Welfare aziendale
Per welfare aziendale si intende il complesso delle erogazioni e prestazioni che un’azienda riconosce ai propri dipendenti con lo scopo di migliorarne la vita privata e lavorativa. Il legislatore fiscale ha riservato – in presenza di specifiche condizioni – un regime di vantaggio ad alcuni benefit che caratterizzano i piani di welfare, prevedendo che non concorrano a formare il reddito imponibile di lavoro dipendente soggetto ad imposte e contributi. Con la legge di stabilità per il 2016 ed il successivo decreto attuativo, è stato ampliato il novero dei benefici agevolabili e meglio definito il perimetro di alcune agevolazioni e, infine, si è cercato di dare soluzione ad alcune criticità emerse in vigenza del precedente quadro normativo.
I recenti interventi legislativi possono essere così sintetizzati.
1) È stato previsto che i benefit che tipicamente caratterizzano un piano di welfare, per i quali il legislatore fiscale1 già prevede un regime di vantaggio, possano mantenerlo anche nell’eventualità in cui i lavoratori li scelgano in sostituzione, in tutto o in parte, di specifiche erogazioni monetarie. La fungibilità fra retribuzione monetaria e benefit è stata disciplinata all’interno del seguente perimetro:
a) l’opzione per i benefit detassati può avvenire solo in alternativa a specifiche somme e non a qualsiasi componente retributiva. L’esenzione in capo al dipendente è infatti garantita solo laddove l’opzione avvenga «in sostituzione, in tutto o in parte, delle somme di cui al comma 182»2. Si tratta delle seguenti somme, agevolabili entro l’importo massimo di euro 2.000 lordi annui (elevabili a 2.500 euro per le aziende che coinvolgano pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro): i) premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione; ii) somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa;
b) la disposizione è rivolta ai soli titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a euro 50.000 (nell’anno precedente a quello di percezione delle somme) e si applica alle sole erogazioni disposte in esecuzione di contratti aziendali o territoriali;
c) le citate soglie di 2.000 (o 2.500) euro, pur in presenza di una formulazione legislativa non felice, costituiscono il limite entro cui è possibile esercitare la predetta scelta e mantenere il regime fiscale di favore.
2) Il trattamento fiscale agevolato (i.e. la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile), rivolto alla generalità o a categorie di dipendenti nonché ai loro familiari, è stato esteso all’offerta di opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto, prevista anche in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, e non più solo per atto volontario da parte del datore di lavoro.
3) È stato ampliato il perimetro delle spese di istruzione agevolabili, prevedendo che il regime di favore si applichi all’erogazione di somme, servizi e prestazioni alla generalità o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei loro familiari, di servizi di educazione e istruzione – anche in età prescolare – compresi i servizi integrativi e di mensa connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali.
4) È stata agevolata l’erogazione di somme e prestazioni da parte del datore di lavoro alla generalità o a categorie di dipendenti per la fruizione di servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.
5) È stata prevista la possibilità di erogare beni, prestazioni, opere e servizi – mantenendo il regime fiscale agevolato previsto dal t.u.i.r – anche mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale (cd. voucher).
Il decreto attuativo3 ha introdotto alcuni vincoli stabilendo che i voucher: i) debbano essere nominativi; ii) non possano essere utilizzati da persona diversa dal titolare; iii) non possano essere monetizzati o ceduti a terzi; iv) diano diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale, senza integrazioni da parte del titolare.
Peraltro, in deroga a quanto evidenziato, i beni e i servizi per i quali il legislatore prevede la non imponibilità se di valore non superiore a euro 258,23 possono essere cumulativamente indicati in un unico documento di legittimazione e mantenere un trattamento agevolato, sempreché il loro valore complessivo non ecceda la predetta soglia.
Per comprendere la portata del recente intervento operato dalla l. n. 208/2015, occorre preliminarmente definire lo scenario nel quale si inseriscono le nuove norme e soffermarsi brevemente sulla nozione fiscale di reddito di lavoro dipendente delineata dal legislatore.
Il t.u.i.r. prevede in proposito che il reddito di lavoro dipendente – ossia, in altri termini, il reddito imponibile in capo ai dipendenti – sia costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (cd. principio di onnicomprensività).
Occorre inoltre considerare che, in virtù del cd. “principio di armonizzazione delle basi imponibili”, il reddito di lavoro dipendente determinato applicando le regole del t.u.i.r. costituisce, salvo rare eccezioni, anche la base di calcolo dei contributi previdenziali.
In presenza di una tale forza attrattiva, suscettibile di rendere tassabile qualsiasi erogazione a favore dei dipendenti (ad esclusione di quelle che rispondano ad un interesse prevalente o assorbente del datore di lavoro, i cd. strumenti di lavoro), il legislatore ha previsto alcune specifiche deroghe, prevedendo che taluni benefit – erogati con finalità ritenute meritevoli di tutela – non concorrano alla formazione del loro reddito imponibile.
Ci si riferisce alle erogazioni di cui al co. 2 dell’art. 51 del t.u.i.r, per le quali il legislatore ha espressamente previsto che «non concorrono a formare il reddito».
Il legislatore ha inoltre previsto una generalizzata esclusione da imposizione per i beni e i servizi – potenzialmente imponibili – di modesto valore.
Più in particolare, laddove il datore di lavoro eroghi beni o servizi – per i quali non sia prevista alcuna specifica deroga al generale principio di onnicomprensività – il cui valore, nell’arco di un periodo d’imposta, non superi – complessivamente – l’importo di euro 258,23, non si genera alcun reddito tassabile in capo ai dipendenti. In caso di superamento di tale soglia, il dipendente decade però dal beneficio dell’esenzione e l’utilità ricevuta concorre integralmente alla formazione del suo reddito imponibile.
Alcuni dei benefit detassati caratterizzano nella prassi i cd. piani di welfare aziendale.
L’Agenzia delle entrate, in risposta ad alcuni interpelli – non pubblicati – ha peraltro sostenuto in passato che il trattamento fiscale agevolato che il legislatore ha riservato ai benefit in esame – e che, come evidenziato, trova il suo fondamento normativo nell’art. 51 t.u.i.r – non possa trovare applicazione laddove i benefit in parola siano riconosciuti in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile altrimenti imponibili per il loro intero ammontare.
Il ragionamento sottostante sembrerebbe essere quello per cui non apparirebbe coerente con la ratio sottesa alle disposizioni in materia di redditi di lavoro dipendente e neppure con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., consentire la riduzione dei redditi imponibili – che potrebbe paradossalmente giungere fino al loro completo abbattimento – in ragione della tipologia di retribuzione (in denaro o in natura) scelta dai soggetti interessati.
Secondo il ragionamento che sembra muovere l’Agenzia, sarebbe cioè arduo sostenere che le erogazioni per le quali il legislatore del t.u.i.r. ha previsto un trattamento fiscale agevolato, possano mantenerlo quando siano riconosciute al solo scopo di remunerare il personale dipendente senza scontare imposte (finalità che sarebbe perseguita laddove sia data al dipendente la possibilità di optare per la corresponsione di retribuzione in denaro, in alternativa ai citati benefit, o viceversa).
Nel contesto esaminato, si inserisce la prima delle citate disposizioni della l. n. 208/2015, con la quale il legislatore – alle condizioni ed entro i limiti più sopra evidenziati – ha previsto che il trattamento fiscale di favore possa essere riconosciuto anche laddove i dipendenti scelgano i benefit agevolati in sostituzione di premi di risultato e/o utili.
La seconda delle citate novità legislative risolve una criticità posta dalla previgente formulazione della norma.
Fino al 31.12.2015, il legislatore, nel disciplinare il trattamento agevolato delle opere e dei servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto, richiamava espressamente le opere e i servizi «di cui al comma 1 dell’art. 100» del t.u.i.r.
Quest’ultima norma definisce le condizioni ed i limiti di deducibilità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa tassabile ai fini IRES in capo al datore di lavoro, degli oneri di utilità sociale.
Il riferimento a questa disposizione ha indotto gli interpreti e l’Amministrazione finanziaria a ritenere che le medesime condizioni poste dall’art. 100 dovessero sussistere anche ai fini dell’esclusione delle erogazioni in esame dal reddito imponibile in capo ai lavoratori.
La previgente formulazione della norma costituiva, di conseguenza, un ostacolo alla diffusione di piani di welfare realizzati attraverso l’attribuzione delle opere e dei servizi in esame (di cd. utilità sociale) sulla base di un accordo aziendale (o altro contratto), senza che fossero, in altri termini, volontari.
Il legislatore ha quindi riformulato la norma in commento stabilendo che non concorra a formare il reddito di lavoro dipendente «l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari (…) per le finalità di cui al comma 1 dell’art. 100».
Con il terzo dei citati interventi, il legislatore ha esteso il perimetro di applicazione dell’agevolazione riguardante le cd. spese di istruzione sostenute a favore dei familiari dei dipendenti.
Innanzitutto, il riferimento operato dal legislatore ai «servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare», ha risolto l’imbarazzo venutosi a creare in seguito all’ordinanza con la quale la Corte costituzionale4, in vigenza della precedente versione della norma, escluse che il trattamento fiscale agevolato fosse estendibile anche alle spese sostenute per la frequenza di scuole materne (ora da considerarsi invece senz’altro incluse).
Inoltre, con l’inclusione – accanto ai servizi di educazione e istruzione – dei servizi integrativi e di mensa nonché dei servizi forniti da ludoteche e centri estivi e invernali, il legislatore ha ampliato il novero dei benefit agevolabili ed ha adeguato la lettera della norma al contesto attuale, eliminando il desueto riferimento alle «colonie climatiche» presente nella sua previgente versione.
Un’ulteriore novità è inoltre rappresentata dalla disposizione che prevede che non concorrano a formare il reddito di lavoro dipendente: «le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (…)».
In realtà, l’utilizzazione di opere e servizi, da parte dei familiari dei dipendenti, per finalità di assistenza sociale e sanitaria era (ed è), al ricorrere delle specifiche condizioni stabilite dal t.u.i.r che riguardano tutti i cd. servizi di utilità sociale, già detassata.
L’elemento di novità introdotto dal legislatore riguarda la possibilità di esentare anche l’erogazione di somme (attraverso, ad esempio, il rimborso da parte del datore di lavoro delle spese sostenute dai dipendenti) aventi tali finalità assistenziali.
Con l’ultima delle novità (v. infra, § 1), il legislatore ha risolto alla radice la questione – che impattava sulla disciplina fiscale applicabile – concernente la qualificazione della natura delle erogazioni attuate a favore dei dipendenti attraverso i cd. voucher.
Infatti, fatte salve alcune eccezioni (es. spese di istruzione e spese per l’assistenza ai familiari anziani
o non autosufficienti), il regime di favore che il legislatore riserva ad alcuni benefit è subordinato alla condizione che questi siano concessi dal datore di lavoro direttamente o tramite fornitori terzi (in quest’ultimo caso, ad esempio, in virtù di una specifica convenzione stipulata fra il datore di lavoro e i vari fornitori) mentre è da considerarsi tassabile l’erogazione di denaro a favore dei dipendenti e finalizzata ad acquistare i medesimi beni e servizi.
In altri termini, salvo eccezioni, è agevolata la sola erogazione in natura dei benefit ritenuti meritevoli di tutela.
In questo contesto, l’assimilazione dei voucher ad erogazioni in natura, avrebbe consentito di usufruire del trattamento fiscale agevolato (alle specifiche condizioni stabilite dal legislatore per ciascun benefit sottostante). Viceversa, la loro assimilazione al denaro, avrebbe comportato il loro inquadramento in un ambito retributivo.
Il legislatore, senza esprimersi sulla natura dei voucher, ha quindi previsto che: «Ai fini dell’applicazione dei commi 2 e 3 (che prevedono le specifiche esclusioni dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, NDR), l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale».
Le nuove disposizioni suscitano alcune riflessioni ed interrogativi ai quali gli interpreti e la prassi dell’Agenzia delle entrate (non sempre in sintonia) cercano di rispondere.
Innanzitutto, la commentata fungibilità fra retribuzione monetaria e benefit è stata prevista all’interno dello specifico perimetro delineato dalla l. n. 208/2015. Al di fuori di esso, occorrerà quindi continuare a fare i conti con il citato orientamento dell’Agenzia delle entrate che giudica non compatibili con il regime fiscale agevolato previsto dal legislatore i benefit che siano erogati in sostituzione di elementi retributivi altrimenti imponibili.
Tale problema non sorge nel caso in cui i benefit erogati in esecuzione di un piano di welfare costituiscano un quid pluris che va ad aggiungersi agli ordinari elementi retributivi, senza alcuna sostituzione.
L’Agenzia delle entrate5, peraltro, nel commentare l’ipotesi di erogazione di benefit senza possibilità di conversione monetaria, ossia il caso in cui «l’obbligazione del datore di lavoro ha, quindi, ad oggetto, sin dal suo nascere, la erogazione di beni e servizi e può essere adempiuta solo con tale modalità», ha affermato che la non concorrenza dei benefit rientranti nelle fattispecie esentative dei co. 2 e 3 dell’art. 51 t.u.i.r. è subordinata al fatto che «l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente in violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione».
In altri termini, sembrerebbe che, secondo l’Agenzia, l’attribuzione ai lavoratori di beni e servizi, anche (ma non solo) a titolo premiale, debba rispettare un non meglio specificato limite quantitativo.
Un altro aspetto che ha già suscitato dibattito riguarda il perimetro di applicazione della nuova disposizione che agevola il riconoscimento di somme per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari (anziani o) non autosufficienti.
La laconica formulazione della norma e il silenzio dei lavori preparatori possono infatti indurre a ritenere che la nozione di familiare non autosufficiente comprenda anche il minore in età scolare (scuola primaria) o prescolare che, al di fuori dell’orario scolastico, non è intuitivamente in grado di provvedere autonomamente a se stesso.
Di avviso contrario è invece l’Agenzia delle entrate che, nel già citato documento di prassi, ha sostenuto che «l’esenzione dal reddito (…) non compete per la fruizione dei servizi di assistenza a beneficio di soggetti come i bambini, salvo il caso in cui la non autosufficienza si ricolleghi all’esistenza di patologie».
Peraltro, la stessa Agenzia considera inclusi nelle spese di educazione ed istruzione agevolabili i servizi di baby-sitting.
Infine, con riferimento alla disciplina dei voucher, appare eccessivamente penalizzante la condizione posta dal decreto attuativo che, nel subordinare l’esenzione alla sussistenza di requisiti che evitino di “monetizzare” i voucher senza garantire il perseguimento delle finalità agevolabili (acquisto di specifici beni e servizi), prevede che il loro valore debba necessariamente coincidere con quello del bene o servizio sottostante, senza alcuna possibilità di integrazione da parte del titolare.
Note
1 D.P.R. 22.12.1986, n. 917, t.u.i.r.
2 Art. 1, co. 184, l. 28.12.2015, n. 208.
3 D.m. 25.3.2016 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4 C. cost., ord., 23.10.2008, n. 344.
5 Agenzia delle entrate, circ. 15.6.2016, n. 28/E.