RAABE, Wilhelm (pseudonimo Jakob Corvinus)
Narratore tedesco nato l'8 settembre 1831 a Eschershausen (Braunschweig), morto il 15 novembre 1910 a Braunschweig. Dopo essere stato per qualche anno (1849-53) impiegato in una libreria di Magdeburgo, ove pose le fondamenta della sua vasta cultura letteraria, s'iscrisse nel 1854 alla Facoltà di lettere dell'università di Berlino, più che allo studio filologico dedicandosi però all'attività letteraria, che più non abbandonò durante la sua lunga, pacifica ed operosissima vita, trascorsa, dopo lunghe peregrinazioni in terra germanica, a Stoccarda dal 1862 al 1870, indi a Braunschweig.
Già col suo primo romanzo Die Chronik der Sperlingsgasse (pubblicato nel 1857) si guadagnò un largo pubblico che gli rimase fedele e di anno in anno aumentò. Ancor oggi R. è uno degli autori più popolari e amati della Germania. Nel primo romanzo, serie di quadretti idillico-elegiaci - più accorate meditazioni, che concreta rappresentazione -, in cui sono tratteggiati ambiente e figure caratteristiche di un vicolo di Berlino, si notano le qualità che spiccheranno nei numerosissimi romanzi successivi, come, ad esempio, nei più noti e meglio riusciti: Die Kinder von Finkenrode (1859), Unseres Herrgotts Kanzlei (1862, romanzo storico arcaicizzante), Die Leute aus dem Walde, ma segnatamente nella trilogia, che gli ha dato la massima e duratura rinomanza nel suo paese: Der Hungerpastor (1864), Abu Telfan, ecc. (1867), Der Schüdderump (1870). Non sempre senza tendenziosità, con accenni di satira e talvolta con troppo reciso chiaroscuro egli esalta le anime semplici, pie, contrapponendole agli uomini pratici, cupidi di onori e ricchezze. Pur non opponendosi (come certuni asserirono) al movimento di ascesa politico-economica della Germania di Bismarck, fu uno dei primi a lamentare l'avidità di benessere materiale della borghesia tedesca del suo tempo (specie dopo il '70), l'industrializzazione rapidamente crescente, lo spirito mercantile dilagante nella "terra dei pensatori e poeti", e a tale reazione, al desiderio e alla fiducia di trovare nel suo popolo anime rimaste incorrotte dall'influsso materialistico, va attribuita la sua predilezione per gl'ingenui, gli umiliati ed oppressi, per gli esseri originali, stravaganti, fantastici, ma anche per i caparbi e ribelli in contrasto con gli opportunisti senza carattere, gli arrivisti senza scrupoli. Amò dipingere angoli nascosti, figure ed aspetti della Germania intima, "segreta", sanamente borghese, e collocò di preferenza i suoi personaggi nelle cittadine provinciali, o nei quartieri modesti di città grandi, in cui ancora spirasse l'aria del buon tempo antico; nei vicoli oscuri e tortuosi, nelle case sbilenche della povera gente; negli ambienti insomma dove ancora vedeva fiorire l'idillio e la fede (secondo il suo motto notissimo: "osserva i vicoli - guarda alle stelle!"). Mondo ricco e vario, ma un po' chiuso è quello ch'egli ama evocare con un realismo anche troppo minuzioso, temperato dall'umorismo (come nel Dickens), raramente corroso dall'ironia. Troppo spesso egli è stato ravvicinato a Jean Paul; ma di questo non ha né l'ironia, né i contrasti romantici stridenti, né il fantastico grottesco, né certi atteggiamenti serafici; egli stesso nega di averne tratto decisivo influsso, mentre ammette invece di aver molto derivato dal Manzoni. Ma si compiace anch'egli di sconcertare con le sue trovate e divagazioni il lettore, e seguire, incurante d'ogni esigenza architettonica, ghiribizzi e capricci. All'opposto del principio della "oggettività" postulato dallo Spielhagen, il R. conversa continuamente col suo lettore, intercala considerazioni generali (non di rado amare) sulla vita umana, e considerazioni particolari sui suoi personaggi, non disdegnando bisticci e metafore scherzose. Talvolta si sente la maniera e infastidiscono certe ripetizioni, certe lungaggini e un'eccessiva loquacità, perfino un voluto umorismo insipido, anche nelle sue opere più celebbrate. Troppo spesso egli si abbandona al suo giuoco fantastico, e troppo indulge al vezzo dell'architettura slegata (che meno si nota nelle brevi novelle, come in Des Reiches Krone). Non a torto la critica tende a reagire alla sopravalutazione della trilogia e a insistere sul maggior valore artistico di alcuni romanzi della vecchiaia, massime dello Stopfkuchen (1891) e di Die Akten des Vogelsangs (1896), nei quali, nonostante la persistenza di certi suoi difetti, l'incapacità di condensare la materia e di scolpire sempre le figure in netto rilievo, si nota tuttavia lo sforzo di distanziare maggiormente e oggettivare (con procedimenti a volta un poco complicati e artificiosi) la rappresentazione. Emerge nelle sue ultime opere una visione più serena e conciliante della vita, in cui all'inclinazione verso il pessimismo sottentra, pur velato di melanconica rassegnazione, un maggior ottimismo, maggiore fiducia nella vittoria degli spiriti puri e disinteressati.
Ediz.: Opere complete in voll. 18, Berlino 1913-16; opere scelte a cura di F. Hesse e L. Geiger in voll. 3, ivi 1913.
Bibl.: Monografie di E. Everth, Lipsia 1912; S. Fliess, Grenoble 1913; H. Spiero, 2ª ed., Darmstadt 1925 (dello stesso un Raabe-Lexikon, Berlino 1927); W. Heess, Berlino 1926; W. Fehse, ivi 1928. Inoltre: W. Grohmann, Raabe-Probleme, Darmstadt 1926; N.C.A. Perquin, Raabes Motive als Ausdruck seiner Weltanschauung, Amsterdam 1928; E. Doernenburg, W.R. und die Romantik, Filadelfia 1921, e varî lavori sui singoli romanzi; H.A. Krüger, Der junge R., Lipsia 1911, con bibliografia.