Washington Consensus
Espressione coniata nel 1989 dall’economista J. Williamson per indicare l’insieme di politiche economiche condivise in particolare dalla Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (tutte istituzioni con sede a Washington), volte a ricreare all’interno delle economie meno industrializzate le condizioni favorevoli per ottenere nel breve termine stabilità e crescita economica.
Il W. C. indica, nello specifico, un paradigma di sviluppo imposto dalle istituzioni di Bretton Woods (➔) ai Paesi debitori, che prevede l’adozione delle seguenti riforme: stabilizzazione macroeconomica, liberalizzazione (dei commerci, degli investimenti e finanziaria), privatizzazione e deregolamentazione.
Per il tipo di riforme invocate, il termine è gradualmente divenuto sinonimo di neoliberismo e laisser faire all’interno dei dibattiti politici e accademici. Tuttavia, Williamson ha successivamente precisato come il suo uso in questa accezione sia distorto e fuorviante rispetto al significato originario. In particolare, l’autore sostiene che, mentre ci poteva essere consenso sull’auspicabilità nel lungo periodo di tali riforme, i tempi e la gestione del cambiamento dovevano essere necessariamente discussi con riferimento agli specifici contesti geografici e storici.
La diffusione di un paradigma di crescita sempre più associato al concetto di W. C., è stata favorita nel secondo dopoguerra dal successo economico delle cosiddette Tigri asiatiche (➔) e cioè Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, e dalla successiva interpretazione che la Banca Mondiale ha dato di tale successo nel rapporto East Asian miracle (1993). In sostanza, il rapporto sosteneva che la crescita delle Tigri asiatiche fosse guidata dalla rapida espansione delle esportazioni industriali e, in apparenza, debolmente legata all’intervento dei governi nell’economia.
L’interesse per il W. C. come ‘convergenza universale’ andò crescendo e gli stadi della crescita economica di un Paese vennero generalmente interpretati dalla disciplina economica e dalle istituzioni sovranazionali, come una serie di passaggi obbligati che, attraverso manovre mirate, potevano essere velocizzati o, viceversa, resi più lenti.
Tra le critiche volte al W. C., si può evidenziare che, oltre a contraddire i modelli di crescita adottati dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi avanzati, questo ha anche male interpretato il paradigma di sviluppo adottato dai Paesi dell’Est asiatico. Le Tigri asiatiche, infatti, anziché promuovere in maniera incondizionata la competizione e i meccanismi di mercato, hanno tentato di stimolare la crescita e il cambiamento strutturale attraverso un piano strategico di integrazione delle economie nazionali con il contesto internazionale. La linea seguita è stata quella di proteggere il proprio sviluppo industriale attraverso la gradualità nell’aumento delle importazioni, l’accumulazione di capitali propri e una serie di politiche mirate, come le politiche per l’innovazione, politiche fiscali, per lo sviluppo di capitale umano e delle infrastrutture, politiche per la competitività (incluse quelle valutarie).
A partire dalla fine degli anni 1990, a seguito delle critiche sopra citate, all’interno delle agenzie di sviluppo si è sostituita una lettura più moderata delle dinamiche di crescita economica rispetto al W. Consensus. Poi, come suggerito fra gli altri da J.E. Stiglitz (➔) l’attenzione deve ricadere maggiormente sulla costruzione delle istituzioni che possano garantire il buon funzionamento del meccanismo di mercato e sulla ricerca di un equilibrio dinamico tra il mercato e l’intervento dei governi.
Elisa Barbieri, Lucia Bazzucchi