VUOLVINIO
Artista considerato il maestro principale tra gli autori del c.d. altare d'oro della basilica di S. Ambrogio a Milano, unico esemplare carolingio in metalli nobili conservato.
La prova storica relativa alla persona di V. è fornita da un rilievo a sbalzo in argento dorato, collocato sul lato posteriore dell'altare - sul quale egli viene definito "Magist(er) phaber" e qualificato come chierico (monaco) dall'abito - in posizione parallela a quella del rilievo di dedicazione del committente "Domnus Angilbertus", secondo arcivescovo di Milano con questo nome (824-859; v. Angilberto II), rappresentato come vivente con il nimbo quadrato; entrambe le figure vengono incoronate dal patrono della chiesa.Ricerche onomastiche indicano come più probabile luogo d'origine di V. la Germania, o meglio la Germania meridionale. Il nome ricorre in documenti relativi a personaggi dell'alta nobiltà e, inoltre, nei libri confraternitatum dell'abbazia di San Gallo, della Reichenau e della Rheinau, e più volte anche in Italia settentrionale, per es. a Verona. Le grafie sono varie: Vuolvin, Vuolvene, Vuolvinius, Vuolfinus, ma per lo più Vuolvini (cinque volte a San Gallo, venti volte nella Reichenau; Hlawitschka, 1960). Le ipotesi secondo cui V. potrebbe essere stato originario di Tours (Tatum, 1944) oppure della Bretagna (Lipinsky, 1942) appaiono invece erronee.L'assegnazione di V. a una determinata cerchia stilistica si può basare solamente sull'analisi dell'altare di Milano. È da notare in primo luogo una differenza materiale, iconografica e stilistica tra la fronte principale dell'altare, in oro, raffigurante Cristo in trono con gli apostoli e il ciclo cristologico in dodici scene, rispetto al lato posteriore, in argento dorato, nel quale compaiono il ciclo della Vita di s. Ambrogio e la dedicazione sulla fenestella confessionis, collegate da una doppia liturgia caelestis lungo i lati brevi. Le differenze consentono di riconoscere l'attività di quattro diversi artisti nella realizzazione dell'opera (Bascapé, 1969), che però appare condotta secondo una concezione unitaria sul piano figurativo, su quello plastico dei rilievi e sotto l'aspetto della tecnica orafa.È verosimile assegnare il lato materialmente e iconograficamente più importante dell'altare al maestro principale, che è possibile identificare in Vuolvinio. Su questo lato si riconosce soprattutto l'influenza della scuola di corte carolingia, mentre il retro mostra influssi legati all'ambito artistico dell'Italia settentrionale, con possibilità di confronto con il c.d. codice di Egino (Berlino, Staatsbibl., Phill. 1676) e con un manoscritto delle Homiliae di Gregorio Magno (Vercelli, Bibl. Capitolare, CXLVIII); vanno ricordate anche le assonanze stilistiche con la scuola di Tours (per es. con la Prima Bibbia di Carlo il Calvo; Parigi, BN, lat. 1). Nella concezione d'insieme sembrano invece essere stati di particolare importanza gli influssi romani.Assai istruttivo risulta il confronto dell'altare d'oro con il c.d. arco di Eginardo - noto da un disegno del sec. 17° (Parigi, BN, fr. 10440, c. 45) -, che costituisce la prima opera attestata di oreficeria di epoca carolingia comprendente un programma iconografico figurato, da assegnare al successore di Alcuino, consigliere artistico di Carlo Magno e di Ludovico il Pio, trasferitosi da Fulda ad Aquisgrana in una data intorno all'830. È possibile accostare l'arco all'altare di Milano per la concezione artistica e iconografica, per le insistenti componenti romane e anche per dettagli di carattere tecnico (Elbern, 1997a).Altri elementi che riconducono l'altare d'oro alla scuola di corte di Carlo Magno sono i motivi degli smalti che vi compaiono, a loro volta già presenti in un manoscritto eseguito ad Aquisgrana intorno all'800 (Parigi, Ars., 599). Ciò potrebbe gettare ulteriore luce anche su una lettera, nella quale si parla di un giovane artista inviato a Eginardo, anch'egli da Fulda ad Aquisgrana (MGH. Epist., V, 1898-1899, p. 137s, nr. 57). Il suo nome, Vussin, ha fatto pensare a un errore di grafia per Volfin (Buchner, 1919); nel medesimo contesto vanno ricordate inoltre l'amicizia e la fraternità di preghiera tra l'arcivescovo Angilberto II e l'abate Teodoro di Fulda (MGH. Epist., V, 1898-1899, p. 532). L'origine artistica di V., che - grazie a questi dati - si può ipotizzare legata al centro della scuola di corte carolingia, in rapporto con una città ricca di tradizioni come Milano e con la stessa Roma, potrebbe ben spiegare la sua eccezionale opera in S. Ambrogio.Enigmatica rimane l'immagine, unica nel suo genere, di S. Ambrogio che incorona parallelamente l'arcivescovo e il magister phaber. La rappresentazione del maestro in ogni caso non può essere intesa senza l'espressa approvazione del committente di alto livello, che volle in tal modo onorare l'eccezionale prestazione di un maestro rinomato, che, prima di completare l'opera, aveva forse ricevuto la 'corona della vita', morendo. Tale ipotesi appare plausibile se si concorda con gli studi più recenti, che assegnano la cronologia del cimelio a una fase avanzata dell'arcivescovato di Angilberto, a una data di poco precedente l'850. Se inoltre la valutazione, spesso discussa e differenziata, delle parti principali dell'altare d'oro fosse effettivamente corretta, a V. andrebbe comunque attribuita, in quanto maestro principale, la faccia frontale in oro, eccezionale sia sotto l'aspetto materiale sia sotto quello del contenuto tematico. L'attribuzione appare tanto più verosimile, in quanto questa parte dell'altare rappresenta il punto di avvio destinato a condurre allo sviluppo del c.d. style Charles-le-Chauve della seconda metà del 9° secolo.
Bibl.: J. Braun, Der Paliotto in St. Ambrogio zu Mailand, Stimmen aus MariaLaach 57, 1899, pp. 294-314; M. Buchner, Einhard als Künstler, Strassburg 1919, p. 58ss.; N. Tarchiani, L'altare d'oro di S. Ambrogio di Milano, Dedalo 2, 1921-1922, pp. 5-37; H. Deckert, Der Paliotto von Sant'Ambrogio in Mailand, MarbJKw 1, 1924, pp. 268-272; H. Leclercq, s.v. Milan, in DACL, XI, 1, 1933, coll. 983-1102: 1021; s.v. Vuolvinus, in Thieme-Becker, XXXIV, 1940, p. 588; A. Lipinsky, Vuolvinius Magist. Phaber, RivA 24, 1942, pp. 1-10; G. de Francovich, Arte carolingia ed ottoniana in Lombardia, RömJKg 6, 1942-1944, pp. 113-255; G.B. Tatum, The Paliotto of Sant'Ambrogio at Milan, ArtB 26, 1944, pp. 25-47; E. Tea, Arti minori nelle chiese di Milano, Milano 1950, p. 24ss.; K.H. Usener, Eine neue These über den Mailänder Paliotto (Beiträge zur Kunst des Mittelalters), Berlin 1950, p. 104ss.; V.H. Elbern, Der karolingische Goldaltar von Mailand, Bonn 1952, p. 99ss.; A. Ottino della Chiesa, L'Altare d'oro di S. Ambrogio e la Pace di Ariberto, Milano 1955, p. 10ss.; E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien, Freiburg im Brsg. 1960, pp. 25, 48ss., 292ss.; C. Bascapé, Note sull'Altare d'oro di S. Ambrogio. I due fianchi: problemi di stile e di attribuzione, Arte lombarda 14, 1969, 2, pp. 36-48; P. Lasko, Ars Sacra 800-1200, Harmondsworth 1972, p. 50ss.; E. Cattaneo, La tradizione ambrosiana come esperienza culturale religiosa cittadina, "Atti del 10° Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Milano 1983", Spoleto 1986, pp. 119-136: 123 n. 14; M. Ferrari, Manoscritti e cultura, ivi, pp. 241-275; V.H. Elbern, Die karolingische Goldschmiedekunst in Mailand, ivi, pp. 293-315; Il Millennio ambrosiano, a cura di C. Bertelli, I, Milano, una capitale da Ambrogio ai Carolingi, Milano 1987; V.H. Elbern, Die Goldschmiedekunst im frühen Mittelater, Darmstadt 1988, p. 65ss.; id., s.v. Volvinio, Dizionario della Chiesa ambrosiana VI, 1993, pp. 4020-4021; S. Bandera, L'Altare d'oro di Sant'Ambrogio, Milano 1995; L'Altare d'oro di Sant'Ambrogio, a cura di C. Capponi, Milano 1996, p. 98; V.H. Elbern, Einhard und die karolingische Goldschmiedekunst, in Einhard. Studien zu Leben und Werk, a cura di H. Schefers, Darmstadt 1997a, pp. 157-178: 175; id., s.v. Vvolvini, in Lex. Mittelalt., VIII, 1997b, col. 1883; id., rec. a L'Altare d'oro, 1996, Jahrbuch für Kunstgeschichte 2, 1998, pp. 352-356.V.H. Elbern