Vedi VOLTERRA dell'anno: 1966 - 1997
VOLTERRA (v. vol. VII, p. 1198)
I dati raccolti nell'ultimo trentennio hanno consentito una lettura più articolata dello sviluppo storico della città.
Città e necropoli. - L'individuazione sull'acropoli di un probabile fondo di capanna con materiali riferibili a una fase avanzata della prima Età del Ferro (fine Vili sec. a.C.) ha fatto ipotizzare che l'area più elevata della città fosse sede del primo nucleo insediativo urbano, polo sinecistico delle comunità abitanti sulle pendici del colle che avevano le proprie aree di sepoltura nelle zone di Badia-Guerruccia e Ripaie.
I complessi tombali qui rinvenuti presentano materiali di estremo interesse, in particolare i cinerarî e i bronzi «villanoviani» che consentono di determinare una prima fase (IX sec. a.C.), largamente unitaria e prima non documentata, che mostra chiari rapporti, almeno sul piano della produzione bronzistica, con la precedente fase ultima di Bronzo Finale. A questo periodo vanno attribuiti anche alcuni frammenti rinvenuti in giacitura secondaria presso la stessa necropoli delle Ripaie.
Quest'ultima, utilizzata dal IX sec. a.C. al III sec. d.C., offre numerosi altri elementi di riflessione quali la struttura della tomba Q1 (630-610 a.C.), vera e propria miniaturizzazione di thòlos. Essa è contraddistinta, oltre che dal persistente uso del rito incineratorio entro dolio fittile decorato a cordoni rilevati (caratteristico all’ager volaterranus), da un impianto architettonico ancora dipendente dalle sepolture entro camere litiche di tradizione tardo-villanoviana, precedentemente note da esempî delle necropoli di Badia-Guerruccia. Un arỳballos del Protocorinzio Medio, proveniente da una delle sepolture della necropoli, unico esemplare d'importazione fra i materiali recuperati, è indizio di probabili relazioni fra V. e centri della costa tirrenica, già dal tardo VII a.C. Populonia e forse Pisa possono essere state le intermediarie per l'area interna di merci e influssi greco-orientali noti da sporadici quanto significativi monumenti quali la stele di Avile Tite (560-550 a.C.) 0 la più recente «Testa Lorenzini» (intorno al 480 a.C.).
Con il tardo VI sec. l'acropoli vede affermarsi un'edilizia di tipo santuariale, testimoniata dal rinvenimento di terracotte di II fase, tra le quali una sima frontonale simile a tegole terminali aretine.
Contemporaneamente, una vistosa lacuna documentaria si evidenzia sul fronte delle necropoli e dei rinvenimenti urbani, sporadicamente colmata dal recupero di ceramiche attiche a figure nere (acropoli, Piazza dei Priori, area suburbana nord-occidentale) e rosse (cratere da Montebradoni, acropoli). Tale lacuna è stata imputata a diversi fattori: frana e distribuzione della necropoli di Badia-Guerruccia (dove peraltro sarebbero stranamente conservate tombe dell'VIII-VII e del IV-I sec. a.C.); ristrutturazioni edilizie che avrebbero comportato la sconsacrazione di aree cemeteriali venute a trovarsi all'interno del circuito murario o leggi antisuntuarie non dissimili da quelle coeve romane.
In realtà la necropoli delle Ripaie, conservata integralmente poiché esclusa dalle caotiche ricerche sette-ottocentesche, non presenta testimonianze riferibili al VI-V sec., segno palese di decremento demografico, forse imputabile alla concomitanza di fattori sfavorevoli a un'economia prettamente agricola e al conseguente richiamo dei centri mercantili della costa.
Non va trascurata l'espansione etrusca a Ν dell'Appennino, alla quale parteciparono sicuramente nuclei volterrani, a partire dalla fine del VI sec. ma che affonda le sue radici, probabilmente, già nella tarda Età del Ferro. Una conferma del fenomeno è la presenza, a Felsina, del gentilizio volterrano Caicna in tre stele su un totale di quindici iscritte.
Nel IV sec. le invasioni galliche e la pressione delle popolazioni liguri determina nell'Etruria settentrionale una contrazione della tendenza espansionistica dei secoli precedenti, favorendo un incremento demografico e una ripresa delle attività agricole della città, che si dota di una possente cinta muraria difensiva.
Il potere oligarchico con i suoi estesi latifondi che raggiungono lo sbocco marino dei Vada sulla costa tirrenica, garantirà a V. un lungo benessere, consolidato da una politica di buoni rapporti con l'emergente potenza romana.
L'acropoli non mostra vestigia particolarmente significative fino al III sec., epoca alla quale va riferito il c.d. tempio Β come recentissime indagini hanno confermato, ma dovevano esistere edifici santuariali anteriori, risalenti almeno al IV secolo.
Il tempio «B» di tipo tuscanico e solo parzialmente conservato, misura secondo una stima attendibile m 22,40x36. L'altro grande edificio templare «A» è sicuramente posteriore al precedente e ha una pianta di forma rettangolare allungata (m 27,50x30) con proporzioni non dissimili da quelle del Tempio di Giunone Licinia a Norba. A questo edificio è stato riferito un importante nucleo di terrecotte architettoniche rinvenute in tempi diversi e in differenti condizioni di giacitura. Il ciclo coroplastico volterrano non trova riferimenti in ambito locale, ma presenta affinità piuttosto con rilievi in pietra tenera tarantini ed è da datarsi negli anni finali del III secolo.
Iscrizioni vascolari di recente acquisizione hanno consentito di ipotizzare che in epoca anteriore alla costruzione dei due templi tardo-ellenistici, sull'acropoli fosse praticato il culto della massima divinità catactonia maschile, Tinia Infero, e del suo corrispettivo femminile.
Per il periodo successivo all'assorbimento di V. sotto il diretto controllo romano, la documentazione archeologica urbana diventa estremamente scarsa e rarefatta. Merita un approfondimento l'ipotesi di restauri alla Porta all'Arco sul lato occidentale delle mura urbane (in particolare le teste di selagite inserite a decorazioni della medesima) effettuato dopo l'assedio sillano (81-79 a.C.).
La coeva produzione artistica e artigianale di un certo livello (urne cinerarie in tufo e alabastro) testimonia il graduale progresso della romanizzazione nei varî aspetti della vita quotidiana; tale processo si completa verso la metà del I sec. d.C. e viene comprovato, ancora in ambito funerario, sia dall'ara cineraria, monumento romano per tipologia architettonica e motivi ornamentali, che chiude la serie cronologica di sepoltura all'interno di una tomba dei Caecinae nella necropoli del Portone, sia dall'uso della lingua latina per i nomi sulle ultime urne cinerarie a cassa e coperchio con defunto semirecumbente.
Quale ulteriore argomento di discussione sulle spinte alla romanizzazione a V. pesa la recente scoperta nel territorio di un frammento epigrafico menzionante la probabile presenza di una colonia nella città etrusca. Il nuovo dato rilancia le questioni dello status giuridico di V. nel periodo tra Siila e l'età augustea e della privazione - mai però pienamente realizzata - di parte dei diritti acquisiti dal centro etrusco con il riconoscimento dello status di municipio dopo la guerra sociale.
In età imperiale, dal punto di vista topografico e architettonico, la città, al pari di altri centri dell'Etruria settentrionale, vive un periodo di notevole attività edilizia, non a caso coincidente con le fortune di alcuni membri della famiglia di origine volterrana dei Caecinae presso la corte imperiale augustea e giulio-claudia a Roma.
Un recente progetto di ricerca (1987-1991) ha precisato ulteriormente la cronologia del complesso romano di Vallebuona, formato da teatro, porticus post scaenam e terme, permettendo di precisare qualità e apparato decorativo delle singole componenti monumentali sulla base dei materiali rinvenuti nell'area a partire dai primi scavi negli anni 1950-1953, o in deposito presso il Museo Guarnacci. Le indagini sistematiche nell'area di Vallebuona hanno inoltre permesso di escludere la supposta presenza nel versante nord-orientale di un tempio dedicato alla Bona Dea.
Le indagini stratigrafiche hanno definitivamente accertato che il grande muro poligonale emergente non era pertinente a un tempio, bensì costituiva un'opera di terrazzamento di età ellenistica, probabile parte dell'arredo monumentale di questo versante del colle.
La diacronia delle fasi edilizie d'epoca romana in Vallebuona inizia nel periodo medioaugusteo e prototiberiano con la realizzazione del teatro da parte di due Caecinae, e prosegue attraverso varie fasi di abbellimento, una delle quali vede l'ampliamento della porticus post scaenam sui lati E-O.
L'alta qualità e la ricchezza d'impiego dei marmi profusi nella decorazione teatrale (nel 1978 nel canale del proscenio fu rinvenuto un ritratto di Tiberio, dopo le due teste di Augusto e quella di Livia), documentano l'attenzione dei Caecinae per lo splendore e il decoro della città. Tale gesto rientra in un fenomeno strutturale quale l'evergetismo privato con finalità pubbliche, abbastanza generalizzato e diffuso nella società romana a partire dall'età augustea: in tal modo V. partecipa alla diffusa fioritura dell'urbanistica pubblica, nonché ai gusti e alle tendenze artistiche e culturali del tempo.
Il livello di prosperità di V. sembra continuare, tra luci e ombre, anche nel III sec. d.C. e nella parte iniziale del IV; anzi, i repentini eventi calamitosi alla base di cambiamenti funzionali nell'uso dei monumenti pubblici, testimoniati dalla cessata attività come teatro dell'edificio in Vallebuona verso la metà del III sec. d.C. e confermati da analoghe e coeve trasformazioni ludiche in altri centri, sono alla base di una nuova fase edilizia urbana tra metà III e inizî del IV sec. d.C.
L'esistenza, sin dalla metà del III sec. d.C., di terme sul versante O del colle volterrano, presso la Porta di San Felice, è coeva o precede di poco la costruzione nell'impluvio della porticus post scaenam di un secondo impianto termale, ornato con materiali di reimpiego dal vicino teatro. Si conferma così l'alto livello di vita associativa e pubblica di V. non solo per i primi due secoli dell'era moderna, ma anche per gli inizi del basso periodo imperiale, nonostante affiorino i primi sintomi di degrado urbanistico con la rovina dell'area templare dell'acropoli e l'obliterazione di alcune cisterne.
Museo Guarnacci. - Nel 1985 la vasta Biblioteca guarnacciana e l'Archivio Storico Comunale, collocati nell'ultimo piano del Palazzo Desideri-Tangassi, sede del museo, sono stati trasferiti nell'adiacente Palazzo Vigilanti.
L'iter prevede una scelta significativa di monumenti del periodo villanoviano, orientalizzante e arcaico, per proseguire poi nel momento della massima fioritura economica e artistica di V., quello dal IV al I sec. a.C. Particolare attenzione è stata rivolta alla problematica estremamente complessa del monumento-chiave dell'ellenismo volterrano, l'urna cineraria, per la prima volta stabilmente restituita al suo contesto di appartenenza e la tomba familiare, con l'esposizione di numerosi complessi tombali proveniente dagli scavi degli anni '60 e '70 nelle necropoli di Badia e del Portone, fino a questo momento non visibili al pubblico.
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