WALTHER VON DER VOGELWEIDE
Per introdurre al lettore italiano la figura del poeta tedesco medioevale W. va fatta innanzitutto menzione di quello che a prima vista sembra un paradosso, che potremmo anzi chiamare il 'paradosso waltheriano'.
W. è infatti considerato unanimemente il più grande fra i Minnesänger (v.), cioè i cantori dell'amore cortese in lingua tedesca, dunque un poeta d'amore. Così gli studiosi: Peter Wapnewski (19972, p. 104) afferma ad esempio che "Walther è il solo lirico di lingua tedesca del Medioevo che noi diciamo grande senza tema dei parametri di altri spazi cronologici e linguistici"; Maria Vittoria Molinari (1994, p. 225) arriva a chiamarlo "non solo il più grande Minnesänger, ma il massimo lirico del Medioevo europeo".
Ciononostante, la sua fama, in vita e postuma, W. la deve in misura considerevole, oltre che alla poesia d'amore, alla Sangspruchdichtung, ovvero alla poesia di carattere didascalico e/o d'argomento politico, ben rappresentata nelle raccolte poetiche del suo tempo. "Poeta politico", lo definiva perciò senza mezzi termini Benedetto Croce (1941, p. 141), uno dei primi a occuparsi di W. in Italia (ma va ricordato Sigismondo Friedmann, autore nel 1883 del primo libro in italiano dedicato a "Gualtiero di Vogelweide"). Ed è nella vita politica, prima ancora che nel panorama letterario del suo tempo, che W. va inquadrato, anche se disponiamo di una quantità assai scarsa di dati storici certi.
Non è dunque certamente un caso che il componimento di W. divenuto più famoso sia proprio uno Spruch, termine traducibile con 'sentenza', e che i primi versi di questo Spruch, nei quali l'autore si descrive nella classica posa malinconica del 'pensatore', abbiano dato origine a una popolarissima rappresentazione iconografica di W.:
"Sedevo su di un masso / con le gambe accavallate. / Su una gamba appoggiai un gomito. / Sulla mano avevo posato / il mento e una guancia. / Così riflettei molto intensamente / su come si debba vivere a questo mondo. / Non seppi trovare alcun consiglio / su come ottenere tre cose, / senza che una vada persa. / Due di queste sono l'onore e i beni terreni, / che spesso si danneggiano a vicenda: / la terza è la grazia di Dio, / che è molto più importante delle altre due. / Io vorrei che fossero tutte nello stesso scrigno: / ma purtroppo non è possibile / che i beni e l'onore nel mondo / e la grazia di Dio in aggiunta / si riuniscano nello stesso cuore. / La loro strada è sbarrata: / la slealtà è in agguato, / la violenza è per le vie, / la pace e il diritto sono feriti gravemente. / Se questi due non guariscono, quelle tre non potranno essere difese".
Lo studioso tedesco Horst Wenzel ha ricostruito il processo di formazione di questa rappresentazione di W. partendo da un lato dalla tipologia del malinconico nell'antichità classica, dall'altro da quella dello scrittore ispirato, di matrice evangelica, per arrivare all'iconografia medievale del poeta.
Come ha osservato il grande medievista tedesco Joachim Bumke (20004, p. 124): "su Walther sono note più cose che sulla maggior parte dei poeti medioevali, eppure non c'è chiarezza su diversi punti della sua biografia".
I dubbi maggiori riguardano il luogo di nascita. Il nome Vogelweide non è di grande aiuto per stabilire la provenienza geografica, perché Vogelweide indica molto semplicemente e molto genericamente un territorio (Weide) dove si praticava la caccia all'uccellagione (cf. Vogel, 'uccello'). La genericità di questa denominazione ha dato libero sfogo a diverse 'identificazioni' di possibili luoghi natali. Il 'Maso Vogelweider' nei pressi di Ponte Gardena, nella Val d'Isarco in provincia di Bolzano, è solo uno dei molti luoghi a rivendicare, con una plausibilità in alcuni casi maggiore in altri minore ma sempre ben lontana dalla certezza scientifica, i natali del poeta.
L'identificazione di W. come poeta 'tirolese', la cui popolarità ebbe origine e alimento politico nel periodo di forti tensioni nazionalistiche che va dalla terza guerra d'indipendenza italiana alla prima guerra mondiale (1866-1918), ha trovato la sua massima espressione nell'edificazione di un monumento dedicato a W. nella Bolzano ancora austriaca, inaugurato il 15 settembre 1889 e destinato a un'esistenza decisamente travagliata.
Com'è noto, Bolzano e la sua provincia passarono all'Italia dopo la prima guerra mondiale. Nel 1935, dunque in pieno regime fascista, dopo una discussione durata quasi dieci anni, il monumento fu fatto spostare dall'amministrazione italiana in un parco più lontano dal centro cittadino; a partire da quel momento il monumento a W. è diventato un 'punto di cristallizzazione' delle tensioni nazionalistiche della regione. Dopo nuove, lunghe discussioni il monumento è stato riportato alla sua collocazione originale nel 1981, per essere nuovamente trasferito nel 1984 a causa dei lavori per un garage sotterraneo. Conclusi i lavori, il 27 settembre 1985, il monumento, opera di Heinrich Natter, ha fatto definitivo ritorno all'iniziale postazione.
Al di là di tutte le polemiche sul luogo di nascita di W., fra gli studiosi c'è un sostanziale accordo nel collocare la sua presunta data di nascita negli anni intorno al 1170.
L'unico documento storico coevo che attesti l'esistenza di W. è un'annotazione all'interno di un registro delle spese affrontate dal vescovo di Passau (Baviera), Wolfger von Erla, nel corso di due viaggi in Austria all'inizio del sec. XIII. L'annotazione, che si riferisce al primo dei due viaggi effettuati dal vescovo, svoltosi dal settembre 1203 al gennaio 1204, recita: "Sequenti die apud Zei[zemurum] Walthero cantori de Vogelweide pro pellicio .v. sol. Longos" ('il giorno seguente nei pressi di Zeiselmauer al cantore Walther di Vogelweide per una pelliccia 5 solidi longi'). Questa è l'interpretazione che ne è stata data: con "sequenti die" s'intende nel testo il giorno dopo la festa di s. Martino, ovvero in questo caso mercoledì 12 novembre 1203; il luogo menzionato è Zeiselmauer nei pressi di Vienna; i 5 solidi longi costituiscono una somma insolitamente alta, che per molti studiosi dimostrerebbe il particolare prestigio di cui W. avrebbe goduto. Sebbene le informazioni contenutevi possano sembrare poco rilevanti, questo documento assume una grande importanza giacché prova che W. è davvero esistito, che era conosciuto come cantor, e ci fornisce una chiara localizzazione geografica e temporale.
Nel 1989 lo storico Bernd Ulrich Hucker annunciò di aver trovato una seconda testimonianza scritta dell'esistenza di Walther. Si tratta di una lettera all'imperatore Ottone IV nella quale si fa menzione di un messo dell'imperatore il cui nome è "dominus Walterus". Per giustificare l'identificazione di questo non meglio definito messo con il celebrato poeta W., Hucker fornisce una nuova interpretazione al documento di cui si è detto sopra: il dono della pelliccia da parte del vescovo di Passau sarebbe stato un compenso non per la produzione artistica del poeta ma per una sua non altrimenti documentata attività diplomatica, come sembra testimoniato dai numerosi riferimenti agli strapazzi dei continui viaggi e spostamenti presenti nei componimenti di Walther. Anche solo da questo breve resoconto risulta evidente che l'interpretazione di Hucker, per quanto affascinante possa essere, resta per ora soltanto un'ipotesi.
Utili ai fini della cronologia della vita e dell'opera di W. sono inoltre i numerosi personaggi storici menzionati nei suoi componimenti, fra i quali ricordiamo: Filippo di Svevia (1177-1208), re di Germania dal 1198; Ottone IV di Brunswick (1175-1218), re e imperatore; Innocenzo III (1160/1161-1216), papa dal 1198; Gregorio IX (1170-1241), papa dal 1227; e, naturalmente, Federico II (1194-1250).
Fra tanti punti interrogativi, è invece certo che W. abbia trascorso infanzia e giovinezza in Austria, così come afferma egli stesso: "ze œsterrîch lernde ich singen unde sagen" ('in Austria ho imparato l'arte del cantare e del dire'). Per questo motivo alcuni studiosi di W. hanno introdotto il concetto di 'patria giovanile' (Jugendheimat), che sarebbe sicuramente l'Austria, mentre l'identificazione della sua 'patria di nascita' (Geburtsheimat) resterebbe dubbia. Si ipotizza che W. abbia dovuto lasciare Vienna nel 1198, dopo la morte del duca Federico I, e da allora abbia dovuto fare la vita del cantore vagante. Anche se l'ipotesi di Hucker che W. sia stato un messo imperiale è, come abbiamo detto, soltanto un'ipotesi, nelle sue opere si trovano non solo molte allusioni (dal tono decisamente lamentoso) a una vita instabile e senza fissa dimora, ma anche numerosi riferimenti geografici.
La svolta nella vita di W. giunse con l'infeudazione da parte di Federico II. A quest'ultimo il poeta esprime tutta la sua ammirazione e la sua gratitudine per il feudo ricevuto:
"Ho avuto il mio feudo, lo dico a tutto il mondo, ho avuto il mio feudo! / Ora non temo più febbraio per i miei piedi, / e non supplicherò più i signori malvagi. / Il re nobile, il re generoso ha provveduto ai miei bisogni, / così che avrò aria fresca d'estate e caldo d'inverno. / Ai miei vicini faccio un'impressione molto migliore: / non mi guardano più come se fossi uno spettro come facevano finora. / Sono stato povero per troppo tempo senza mia colpa. / Ero così pieno di ingiurie che il mio alito puzzava: / il re ha fatto pulizia in tutto questo, e anche nel mio canto".
Questo Spruch è stato sicuramente composto prima della partenza di Federico II per l'Italia per essere incoronato imperatore a Roma (22 novembre 1220). Federico non ritornerà più in Germania durante la vita del poeta. Non è superfluo chiedersi in che cosa consistesse il feudo da lui donato a Walther. Forse in una casetta o in un appezzamento di terra, o addirittura semplicemente nei soldi sufficienti per comprarsi una casa o un terreno.
L'ultimo riferimento certo a un evento politico nei componimenti di W. è lo Spruch dedicato all'assassinio di Engelberto di Berg, arcivescovo di Colonia, avvenuto il 7 novembre 1225. Anche l'identificazione, nella cosiddetta 'Elegia', di riferimenti alla scomunica di Federico II (1227) e alla crociata da lui guidata (1228-1229) non è certa.
La morte di W. viene fatta risalire intorno al 1230. Due manoscritti del 1350 attestano l'esistenza di una tomba a Würzburg "im ambitu noui monasterii" ('nel chiostro del nuovo monastero' [Bein, 1997, p. 30]).
Quanto meno a giudicare dalle testimonianze della produzione letteraria arrivate fino a noi, W. è il primo a riunire nella propria opera tutti i generi poetici praticati fino ad allora in area tedesca. Nel suo corpus troviamo infatti esempi di Lied ('canzone'), di Spruch ('sentenza') e di Leich ('poesia religiosa'), per un totale di circa cinquecento strofe a cui si accompagnano più di centodieci melodie, giacché, è bene ricordarlo, tutti i generi del Minnesang erano musicati.
Se prendiamo in considerazione il numero complessivo delle strofe, due terzi appartengono alla lirica amorosa, un buon quarto alla poesia didascalica e il sette per cento alla poesia di argomento religioso. Se invece ci si basa sul numero dei componimenti, i Lieder sono novanta, gli Sprüche da centoquaranta a centocinquanta, ma c'è solo un Leich. L'approssimazione numerica nel conteggio dei componimenti è dovuta alla presenza di doppie attribuzioni.
Una svolta nell'interpretazione dell'opera di W. è stata data dal filologo tedesco Konrad Burdach, secondo il quale il percorso evolutivo del poeta non andava ricostruito sulla base del contenuto narrativo delle liriche, ma sulla base della forma artistica. Dal momento che non si può attribuire una stretta cronologia a queste varie forme, i raggruppamenti possibili delle canzoni hanno quindi solo base tematica, non diacronica.
W. ha dato al genere dello Spruch, la 'sentenza', la sua forma definitiva, modificandone la struttura sul modello del Minnelied, la canzone d'amore, e conferendogli dignità letteraria e prestigio sociale. Lo Spruch waltheriano è prevalentemente a strofa unica. Tre i temi principali che ricorrono negli Sprüche: la politica, la religione, la vita di Walther. Uno Spruch può essere dedicato a uno solo di questi temi, ma a volte tutti e tre i temi ricorrono all'interno dello stesso componimento. Come è stato osservato, quando W. attacca duramente in un suo Spruch la politica del papa e la corruzione del clero, questo ha a che fare tanto con la religione quanto con la politica.
Al centro della sua poesia politica c'è il Reich, l'Impero, entità politica suprema il cui potere discende da Dio. Nella Reichsdichtung, la 'poesia dedicata all'Impero', W. affronta il problema di chi sia più degno di rivestire questo potere, e interviene sul tema dello scontro fra Impero e papato.
Alla Reichsdichtung si affianca la Herrendienstdichtung, la 'poesia al servizio di un signore', genere che può naturalmente sovrapporsi fino a coincidere con il precedente, nel caso in cui il signore di cui si parla nel componimento sia il re ovvero l'imperatore.
Un ottimo esempio di come i temi finora menzionati possano coesistere e interagire fra loro lo fornisce proprio il celebre Spruch citato qui in apertura. Gli studiosi concordano nel considerarlo l'inizio di un ciclo di tre Sprüche che insieme sono conosciuti con il nome di Reichston, 'componimento sull'Impero'. Alle riflessioni sul mondo, decisamente pessimistiche, che W. fa sedendo "su un masso" nel primo Spruch (Ich saz ûf eime steine), fa seguito nel secondo (Ich hôrte ein wazzer diezen, 'Ho sentito mormorare una fonte') un esplicito appello a Filippo di Svevia affinché si faccia incoronare imperatore; il terzo Spruch (Ich sah mit mînen ougen, 'Ho visto con i miei occhi') culmina infine in una dura denuncia delle responsabilità della Chiesa per le divisioni all'interno dell'Impero e in un attacco al papa, "troppo giovane" per poter dirigere le sorti della cristianità.
Il Reichston è quindi databile con precisione, giacché W. allude allo scontro fra i due imperatori eletti nell'anno 1198, Filippo di Svevia e il guelfo Ottone di Brunswick, e al ruolo svolto dal papa, Innocenzo III, eletto anch'egli, pur essendo il più giovane fra i cardinali riuniti in conclave, nel 1198. La composizione del secondo Spruch in particolare va fatta risalire al periodo che va dall'elezione di Filippo (8 marzo 1198) alla sua incoronazione (8 settembre 1198).
Più complessa si presenta invece la situazione dell'alto numero di Sprüche dedicati da W. al giovane Federico II, un esempio rappresentativo dei quali (Ich hân mîn lêhen, 'Ho avuto il mio feudo') è stato riportato in precedenza.
A differenza della Spruchdichtung, il Minnesang aveva già una lunga e articolata tradizione all'epoca in cui W. compose il suo primo Lied. Anche se il ruolo di W. all'interno di questa tradizione non sarà così fortemente innovatore come nel caso della poesia didascalica, gli studiosi hanno potuto evidenziare alcune importanti peculiarità della sua produzione lirica.
W. partecipa attivamente alla discussione sulla natura della Minne, l'amore cortese, arrivando a formulare la domanda fondamentale di questo genere di poesia nel modo più diretto possibile, in un famoso componimento di cui riportiamo di seguito l'inizio:
"Qualcuno mi può dire che cos'è l'amore? / Ne so qualcosa, ma ne vorrei sapere di più. / Chi ne capisce più di me / mi insegni perché fa tanto male. / L'amore è amore se fa bene. / Se fa male, non è giusto che si chiami amore. / E io non so come si possa allora chiamare. / Se riesco a indovinare esattamente / che cos'è l'amore, dite tutti: 'Sì!'. / L'amore è la gioia di due cuori: / se essi condividono in parti eguali, allora l'amore c'è. / Se invece non c'è condivisione, / allora un cuore da solo non lo può contenere. / Ah, se solo tu volessi aiutarmi, mia signora".
Come ammoniscono gli studiosi, non bisogna commettere l'errore, leggendo questi versi, di dedurne che W. (o, più precisamente, l''io' di questa canzone) sostenga il superamento della concezione, caratteristica per l'amore cortese, del 'servizio d'amore' e dell'amore non corrisposto. La messa in discussione della Minne, per quanto paradossale questo possa sembrare a un lettore moderno, è essa stessa parte integrale della sua tradizione letteraria, che W. dunque ancora non abbandona.
Una lunga tradizione critica ha creduto d'identificare in un gruppo di poesie di W. un genere letterario nuovo per la lirica tedesca, detto inizialmente 'dell'amore basso' (niedere Minne), denominazione poi abbandonata in favore di un più neutrale 'poesie delle fanciulle', in tedesco: Mädchenlieder. Al centro di questi componimenti non ci sarebbe l'irraggiungibile dama di corte, bensì una 'fanciulla semplice'. Gli studi più recenti hanno dimostrato l'eterogeneità dei componimenti in questione, sul cui numero peraltro già non c'era accordo. Non si può tuttavia non fare menzione della più celebre fra le canzoni che sono state classificate in questo gruppo, cioè Under der Linden, 'Sotto il tiglio'. Riportiamo la prima delle quattro strofe che la compongono:
"Sotto il tiglio / nella campagna, / là c'era il letto di noi due, / là potete vedere / bene spezzati entrambi, / i fiori e l'erba. / Al limite del bosco in una valle, / tandaradei, / cantava l'usignolo il suo bel canto".
Si è già detto che uno dei temi affrontati da W. nel genere dello Spruch è la religione. La prova più importante di poesia religiosa a opera di W. appartiene però a un altro genere poetico, cioè al Leich. Con questo termine sostanzialmente intraducibile (ma riconducibile all'antico francese lai) si indica una canzone lunga a strofe disuguali, il cui complesso sistema di ripetizioni e rinvii interni al testo richiama e riprende la 'sequenza' della liturgia latina. Il Leich è un genere decisamente artificioso, scarsamente attestato nella letteratura tedesca medievale, che tuttavia consente a W. di fare mostra di tutta la sua abilità tecnica di poeta. Il Leich a opera di W. è un Marienleich, ovvero una 'sequenza mariana', per riprendere la denominazione suggerita dal germanista italiano Carlo Grünanger (1962).
È stato accennato precedentemente alla difficoltà di stabilire con certezza il numero di strofe attribuibili a Walther von der Vogelweide. Se paragoniamo la sua opera letteraria a quella degli altri poeti del suo tempo, va innanzitutto osservato che le testimonianze scritte dei testi di W. sono particolarmente numerose e coprono tutti i tipi di tradizione del testo nel Medioevo tedesco.
Due aspetti più specifici non vanno però persi di vista: in primo luogo, le testimonianze manoscritte più antiche risalgono alla fine del sec. XIII, ovvero non meno di settant'anni dopo la composizione dei Lieder e degli Sprüche; in secondo luogo, alle testimonianze di testi si accompagna una purtroppo molto meno ricca documentazione delle musiche, giacché, lo ricordiamo ancora, i componimenti di W., così come quelli degli altri Minnesänger, nascono per essere cantati.
Per quel che riguarda invece i tipi di tradizione manoscritta delle opere di W., il germanista tedesco Thomas Bein ne ha identificati tre: raccolte di testi di autori vari con il nome degli autori; raccolte di testi di autori vari senza il nome degli autori; tradizione frammentaria e sparsa.
Al primo tipo appartengono i tre manoscritti ai quali dobbiamo gran parte delle nostre conoscenze della lirica tedesca medievale, i quali vengono convenzionalmente indicati dagli studiosi con le sigle A, B e C. Il più antico fra questi, A, ovvero il Codex Palatinus Germanicus 357, risale nella sua parte principale agli anni fra il 1270 e il 1280. L'ordine di apparizione dei Minnesänger all'interno del manoscritto è indicatore del loro prestigio, così come lo è il numero di strofe trascritte: la sezione più grande (centocinquantuno strofe) è dedicata appunto a W., quarto poeta in ordine in trascrizione.
Ancora più imponente è la sezione dedicata a W. all'interno di C, il Codex Palatinus Germanicus 848 (meglio noto come Codice Manesse dal nome della famiglia zurighese che lo avrebbe commissionato), il più celebre fra i manoscritti che documentano la letteratura tedesca medievale, che viene fatto risalire alla prima metà del sec. XIV. Ben quattrocentoquarantasette strofe, con il Leich in aggiunta, fanno di C la più grande raccolta manoscritta di componimenti di Walther.
Per il periodo che va dalla seconda metà del sec. XIV in poi le testimonianze manoscritte di W. si fanno invece rare e hanno carattere prevalentemente frammentario.
Tra i primi a riconoscere e a proclamare la grandezza di W. come Minnesänger fu uno dei massimi autori della letteratura tedesca medievale, Gottfried von Straßburg, che nel suo Tristan cita W. come "l'usignolo di Vogelweide" (Nachtigall von der Vogelweide) e ne tesse le lodi.
La ricezione moderna di W. comincia con la fondamentale edizione critica (dei soli testi senza notazioni musicali) ad opera di Karl Lachmann, pubblicata per la prima volta nel 1827 e tutt'oggi punto di riferimento della filologia waltheriana.
La rilettura in chiave nazionalistica della letteratura medievale andatasi affermando in Germania (ma non solo in Germania) nella seconda metà dell'Ottocento attirò su W. l'attenzione anche di un pubblico non specialistico. Le sue riflessioni sull'idea dell'Impero contenute nella già ricordata Reichsdichtung, ovviamente estrapolate dal loro originario contesto politico e culturale, furono prese a pretesto per una visione di W. quale 'eroe della nazione tedesca', visione a cui non è estraneo il monumento di W. di cui si è detto. Non potrà sorprendere che questo 'culto' di W. abbia raggiunto la sua forma estrema durante il regime nazionalsocialista.
Di tutt'altra natura, anche da un punto di vista politico, la ricezione di W. verificatasi in anni a noi più vicini. La maggiore enfasi data nella ricerca alla figura di W. in qualità di 'cantore', oltre che come 'autore', è stata fonte di ispirazione per una generazione di artisti che si sono chiamati in Germania Liedermacher, in Italia 'cantautori'.
In questo ambito si è distinto proprio un cantautore italiano, Angelo Branduardi, che in uno dei suoi album di maggiore successo, Alla fiera dell'est (1976), ha proposto una propria versione del già citato Under der Linden.
Fonti e Bibl.: Die Gedichte Walthers von der Vogelweide, a cura di K. Lachmann, Berlin 1827; S. Friedmann, Un poeta politico in Germania sul principio del sec. XIII (Gualtiero di Vogelweide). Saggio storico-letterario, Livorno 1883; B. Croce, Poesia antica e moderna, Bari 1941, pp. 138-142; C. Grünanger, La sequenza mariana di Walther von der Vogelweide e la coscienza religiosa dell'età sveva (1957), in Id., Scritti minori di letteratura tedesca, Brescia 1962, pp. 147-156; K.H. Halbach, Walther von der Vogelweide, Stuttgart 19834; B.U. Hucker, Ein zweites Lebenszeugnis Walthers?, ibid., pp. 1-30; G. Mühlberger, Walther und sein Mythos in Südtirol, ibid., pp. 31-43; L.W. Regele, Walther und Italien, in Walther von der Vogelweide. Beiträge zu Leben und Werk, a cura di H.-D. Mück, ivi 1989, pp. 403-415; H. Wenzel, Melancholie und Inspiration. Walther von der Vogelweide L. 8, 4 ff. Zur Entwicklung des europäischen Dichterbildes, ibid., pp. 133-153; Walther von der Vogelweide, Gedichte, a cura di P. Wapnewski, Frankfurt a.M. 1990; M.V. Molinari, Le stagioni del Minnesang, Milano 1994; F.-J. Holznagel, Wege in die Schriftlichkeit. Untersuchungen und Materialien zur Überlieferung der mittelhochdeutschen Lyrik, Tübingen-Basel 1995; H. Brunner-G. Hahn-U. Müller-F. Viktor Spechtler, Walther von der Vogelweide. Epoche, Werk, Wirkung, München 1996, p. 235; P. Wapnewski, La letteratura tedesca del Medioevo, trad. it. di B. Forino, Bologna 19972; Th. Bein, Walther von der Vogelweide, Stuttgart 1997; M. Günter Scholz, Walther von der Vogelweide, Stuttgart-Weimar 1999; J. Bumke, Geschichte der deutschen Literatur im hohen Mittelalter, München 20004, pp. 124-133; A. Palermo, La tradizione medio-tedesca (1150-1450), in Lo spazio letterario del Medioevo, II, Il Medioevo volgare, 2, La circolazione del testo, Roma 2002, pp. 683-703; Walther von der Vogelweide. Beiträge zu Produktion, Edition und Rezeption, a cura di Th. Bein, Frankfurt a.M. 2002.