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Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr

di Giuseppe Gariazzo - Enciclopedia del Cinema (2004)
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Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr

Giuseppe Gariazzo

(Algeria 1974, 1975, Cronaca degli anni di brace, colore, 175m); regia: Mohamed Lakhdar-Hamina; produzione: ONCIC; sceneggiatura: Mohamed Lakhdar-Hamina, Taw-fiq Fares; fotografia: Marcello Gatti; montaggio: Yussef Tobni; musica: Philippe Arthuys.

Il film percorre in sei capitoli la storia dell'Algeria dal 1939 al 1954. Primo capitolo. I contadini, le cui terre coltivabili sono state espropriate dai coloni, vivono nella miseria in luoghi sterili, dove i campi sono bruciati dal sole e colpiti dalla siccità. Ahmed è uno di loro. Le tribù si uccidono per poche gocce d'acqua. Iniziano la rivolta dei contadini e l'esodo. Secondo capitolo. Scoppia la Seconda guerra mondiale e gli algerini, considerati solo come carne da macello, si mobilitano per far valere i propri diritti. Terzo capitolo. Sopraggiungono altri periodi di carestia. I giovani, per dare sussistenza alle famiglie, lavorano per i coloni durante il tempo della mietitura e si rendono conto, ancora di più, delle ingiustizie perpetrate nei loro confronti. Le tribù si uniscono nella lotta, distruggono lo sbarramento creato dai coloni e subiscono un'ulteriore repressione. Ahmed, insieme a molti altri, viene arruolato. Quarto capitolo. Nel 1947 scoppiano lotte fratricide; la popolazione algerina, duramente perseguitata, si batte per difendere la propria identità. Ahmed e i suoi amici sono arrestati. Quinto capitolo. È il periodo delle armi, della resistenza in montagna. Milud, con Smaïl, incita il popolo e lo spinge alla rivolta. Ahmed e i suoi compagni evadono, organizzano la ribellione, diventano eroi popolari. Una moltitudine di soldati francesi dà loro la caccia. Sesto capitolo. La narrazione termina l'11 novembre 1954, dieci giorni dopo l'inizio della guerra di liberazione che, otto anni più tardi, avrebbe portato all'indipendenza dell'Algeria.

Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr è un film storico ed epico, corale e individuale, nomade e statico. Lavorando all'interno di questi elementi, talvolta con esemplare fluidità, altre volte in maniera più schematica, il regista algerino Mohamed Lakhdar-Hamina ha costruito un kolossal per narrare, nel corso del tempo, la lotta di un popolo contro la natura ostile (l'aridità delle terre) e l'occupante straniero (l'esercito francese). È un film diviso in capitoli, sostenuto da una solida struttura narrativa, da uno sguardo a tratti uniforme e raffinato, quasi accademico nei movimenti di macchina, a tratti febbrile, dotato di quella straordinaria energia che aveva reso memorabile il lungometraggio d'esordio di Lakhdar-Hamina ῾Āṣifat al-Awrās (Il vento degli Aurès, 1966), premiato al Festival di Cannes come migliore opera prima. Il prologo ‒ inscritto in un duro scontro sociale reso ancora più aspro dalla violenza della sabbia e del vento che si abbatte sui corpi, sulla terra, fino a investire l'inquadratura tutta, invasa da una luce estremamente fisica ‒ e la parte iniziale costituiscono uno dei momenti più significativi di Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr, dove si nota una maggiore libertà formale e l'assenza di uno sviluppo tradizionale della storia, che si disegnerà meglio in seguito. Come in al-Mahdu'un di Tawfiq Salih, anche Lakhdar-Hamina filma corpi (un intero popolo) in cammino sotto il sole, una massa dalla quale emergono singoli personaggi, in contatto con la terra secca, la siccità diffusa, gli animali morenti. Una realtà che il regista filtra comunque già attraverso segni avvolgenti ed enfatici (la musica, dolente e coinvolgente; i carrelli morbidi che esplorano quella condizione di sopravvivenza). Si fa strada, da questo inizio errante, il preciso lavoro sullo spazio, il rapporto fra i personaggi e i luoghi nei quali agiscono, che è caratteristica non solo dell'opera di Lakhdar-Hamina ma di buona parte della migliore cinematografia algerina.

Ricorrendo al formato panoramico (la fotografia è dell'italiano Marcello Gatti), il regista dà a questa ricerca una dimensione ancora più spettacolare, non dimenticando mai di elaborare il proprio atto di denuncia, che rende Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr ancora oggi un testo essenziale per il suo valore di militanza politica. Si fa strada, inoltre, la scelta di comporre un film epico anche nella sua durata (più di tre ore, cosa non frequente nel cinema del Maghreb), inscritto nell'alternanza dei totali e dei dettagli, delle scene collettive e dei primi o primissimi piani (in particolare sui volti dei bambini), degli zoom e delle scene madri, mentre l'instabilità storica e geografica, la guerra, le repressioni e le rivolte, i discorsi per la mobilitazione e le manifestazioni anti-francesi, così come l'inclemenza del clima, si ripresentano costanti a ricordare il motivo scatenante e ispiratore.

Con l'inizio, sono poi alcune altre scene a porsi come momenti di grande impatto: il funerale con le persone che dall'alto della collina scendono in processione verso il cimitero (luogo che compare diverse volte, con precisa funzione realistica), fra il grigio della terra e i vapori che salgono dal fuori campo; il padre con il bambino in braccio, colto nel suo estenuante vagabondare tra vicoli e ospedali improvvisati, come in una infinita odissea fra lazzaretti; i muri screpolati, esattamente simili alla terra, che ricordano la condizione di vivere, sempre, in una situazione di siccità, reale o simbolica, negli spazi di una frattura, di una crepa storica e personale; la corsa solitaria del bambino in fuga, alla fine, per la strada di montagna, mentre fra le lacrime abbandona il corpo senza vita di Milud, il 'folle' che attraversa tutto il film (interpretato dallo stesso regista), il suo volto nell'erba, filmato come una statua.

Con Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr, Lakhdar-Hamina si è aggiudicato, nel 1975, la Palma d'oro al Festival di Cannes. Il premio ha rivestito un significato particolare non solo per l'autore e la cinematografia algerina, ma per tutto il cinema dei paesi arabi e dell'Africa, essendo questo lungometraggio il primo film del continente ad avere vinto il più importante festival del mondo. Waqā᾽i῾ sanawāt al-ǧamr (nel quale sono state inserite anche immagini d'archivio legate alla Seconda guerra mondiale) è stato scritto da Lakhdar-Hamina insieme a Tawfiq Fares, scrittore e poeta, ma anche uno dei pionieri del cinema algerino degli esordi. Negli anni Sessanta Fares ha lavorato alla realizzazione delle Actualités Algériennes, i cinegiornali finanziati dal Ministero dell'Informazione, ha collaborato ad alcuni cortometraggi girati dalla prima generazione di cineasti algerini, ha diretto alcuni film e, per Lakhdar-Hamina, ha sceneggiato il capolavoro ῾Āṣifat al-Awrās.

Interpreti e personaggi: Jorgo Voyagis (Ahmed), Mohamed Lakhdar-Hamina (Milud), Leïla Shenna (moglie di Ahmed), Cheikh Nourredine (Si Larbi), Larbi Zekkal (Smaïl), Sid Ali Kouiret, Nadia Talbi, Taha El Amiri, Abdelhalim Rais, Brahim Hadjadj, Hassan El Hassani.

Bibliografia

A. Tassone, Un algerino scomodo: intervista con M. Lakhdar-Hamina, in "Cineforum", n. 145, giugno-luglio 1975.

F. Maudente, Cronaca degli anni di brace, in "Rivista del cinematografo", n. 7, luglio 1975.

H. Niogret, Chronique des années de braise, in "Positif", n. 171-172, juillet-août 1975.

G. Hennebelle, 'Chronique des années de braise' de Lakhdar-Hamina et la critique, in "Écran", n. 40, octobre 1975.

A. Cervoni, Sabre au clair, in "Cinéma 75", n. 203, novembre 1975.

G. Gervais, Chronique des années de braise, in "Jeune cinéma", n. 91, décembre 1975.

G. Colpart, Chronique des années de braise, in "La revue du cinéma", n. 302, janvier 1976.

S. Le Peron, Note sur 'Chronique des années de braise', in "Cahiers du cinéma", n. 266-267, mai 1976.

Images et visages du cinéma algérien, a cura di B. Aissaoui, Alger 1984.

Vedi anche
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