Who Framed Roger Rabbit
(USA 1988, Chi ha incastrato Roger Rabbit, colore, 96m); regia: Robert Zemeckis; produzione: Touchstone/Amblin/Silver Screen; soggetto: dal romanzo Who Censored Roger Rabbit? di Gary K. Wolf; sceneggiatura: Jeffrey Price, Peter S. Seaman; fotografia: Dean Cundey; direzione dell'a-nimazione: Richard Williams; montaggio: Arthur Schmidt; scenografia: Elliot Scott, Roger Cain; musica: Alan Silvestri.
Hollywood, 1947. Il coniglio animato Roger Rabbit, star dei cartoons degli studios Maroon, attraversa un cattivo periodo: Jessica Rabbit, una showgirl mozzafiato disegnata come una dark lady, pare lo tradisca. Per trovare le prove, Maroon ingaggia il detective privato Eddie Valiant, nemico dei cartoni da quando suo fratello fu ucciso da uno di loro. Eddie scatta alcune foto di Jessica in pose compromettenti con Marvin Acme, proprietario dell'appezzamento su cui si erge Toontown, il folle ghetto in cui vivono i disegni animati. Quando Acme è ritrovato cadavere, sulle tracce di Roger si mette il cattivissimo giudice Doom, che ha scoperto una repellente mistura in grado di annichilire i cartoni. Roger non trova di meglio che affidarsi all'aiuto del riluttante Eddie, infine persuaso che Acme sia stato ucciso perché nel testamento affidava Toontown al libero governo dei cartoni. Anche Maroon è fatto secco. Eddie, sospettoso, segue Jessica fino a Toontown, uscendone piuttosto stordito. Il colpevole è in realtà Doom: poiché nei pressi sarà costruito un importante snodo autostradale, a lui interessa radere al suolo la città dei cartoni e aprire una catena di negozi e ristoranti. Eddie lo pialla con uno schiacciasassi, ma il giudice si rimette subito in sesto: anche lui è un cartone, e per di più è quello che uccise il fratello del detective. Un tuffo nel liquido letale di sua invenzione lo annienta, per la gioia di uomini e cartoni.
Il clamore suscitato da Who Framed Roger Rabbit all'uscita nelle sale affondava molte delle sue ragioni nell'innovazione tecnologica. La bizzarria di vedere cose e personaggi ripresi dal vivo che interagiscono con il mondo del cartone animato era però tutt'altro che una novità: la storia di questo connubio può essere fatta risalire alla serie Out of the Inkwell di Max e Dave Fleischer (1916), per poi continuare, tra i tanti esempi possibili, con Mary Poppins (Robert Stevenson, 1964) o il duetto di Gene Kelly e del topo Jerry in Anchors Aweigh (Due marinai e una ragazza, George Sidney 1945). Nel film di Robert Zemeckis, la raffinatezza del procedimento raggiunge uno stato per molti versi all'avanguardia: l'uso di un modello di macchina da presa appositamente brevettato (VistaFlex), la scelta di non rinunciare ai movimenti di macchina complessi, il record stabilito per il numero di fotogrammi sottoposti a rielaborazione e per il numero di personaggi a cartoni che dividono la stessa scena con elementi 'reali'. Ma a fronte di un investimento tanto imponente (e di un Oscar per gli effetti speciali visivi), Who Framed Roger Rabbit è al tempo stesso uno straordinario prodotto di retroguardia tecnologica, che fa coesistere immagini prese dal vivo e cartoons per mezzo di stampatrici ottiche (regolarmente in uso dalla fine della Seconda guerra mondiale) e procedimenti fotochimici. Di lì a poco (ma già allora i segnali erano molti), questo procedimento verrà surclassato dalla malleabilità dell'immagine elettronica. Ed è curioso notare come proprio il nome della Industrial Light & Magic, a cui il film di Zemeckis si affida per i trucchi di post-produzione, figurerà tra i protagonisti più attivi della 'rivoluzione digitale'.
Il senso di nostalgia che permea Who Framed Roger Rabbit abbraccia non solo il versante tecnologico, ma si allarga all'omaggio affettuoso di tante facce note del passato. Tra le guest star, ecco allora Donald Duck e Duffy Duck sfidarsi al pianoforte, Dumbo apparire a una finestra o Betty Boop in bianco e nero rassegnarsi al mestiere di tabaccaia, per manifesta inferiorità rispetto alla sfavillante Jessica Rabbit (molto presto scalzata da altri sex symbol, stavolta generati da un computer: Lara Croft, per dirne uno). L'ibridazione del già visto interessa anche i personaggi creati ex novo (Paolo Cerchi Usai, a proposito di Roger Rabbit: "Occhi alla Woody Woodpecker, orecchie alla Willy E. Coyote, ciuffo preso a prestito da Droopy, papillon disegnato dal grande Ub Iwkers per Flip the Frog, casacca postdisneyana per Oswald the Rabbit del 1927"). Mentre il cartone che apre il film, Something's Coocking, si lancia in un gioco di coppia al massacro che molto deve ad Hanna-Barbera e a Tex Avery. Il film di Zemeckis insiste anche su una strategia di miscelazione dei generi inventata da Hollywood ben prima di lui. In un tono predominante da commedia, il cartoon si intreccia al noir della grande tradizione anni Quaranta e Cinquanta, con i suoi private eyes depressi, le sue trame straordinariamente contorte e la benedetta maledizione di una dark lady: Jessica Rabbit è un po' Veronica Lake, un po' Lauren Bacall, molto Rita Hayworth, ma anche parente non proprio lontana della Jane Mansfield 'cartoonizzata' da Frank Tashlin (The Girl Can't Help It).
Vedere in questo una chiara manifestazione di postmodernismo è sin troppo ovvio. Da sempre, del resto, il cinema di Zemeckis è affascinato dalla riflessione sui propri congegni, dalla destrutturazione e il rimontaggio di meccanismi altrove già perfezionati: questo vale per la sbriciolamento controllato del tempo del racconto (nella trilogia aperta nel 1985 da Back to the Future ‒ Ritorno al futuro) e del tempo della Storia (Forrest Gump, 1994), ma più in generale concorre a un incessante interrogativo sullo statuto di realtà del cinema. Sovente, nella filmografia del regista, la realtà entro i margini del fotogramma emerge come vittima potenziale di un processo quasi dittatoriale di manipolazione, dove il corpo umano non è più tale. Anche se dal punto di vista tecnologico Who Framed Roger Rabbit non è un passo avanti epocale, il discorso 'teorico' sotteso è di grande precisione, validissimo anche per il destino degli esseri generati dal computer (come Zemeckis avrà modo di dimostrare in Death Becomes Her ‒ La morte ti fa bella, 1992). Per quanto alcuni personaggi siano di carne e altri disegnati, tutto si apparenta in un unico destino ontologico, quello della riproducibilità ad libitum. Se i cartoni sono inseriti nelle riprese 'dal vivo', è altrettanto esatto affermare il contrario: con queste premesse, è naturale che un coniglio biancorosa abbia una sua privacy, che un maschio della nostra specie provi pulsioni innaturali per Jessica Rabbit o che un detective scaraventato in Toontown sia ridotto a fisarmonica da un ascensore sadico, senza conseguenze durature. Ogni personaggio, nel film, è a vario titolo incastrato: dalla specifica natura del fotogramma (in inglese: frame), da un plot poliziesco di cui non è chiaro il mandante, da un ruolo esistenziale che altri hanno pianificato. Roger Rabbit sta al mondo per far ridere la gente, vittima degli imperativi delle gag. Anche lui, come tutti, è così perché non l'hanno disegnato altrimenti.
Interpreti e personaggi: Bob Hoskins (Eddie Valiant), Christopher Lloyd (giudice Doom), Joanna Cassidy (Dolores), Stubby Kaye (Marvin Acme), Alan Tilvern (R.K. Maroon).
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