Voltaire
Pseudonimo di François-Marie Arouet (Parigi 1694-ivi 1778). Arguto polemista e autore poligrafo (storiografo, divulgatore, tragediografo, poeta), «interprete per eccellenza della mentalità illuministica» e «patriarca» del cenacolo intellettuale dei Philosophes (P. Casini). «Genio straordinario e versatile», V. divenne emblema dell’intellettuale moderno, «portatore di ideali etici e civili, testimone e giudice del proprio tempo», ispiratore di un nuovo statuto della storiografia e della letteratura (non più sinonimo di vuota erudizione bensì di tenace impegno educativo), e strenuo difensore di un evoluto concetto di tolleranza religiosa (R. Pasta). Proveniente da una famiglia della migliore borghesia francese di fede giansenista, V. maturò un precoce atteggiamento critico nei confronti dell’assolutismo monarchico e dell’Europa di antico regime, anche attraverso la frequentazione dei circoli libertini, e fu pertanto costretto all’esilio in Inghilterra (1726-29), Paese di cui divenne indefesso ammiratore. La pubblicazione delle Lettere inglesi (1734) gli valse nuove condanne in patria, in ragione dell’ardore con cui difese la superiorità di quei modelli sociali, economici e politici (la monarchia parlamentare, il liberalismo). L’entusiasmo con cui intraprese l’opera di traduzione e divulgazione degli studi di I. Newton (Elementi della filosofia di Newton, 1737) contribuì a riavvicinarlo alla più alta cultura europea e determinò l’inizio del sodalizio intellettuale e sentimentale con la studiosa Émilie Le Tonnelier, moglie del marchese Claude du Châtelet (relazione che d’altra parte gli attirò nuove accuse di immoralità). Una significativa parte della corte parigina si volse in quegli anni al pensiero illuminista, orientamento che garantì a V. la nomina a storiografo di Francia e l’ingresso nell’Académie Française (1746). Tuttavia a causa del suo spiccato spirito critico V. rifiutò sempre di piegarsi al compromesso politico, a scapito di qualsivoglia durevole rapporto con l’assolutismo monarchico. L’ostilità degli ambienti più conservatori, e infine degli stessi sovrani, lo costrinse puntualmente a interrompere il pur proficuo dialogo intrapreso con alcune delle corone più illuminate d’Europa (Federico II di Prussia, Caterina II di Russia) e con la Svizzera calvinista. La maggior parte della sua produzione letteraria non vide la luce in Francia, cui V. fece ritorno solo negli ultimi anni di vita. La Rivoluzione francese conferì il crisma dell’ufficialità e della pienezza a questa estrema riconciliazione (1791) e decretò anzi la consacrazione trionfale di V. (annoverato tra i grandi spiriti della patria, degni di sepoltura nel Pantheon). L’originalità e la grandezza di V. sono soprattutto testimoniate dai capolavori del quindicennio 1751-65, al termine del quale maturò il suo distacco filosofico e politico dal gruppo dell’Encyclopédie (1751-66), cui egli aveva inizialmente aderito con grande convinzione. V. prese le distanze dalla componente più radicale dei «lumi», rappresentata dal materialismo di d’Holbach, e dalla posizione contrattualista di J.J. Rousseau. A differenza di quest’ultimo, egli fu incapace di aperture prospettiche di impronta democratica, e come Montesquieu rimase piuttosto sostenitore della monarchia costituzionale, esperita dagli inglesi. La sua originaria visione antimetafisica e anticristiana, espressa nel Candido (1759), elaborato in polemica con Leibniz, e nel corso dell’accesa campagna degli anni Sessanta contro l’infâme (la superstizione, il fanatismo religioso e il dogmatismo, incarnati in specie dal cattolicesimo), maturò nel celebre Trattato sulla tolleranza (1763) e nel Dizionario filosofico (1764), nel pieno sostegno accordato all’opera di C. Beccaria (1765) e nella Storia di Jenni (1775), in risposta ai lavori di d’Holbach. Identificando l’ateismo col supremo male morale V. promosse l’idea della religione e della tolleranza religiosa come strumenti dell’«incivilimento», ovvero della lotta contro i tradizionali abusi della teologia e del potere ecclesiastico, frutto della convergenza tra religione e istituzioni politiche. Sul piano storiografico, il suo pensiero approdò al rifiuto deliberato e consapevole dell’Historia salutis, in favore di una nuova storia universale (R. Bizzocchi), frutto di una metodologia storica oggettiva, al termine di un percorso speculativo iniziato all’alba dell’Età moderna (L. Valla, Erasmo, N. Machiavelli). La produzione storiografica di V. (Secolo di Luigi XIV, 1751; Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, 1756; Filosofia della storia, 1764) sancì pertanto la nascita dell’autocoscienza storica moderna, ovvero della storia come scienza autonoma dalla teologia, dalla morale e capace di sfatare il mito della superiorità degli antichi.