western
Il cinema della frontiera
Ambientati sullo sfondo di sterminati paesaggi americani, i film western raccontano storie di uomini e di donne che cercano di conquistare nuovi territori, di Pellirosse che lottano per non essere travolti dalla civiltà dei bianchi che avanza, di banditi che non esitano ad assaltare banche e diligenze, a rubare il bestiame, a insidiare la tranquillità di piccole città. E di cowboy solitari e coraggiosi: i veri eroi di questo mondo di frontiera
Alla base del successo del genere western vi è l’importanza della ‘frontiera’ per la storia degli Stati Uniti e per la loro tradizione artistica e letteraria. In breve tempo le avventure di chi si spingeva verso la frontiera occidentale del paese (il mitico Far West) assunsero una sfumatura eroica. Il primo film western è considerato L’assalto al treno (1903) di Edwin S. Porter, in cui per la prima volta si ricorse al montaggio per mostrare lo sviluppo dell’azione. L’assalto al treno ebbe molto successo, e in breve si realizzarono diversi film con le stesse caratteristiche – inseguimenti a cavallo in paesaggi aperti, sparatorie – e si definirono le qualità dell’eroe western: il cowboy vagabondo e solitario, abile con la pistola e sempre pronto a difendere la giustizia. Tipica del film western è l’inquadratura del cowboy dalle ginocchia in su (il cosiddetto piano americano), in modo da riprendere ogni movimento della pistola nella fondina. Fra i tanti registi che, negli anni Dieci del Novecento, realizzarono film western, David W. Griffith e Thomas H. Ince diedero al genere un contributo particolare. Griffith conferì alle storie un nuovo spessore drammatico attraverso il montaggio alternato, l’uso di primi piani contrapposti a riprese da lontano. Ince sviluppò il lato psicologico dei personaggi, che spesso appaiono tormentati da dubbi e paure. Il successo del genere resistette anche all’avvento del sonoro e nel corso degli anni Trenta fu prodotta una gran quantità di film western, tra cui I cavalieri del Texas (1936) di King Vidor, La conquista del West (1937) e La via dei giganti (1939) di Cecil B. DeMille, e sopra tutti Ombre rosse (1939) di John Ford, il cui protagonista è John Wayne, l’attore che con il tipico passo lento e ondeggiato e lo sguardo penetrante è divenuto l’emblema del cowboy dai modi duri e dal cuore tenero.
Il mito del West rappresentava il mito di una nuova vita, conquistata a fatica dopo lotte e sacrifici al termine di lunghi ed estenuanti viaggi. Nel genere western si distinguono film ambientati sullo sfondo di grandi paesaggi naturali e altri che, invece, descrivono la vita di piccole comunità, dove i cittadini sono spesso impegnati a difendersi dai banditi. Al primo gruppo appartengono film che illustrano le difficoltà insite nelle lunghe migrazioni di carovane verso il Far West, come Il grande sentiero (1930) di Raoul Walsh, o nel trasporto di grandi mandrie di bestiame, come Il fiume rosso (1948) di Howard Hawks; o che raccontano gli scontri con i Pellirosse e le lunghe spedizioni sulle loro tracce, come in Sentieri selvaggi (1956) di Ford. Un altro tipo di pellicole privilegia invece soggetti ambientati in villaggi, in ranch o in forti, dove drammaticamente si difende la terra conquistata a fatica. In questi film la pace è garantita dalla cavalleria in lotta con i Pellirosse o da pistoleri coraggiosi che riescono a sconfiggere anche il più arrogante dei banditi: in Mezzogiorno di fuoco (1952) di Fred Zinnemann il memorabile duello vede lo sceriffo battere un’intera banda e porre fine alle sue angherie.
Dalla metà degli anni Cinquanta iniziarono a venir meno le caratteristiche del western classico. Da un lato i suoi protagonisti divennero meno eroici e più complessi, come nei film di Sam Peckinpah, e si girarono film ‘dalla parte dei Pellirosse’.
Dall’altro si affermò il cosiddetto western all’italiana, che conobbe uno straordinario successo grazie soprattutto ai film di Sergio Leone. Nelle opere di questo regista, famose in tutto il mondo, il gusto per il dettaglio, la narrazione realistica ma ricca di pause e di ellissi, l’umorismo che spesso affiora, rappresentano un omaggio e al tempo stesso una demitizzazione del genere. La critica ai valori espressi dal western proseguì negli anni successivi; nel 1970 tre film, Soldato blu di Ralph Nelson, Un uomo chiamato cavallo di Elliot Silverstein e Piccolo grande uomo di Arthur Penn, mostrarono apertamente come i Pellirosse fossero stati ingiustamente perseguitati dall’avidità e dalla sete di conquista dei bianchi.