VÒLTA (XXXV, p. 566)
Le vòlte autoportanti. - Un aspetto vistoso e sostanziale dell'evoluzione della tecnica del cemento armato sta nella sistematica applicazione di strutture costituite non più dall'associazione di sistemi elementari lineari (archi, travi), ma di sistemi elementari bidimensionali: superfici piane, cilindriche, di rotazione, ellissoidiche, paraboloidiche, ecc. (v. anche iperstatici, sistemi, in questa App.). Con queste si raggiungono estreme semplificazioni costruttive e risultati estetici notevoli. Le figg. 1, 2, 3, illustrano alcuni notevoli esempî di costruzioni del genere (su progetti di G. Krall, figg. 1 e 3; L. Grossard, fig. 2). Sui criterî che le informano, non vi è dubbio, si orienterà la scienza delle costruzioni nel suo progredire.
Il concetto statico che presidia questi sistemi non è nuovo, risale a Schwedler, insigne costruttore di opere metalliche dell'800. Brevemente, si tratta di ciò: si consideri la superficie prismatica indicata in fig. 4. I carichi sieno ridotti agli spigoli. Con due tagli normali a detti spigoli se ne asporti una fetta. Se questi sono tali da dar luogo ad una linea delle pressioni coincidente con la sezione retta del prisma (la si chiami, per quanto segue, poligonale direttrice), l'equilibrio è assicurato. Si potranno ripetere, paralleli, quanti tagli si vuole, il regime statico della struttura non verrà mutato. Ma se l'accennata coincidenza non sussiste, occorre aggiungere ai detti carichi delle forze sussidiarie capaci di annullare il divario. Queste forze possono essere date dalle stesse singole facce del prisma che si potranno pensare funzionanti da travi quando c'è una siffatta possibilità, per il che occorre, innanzi tutto, vincolarle agli estremi. A ciò si provvede, come si suol dire, timpanando la vòlta alle estremità. Se i timpani hanno appoggi sufficientemente resistenti e non vi è da temere per la resistenza delle travi agli estremi (di bordo), si può anche togliere l'imposta lungo gli spigoli di bordo. La vòlta prismatica diventa allora autoportante. Le facce-travi possono esser costituite da pareti sottili o da ordinarie travi reticolari. Proprio sotto questo secondo aspetto sono esse apparse per la prima volta. L'entità delle forze che debbono essere prodotte da ogni faccia-trave risulta con la costruzione grafica assai ovvia della figura. Con riguardo alla generica trave jima sia Δgj il carico ch'essa deve produrre per annullare il divario tra poligonale e linea delle pressioni. Se Lj è la luce netta sulla quale la vòlta si autoporta e il timpano può liberamente ruotare, il momento in mezzeria sarà
Le sollecitazioni agli spigoli risultano in conformità con le formole elementari per la flessione che si appoggiano sull'ipotesi di Navier, σj ± Mj/Wj con Wj = bj h²j/6, essendo bj lo spessore e hj l'altezza della faccia-trave.
Se le travi, pur essendo tra loro contrastanti, possono slittare l'una rispetto all'altra, non resta che osservare come, passando dalla faccia Jm alla contigua (j +1)ima si ha, per quanto precede, in generale una discontinuità nelle sollecitazioni, discontinuità che lo slittamento rende senz'altro legittima. Ma se le facce sono, come sempre avviene, tra loro saldate, la discontinuità delle sollecitazioni non è, compatibilmente con la saldatura, più possibile; si provocano allora forze di taglio Sj,j+i lungo lo spigolo generico (j, j + 1) atte a stabilire la necessaria continuità. Il loro calcolo è molto semplice. Per comprenderlo si fissi l'attenzione su una struttura costituita da due sole travi &out;t1, &out;t2, a tetto. La distribuzione g = cost. sull'unico spigolo di colmo richiede, poiché mancano le imposte, che la trave &out;t1 sopporti il carico Δg1, la trave &out;t2 il carico Δg2. Le sollecitazioni al colmo, σ1 di &out;t1, σ2 di &out;t2 sono
Se σ1 ≠ σ2 occorre dunque applicare uno sforzo S sulla &out;t1, e naturalmente −S sulla &out;t2, tale che sia
Da questa semplice condizione di continuità si ha subito S e quindi la sollecitazione comune
Al bordo inferiore si ha per la T1 rispettivamente per la T2
Nessun dubbio che in modo del tutto analogo si procede se più sono le facce-travi, ad es., completando la struttura considerata con l'aggiunta di due travi verticali &out;t0 saldato alla &out;t1; &out;t3 saldata alla &out;t2. Queste sono in generale molto convenienti, se il carico g che deriva principalmente dal peso proprio (diffuso sulla superficie) vien ridotto agli spigoli; allora la riduzione è legittima per gli spigoli di attacco, non però per quelli di bordo se non si sa come sostenere la componente normale alla superficie, si intende a meno di non far intervenire una resistenza flessionale trasversale della trave. Il che sarebbe in ogni caso poco ragionevole poiché le &out;t0 e &out;t3 anche ridotte a strisce (verticali) risolvono facilmente ogni dubbio. Al posto delle &out;t0 e &out;t3 si può sempre sostituire un'unica &out;t3 fra la &out;t1 e &out;t2; con che si perviene ad una struttura tubolare particolarmente resistente.
Le composizioni di travi possono essere le più disparate: lastre saldate in serie o in parallelo o con criterio misto (v. figg. 5, 6); il calcolo, almeno di prima approssimazione, rimane sempre quello indicato. Sulle perturbazioni nel regime degli sforzi, trovato per queste vie, indotte dalla flessione, dalla deformazione della poligonale direttrice, da eventuali scostamenti dalla legge di Navier, non è il caso di soffermarsi.
Inoltre, non è detto che le singole facce debbano essere piane ed a sezione rettangolare; i più varî tipi possono essere ammessi nella composizione. In ogni caso, all'unica equazione [1] si viene a sostituire un sistema di equazioni sempre di facile scrittura. La struttura loro è molto nota, così detta del Clapeyron, perché ricorda quelle equazioni che appaiono applicando il noto teorema, così detto dei tre momenti, per la trave continua. Sono risolvibili per via grafica con molta semplicità o con metodi ad hoc specifici del calcolo delle diffierenze finite dove tali equazioni appaiono con singolare frequenza. Appare da tutto ciò ben evidente la possibilità di considerare una vòlta comunque conformata, senza imposte lungo i bordi, purché sia adeguatamente timpanata agli estremi. Se i timpani sono sufficientemente resistenti possono essere appoggiati, ognuno, anche in due soli punti. Allora la vòlta può sorgere e sostenersi su 4 ritti soltanto. Ed è un concetto insistente dell'architettura strutturale moderna la concentrazione puntuale degli appoggi anche per strutture bi- e tridimensionali. Dalla base poligonale si può passare al limite ad una direttrice continua. Si generano allora le vòlte cilindriche autoportanti, a base semicircolare (eventualmente rovesciata per farne dei serbatoi), circolare, ellittica, ecc., come appare dalle figg. 7, 8. Non sembra possibile arrivare al regime effettivo degli sforzi passando al limite, ad es., col sistema [1] esteso a ∞ travi, giacché in esso si ammettono regimi degli sforzi alla Navier, dei quali non si vede il significato al limite per l'altezza nulla delle singole travi.
Le equazioni dell'equilibrio alle quali deve soddisfare l'elemento d'area (cfr. fig. 9) della vòlta cilindrica, asportato con quattro tagli dal velo resistente (sulle facce dei quali siano applicate le forze del contrasto della struttura dalla quale è stato tolto) sono ben semplici. Si ha per le tre componenti superficiali T1, T2, S della sollecitazione interna, se X, Y, Z sono le componenti della sollecitazione esterna orientate come in fig. 9, trascurando i momenti G1, G2, G12, agenti normalmente e nel piano dell'elemento:
Dette equazioni sono un aspetto ridotto, che rispecchia le cosiddette soluzioni prive di flessione o aflessionali o dei veli, di un sistema ben più complesso di equazioni. Involgono queste oltre gli sforzi T1, T2, S i momenti G1, G2, G12 agenti sull'elemento appena questo abbia una qualche resistenza flessionale. In realtà i momenti G non sono mai nulli, ma gli sforzi da essi indotti possono essere trascurati in media o globalmente, quando si raffrontino a quelli che derivano da T1, T2, S se lo spessore della vòlta è piccolo rispetto alle dimensioni globali e sono effettivamente possibili soluzioni equilibrate aflessionali, cioè soluzioni delle equazioni ridotte, soddisfacenti le condizioni al contorno (bordi di attacco ai timpani e generatrici di bordo). Va però rilevato che, anche nei casi più favorevoli, ogni soluzione del sistema ridotto richiede qualche compromesso al contorno, sicché occorrerebbe, per il rigore, aggiungere sempre, o quasi sempre, una distribuzione correttiva a carattere estensio-flessionale interessante però, per virtù di smorzamenti (molto sensibili quando la soluzione aflessionale esiste e la vòlta è sottile, solo le zone contigue ai bordi proprio così come avviene per le vòlte secondo superfici di rotazione agli anelli alla base ed al lucernario, dai quali anelli si dipartono momenti e sforzi di taglio rapidamente decrescenti procedendo dal basso verso l'alto o viceversa.
Integrando le [2] si ha:
f1 (ψ), f2 (ψ) essendo funzioni arbitrarie di ψ. Queste si debbono certo considerare giacché derivando rispetto ad x dette espressioni di S e T1 si ricostituiscono, indipendentemente dalle f1 ed f2, le originarie equazioni. La loro determinazione va fatta in base alle condizioni limiti sui timpani, così ad es., con riguardo al carico permanente (peso proprio) se
con g peso per unità di superficie della vòlta, si trova, quando i timpani siano liberamente appoggiati, per una vòlta di luce 2 l, essendo x= 0 al mezzo, quindi x = ± l aghestremi, che è f1 (ψ) = 0. Ciò segue dall'antisimmetria di S rispetto ad x = 0, cioè, parlando alla buona, dall'esser nullo il taglio al mezzo trave ed uniforme il carico. Per f2 (ψ) infine, dovendo essere T1 = 0 per x = ± l, ciò che significa ammettere che i timpani possono uscire, deformandosi, dal loro piano, segue una espressione tale per cui si ha, come subito si riconosce,
Si constata da . queste prime considerazioni come, per avere un equilibrio possibile, deve essere, se ψ = ± ψ0 sono le direttrici di bordo, T2 (ψ0) = 0 e quindi deve qui sempre annullarsi il carico Z; ciò sìgnifica semplicemente che in ψ = ± ψ0 i carichi debbono risultare tangenti alla vòlta. Per il peso proprio ciò avviene certamente se le tangenti sono verticali: la direttrice secondo la semicirconferenza, la semiellisse, la cicloide, ben soddisfano a queste condizioni. Se avvenisse che in T2 (ψ0) ≠ 0, l'equilibrio si può ancora raggiungere pensando saldato ai bordi un elemento, in realtà una trave, capace di sostenerlo, ma si richiede per sanare le discontinuità che sorgono sul cordone di saldatura l'intervento della teoria flessionale, ciò che dà automaticamente gravi difficoltà di calcolo. Va rilevato ancora che per il carico permanente non si riesce a rendere nullo al bordo il taglio S. Per compensarlo si deve introdurre un elemento lineare, in realtà una trave di piccola altezza, corrente lungo le due generatrici ψ = ± ψ, capace di sopportare lo sforzo di trazione
Questo elemento può essere, al limite, un tirante saldato e reso omogeneo con le generatrici di bordo; è perciò detto tirante del bordo (Zugglied). Ma così non si vieta certo una discontinuità tra le sollecitazioni indotte da Z nel tirante e quelle esistenti in ψ = ± ψ0 nella vòlta. Sanarla si può però con l'aggiunta di uno stato di sollecitazione estensionale (e flessionale) correttivo adottando i criterî già impiegati per il calcolo delle vòlte prismatiche; solo che le formole per gli sforzi indotti dalle incognite azioni e reazioni (allora gli sforzi Sj,j+1 e Sj,j-1) applicati alle generatrici di attacco non sono calcolabili con formole semplici come sono quelle fornite dalla teoria elementare della fessione composta. Interviene allora la teoria estensio-flessionale generale cui si è accennato, a meno che le dimensioni trasversali non sieno piccole in raffronto a quelle longitudinali e non sia garantita una pratica indeformabilità della direttrice.
Fortunatamente, per i tipi ordinarî di vòlta, anche questo regime correttivo si estingue tanto rapidamente, quando dal bordo si procede verso il vertice, che si può anche trascurarlo.
Se si prende riguardo a direttrici di equazione intrinseca del tipo
(per n = − 1, 0, 2, 3 si ha ordinatamente la cicloide, il cerchio, la catenaria e la parabola), si constata che non sono mai possibili, per il peso proprio, ragionevoli o salvabili soluzioni aflessionali per la catenaria, rispettivamente per la parabola, e ciò atteso il non annullarsi, anzi il crescere di T2 verso i bordi dove assume il valore massimo (e ciò è assai più grave che il non annullarsi di S). Da qui l'assenza di ogni capacità di autoportanza, e ciò nel senso che, ai timpani, non vien trasmesso alcun carico. Di conseguenza, se la vòlta è priva di resistenza flessionale, si affloscia immediatamente. Se una resistenza flessionale c'è, allora le direttrici possono provvedere a distribuire lungo esse i carichi in modo che risulti effettivamente un annullarsi di T2 con il crescere di ψ sicché avvenga la loro trasmissione ai timpani attraverso la flessione della direttrice.
Segue da questo fallimento della catenaria e della parabola rispetto alle altre curve considerate, il criterio induttivo per il disegrio di una vòlta secondo cui la direttrice deve sempre sovrastare la linea delle pressioni dei carichi; ciò avviene, ad es., per la cicloide, il cerchio e l'ellisse (v. fig. 10), o per un arco di cerchio d'apertura 〈 π con travi verticali saldate ai bordi.
Ponendo la [3] nelle [2] per n = − 1 e rispettivamente n = 0, si ha:
L'osservazione di queste espressioni è essenziale per la comprensione del gioco statico di cui si tratta: T2 si annulla ai bordi, cioè non occorre imposta; gli sforzi di taglio assorbono T2 con il crescere di ψ e lo riportano, naturalmente, sui timpani. Questi, per reggere, debbono essere capaci di prendere insieme la spinta totale della vòlta. Quanto ad S, raggiunge in
il valore massimo mentre dovrebbe esser nullo. Per equilibrarlo occorre pensare a quel tirante di bordo, cui si è alluso, capace di uno sforzo che, per la cicloide, e rispettivamente per il cerchio, vale:
Z è, evidentemente, uno sforzo di tensione, concentrato, che vale in valore opposto, i T1 diffusi sulla direttrice x = cost. e tra loro non compensati (come avverrebbe per un diagramma alla Navier). Detto sforzo Z forma con la distribuzione di T1 una coppia dì momento necessariamente eguale ed opposto a quello globale dei carichi esterni.
Così si trova per la semicirconferenza che il momento globale in mezzeria M = R•πgl2/2 è effettivamente eguale al momento di Z e della distribuzione T1 = T1 (ψ) con la quale forma coppia: si ha effettivamente,
Come si vede (cfr. fig. 11 riferita ad una direttrice ellittica con varî rapporti tra gli assi) si è lontani dai diagrammi lineari di Navier, ai quali si sarebbe tentati di arrivare applicando alla vòlta le ordinarie formole per la flessione di una trave cava ordinaria di forma corrispondente alla direttrice. Una tale applicazione potrebbe però esser anche legittima, quando le dimensioni trasversali fossero piccole in raffronto a l. Una tale affermazione non si spiega certo in base a quanto precede, ma ciò dipende dall'esser le precedenti deduzioni valide solo in un ambito abbastanza ben determinato, oltre il quale le soluzioni estensio-flessionali correttive, cui si è alluso, modificano così sostanzialmente il regime dei veli, da portare, come non può essere diversamente, al limite (poniamo per
automaticamente alle soluzioni di Navier. La fig. 12 dà il diagramma della T1 per vòlte circolari con travi saldati ai bordi.
Non si può qui neanche far cenno ai metodi di calcolo di questi complessi regimi statici: si tratta di metodi di cui l'adozione sistematica è estremamente penosa, sicché la si supera accontentandosi di trarre da essi so li criterî discriminativi sulla validità o meno delle soluzioni aflessionali. In ogni caso merito del Jacobsen l'aver indicata una via che consentirà di seguirli sino al numero, quando saranno completate certe preliminari tabellazioni. Per completezza si rilevi che si possono pensare incurvate le generatrici; allora si ottengono (fig. 13) le cosiddette superfici di traslazione (ove si pensino le direttrici traslate sempre parallelamente tra loro) molto efficaci, ma di difficile costruzione in opera.
Si possono pensare superfici rigate ottenute come in figg. 14, 15, 16, con che si genera, nella superficie, un gioco di archi e di catene che si impostano e amarrano ai bordi, generando sforzi di taglio che conviene sempre tener presenti per evitare sorprese che il generalmente facile regime statico può anche far dimenticare, sicché avviene che la vòlta si distacca dai timpani e rovina; sia pure senza conseguenze gravi attesa la sua naturale leggerezza. Si richiama ancora la nozione di moltiplicatore critico λcr, dei caricni (v. stabilità, in questa App.) al quale si collega la sicurezza da infestonamenti o avvallamenti che la viscosità (del calcestruzzo) può aumentare nel tempo sino alla rovina dell'opera. Si dimostra, e l'esperienza conferma, come poche nervature irrigidenti (di forma) consentano di superare situazioni difficili evitando inutili ortotropie con nervature dense, anche diagonali, atte, più che altro, a sopraffare le caratteristiche di queste strutture di tante risorse.
Bibl.: G. Krall, Strutture in foglio, volte-travi e volte secondo superfici di traslazione, in Questioni di matematica applicata, Bologna 1939, pp. 37-101; A. Aas Jacobsen, Sur le calcul de la voûte cylindrique circulaire, in Travaux, 21, p. 529, 1937; id., Ueber das Randstörungsproblem an Kreiszylinderschalen, in Bauing., 1939, pp. 394-405; F. Dischinger, Die strenge Theorie der Kreiszylinderschale, in Beton u. Eisen, 34, 1935, p. 257; W. Flügge, Statik u. Dynamik der Schalen, Berlino 1934; F. Airmond, Voiles minces en paraboloïde hyperbolique, in Mem. Ass. Int. Ponts et Charpentes, 1936; G. Krali, Stabilità dell'equilibrio nelle volte autoportanti, in Rend. Acc. Lincei, 1946 e segg.