Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Rappresentante massimo del pensiero del secolo dei Lumi, di cui incarna la nuova figura di intellettuale moderno, Voltaire opera una critica dei sistemi metafisici secenteschi in nome dell’empirismo di Locke e della nuova scienza di Newton. Nella sua opera di filosofo e di polemista egli sottopone agli strumenti della ragione ogni ambito conoscitivo e, all’interno di un universo ordinato da leggi generali, sottrae l’uomo e la sua storia a ogni concezione provvidenzialistica. Il deismo di Voltaire, basato sull’esistenza di un Essere supremo e su una religione priva di culti si ricollega all’idea di una tolleranza universale considerata come imprescindibile e necessaria per la propria epoca.
Se la filosofia dell’Illuminismo si caratterizza essenzialmente come quell’attitudine intellettuale che ritrova nella ragione e nella critica lo strumento per comprendere il mondo e per rifiutare ogni concezione basata sull’autorità o sulla tradizione e se la sua aspirazione fondamentale è quella di applicare questo principio in ogni ambito intellettuale, dalla fisica alla filosofia, dalla storia alla poesia, dalla religione alla politica, Voltaire è probabilmente il pensatore che meglio nel suo secolo riassume e incarna la figura di questo nuovo intellettuale e che più chiaramente rappresenta lo spirito del secolo dei Lumi. Per lui infatti, come per gli altri philosophes del suo secolo, la filosofia non costituisce più una professione separata o un momento meramente speculativo, quanto piuttosto un’attitudine intellettuale in cui l’uso della ragione si esprime in maniere differenti, che non escludono la polemica e la propaganda. Così la critica filosofica assume sotto la penna di Voltaire le forme più diverse, dal saggio filosofico al racconto, dalla tragedia alla trattazione storica.
Tra Parigi, Londra, Berlino e Ginevra: vita e opere di un intellettuale cosmopolita
Filosofo, poeta, drammaturgo, romanziere, storiografo, Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, nato a Parigi da una famiglia borghese, frequenta il collegio gesuitico Louis-le-Grand e si iscrive poi alla facoltà di giurisprudenza mostrando immediatamente spiccate doti letterarie. Nel 1718 va in scena a Parigi, alla Comédie Française, con un successo immediato e straordinario la tragedia Edipo, critica nei confronti dell’assolutismo politico e religioso. Nel 1723 pubblica clandestinamente La Henriade, poema epico in 10 libri sul modello dell’Eneide incentrato sulla figura di Enrico IV, dove prende posizione contro ogni fanatismo religioso e a favore della tolleranza.
Dopo un breve periodo di carcere alla Bastiglia nel 1726 per una lite con il cavaliere di Rohan (Guy-Auguste de Rohan-Chabot, 1683-1760) Voltaire sceglie l’esilio volontario in Inghilterra. Qui, introdotto da Bolingbroke, è presentato a corte e frequenta le maggiori personalità della vita politica e culturale. Il soggiorno inglese, durato più di due anni (rientra in Francia nel novembre del 1728), permette a Voltaire di conoscere a fondo la tradizione empirica e il deismo inglesi nonché le filosofie di Locke e di Newton, che rimarranno alla base del suo pensiero e di cui si farà interprete nella cultura filosofica francese. Le sue Lettere filosofiche o Lettere inglesi, in cui difende la filosofia di Newton contro quella di Descartes e avanza il tema della tolleranza religiosa, vengono pubblicate per la prima volta in inglese a Londra nel 1733 e hanno poi un’edizione francese l’anno seguente. Malgrado la prudenza che il nostro autore tenta di mantenere – scrive in una lettera del 1732 “devo dissimulare a Parigi ciò che potrei dire ad alta voce a Londra” – l’opera viene condannata nel giugno del 1734 dal parlamento di Parigi e Voltaire si rifugia a Cirey, nel castello di Madame du Châtelet. La sua attività intellettuale si esplica ormai in ambiti differenti: pubblica in Olanda nel 1738 gli Elementi della filosofia di Newton, una difesa della nuova scienza esposta in un linguaggio chiaro e comprensibile, va in scena con successo nel 1741 la tragedia Maometto o il fanatismo e compone nel 1747 nel castello di Sceaux, presso la duchessa del Maine, i primi racconti filosofici, tra cui Zadig e Il mondo come va.
La morte nel 1749 di Madame du Châtelet getta Voltaire nella disperazione ma non ne blocca l’attività. Si reca infatti nel 1750 in Germania alla corte di Federico II soggiornando prima a Potsdam e poi a Berlino; nel 1752 pubblica la prima edizione del Secolo di Luigi XIV e il racconto filosofico Micromega. Acuitesi le tensioni con Federico II, parte da Berlino nel marzo del 1753 per rientrare in Francia l’anno successivo. Nel dicembre del 1754 raggiunge Ginevra e l’anno seguente si trasferisce in una proprietà battezzata “Les Délices”, fuori Ginevra. Alla notizia del tremendo terremoto di Lisbona del primo settembre 1755, Voltaire reagisce con il Poema sul disastro di Lisbona, nel quale accentua quegli elementi pessimistici che già si erano affacciati nelle sue opere precedenti.
Nel 1758 acquista il feudo di Ferney in Francia al confine con la Svizzera: vi si trasferisce nel 1760 e vi fa costruire un castello che sarà la sua residenza fino agli ultimi mesi prima della morte. Ferney diventa così meta di un pellegrinaggio intellettuale e filosofico europeo da dove il nostro “patriarca” mantiene scambi intellettuali e conduce una serrata propaganda filosofica contro la superstizione e l’intolleranza.
Frattanto pubblica nel 1756 il Saggio sui costumi e nel 1759 il Candido, il più famoso tra i suoi racconti filosofici, mentre è coinvolto a Ginevra nelle polemiche successive alla pubblicazione dell’articolo “Ginevra”, apparso nel settimo tomo dell’Enciclopedia (1757) a firma di d’Alembert e ispirato dai colloqui avuti da questi con Voltaire. In questo articolo d’Alembert difende la tolleranza di Ginevra, pur condannando le limitazioni relative agli spettacoli teatrali, e mostra di apprezzare lo spirito “sociniano” dei pastori calvinisti i quali non proporrebbero nessun dogma contrario alla ragione.
Con gli anni Sessanta l’offensiva di Voltaire nei confronti delle religioni rivelate e a favore del deismo e della tolleranza religiosa si fa sempre più capillare e incisiva. Ne scaturiscono opere di ispirazione diversa ma tutte fortemente impegnate sul versante polemico. Ne è esempio il Trattato sulla tolleranza, pubblicato anonimo a Ginevra nell’autunno del 1763; in questo scritto Voltaire prende spunto dall’ingiusta condanna a morte di Jean Calas (1698-1762), commerciante ugonotto di Tolosa accusato di avere strangolato il figlio per impedirne la conversione al cattolicesimo, per riabilitare la memoria di questo sventurato e comporre un manifesto in difesa del valore universale della tolleranza religiosa. Il Dizionario filosofico pubblicato nel 1764 prosegue la battaglia contro i pregiudizi e l’intolleranza e avanza una serrata critica biblica in nome del deismo e di una religione razionale. In questi anni Voltaire pubblica anche la Filosofia della storia (1765) – dedicata a Caterina II di Russia e poi premessa come capitolo introduttivo al Saggio sui costumi –, Il filosofo ignorante (1766), il Commento sul libro dei delitti e delle pene (1766), – un’attenta analisi dell’opera maggiore di Cesare Beccaria –, e interviene con le Idee repubblicane (1766) nei conflitti politici interni alla repubblica di Ginevra. Continua inoltre a comporre racconti filosofici quali L’Ingenuo (1767), La principessa di Babilonia (1768) o La storia di Jenni (1775), a cui si affiancano altri scritti di polemica filosofica o religiosa quali Le questioni sull’Enciclopedia (1766, edizione definitiva 1772) o La Bibbia infine spiegata (1776).
Tornato a Parigi nel febbraio del 1778 per rappresentarvi la commedia Irène, accolta trionfalmente il 30 marzo alla Comédie Française, è ricevuto all’Accademia di Francia e acclamato dalla folla come “l’uomo dei Calas”. Muore a Parigi il 30 maggio a quasi 84 anni; al fine di evitare polemiche viene sepolto in maniera semiclandestina nel cimitero dell’abbazia di Scellières. Per voto dell’Assemblea nazionale i suoi resti verranno poi trasferiti al Panthéon nel luglio del 1791 accanto a quelli di Rousseau.
Tradizione inglese e critica filosofica
L’esperienza inglese risulta centrale per l’evoluzione del pensiero filosofico e politico di Voltaire e le Lettere filosofiche o Lettere inglesi raccolgono la sintesi di questa nuova elaborazione e rappresentano nella cultura francese un importante momento di rottura con la tradizione. Nelle 25 lettere che compongono questo scritto Voltaire affronta alcuni nuclei teorici rappresentati dalla religione (lettere 1-7), dal pensiero politico e civile (lettere 8-10), dall’analisi filosofica e scientifica (lettere 11-17) per considerare poi problemi legati alla letteratura e alle istituzioni culturali (lettere 18-24) e confrontarsi infine nella lettera 25 con il pensiero di Pascal. Il quadro che ne scaturisce è assolutamente originale. Voltaire non solo recupera il pensiero di Locke e critica l’innatismo cartesiano e la negazione del vuoto sostenuta dall’autore del Discorso sul metodo, ma, in opposizione a Descartes e a ogni istanza metafisica, prende le difese della teoria newtoniana e del nuovo metodo sperimentale, sostenendo anche la necessità del ricorso alla vaccinazione contro il vaiolo, a cui dedica un’intera lettera (lettera 11). Voltaire esalta il clima di libertà civile, di ricerca scientifica e di tolleranza religiosa che ritrova in Inghilterra e contrappone il quadro dinamico della società inglese a quello statico della Francia di ancien régime, bloccata da istanze feudali (spesso rappresentate dai parlamenti) e da un oscurantismo religioso e confessionale. Così, pur senza proporre un preciso programma politico, questo testo avanza istanze innovative e denuncia la superstizione, il fanatismo e il dogmatismo metafisico come elementi capaci di bloccare ogni progresso culturale e civile. Voltaire associa il nuovo modello di sviluppo borghese e mercantile dell’Inghilterra a un ideale laico nel quale la tolleranza religiosa e la critica filosofica svolgono un ruolo essenziale. L’esempio della borsa di Londra è a questo proposito illuminante. La borsa è descritta come un luogo rispettabile dove cittadini di diverse confessioni coabitano pacificamente, spinti dalla ricerca di una comune utilità e dove è considerato “infedele” solamente colui che fa bancarotta. Per questa ragione – conclude Voltaire – “se in Inghilterra ci fosse una sola religione, si dovrebbe temere il dispotismo; se ce ne fossero due, si taglierebbero la gola; ma ce n’è una trentina, e vivono in pace e felici” (lettera 6). A questa libertà religiosa corrisponde poi un’ampia libertà politica, in quanto il potere del re è regolato e il popolo partecipa al governo pacificamente. Inoltre la mancanza di pregiudizi teologici e la ricerca antidogmatica basata sulle teorie di Bacone, di Locke e di Newton ha permesso il raggiungimento di nuove conquiste scientifiche e culturali, rinforzate da nuovi strumenti organizzativi quali le accademie. Nell’ultima lettera dedicata a Pascal, Voltaire intende “prendere le difese dell’umanità contro questo sublime misantropo”; del resto egli si confronterà varie volte nel corso della propria vita con l’autore dei Pensieri, di cui non potrà mai accettare il pessimismo metafisico e la sofferta religiosità legati a un’idea giansenista di peccato e di colpa. Voltaire oppone a Pascal un ideale di concretezza e di equilibrio che rimanda a un uso accorto e critico della ragione e a una religione razionale – il deismo – priva di culti e riconducibile ai soli principi della morale.
Le Lettere filosofiche, definite da Gustave Lanson “la prima bomba lanciata contro l’antico regime”, vengono immediatamente condannate dal parlamento di Parigi nel giugno del 1734 come pericolose per la religione e per l’ordine civile. Ma l’ideale filosofico e scientifico esposto nelle Lettere filosofiche non sarà mai abbandonato dal nostro autore, che nei testi successivi sosterrà con le dovute varianti i principi qui esposti, riproponendo i temi della critica a ogni metafisica e a ogni apologetica cristiana in nome della tradizione filosofica inglese, del deismo e della tolleranza religiosa.
François-Marie Arouet de Voltaire
Come rimediare al fanatismo
Fanatismo
Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio sta alla febbre e come la rabbia sta alla collera. Chi ha delle estasi, delle visioni, e scambia i sogni e le proprie immaginazioni per profezie, è un entusiasta; chi la propria follia con il delitto, è un fanatico. (...)
Una volta che il fanatismo ha incancrenito un cervello, la malattia è quasi incurabile. Ho visto dei convulsionari i quali, parlando dei miracoli di san Pâris, si eccitavano a poco a poco, loro malgrado: gli occhi si infiammavano, le loro membra tremavano, il furore sfigurava il loro volto, e avrebbero ammazzato chiunque li avesse contraddetti.
Non c’è altro rimedio a questa malattia epidemica che lo spirito filosofico, il quale, diffuso di luogo in luogo, finirà con l’addolcire i costumi degli uomini, e col prevenire gli accessi del male; perché non appena il male fa qualche progresso bisogna fuggire, non c’è che aspettare che l’atmosfera si purifichi. Le leggi e la religione non valgono contro questa peste degli animi; la religione, lungi dall’essere per loro un cibo salutare, si trasforma in veleno per i cervelli infetti.
Voltaire, Dizionario filosofico, Torino, Einaudi, 1995
Una nuova concezione della storia e dell’uomo
Accanto al Voltaire deista e critico dei grandi sistemi metafisici secenteschi vi è anche un Voltaire che mostra una precisa vocazione di storico in opere quali Il secolo di Luigi XIV, la Storia della Russia sotto Pietro il Grande (1759) o il Saggio sui costumi. Tutti questi scritti hanno come obiettivo critico una visione della storia finalizzata a concezioni teleologiche o a istanze provvidenzialistiche, per Voltaire emblematicamente incarnate dal Discorso sulla storia universale di Bossuet. La scrittura di Voltaire si stacca dalle maniere tradizionali di comporre opere storiche; egli infatti ricostruisce i cambiamenti considerando le variazioni nei costumi, nelle arti e nello spirito umano e ponendo in secondo piano le successioni dinastiche o le vicende belliche. Inoltre, in opposizione a un’idea provvidenzialistica della storia, egli elabora una nuova concezione che dilata il quadro prospettico al di fuori dell’Europa cristiana. La vicenda del popolo ebraico e la Bibbia non godono più di uno spazio privilegiato e la cronologia biblica è storicizzata e ridiscussa entro un orizzonte cronologico più ampio che si apre a civiltà nuove quali la persiana, la caldea o quella cinese. Quest’ultima anzi è idealizzata come esempio di civiltà nella quale una morale naturalistica verrebbe a unirsi a una religione priva di dogmi e di inutili principi teologici e in questo simile al deismo. Tale ampliamento spaziale e temporale dell’orizzonte storico permette a Voltaire di togliere ogni carattere finalistico e provvidenziale alla storia che viene letta come un’attività umana regolata da leggi generali; in tal modo l’atteggiamento razionale messo in atto dallo storico nella ricostruzione dei fenomeni sociali è simile a quello del naturalista che analizza i fenomeni fisici. Voltaire compie in tal modo una vera e propria desacralizzazione del mondo storico che rientra a pieno titolo in quell’opera di “conquista del mondo storico” che secondo l’Ernst Cassirer de La filosofia dell’Illuminismo (1932) è uno dei lasciti più rilevanti che il XVIII secolo abbia consegnato alle epoche successive.
Ma la filosofia di Voltaire si esprime anche in una forma tipicamente settecentesca che ritrova nel nostro autore una perfezione e un equilibrio mai più raggiunti in seguito. Si tratta dei racconti filosofici in cui Voltaire cela la propria critica corrosiva e i propri orientamenti filosofici sotto i tratti dell’ironia e della satira. Nei racconti filosofici l’invenzione letteraria e la polemica filosofica si uniscono in una originale forma narrativa che permette a Voltaire di avanzare la propria visione dell’uomo e del mondo. La prosa irriverente e lieve dei racconti fa assumere alla filosofia la veste della divagazione e dell’invenzione fantastica e mostra come l’attitudine polemica di Voltaire sappia utilizzare differenti forme di comunicazione letteraria. In Candido, il più famoso dei racconti filosofici, si seguono le disavventure del protagonista che svelano le assurde pretese dell’ottimismo leibniziano. Ma la vicenda di Candido non è solo un espediente per dibattere “sul male fisico e morale”, in relazione al quale Voltaire, a differenza di Leibniz, non ha ricette salvifiche da proporre, o per alludere a un destino incomprensibile che lascia l’uomo solo e senza risposte in un universo infinito. Voltaire avanza anche, nell’immagine finale di Candido che coltiva il proprio giardino, una lezione di sopravvivenza contro le avversità storiche e naturali. In effetti, nel 1759, pochi anni dopo il terremoto di Lisbona, Voltaire non si crea più illusioni sulla felicità umana e considera la posizione dell’uomo, all’interno di un universo newtoniano di cause ben ordinate, come inessenziale o del tutto trascurabile. Ciononostante egli rifiuta la soluzione metafisica di chi come Pascal riconduce l’uomo alla sua corruzione originaria e alla sua invincibile inclinazione al male. L’uomo non è vittima del peccato originale e il suo destino non rientra in nessun piano provvidenziale. L’uomo è così come è – come si sostiene ne Il mondo come va (1746) e come si ribadisce nel Candido –, un insieme di bene e di male, di cose vili e di pietre preziose, che bisogna accettare in quanto tale senza cercare di fornire una spiegazione filosofica. Voltaire approda così a uno scetticismo intriso di realismo, dove l’empirismo di Locke e l’idea newtoniana di un Dio “orologiaio” dell’universo non riescono a fornire alcuna risposta sul senso ultimo dell’esistenza. E non a caso tale attitudine scettica verrà ribadita pochi anni dopo ne Il filosofo ignorante.
Deismo e tolleranza religiosa
Nel corso degli anni Sessanta Voltaire definisce meglio la propria concezione teologica basata su un deismo che ha alla propria base l’idea di un Essere supremo organizzatore del mondo e autore delle leggi di natura e di una religione priva di culti e di dogmi e riconducibile a una semplice morale naturale. Come si legge alla voce “Teista” del Dizionario filosofico, il “teista” – qui sinonimo di deista – “crede che la religione non consista né nelle opinioni di una metafisica incomprensibile, né in vani apparati, ma nell’adorazione e nella giustizia”. La difesa e la propaganda del deismo e la condanna delle religioni storiche sono allora al centro del Dizionario filosofico. E il grido di guerra écrasez l’enfâme (“distruggete l’infame”) – rivolto alla Chiesa in quanto rappresentante dell’intolleranza e della superstizione –, che ricompare spesso nella corrispondenza di quegli anni, mostra il coinvolgimento emotivo del nostro autore in questo suo impegno ideale. In articoli di critica religiosa e filosofica quali “Cristianesimo” o “Fanatismo”, “Superstizione” o “Religione”, “Filosofo” o “Ateo, ateismo”, Voltaire non solo combatte su due fronti, contro le religioni storiche da un lato e contro l’ateismo dall’altro, ma ricollega il proprio deismo all’idea di tolleranza. Ma la tolleranza religiosa, che già era stata al centro di opere quali l’Henriade o le Lettere filosofiche, viene ora ricollocata all’interno di una più ampia critica delle religioni storiche e diventa l’oggetto di una vera e propria campagna propagandistica.
“Che cos’è l’intolleranza? È l’appannaggio dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze ed errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura”: con queste parole si apre l’articolo “Tolleranza” del Dizionario filosofico, apparso nel giugno del 1764, un anno dopo la pubblicazione nell’estate del 1763 del Trattato sulla tolleranza. Diversi per intenzioni e per programmi – il Trattato sulla tolleranza intende riaprire il processo sul caso Calas e rilanciare l’idea di tolleranza presso i grandi e la corte mentre il Dizionario filosofico è un testo militante e di propaganda filosofica – queste due opere hanno comunque al centro quell’idea di tolleranza che Voltaire considera irrinunciabile. Le pagine di questi scritti comunicano l’idea della necessità di una tolleranza universale basata sul rifiuto di credenze superstiziose o dogmatiche. Così, nei capitoli finali del Trattato sulla tolleranza, “Della tolleranza universale” (capitolo 22) e “Preghiera a Dio” (capitolo 23), si ripropone l’ipotesi di un Dio razionale e geometra ma si rilancia anche l’idea di una disparità tra l’ordine e l’eternità dell’universo e la fragilità e l’imperfezione umane. Da qui l’invito a che gli uomini si sopportino gli uni gli altri e si considerino tra di loro fratelli. “Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!”: è questo il messaggio ultimo che ci lascia il Trattato sulla tolleranza.
François-Marie Arouet de Voltaire
Il destino dell’uomo è di essere schiavo
Eguaglianza
Che cosa deve un cane a un cane, e un cavallo a un cavallo? Niente, nessun animale dipende dal suo simile. Ma l’uomo, avendo ricevuto il raggio della Divinità che si chiama “ragione”, quale frutto ne ha? Quello di essere schiavo in quasi tutta la terra.
Se questa terra fosse ciò che sembra dover essere, vale a dire se l’uomo vi trovasse dappertutto una sussistenza facile e sicura, e un clima adatto alla sua natura, è chiaro che sarebbe stato impossibile a un uomo asservirne un altro. Se questo globo fosse coperto di frutti salutari; se l’aria che deve contribuire alla nostra vita non ci desse più malattie e morte; se l’uomo non avesse bisogno d’altro albergo e d’altro letto che quello dei daini e dei caprioli; allora i Gengis-Kan e i Tamerlani non avrebbero altri servitori che i loro figli, i quali sarebbero abbastanza retti da aiutarli nella loro vecchiaia.
In quello stato così naturale, di cui godono tutti i quadrupedi, gli uccelli e i rettili, l’uomo sarebbe felice quanto loro, la dominazione sarebbe allora una chimera, un’assurdità alla quale nessuno penserebbe: perché cercare dei servitori, quando non si ha bisogno di alcun servigio?
Se passasse per la testa a qualche individuo di spirito tirannico e di braccia nerborute di asservire il proprio vicino meno forte di lui, la cosa risulterebbe impossibile: l’oppresso sarebbe lontano cento leghe prima che l’oppressore potesse prendere le sue misure.
Tutti gli uomini sarebbero dunque necessariamente uguali, se fossero senza bisogni. La miseria connessa alla nostra specie subordinata un uomo a un altro uomo; non l’ineguaglianza è la vera disgrazia, ma la dipendenza. Importa poco che un uomo si chiami Sua Altezza, e un altro Sua Santità: ma è duro servire l’uno o l’altro.
Una famiglia numerosa ha coltivato un buon terreno; due piccole famiglie vicine hanno campi ingrati e ribelli: bisogna che le due famiglie povere servano la famiglia ricca, o che la scannino, la cosa è evidente. Una delle due famiglie povere va ad offrire le sue braccia a quella ricca per avere del pane; l’altra va ad assalirla, ed è battuta. La famiglia serva è l’origine dei domestici e dei braccianti; la famiglia battuta è l’origine degli schiavi.
È impossibile, nel nostro sciagurato globo, che gli uomini che vivono in società non siano divisi in due classi: una di oppressori, l’altra di oppressi; e queste due si suddividono in mille altre, e queste mille hanno ancora diverse sfumature.
Voltaire, Dizionario filosofico, Torino, Einaudi, 1995
Ma se l’idea di tolleranza si collega teoricamente al deismo di Voltaire e alla sua peculiare concezione della fragilità e debolezza umana, essa viene anche a costituire un importante strumento politico. Pensatore non sistematico ed essenzialmente polemico, Voltaire in ambito politico si mostra ammiratore della libertà inglese, si schiera a favore di un dispotismo illuminato di cui vede possibili rappresentanti in Federico II di Prussia o in Caterina II di Russia e prende infine posizione nelle lotte interne alla repubblica di Ginevra. Entro tale relativismo politico, secondo il quale ogni Stato deve avere quella forma di governo che meglio ne rispetti i costumi e le specificità, Voltaire si fa paladino della libertà dell’individuo e dei diritti del cittadino. Egli è infatti convinto – come mostra anche il suo impegno personale a favore della tolleranza – che i diritti civili possano essere garantiti da uno Stato in cui si trovino uniti libertà politica e tolleranza religiosa. La categoria di tolleranza diventa in tal modo non solo lo strumento per ridefinire i rapporti tra lo Stato e le religioni in esso professate, ma anche la condizione dell’esercizio di una libertà economica e politica nel quale la sfera soggettiva riesca ad esprimersi pienamente.