VULCA
. Artista veiente del sec. VI a. C. che, secondo la tradizione, fu chiamato a Roma per la decorazione scultorea del primo tempio di Giove Capitolino. Il suo nome ci è tramandato da Plinio (Nat. Hist., XXXIII, 111) che ci dice aver egli fatto per il tempio il simulacro fittile del dio e una statua di Ercole. Questo simulacro, veneratissimo dai Romani e ricordato da parecchi scrittori, fu conservato al suo posto per oltre quattro secoli e andò distrutto nell'incendio dell'83 a. C.
Le caratteristiche che gli antichi scrittori dànno a questa statua, dalla faccia rossa che, quando era ridipinta o meglio unta ogni anno, riprendeva una grande vivacità; l'ammirazione che per essa aveva Catone; l'affermazione ripetuta dagli antichi che prima del principio del sec. V tutte le opere d'arte a Roma erano etrusche, non lasciano alcun dubbio che il simulacro descritto da Varrone fosse del sec. VI. Rinvenimenti di terrecotte templari sul Campidoglio e le fondamenta del tempio confermano tale età; ma la conferma definitiva è avvenuta dalla scoperta dell'Apollo di Veio (Roma, Museo di Villa Giulia) e delle altre statue fittili del gruppo di Apollo ed Ercole in lotta per la Cerva, di cui l'Apollo fa parte. Tali statue, per il confronto con opere greche e con altre opere etmsche indubbiamente della fine del sec. VI, sono perfettamente coeve alla tradizione di Vulca; perché se è vero che il Tempio Capitolino secondo la tradizione fu iniziato da Tarquinio Prisco, dalla stessa tradizione è fatto terminare dal Superbo e inaugurare dai primi consoli nel 509 a. C., ed è verosimile che il simulacro e il resto della decorazione scultorea siano stati eseguiti nell'ultimo periodo.
Tali concordanze fanno assegnare a V. il gruppo dell'Apollo di Veio; inoltre i confronti stilistici con questo gruppo fanno attribuire con fondatezza alla scuola di V. anche la Lupa Capitolina.
Bibl.: La tradizione letteraria dell'esistenza di V., che era stata negata dalla critica storica, è stata pienamente riconfermata dalla scoperta di G. Q. Giglioli delle sculture veienti, e dallo studio che egli stesso ne fece, gettando le basi di tutta una nuova valutazione dell'arte etrusca. Lo scritto fondamentale è la pubblicazione da lui fatta nelle Notizie degli Scavi (1919, p. 30 segg.). V. inoltre: G. Q. Giglioli, in Antike Denkmäler, III, fasc. 5, pp. 56-59; id., L'ate etrusca, Milano 1935, pp. xxxiv-xxxvi, tav. CXC segg.; A. Springer-A. Della Seta, Storia dell'arte, I, Bergamo, pp. 491, 494; P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1926, p. 254.