VOLPONI, Giovanni Battista detto lo Scalabrino
– Nacque a Pistoia l’8 aprile 1489, figlio di Piero Volponi e di Cosa di Lazzaro di Jacopo; il soprannome Scalabrino, cioè furbo, gli derivò dal cognome.
La sua formazione avvenne probabilmente a contatto con il concittadino Gerino Gerini (Muzzi, 1996, p. 210), dal quale poté mutuare gli influssi perugineschi alla base del suo stile. La prima attestazione della sua attività risale al 24 ottobre 1507, quando per eseguire opere non specificate nella chiesa di S. Andrea a Pistoia si mise in società con Giuliano Castellani detto Sollazzino, originario di Montelupo (Firenze), ma per alcuni anni attivo in città.
A Pistoia vi erano pochi pittori, che per convenienza stringevano sodalizi fra loro per le committenze impegnative o da sbrigare in tempi brevi, e allo stesso modo le istituzioni ripartivano attentamente le allogazioni per non creare rivalità (Nesi, 2011, p. 109). Il documento del 1507 era stato collegato in passato alla realizzazione dello stendardo con la Madonna dell’umiltà firmata e datata da Sollazzino nel 1509, e sull’altro lato S. Giuseppe col Bambino firmato dallo Scalabrino, oggi nel Museo diocesano di Pistoia. Osservazioni recenti hanno però stabilito che il S. Giuseppe non solo è più tardo, ma è stato anche tagliato per essere adattato all’altra tela. È stato allora ipotizzato che l’impegno del 1507 in S. Andrea riguardasse il grande affresco con la Resurrezione e Dolenti intorno alla Croce che Volponi avrebbe eseguito insieme a Gerini (e non a Sollazzino) sull’altare della famiglia Melocchi (Muzzi, 1996, p. 210). Ma l’affresco è ben più tardo e tutto dello Scalabrino (Nesi - Meoni, 2020, pp. 2 s.). La collaborazione con Gerino fu ipotizzata in passato anche per il grande affresco con l’Incoronazione della Vergine e le ss. Agata ed Eulalia nel palazzo comunale a Pistoia, concepito come una monumentale pala d’altare con tanto di cornice trompe-l’œil che rivela una notevole cultura classicheggiante, evidenziata dalle paraste a grottesca e dal timpano con finti candelabri e tritoni scultorei. Oggi, però, anche quest’opera viene giustamente ritenuta del solo Volponi (Muzzi, 1996, p. 217).
Si ritrova Scalabrino in società con Gerini nel 1514 per l’esecuzione di una serie di stendardi processionali (‘drappelloni’) commissionati dalla potente Opera di S. Jacopo per la festa del santo, patrono della città (ibid., p. 210). Queste commissioni erano effimere ma importanti, perché provenivano da una delle maggiori istituzioni cittadine, e perciò nessuno dei pittori locali le rifiutava, alternandole a quelle più impegnative e prestigiose per affreschi e tavole d’altare.
Nel corso degli anni lo Scalabrino svolse altri lavori di questo genere sia per l’Opera di S. Jacopo che per la Pia Casa di Sapienza, ovvero l’Università di Pistoia, fondata con un lascito del cardinale Niccolò Forteguerri. La Sapienza commissionava annualmente ai pittori pistoiesi la decorazione di una scatolina lignea per contenere preziose spezie che mandava in dono ai discendenti del cardinale, abitanti a Siena. Era anche questo un impegno effimero ma molto ambito, e Volponi l’ottenne nel 1537, nel 1542 e nel 1543. Ma la Pia Casa gli allogò anche lavori più impegnativi, come una pala d’altare con la Madonna col Bambino tra i ss. Lucia e Bartolomeo per uno dei cinque ospedali per viandanti che possedeva alla periferia della città. La tavola bruciò parzialmente all’inizio del Novecento e oggi ne resta solo il frammento con la santa nei depositi del Museo civico di Pistoia. Il dipinto è databile agli anni Venti del secolo, quando la Pia Casa commissionò anche le pale d’altare per gli altri ospedali ad altri pittori pistoiesi (Bernardino Detti, Domenico Rossermini e Battista dal Gallo). Nel 1537 la Sapienza richiese poi allo Scalabrino un grande tondo su tavola con S. Bartolomeo e lo stemma Forteguerri, oggi disperso, che veniva appeso ogni anno in duomo per la festa di s. Bartolomeo, patrono dell’istituzione (Nesi, 2006, pp. 74 s.).
La prima pala d’altare documentata Volponi la eseguì nel 1514, un Battesimo di Cristo per la chiesa pistoiese del Carmine, ora disperso (Muzzi, 1996, p. 210). Al 1525 risale invece la Madonna col Bambino e i ss. Jacopo, Zeno, Agata, Giovannino ed Eulalia del Museo civico di Pistoia, realizzata per l’altare della cappella del palazzo del Comune. Coeva è la Deposizione a fresco del palazzo dei Vescovi (pp. 212 s.). Sono opere con le quali l’artista mostra di aver ben studiato la pittura fiorentina del primo quarto del secolo, in particolare di Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli. Non a caso la Deposizione riprende quella che il frate aveva dipinto verso il 1512 per la chiesa fiorentina di S. Gallo, ed è oggi alla Galleria Palatina. Invenzione inedita è invece il S. Andrea crocifisso dell’omonima chiesa pistoiese, allogatogli in società con Bernardino Detti nel 1531. Ma mentre l’esecuzione pittorica è da tempo riconosciuta al solo Volponi, l’idea compositiva con il santo legato a un albero dal ceppo divaricato risale certamente al geniale Detti (Nesi - Meoni, 2020, pp. 3 s.).
Infatti lo Scalabrino, pur bravo nell’esecuzione pittorica, non fu mai molto creativo, attingendo spesso a prototipi altrui o riproponendo le sue invenzioni. Questo si nota molto bene in tre grandi tavole d’altare che eseguì per la chiesa della Madonna della Consolazione a Tuscania (Viterbo), le quali a detta delle fonti, facevano parte di una serie più vasta, comprendente in origine ben sette pale e «altri piccioli quadretti» ([G.G. De’ Rossi], Notizia istorica, in Memorie per le belle arti, IV (1788), pp. CXC s.). Una di esse raffigura la Deposizione dalla Croce, ed è ripresa da un’incisione di Marcantonio Raimondi tratta da un disegno di Raffaello, mentre le altre due con l’Adorazione dei pastori e l’Adorazione dei magi sono composizioni originali, che però Volponi ripropose in altre occasioni. La prima la ripeté in una tavola già nel conservatorio di S. Giovanni Battista a Pistoia, della quale, dopo la seconda guerra mondiale, restano solo dei frammenti e una vecchia foto d’insieme (Nesi, 2011, pp. 177-180). La seconda la riutilizzò invece per una pala d’altare già nella chiesa pistoiese di S. Chiara e oggi nella Pinacoteca nazionale di Parma (Meloni Trkulja, 1998). Le tavole di Tuscania sono solo firmate e non documentate e quindi non databili con certezza, ma può dare l’idea della loro cronologia la notizia dell’esistenza di un altro dipinto dello Scalabrino nella vicina Tarquinia, oggi disperso e del quale non è noto il soggetto, ma che si sa era firmato e datato 1527.
La collaborazione con Detti proseguì con il Cenacolo a fresco nel refettorio del convento francescano di Giaccherino, nei pressi di Pistoia (Nesi - Meoni, 2020), mentre un altro Cenacolo Volponi lo eseguì tra il 1532 e il 1533 nell’ospedale del Ceppo, ed è oggi frammentario (Muzzi, 1996, p. 220). Nello stesso biennio eseguì a Pistoia due pale d’altare con l’Immacolata Concezione, una per la chiesa di S. Andrea e l’altra per il Carmine. Di entrambe è stato ritrovato il documento di commissione, ma sono disperse (cfr. Rogers Mariotti, 1996, p. 247, e Nesi, 2006, p. 75). Forse di poco precedente, ma non databile con esattezza, è l’Assunta coi ss. Stefano, Barbara, Onofrio e Maria Maddalena, e il donatore Giovanni Ronconcelli, eseguita per la collegiata di Empoli e oggi conservata nell’attiguo museo (Siemoni, 1994), senza più la cornice e la predella con il Cristo in pietà e dolenti che la completavano e che appaiono ancora in una foto Alinari del 1929 (n. 42373). Al 1532 può essere datata la Visione di s. Bernardo di Chiaravalle coi ss. Girolamo e Michele arcangelo e il donatore Rainaldo Piccini nella pieve di S. Leonardo a Cerreto Guidi (Firenze; Waldman, 2006, pp. 31 s.). In queste due pale d’altare, così come in quelle di Tuscania, di Parma e nel S. Andrea del 1531, Volponi si rivela ottimo paesaggista e questa sua propensione è confermata da una vertenza legale che egli ebbe in seguito con un committente.
Nel 1556 fu infatti chiamato in causa da Sallustio Bracali, suo concittadino, per il pagamento di «quattro quadri di paesi coloriti a olio con loro ornamenti (cornici)» (Nesi - Meoni, 2020, pp. 1 s.), e questo episodio permette di comprendere meglio l’importanza delle ambientazioni naturalistiche dei suoi dipinti, che la critica ha sempre sottolineato a parole o tramite confronti fotografici (Chiarini, 1992; Tamborino, 2005). Lo Scalabrino paesaggista appare influenzato dalle stampe di Albrecht Dürer e dai dipinti di Giovanni Larciani e di Antonio di Donnino del Mazziere, ma trovò una vena personale per questo genere pittorico, come si nota, oltre che nei dipinti finora citati, anche nell’Assunzione della Vergine di Masiano (Pistoia), dipinta tra il 1554 e il 1555 (Nesi - Meoni, 2020, p. 3). Sulla base dei paesaggi di questi dipinti può essere riferita allo Scalabrino anche una serie di disegni con vedute, conservati agli Uffizi e già ritenuti di Mazziere. L’attribuzione è avallata dall’analisi delle scritte in essi presenti, la cui grafia è identica a quella delle firme sui quadri e delle scritture autografe dell’artista (p. 4).
A partire dal 1531 Volponi instaurò un profondo legame con il clero pistoiese, e in seguito gli furono date a fare molte opere nella residenza vescovile di campagna, tutte perdute (Bruschi, 2014). Non sorprende perciò vederlo convocato a Jesi (Ancona) nel 1553 dal vescovo Benedetto Conversini, originario di Pistoia, per affrescare la cappella del Sacramento nel duomo, con gli Evangelisti, il Battesimo di Cristo e la Conversione di s. Paolo. I lavori lo impegnarono da giugno a novembre con piena soddisfazione della famiglia Colocci, proprietaria della cappella, ma dell’insieme non resta nulla, essendo stato demolito nel 1775 (Annibaldi, 1898). Tornato a Pistoia, oltre alla pala di Masiano Scalabrino è documentato nel 1554 per alcune Madonne a fresco in palazzo comunale, ma nello stesso anno anche Sebastiano Vini fu pagato per affreschi simili. Di queste Madonne ne resta soltanto una, che è stata attribuita a Volponi (Muzzi, 1996, p. 221), ma in base all’analisi stilistica va resa a Vini. Alla fine degli anni Cinquanta può essere riferita la Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano, Michele, Domenico e Rocco della pieve di Cutigliano (Pistoia), già datata al 1530 circa (Muzzi, 1996, p. 215). Lo stile è infatti differente da quello tipico di Volponi, con aperture verso Vini, ormai artista di riferimento a Pistoia, giustificate da un tardo mutamento formale o dall’intervento del figlio Piero (Pistoia, 1541-1615), che fu uno stretto seguace del Vini.
Il 31 luglio 1561 lo Scalabrino fu chiamato dalle monache benedettine di Borgo a Buggiano (Pistoia) per valutare il prezzo di una pala eseguita da Benedetto Pagni per l’altar maggiore della loro chiesa (Nesi, 2002, p. 10). È l’ultimo documento noto riguardante il pittore, che morì a Pistoia il 29 settembre 1561 (Bacci, 1903, p. 174).
Fonti e Bibl.: G. Annibaldi, Della patria e di una grandiosa opera in Jesi del pittore Giambattista altrimenti detto M.° Scalabrino, in Arte e storia, XVII (1898), pp. 77 s.; P. Bacci, Note e documenti sullo ‘Scalabrino’ e altri pittori pistoiesi del XVI secolo, in Bullettino storico pistoiese, V (1903), pp. 164-183; M. Chiarini, All’ombra di Fra Bartolomeo: G.B. V. detto lo ‘Scalabrino’, in Kunst des Cinquecento in der Toskana, München 1992, pp. 360-364; W. Siemoni, Le vicende architettoniche e il patrimonio artistico dal XV al XIX secolo, in Sant’Andrea a Empoli, Firenze 1994, pp. 84, 101 s.; A. Muzzi G. V. detto Scalabrino, in L’età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo ’500 (catal., Pistoia), Venezia 1996, pp. 210-221; J. Rogers Mariotti, G. V. detto Scalabrino, ibid., pp. 246 s.; S. Meloni Trkulja, G.B. V. detto lo Scalabrino (attribuito a), in Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere del Cinquecento e iconografia farnesiana, a cura di L. Fornari Schianchi, Milano 1998, p. 96; M. Campigli, G.B. V. detto lo Scalabrino, in Visibile pregare, a cura di R.P. Ciardi, I, Pisa 2000, p. 68; A. Nesi, Ricerche su Benedetto Pagni da Pescia (1503-1578), Pistoia 2002, pp. 10, 16 s.; Pistoia inedita. La descrizione di Pistoia nei manoscritti di Bernardino Vitoni e Innocenzo Ansaldi, a cura di L. di Zanni - E. Pellegrini, Pisa 2003, ad ind.; A. Tamborino, Due aggiunte al catalogo dello Scalabrino, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di S. Miniato al Tedesco, LXXXIII (2005), 72, pp. 81-91; A. Nesi, Nuovi documenti su alcuni pittori pistoiesi del primo Cinquecento, in Storia locale, 2006, n. 7, pp. 74 s.; L.A. Waldman, Scalabrino a Cerreto Guidi e altrove. Acquisti documentari e nuove attribuzioni, in Erba d’Arno, 2006, n. 106, pp. 31-41; A. Nesi, Ritrovamenti pistoiesi. Dipinti e documenti per alcuni pittori del Cinquecento (parte II), in Arte cristiana, XCIX (2011), 864, pp. 177-180; M. Bruschi, Lo Scalabrino, Sebastiano Viti e i Gimignani a Pistoia. Opere d’arte alla Villa di Igno e al Palazzo Vescovile (1507-1621), Pistoia 2014, ad ind.; V. Capponi, Studi, notizie e documenti per servire alla storia della pittura in Pistoia, a cura di N. Lepri, Pistoia 2017, pp. 117, 127 e 129; W. Siemoni, Cappelle, cappellanie, altari e patroni in Sant’Andrea a Empoli, in Empoli, nove secoli di storia, a cura di G. Pinto - C. Greco - S. Soldani, I, Roma 2019, p. 201; A. Nesi - C. Meoni, G. V. (lo Scalabrino) e la pittura di paesaggio, Firenze 2020; A. Nesi - C. Meoni, Bernardino Detti, lo Scalabrino e il ‘Cenacolo’ di Giaccherino, in Studi francescani, CXVII (2020), pp. 95 ss.