White Heat
(USA 1949, La furia umana, bianco e nero, 114m); regia: Raoul Walsh; produzione: Louis F. Edelman per Warner Bros.; soggetto: dall'omonimo racconto di Virginia Kellogg; sceneggiatura: Ivan Goff, Ben Roberts; fotografia: Sid Hickox; montaggio: Owen Marks; scenografia: Edward Carrere; costumi: Leah Rhodes; musica: Max Steiner.
Gangster per tradizione familiare e naturale inclinazione, Cody Jarret non ama altri che la mamma, per la quale nutre una devozione ossessiva. Con qualche complice tenta un colpo a un treno della California, ma l'operazione non va a buon fine e sul terreno restano quattro vittime innocenti. Cody si nasconde in una casa isolata con i compagni, con la madre e con Verna, la moglie che in realtà disprezza, in attesa che si calmino le acque. Ma la polizia è sulle sue tracce e segue i movimenti di Ma' Jarret, sapendo che il figlio non si allontana mai da lei. Cody si consegna alla polizia, accusandosi d'un reato assai meno grave di quello commesso, e gli vengono comminati due anni di carcere. La polizia però non si fa ingannare e infiltra nel penitenziario l'agente Hank Fallon, con l'incarico di tallonare Cody e condurlo a una confessione. Nella sala del refettorio, il gangster viene informato della morte della madre e ha una violentissima crisi nervosa. Poi riesce a evadere, insieme a Fallon e ad alcuni altri detenuti: torna a casa e uccide l'amante della moglie, dopo che Verna ha accusato l'uomo del delitto di Ma' Jarret (che in realtà ha commesso lei stessa). Si prepara un nuovo colpo a una raffineria di petrolio, per svaligiarne le casse il giorno prima delle paghe. Ma Fallon avvisa i suoi, e Cody si ritrova circondato dalla polizia. In una lotta disperata e inutile, gli uomini della gang cadono uno dopo l'altro; Cody, in preda a un'esaltazione folle, grida al cielo "Ma', I'm top of the world!", prima di far esplodere a colpi di pistola il serbatoio sul quale è salito.
Possente film di gangster, White Heat segnò il ritorno al genere di James Cagney, che durante tutti gli anni Quaranta aveva interpretato molti ruoli diversi (particolarmente efficace era stato il suo George M. Cohan in Yankee Doodle Dandy ‒ Ribalta di gloria, 1942). La sua presenza ha qui il potere di galvanizzare un genere nella sua fase crepuscolare, un racconto nel quale le forme organizzate del crimine assumono aspetti sempre più minacciosi. Le deviazioni dell'inconscio sociale, le perversioni familiari, i drammi passionali alimentati da una mentalità criminale producono nel film di Raoul Walsh lo scenario d'una tragedia antica, e allo stesso tempo sembrarono singolarmente appropriati a un'epoca in cui era appena venuta alla luce l'esistenza della Murder Inc., ovvero l'estesa utilizzazione dei sicari nella vita pubblica statunitense.
Nel suo dualismo, nella sua viva maniacalità, nel suo rapido trascorrere dallo stato di tranquillità alla confusone mentale, il personaggio creato da James Cagney risulta uno dei più profondi del cinema americano, una figura "senza la quale è difficile perfino immaginare quale sarebbe stata la nostra impressione generale sul carattere interamente americano" (Otis Ferguson). White Heat offre d'altra parte la versione cupamente ironica non solo di un giovane proletario, ma anche di una famiglia: unità fondamentale della società e insieme nido frantumato di odio e dedalo di follia. Certe scene sono ancora, in proposito, completamente sbalorditive: la posizione di Cagney in braccio a sua madre, le sue reazioni in prigione alla notizia della morte di lei e la leggendaria sequenza finale, quando il gangster braccato sale sparando alla cieca in cima all'enorme serbatoio di petrolio che lui stesso farà esplodere e dedica alla madre la sua follia trionfante: "I'm top of the world!". Scrive Jack Shadoian: "È una tale forza della natura che i proiettili fabbricati dall'uomo non possono ucciderlo e nemmeno le loro case possono contenerlo. Non può essere abbattuto e non può continuare la sua vita piena di follie e di torture: allora si fa saltare in aria".
Con White Heat il cinema 'violento' raggiunse un'intensità mai conosciuta, la prospettiva apocalittica del dolore, della sofferenza fisica, delle frantumazioni, della distruzione totale. Il film noir, in questa fase, aveva sedimentato un proprio linguaggio visivo raffinato, maturo, in certo modo elegantemente soporifero. Di tutto ciò Walsh fece piazza pulita. La fotografia piana e senza ricercatezze di White Heat, opera di Sid Hickox, mette in risalto la banalità del quotidiano e rende più aspra la furia di distruzione che il protagonista dirige verso tutto ciò che tocca ‒ la natura come gli uomini. La regia si muove con assoluta sapienza dall'umorismo alla violenza, dall'azione serrata ai lunghi dialoghi che assumono a tratti sfumature anarchiche e che non lasciano dubbio alcuno sulla natura della vita così come la percepiscono i personaggi, grande gioco di tragica buffoneria. Ancora Jack Shadoian ha dato del film un'ottima definizione: "Una vera e propria centrale termica, nel solco della tradizione di Scarface e, in quella tradizione, insuperato ‒ un film in cui non c'è nessun trucco superfluo, un film tutto muscoli e carne".
Interpreti e personaggi: James Cagney (Arthur Cody Jarrett), Virginia Mayo (Verna Jarrett), Edmond O'Brien (Hank Fallon/Vic Pardo), Margaret Wycherly (Ma' Jarrett), Steve Cochran ('Big Ed' Somers), John Archer (Philip Evans), Wally Cassell (Giovanni 'Cotton' Valletti), Mickey Knox (Het Kohler), Ian MacDonald (Robert L. 'Bo' Creel), Fred Clark (Daniel Winston), Paul Guilfoyle (Roy Parker).
Kahn., White Heat, in "Variety", August 31, 1949.
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