BINNI, Walter
Nacque a Perugia il 4 maggio 1913, unico figlio di una famiglia di origini in parte aristocratiche, in parte borghesi-terriere. Il padre Renato, come il nonno, era farmacista ed esercitava la professione nella propria farmacia, situata nella piazza del Duomo. La madre, Celestina Agabiti, sorella dello scrittore Augusto Agabiti, fu figura centrale nella vita del figlio, che le rimase sempre profondamente legato.
Fino a diciotto anni Walter visse e studiò a Perugia, ispiratrice di molte pagine autobiografiche che posero la città al centro delle proprie più significative esperienze. Ricevette fin da bambino un'educazione mirata all’inserimento presso la classe dirigente locale frequentando una scuola elementare privata con pochissimi e scelti scolari. Attraversò i primi anni del fascismo respirando in casa un’atmosfera di consenso nei confronti del regime, soprattutto da parte del padre che lo iscrisse ai balilla.
Già negli inquieti anni dell’adolescenza, turbati da dissapori familiari, si manifestò la sua netta propensione per gli studi. Trascorreva molto tempo nelle sale di lettura della Biblioteca Augusta a consultare volumi di antiche cronache perugine e leggere classici del pensiero storico, romanzi e poeti italiani e stranieri, in particolare Carlo Michelstaedter e i vociani, esercitandosi anche in scritture personali, poetiche e narrative.
Il 1931 va considerato, per sua stessa ammissione, l’anno ‘decisivo’ per il futuro critico militante: nel momento conclusivo dei suoi studi liceali, l’italianista Guido Mazzoni, presidente della commissione d’esame, lo esortò a partecipare al concorso nazionale per l’ammissione alla Scuola Normale di Pisa. Il giovane accettò il suggerimento in contrasto con il padre che lo avrebbe voluto farmacista al proprio fianco. Risultò primo al concorso e la comunicazione gli arrivò in forma di telegramma firmato dal segretario della Scuola, il perugino Aldo Capitini, destinato ad assumere una funzione centrale nello sviluppo del concittadino diciottenne.
Ebbe inizio, così, per il giovane Binni un’esperienza di vita autonoma, arricchita da conoscenze sia di natura privata (è a Pisa che, nel 1932, conobbe la compagna di studi Elena Benvenuti, lucchese, alla quale fu legato da un sentimento destinato a durare tutta la vita) e intellettuale (dai maestri, gli italianisti Attilio Momigliano e Luigi Russo, lo storico dell’arte Matteo Marangoni, il linguista Giorgio Pasquali, ai compagni di studi e amici Vittore Branca, Giuseppe Dessì, Delio Cantimori, Carlo Ludovico Ragghianti, Claudio Varese).
L’ambiente pisano si rivelò ricco di occasioni e di stimoli: la Scuola Normale, diretta da Giovanni Gentile, costituiva un crogiuolo di intelligenze e di idee. Capitini ne era uno degli elementi più attivi e, intorno a lui, si ritrovavano molti giovani insofferenti della retorica fascista. Nei primi mesi del 1933, uno di essi, brillante studioso di filosofia, Claudio Baglietto, compì un atto di disobbedienza al regime che costò il posto di segretario della Scuola a Capitini, costretto a far ritorno nella dimora della famiglia paterna, ubicata presso la torre campanaria del palazzo dei Priori: luogo che divenne mèta di innumerevoli pellegrinaggi da parte del giovane Binni, sempre più legato al pensiero e alla personalità di Capitini. Come testimonia la loro corrispondenza e soprattutto la loro vita, il rapporto tra i due si consolidò negli anni nonostante le diversità di alcuni aspetti (l’uno, Aldo, più vecchio di quindici anni, credente, se pur di una religione libera; Walter ateo fino alla fine dei suoi giorni), ma ugualmente impegnati nella ricerca di una dimensione morale dell’esistenza («maestro adatto al mio spasimo per la virtù e per il coraggio delle idee», scrisse di Capitini il più giovane amico) e interessati alle manifestazioni della poesia e dell’arte con passioni comuni, come quella che li univa a Michelstaedter e soprattutto a Leopardi.
L’allontanamento di Capitini dalla Normale provocò un cambiamento negli atteggiamenti di numerosi studenti nei confronti del regime, sempre più mal tollerato. Binni a posteriori definì questo come un periodo di sostanziale 'afascismo', in cui rapidamente avvenne per lui il distacco dalla cultura dominante. Furono mesi importanti per la sua formazione di studioso: nel 1932 si dedicò alla lettura integrale di Leopardi; l’anno successivo si impegnò nella lettura di classici francesi e tedeschi, dedicandosi anche allo studio delle due lingue.
A ventun anni, nel 1934, scrisse come tesina di letteratura italiana un testo che venne pubblicato con il titolo Linea e momenti della poesia leopardiana (in Sviluppi delle celebrazioni marchigiane: uomini insigni del Maceratese, Macerata 1935, pp. 77-97), primo della lunga serie di interventi critici che nel corso della vita Binni dedicò all’interpretazione di Leopardi. Se molte delle idee critiche che animano questa lettura del ventunenne allievo normalista oggi risultano superate e furono poi accantonate dallo stesso critico nei suoi successivi interventi; se il saggio appare schematico nel presentare una vicenda intellettuale e creativa ricca e multiforme come quella leopardiana, stretta nella rigida opposizione fra fase idillica e fase eroica, manifestava però un’originale interpretazione, che spostava l’attenzione critica verso gli ultimi canti (la zona fino ad allora meno accettata della produzione leopardiana), insistendo sulla forza di quella poesia rispetto alla precedente: elementi, questi, che divennero categorie critiche generatrici dell’innovativo libro del 1947, La nuova poetica leopardiana.
Nel 1936, Binni, che veniva definendo il suo profilo di intellettuale anche tramite la collaborazione al periodico del Gruppo universitario fascista (GUF) pisano, il Campano, con articoli di carattere politico e letterario, pubblicò presso Sansoni la tesi con cui si era laureato nel giugno del 1935, La poetica del decadentismo italiano (Firenze 1936). Il libro venne accolto con interesse negli ambienti antifascisti, per la sua prospettiva europea e per l’attenzione alla stagione letteraria recente, guardata con atteggiamento polemico dalla cultura di regime. Binni leggeva la produzione italiana ed europea riconducibile alla categoria del decadentismo entro l’ottica metodologica della 'poetica', che, mutuata in parte dal maestro Luigi Russo (anche come strumento critico antagonistico all’idealismo crociano) e approfondita teoricamente e affinata negli anni a venire, costituì lo strumento più originale del suo fare critico.
In questi anni decisivi andò definendosi il suo radicale antifascismo, sostenuto dalla collaborazione sempre più intensa con Capitini, grazie al quale Perugia divenne un centro importante della cospirazione contro il regime: a ogni suo ritorno nella città natale, Binni era vicino a Capitini con il quale non interruppe mai i rapporti. Nel 1936 era ormai inserito pienamente nelle attività clandestine non solo a Perugia, ma nelle reti nazionali.
La sua vita procedette, dunque, sul doppio binario della militanza antifascista e dell'affermazione del percorso professionale: nel 1936 ottenne un posto di perfezionamento alla Normale, supplendo Luigi Russo con corsi di letteratura e critica; concluse brillantemente l’iter normalistico, sostenendo l’esame finale con Gentile e con Gaetano Chiavacci; vinse il concorso per l’insegnamento di italiano e storia presso gli istituti tecnici superiori e ottemperò all’obbligo del servizio militare. Dopo il successo della Poetica del decadentismo, alcune tra le più importanti riviste letterarie, quali La Nuova Italia, Leonardo, Letteratura, accettarono la sua collaborazione. Nel 1938 insegnò all’istituto tecnico A. Bordoni di Pavia. Nel frattempo veniva ampliandosi la mappa delle sue relazioni grazie alla conoscenza di alcune tra le figure di maggior spicco della politica e della cultura di quegli anni. Nei suoi spostamenti tra Firenze, Torino, Milano, Bologna, Padova, Roma conobbe, tra gli altri, Eugenio Montale, Elio Vittorini, Tristano Codignola, Cesare Luporini, Franco Fortini, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Ferruccio Parri, Giuseppe Raimondi, Concetto Marchesi, Manara Valgimigli, Guido Calogero, Pietro Ingrao, Ugo La Malfa.
Dal 1939 fu chiamato presso l’Università per stranieri di Perugia (dove insegnò fino al 1945). Il ritorno nella città natale coincise con alcuni eventi personali: il matrimonio con Elena (dalla quale ebbe due figli: Francesco e Lanfranco, che si sarebbe in seguito dedicato alla valorizzazione dell'opera paterna) e la morte precoce della madre. Binni aveva ventisei anni e aveva già definito le linee essenziali della sua vita, destinate a rimanere coerenti in una dialettica continua fra aspetti personali, professionali, tensioni civili. Fu lo stesso Capitini a riconoscere che dal suo più giovane amico Walter gli era venuto l’invito a formare un vero e proprio movimento politico che, con la partecipazione di Guido Calogero, si tradusse nel liberalsocialismo, il cui primo manifesto programmatico venne pubblicato nel 1940, anno in cui Binni fu richiamato alle armi e inviato sul fronte francese e jugoslavo. Dopo il congedo, ritornò a insegnare a Perugia presso l’Università per stranieri e nel 1942 conseguì la libera docenza.
In questo periodo riuscì a lavorare a un saggio alfieriano (Vita interiore dell’Alfieri, Bologna 1942), in cui applicava il suo metodo storico-critico, ispirato alla poetica, manifestando con decisione la propria propensione a lavorare su autori a lui particolarmente congeniali: di Alfieri (cui avrebbe dedicato altri studi negli anni a venire) affermava di condividere la passione politica, antitirannica, anticlericale, anticattolica.
Tra il 1942 e il 1945, senza mai abbandonare gli studi e gli interventi di critica letteraria, rivolse il suo impegno soprattutto all’azione politica vissuta con il rigore e l’entusiasmo dettato dalle speranze di quegli anni 'indimenticabili'. Definito, in un'informativa del prefetto, soggetto «del tutto scalmanato», sovversivo e violento, partecipò alla Resistenza aderendo al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), il partito socialista ricostituito nel 1942. Come rappresentante di tale partito fu nella prima giunta comunale nominata dal Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Perugia, alla vigilia della liberazione della città da parte delle truppe alleate; e dette il proprio contributo intellettuale, in veste di redattore, al Corriere di Perugia, settimanale di informazione politica del CNL del quale Capitini era direttore. Nel giornale, ampio spazio era occupato dall'esperienza politica e sociale attuata da Capitini a Perugia dopo la liberazione, i Centri di orientamento sociale (COS); si trattava di un movimento, o più propriamente di un laboratorio politico, ispirato a una forma di democrazia diretta, aperta ai partiti ma soprattutto al ceto popolare. A questa esperienza, che lo mise in contatto con gente appartenente a uno strato sociale così diverso da quello aristocratico-borghese delle sue origini, Binni riconobbe poi un grande valore formativo, affermando con fermezza la propria posizione di «pertinace e volontario alleato della classe proletaria». Fino al 1946 fu quasi interamente occupato nell’impegno militante nelle complicate vicende della sinistra: il suo lavoro politico all’interno del PSIUP andava nella direzione, condivisa con la corrente romana di 'Iniziativa socialista', di autonomia rispetto ai comunisti, in una prospettiva volta a costruire un socialismo radicale, coerente con la formazione liberalsocialista. Per queste sue posizioni, che si opponevano, tra l’altro, alla commistione fra vecchio gruppo socialista e massoneria, Binni fu duramente attaccato e fu addirittura privato dell’incarico di insegnamento presso l’Università per Stranieri (poi riattivato grazie all’intervento del sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Carlo Ludovico Ragghianti). Gli ostacoli non attenuarono la passione civile di Binni che in ogni occasione, sia scrivendo (in particolare su Il Socialista e poi su Europa socialista, la rivista diretta da Ignazio Silone) sia intervenendo nelle sezioni di partito con grande efficacia oratoria, difendeva la sua idea di socialismo integrale.
Eletto deputato per la circoscrizione Perugia-Terni-Rieti, visse la grande stagione dell’Assemblea Costituente. Il suo impegno fu rivolto in primo luogo alla difesa della scuola pubblica. Nel ricordare il discorso tenuto nella seduta del 17 aprile 1947, è opportuno sottolineare la qualità letteraria della gran parte degli interventi politici di Binni, autore non solo di saggi critici ma anche di prose di ispirazione etico-civile, che, insieme con quelle di altri intellettuali della sua generazione, possono essere considerate parte di un vero e proprio genere letterario novecentesco. Come pagina di vibrante forza letteraria può leggersi il breve intervento con cui, nell’ultima seduta della Costituente, Binni commemorò la morte di Gandhi, «grande anima», in cui era manifesta, ancora una volta, la condivisione ideale con Capitini.
In un periodo così impegnativo nella vita pubblica e politica (nel febbraio del ’47, a seguito del duro scontro all’interno del PSIUP e alla conseguente scissione, decise di rimanere fuori dai due Partiti socialisti, entrando da indipendente nel Gruppo parlamentare del nuovo partito di Saragat), e tanto faticoso per gli spostamenti settimanali da Roma a Perugia, Binni riuscì comunque a produrre numerosi saggi letterari in riviste e ben tre libri di critica letteraria, pubblicati tutti nel 1947: Preromanticismo italiano (Napoli), La nuova poetica leopardiana (Firenze), Metodo e poesia di Ludovico Ariosto (Messina-Firenze).
I tre libri sono apparentati da un orientamento metodologico antipositivistico e anticrociano e dall’applicazione del concetto di poetica, messo alla prova sia nella ricostruzione di grandi scenari culturali (è il caso della rilettura delle manifestazioni letterarie del secondo Settecento tramite la categoria storiografica del preromanticismo), sia nella definizione della personalità di un grande autore interrogato criticamente nella globalità della sua produzione (è il caso del volume ariostesco), sia nella lettura di una stagione poetica essenziale di Giacomo Leopardi. Ne La nuova poetica leopardiana, Binni riprese l’idea critica del suo primo saggio del 1935, in forma più distesa, più organica e più elaborata. All’interno del panorama critico il volume fu un intervento dirompente, di cui non si comprende la portata se non lo si connette al clima storico entro il quale prese forma, segnato dall’esperienza tragica del fascismo, della guerra, degli stermini e, al tempo stesso, dalla potente speranza di una rinascita civile. Il 1947, nella storia complessa e tormentata della ricezione di Leopardi, segnò, grazie a questo libro (in sintonia con altre letture coeve, la più significativa delle quali rimane quella di Cesare Luporini) una vera e propria svolta.
Con il 1947 si concluse anche l'esperienza parlamentare di Binni che scelse di non ripresentare la propria candidatura alle elezioni politiche del 1948, sottolineando l’inconciliabilità fra l'impegno politico e il lavoro universitario. Tale rinuncia non significò, peraltro, l’abbandono delle posizioni ideali del socialismo cui Binni dichiarava che non sarebbe mai venuta a mancare la propria adesione attiva e disinteressata.
Nel 1948, vinto il concorso di professore ordinario, ebbe inizio la vera e propria vita universitaria dello studioso perugino: la prima tappa fu Genova dove venne chiamato a insegnare letteratura italiana presso la facoltà di lettere e filosofia, e dove rimase fino al 1956, anno del trasferimento presso il magistero di Firenze. Furono anni in cui si dispiegò la sua energia intellettuale, con i corsi su figure e temi sette-ottocenteschi e numerose pubblicazioni (tra le quali deve essere ricordata la cura della monografia desanctisiana dedicata a Leopardi, che andava a inserirsi nel dibattito, apertosi nelle fila della sinistra, sul 'ritorno a De Santis') e i progetti editoriali (tra cui la collana I classici italiani nella storia della critica per i tipi della Nuova Italia).
Si andava contemporaneamente delineando il suo metodo didattico, aperto a favorire le potenzialità degli allievi più meritevoli, chiamati subito a feconde collaborazioni, tra le quali va ricordata l'organizzazione, dal 1953, di una rivista letteraria, diretta dallo stesso Binni, la Rassegna della letteratura italiana (ancora oggi tra le più autorevoli riviste di italianistica): obiettivo della rivista era quello di fornire un’informazione rigorosa (tramite le sezioni bibliografiche) e al tempo stesso promuovere un confronto aperto sulle questioni di metodo. Grazie a queste sue attività si formò a Genova una scuola, destinata ad ampliarsi con i trasferimenti successivi nelle università di Firenze e di Roma: tra i primi allievi, Franco Croce, Riccardo Scrivano, Giovanni Ponte.
L’anno della chiamata a Firenze segnò per Binni anche la ripresa dell’attività politica. Se a Genova la tensione civile si era tradotta in una vivace partecipazione alla vita culturale e politica della città, il periodo fiorentino, apertosi con avvenimenti di grande impatto nella compagine variegata della Sinistra in seguito ai fatti di Ungheria, lo riportò a proposte e azioni dirette che si tradussero nella formazione di un movimento di 'socialisti senza tessera', destinato a suscitare un vivo interesse presso molti intellettuali (nel 1959, Binni aderì al Partito socialista italiano - PSI).
Firenze era del resto un centro culturale di grande vitalità e gli anni che Binni vi trascorse furono arricchiti da rapporti con gruppi legati a riviste (Letteratura e soprattutto il Ponte) e istituzioni (il Gabinetto Vieusseux) e, soprattutto, dall'incontro con figure quali Eugenio Garin, Piero Calamandrei, Delio Cantimori, Cesare Luporini, Giacomo Devoto, Giorgio Spini e numerosi altri. Con molti di loro Binni condivise, di là dalle inevitabili divergenze di posizioni, la passione intellettuale che coniugava politica, cultura, etica, riversandosi nell’attività didattica. Anche gli anni fiorentini furono estremamente produttivi sul piano scientifico; nel 1963 uscirono tre volumi i cui argomenti erano stati approfonditi durante lo svolgimento dei corsi universitari: Poetica, critica e storia letteraria (Bari), Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Settecento (Firenze), L’Arcadia e il Metastasio (Firenze); e venne avviata (per l'editore Principato, in collaborazione con Riccardo Scrivano), un'originale Antologia della critica letteraria. Il saggio metodologico, Poetica, critica e storia letteraria, fondato sulla nozione di poetica e ispirato al superamento del tecnicismo e dei residui di crocianesimo, esprimeva compiutamente la convinta e appassionata rivendicazione del compito fondamentale del critico vòlto a ricostruire il profondo legame che ogni grande poeta ha con la realtà, alla quale non manca di ‘collaborare’. Questo libro suscitò, fin dal suo primo apparire, un grande interesse e un fecondo dibattito all’interno del quale si inserì anche un episodio di intolleranza accademica che ebbe come centro la rivista Paragone-Letteratura, diretta da Anna Banti, moglie di Roberto Longhi, che ne fu protagonista (la polemica si trasferì poi sulle pagine del quotidiano Paese sera). Binni, tenace e combattivo, era del resto persona tutt’altro che accomodante: a Firenze, aveva preso posizione, con azioni e con scritti, nei conflitti universitari contro il rettore a difesa delle lotte studentesche che erano scoppiate nel 1961; e in questo stesso anno appoggiò la marcia per la pace Perugia-Assisi, organizzata da Capitini.
Nel gennaio del 1964, Binni venne chiamato a insegnare alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma, dove rimase fino alla conclusione del suo itinerario universitario e della sua stessa vita. Anche i primi anni romani furono fervidi e fecondi. I corsi universitari leopardiani (raccolti più tardi nel volume Lezioni leopardiane) suscitarono entusiasmo nei giovani, affascinati dalle lezioni del nuovo professore dotato di rara capacità comunicativa. I seminari per studenti e laureandi costituirono nuovi modelli di studio che avrebbero portarono alla formazione di un folto gruppo di allievi (fra cui Giulio Ferroni, Amedeo Quondam, Guido Baldassarri, Pino Fasano, Biancamaria Frabotta, per citare solo i più noti). Ma i primi anni romani di Binni furono segnati anche dalle vicende che agitarono l’Ateneo culminanti il 27 aprile del 1966 con la morte dello studente socialista Paolo Rossi, precipitato dalla scalinata della facoltà di lettere in seguito a un tafferuglio provocato da un manipolo di studenti di destra.
Fu Binni a tenere, sulla scalinata del Rettorato, l’orazione funebre, durissimo atto di accusa contro il rettore Ugo Papi il quale fu costretto a dimettersi. Nell’esplosione della protesta studentesca che occupò i mesi successivi culminando nel 1968, Binni, pur fatto segno di attacchi dalle Destre, fu tra i docenti maggiormente impegnati, scrivendo e firmando documenti di forte coerenza politica e soprattutto moltiplicando il lavoro didattico con seminari aperti alle richieste studentesche. L’impegno politico, fuori e dentro l’Università, non pregiudicò il lavoro scientifico; in questi anni la sua produzione venne arricchendosi di altri testi: con l’allievo fiorentino che lo aveva seguito a Roma, Enrico Ghidetti, dette vita ai due volumi dell’edizione di Tutte le opere leopardiane (Firenze 1969), la cui introduzione, da lui firmata (Leopardi poeta delle generose illusioni e dell’eroica persuasione: ibid., pp. XI-CXX), costituisce un ulteriore sviluppo della sua interpretazione del poeta recanatese (poi confluita nel volume del 1973, La protesta di Leopardi); nel 1968 i suoi studi settecenteschi furono organizzati in Il Settecento letterario, sesto volume della garzantiana Storia della letteratura italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno (con il quale realizzò anche a una Storia letteraria delle Regioni d’Italia). Pubblicò, inoltre, il volume di Saggi alfieriani (Firenze 1969), nel quale Binni ripresentò il primo suo libro sul tragico astigiano, arricchendolo di nuovi saggi. Nell’Introduzione, il critico tornava a sottolineare la propria affinità con alcune caratteristiche dell'Alfieri, in particolare con la sua disorganicità rispetto al potere e alla società. Intanto, nel corso del 1968, si era maturato l’allontanamento definitivo di Binni dal PSI. Non aderì più ad alcuna formazione partitica fino al 1994, quando prese la tessera di Rifondazione comunista.
Gli anni Settanta lo videro, schierato su posizioni di adesione, pur critica, ai movimenti della Sinistra, sempre partecipe alle vicende politiche internazionali e italiane, tragicamente segnate dalla strategia della tensione e dal brigatismo. Binni proseguì la sua opera di docente e studioso senza mai separarsi dalla realtà del Paese che si faceva minacciosa soprattutto agli occhi di coloro che avevano lottato per la difesa dei valori democratici e per una società più equa. Nel 1977 divenne socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, che prese a frequentare con assiduità. L’anno successivo fu nominato presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni foscoliane (nomina seguita pochi anni dopo dal volume Ugo Foscolo. Storia e poesia, Torino 1982).
Mentre si dedicava alla risistemazione degli studi che avevano ispirato corsi universitari (Monti poeta del consenso, Firenze 1981; Incontri con Dante, Ravenna 1983) e continuava la sua attività di recensore per la Rassegna della letteratura italiana, giungeva a conclusione il ciclo attivo del suo lavoro di docente universitario (nel 1983 venne collocato fuori ruolo e nel 1989, terminata definitivamente l’intensa stagione accademica, venne nominato professore emerito).
Nel 1984 uscì il volume La tramontana a Porta Sole. Scritti perugini e umbri (Perugia), nel quale Binni raccoglieva scritti perlopiù autobiografici, ispirati alla sua città e alle esperienze umane, politiche, sociali in essa vissute. Perugia rimase sempre al centro della vena autobiografica che condusse Binni a ricostruire le proprie radici familiari e a tracciare un bilancio della sua esistenza: al 1982 risale lo scritto autobiografico Perugia nella mia vita. Quasi un racconto, ripreso e concluso, molti anni più tardi, a poche settimane dalla morte.
Al vecchio professore l’Italia sembrava avere subito mutamenti sociali e politici che l’avevano allontanata dagli ideali della Resistenza: anni degradati e ignobili gli apparivano gli anni Ottanta (e i successivi) nel loro scorrere segnato da scandali, poteri occulti e da un mutato senso del vivere civile. In questo orizzonte che gli sembrava tetro, la parola leopardiana divenne per Binni sempre più vitale, un vero messaggio etico, altamente umano. A Leopardi continuò a dedicare studi e lezioni pubbliche: nel 1993, in occasione dei suoi ottanta anni, tenne alla Sapienza, nella facoltà dove aveva insegnato tanto a lungo, l’ultima lezione sulla Ginestra.
Al 'suo' poeta dedicò le ultime parole: eletto presidente del Consiglio scientifico per le celebrazioni leopardiane organizzate a Roma nel secondo centenario della nascita (1998), peggiorate nel novembre del 1997 le sue condizioni di salute e comprendendo che non avrebbe potuto partecipare all’apertura dell’anno leopardiano in Campidoglio, dettò a sua moglie Elena, pochi giorni prima di morire, un testo che venne letto a suo nome il 19 gennaio 1998, nella sala della Protomoteca.
Morì il 27 novembre 1997. Le sue spoglie sono sepolte nella tomba di famiglia del cimitero di Perugia.
Alla città Binni aveva donato, quale segno tangibile del profondo rapporto che ad essa lo aveva legato, la propria biblioteca e le proprie carte, oggi conservate presso la Biblioteca Augusta.
Fra le opere non citate nel testo: Amore del concreto e situazione nella prima critica desanctisiana, in La Nuova Italia, XIII (1942), 3-4, pp. 49-55; V. Alfieri, Giornali e lettere scelte, introd. e cura di W. Binni, Torino 1949;Tre liriche del Leopardi, Lucca 1950; Storia della critica ariostesca, Lucca 1951; Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze 1951; F. De Sanctis, Giacomo Leopardi, ed. critica e commento a cura di W. Binni, Bari 1953; I classici italiani nella storia della critica, opera diretta da W. Binni, I, Firenze 1954 (II, ibid. 1955 ; III, ibid. 1977); Foscolo e la critica. Storia e antologia della critica, Firenze 1957; Carducci e altri saggi, Torino 1960; La poesia eroica di Giacomo Leopardi, in Il Ponte, XVI (1960), 12, pp. 729-751; Michelangelo scrittore, Roma 1965; Ludovico Ariosto, Torino 1968; Storia letteraria delle Regioni d’Italia, in collab. con N. Sapegno, Firenze 1968; Il Settecento letterario, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), diretta da E. Cecchi - N. Sapegno, VI, Il Settecento, Milano 1968, pp. 309-1024; La protesta di Leopardi, Firenze 1973; Due studi critici: Ariosto e Foscolo, Roma 1978; Settecento maggiore. Analisi della poetica e della poesia di Goldoni, Parini e Alfieri, Milano 1978; Lettura delle Operette Morali, Genova 1987; Pensiero e poesia dell’ultimo Leopardi, Napoli 1988; Lezioni leopardiane, a cura di N. Bellucci - M. Dondero, Firenze 1994; Studi alfieriani, a cura di M. Dondero, Modena 1995; Metodo e poesia di Ludovico Ariosto e altri studi ariosteschi, a cura di R. Alhaique Pettinelli, Firenze 1996; Perugia nella mia vita. Quasi un racconto, Pisa-Roma 1998; Poetica e poesia. Lezioni novecentesche, a cura di F. Binni - L. Binni, introd. di G. Ferroni, Milano 1999; La disperata tensione. Scritti politici (1934-1997), a cura di L. Binni, Firenze 2011.
La bibliografia completa delle opere di e su Binni fino al 2011, curata da Chiara Biagioli, è consultabile in W. Binni, Bibliografia generale (1930-2011), in Il Ponte, LXVII (2011), Supplemento al n. 7-8.
Su Binni si vedano almeno: M. Costanzo, Estetica senza soggetto e altri studi sul metodo storico-critico, Roma 1979, pp. 71-88; Poetica e metodo storico-critico nell’opera di W. B., a cura di M. Costanzo et al., Roma 1985; A.L. De Castris, La critica dal dopoguerra ad oggi, Bari 1991, pp. 24-26; Walter Binni 1913-1997, a cura di L. Binni, in Il Ponte, LXVII (2011), 7-8; L. Binni, La protesta di W. B. Una biografia, Firenze 2013; B. Alfonzetti, Il «Settecento letterario» di W. B. tra Alfieri e Foscolo, in I maestri e la memoria, a cura di B. Alfonzetti - N. Bellucci, Roma 2014, pp.15-30; N. Bellucci, «Il poeta della mia vita». Il Leopardi di W. B., ibid., pp. 31-42. Va segnalato infine il sito www.fondowalterbinni.it, a cura di Francesco e Lanfranco Binni, con la collab. di Chiara Biagioli.