sostituire il secondo organista, Massimiliano Neri, durante il suo viaggio viennese (Rismondo, 2019), e l’11 aprile 1660 di sostituire il suo maestro, Cavalli, al primo organo durante il viaggio di questi a Parigi per comporre e allestire l’epitalamico Ercole amante (1660-62).
L’11 gennaio 1665 i procuratori, avendo inteso che Neri, da tempo assente, era stato eletto maestro della cappella di corte del principe-vescovo di Bonn-Colonia, assunsero Volpe («Roettino») al suo posto. Il 9 gennaio 1678 fu nominato primo organista, e il 6 agosto 1690 maestro della cappella ducale (tutte le anzidette annotazioni della Procuratia sono nei rispettivi registri di ‘terminazioni’ in Archivio di Stato di Venezia, Procuratia de supra, Chiesa, sub data).
Morì a Venezia il 15 ottobre 1691 (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Marco di Venezia, Registri dei morti, reg. 3, anni 1665-91, c. 79r; Vio, 1994).
Risulta che all’occasione Volpe, sacerdote, insegnasse musica nei cenobi veneziani: tra luglio e novembre del 1662 ebbe licenza di accedere al monastero delle Vergini per dare lezione a Elena, figlia di Vettor Pisani. Nel 1663 concorse alle musiche in occasione dell’ostensione del SS. Sacramento nella Scuola di S. Geremia; e nel 1672 fu chiamato dal Consiglio dei dieci a dirimere una questione circa gli organisti che la Scuola di S. Cassiano avrebbe dovuto scritturare per la stessa celebrazione.
Sin dalla fondazione (1687) fece parte, e in posizione di spicco, del cosiddetto Sovvegno di S. Cecilia, la società che riuniva i più importanti musicisti attivi in città, fondata nella chiesa di S. Martino da Giovanni Domenico Partenio (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. VII, 2447 [=10556], cc. 4r, 9r).
I pochi brani attribuibili con certezza a Volpe testimoniano una peculiare e aggiornata competenza armonica, assai più prossima alla tonalità moderna di quanto non si osservi nella produzione dello zio Rovetta e del maestro, Cavalli. Si può supporre che questa dote sia stata alimentata dalla perizia maturata in qualità di organista addetto al basso continuo, coltivata nel primo periodo marciano e attestata nella documentazione pervenuta (tra il 1669 e il 1675 è documentato anche l’incarico per suonare la «spinetta» durante le funzioni della settimana santa; Archivio di Stato di Venezia, Procuratia de supra, reg. 54, c. 385), e nelle sue attività presso i teatri veneziani (Glixon - Glixon, 2006, p. 351, per il teatro di S. Aponal nella stagione 1655-56). Antonio Cesti e Pietro Andrea Ziani nominarono espressamente Volpe come loro sostituto, nel caso non avessero potuto dirigere dal cembalo (secondo l’uso coevo) le prime recite di loro opere (pp. 166 s.). La sua particolare abilità nel realizzare il basso continuo è avvalorata anche dalla citazione del «famoso Ruettino» nel più noto trattato coevo, L’armonico pratico al cimbalo: regole, osservazioni ed avvertimenti per ben suonare il basso e accompagnare sopra il cimbalo, spinetta ed organo di Francesco Gasparini (Venezia, Bortoli, 1708, p. 88). Il trattatista afferma di aver veduto una lettera di Volpe indirizzata «a due virtuosi, tra quali verteva una [...] questione circa il potersi concedere nel mezzo degli accompagnamenti più quinte e ottave»: questione che il musicista aveva «decisa virtuosamente», e in piena convergenza con le indicazioni di Gasparini.
La produzione musicale pervenuta è assai scarna: da un lato, i due mottetti inclusi nella collettanea Sacra corona edita a Venezia nel 1656 (ed. moderna in Sacra corona, Venice, 1656, 2015, nn. 5 e 20; il primo fu ripubblicato senza sostanziali mutamenti nei Sacri concerti curati da Marino Silvani a Bologna nel 1668); dall’altro, l’opera Gl’amori d’Apollo e di Leucotoe (Venezia, teatro dei Ss. Giovanni e Paolo, Carnevale del 1663): la partitura, probabilmente curata da Volpe stesso se non addirittura autografa, è nella Biblioteca Marciana di Venezia, ms. It., cl. IV, 386 (=9910; vi mancano talvolta le parti strumentali). Perdute sembrano essere, invece, le partiture di due altri drammi, La costanza di Rosmonda (1659) e La Rosilena (1664), che gli vengono attribuiti dalle non sempre fededegne Memorie teatrali di Venezia di Cristoforo Ivanovich (Minerva al tavolino, Venezia 1681, 1688, pp. 436 s.), allestiti sempre nel teatro dei Ss. Giovanni e Paolo: nei due libretti, di pugno di Aurelio Aureli come già Gl’amori d’Apollo, il nome del compositore non compare. Di più incerta attribuzione sono alcune composizioni su testo sacro, pervenute in copie relativamente moderne, nei mss. It., cl. IV, 1134 (=10949), f. 5-6 (Magnificat a 4 e 5 voci..., ed. moderna in J. Moore, Vespers at St. Mark’s, II, Ann Arbor (Mich.) 1981, pp. 215-220), e cl. IV, 1135 (=10964), f. 1 (Corona aurea, inno a quattro voci) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Certamente non sono sue, né dello zio Rovetta, le Antiphone in Vesperis nel ms. della Fondazione Levi di Venezia, CF.B.109. Il manoscritto della Biblioteca nazionale universitaria di Torino, Raccolta Renzo Giordano, 27 – di sicura provenienza veneziana: è identificabile con certezza nel ms. 477 elencato nel catalogo manoscritto settecentesco della Biblioteca Soranzo, Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. X, 139 (=6570), c. 114v –, tramanda tre arie a lui attribuite sotto il nome di Giovanni Battista Rovetta: Occhi belli, son vinto (cc. 8r-11v), Fede a donna? O questo no (cc. 19r-20r) e Frigida mai non fu Lilla meco in amor (cc. 69v-72r). Il manoscritto del Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, 33.4.18(B), cc. 106v-109v, contiene un’aria il cui testo corrisponde all’atto II, scena XVII, del libretto della citata Rosilena.
Dallo zio e dal maestro, Volpe dovette ereditare il collegamento e la frequentazione con la nobiltà veneziana di ceto più elevato, circostanza che certamente ne favorì la tranquilla carriera marciana e il conseguente benessere materiale; il che è indirettamente confermato da un episodio di natura non musicale. Tra il 1677 e il 1679, Antonio Saurer, agente di don Gaspar Méndez de Haro y Guzmán, marchese del Carpio, ambasciatore di Spagna a Roma, mandato a Venezia per procacciare opere d’arte, trattò l’acquisto di una Maddalena attribuita a Tiziano; scrivendone al padrone, Saurer affermò che il dipinto si trovava «in casa del mestro de capela Roeta», da identificarsi con certezza in Volpe (lo zio era deceduto da più di un decennio; Checa Cremades, 2004; Mason, 2007).
Fonti e Bibl.: G. Vio, Giovanni Legrenzi ed il «Sovvegno di Santa Cecilia», in Giovanni Legrenzi e la Cappella ducale di San Marco, a cura di F. Passadore - F. Rossi, Firenze 1994, pp. 124 s.; J.E. Glixon, Honoring God and the city: music at the Venetian confraternities, 1260-1807, Oxford 2003, pp. 220, 225 s.; F. Checa Cremades, El marqués del Carpio (1629-1687) y la pintura veneciana del Renacimiento. Negociaciones de Antonio Saurer, in Anales de historia del arte, XIV (2004), pp. 201-203; B.L. Glixon - J.E. Glixon, Inventing the business of opera. The impresario and his world in seventeenth-century Venice, Oxford 2006, ad ind.; S. Mason, Dallo studiolo al “camaron” dei quadri, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, a cura di L. Borean - S. Mason, Venezia 2007, p. 19; Sacra corona, Venice, 1656, a cura di P.A. Rismondo, Middleton (Wis.) 2015, p. XIII; P.A. Rismondo, Giovanni Rovetta, «uno spirito quasi divino, tutto lume in nere et acute note espresso», in Recercare, XXVIII (2016), 1-2, pp. 121-173 (in partic. pp. 164-166); J.E. Glixon, Mirrors of heaven or worldly theaters? Venetian nunneries and their music, New York 2017, pp. 243 s.; P.A. Rismondo, Rovetta, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXIX, Roma 2017, pp. 3-6; Id., «Frutti nati all’ombre». Giovanni Battista e Paolo Piazza: diplomazia, politica, spionaggio e musica a Venezia nel Seicento, in Studi secenteschi, LX (2019), pp. 97-100.