WAGNER, Wilhelm Richard
Nacque a Lipsia, nono figlio del pubblico funzionario K. W. Friedrich Wagner e di Johanna R. Pätz, il 22 maggio 1813; morì a Venezia il 13 febbraio 1883.
Sei mesi dopo la nascita di Riccardo, il padre veniva a morte, e nel 1814 Johanna sposava il vecchio amico di casa Ludwig Geyer, attore e dilettante di pittura. La famiglia si trasferiva allora a Dresda, dove rimase per varî anni, fin dopo la morte del Geyer. Riccardo, novenne, entra a quella Kreuzschule, e ne frequenta i corsi (distinguendosi in lettere greche e tedesche e tentando saggi poetici e teatrali: modelli, i Greci e Shakespeare) fino alla "secunda" (l'ordine, nelle scuole tedesche, va all'inverso). Nel 1828, per raggiungere la famiglia che intanto aveva seguito Rosalia (la sorella maggiore) a Lipsia, ove la fanciulla andava attrice, il ragazzo arriva, quasi inaspettato, in questa città, dove entra alla Nicolaischule, retrocesso però in "tertia". Un po' per questa retrocessione, molto più per l'attrazione che cominciava ad esercitare su di lui la musica (attraverso l'opera romantico-tedesca di Weber), Riccardo neglige gli studî fino allora amati: va ai concerti del Gewandhaus, che gli rivelano Beethoven. Sotto questa impressione, egli comprende la sua natura di musicista; al teatro non può pensare se non attraverso l'espressione musicale, e vuol dar musica anche ad uno dei suoi tentativi drammatici: Leubald und Adelheid. Inizia così gli studî musicali, prima da solo, poi con un maestro di violino e con un organista, che prestissimo pianta in asso. Crede d'esser maturo per comporre: una favola pastorale ispirata a Goethe per l'argomento, a Beethoven per la musica, ne è tra le prime prove; una Ouverture, non priva di bizzarrie e di ricerche, è eseguita al Gewandhaus (1830) tra l'ilarità generale.
Maturo per la composizione, certo non lo era ancora. Ma ormai la sua strada era certa. Anche alla Thomasschule, dove entra nello stesso anno 1830, agli studî filologici e filosofici, di cui egli sente pure il valore, sovrasta l'interessamento per le arti, per dire come dirà F. Nietzsche, "dionisiache". È un momento critico per la personalità di W., dato da un'esuberanza di passione e di energia, che già vuole esprimersi con forza di conquista. Quivi le prime discussioni letterarie, filosofiche e politiche, nell'ambiente, allora assai agitato, di Lipsia. Con i giovani liberali partecipa anzi ai moti del 1830, in nome della fichtiana nazione tedesca che oggi deve rompere i diaframmi delle corti ormai estraniate dalla razza. Voce della nazione tedesca, l'arte (la musica in specie) attraversa quivi la politica. Né W. l'ha mai tanto sentita prima d'ora. Nello stesso ambiente dell'università (1831) egli trova quella voce tedesca più forte nella storia musicale che nelle dottrine filosofiche del Krug e del Weiss. Si astringe volentieri, questa volta, alle severità dell'armonia e del contrappunto, in cui il docente di Lipsia: il "Thomaskantor" T. Weinlig gli fa sentire la forza di Bach, di Mozart e dello stesso Beethoven. In sei mesi lo scolaro diventa un capace compositore, che in varie musiche pianistiche e orchastrali dà prova di quanto abbia assorbito della grande tradizione settecentesca. Primi cenni della personalità wagneriana, tendenza al cromatismo e soprattutto forte senso dell'elaborazione tematica, si notano nella Fantasia in fa diesis min., nell'Ouverture in re min. (1831), e anche più nella Sinfonia in do magg. e nei sette pezzi per il Faust di Goethe (1832). Notevole, nel melologo per il Faust, l'emergere d'un discorso orchestrale d'intenzioni allusive al processo drammatico. Alcune di queste musiche sono eseguite, con esito soddisfacente, a Lipsia e fuori: a Praga, tra l'altro (Sinfonia in do magg.), dove W. passa durante il 1832 con l'esiliato polacco conteTyskievič e dove patisce le prime delusioni d'amore. Alle quali reagisce con una prima opera teatrale, ispirata al medievale poemetto Frauentreue (di già la fonte di W. è l'antica poesia germanica) ch'egli intitola Die Hochzeit (Le nozze) e di cui lascia la composizione al terzo pezzo, il tragico argomento spiacendo alla sorella Rosalia. Il primo esempio del wagneriano Liebestod era respinto da Rosalia come gli altri, i sublimi, saranno respinti da tanti pubblici e da tante "competenze".
Né sulle delusioni d'amore né sulla sorte delle Nozze W. si attarda molto. Nel 1833, ottenuto un posto di maestro dei cori al teatro di Würzburg (dov'era anche il fratello Alberto), tra l'una e l'altra delle occupazioni teatrali egli si ritrova al tavolino, a comporre una seconda opera: Die Feen (Le Fate), la cui trama - ispirata alla Donna serpente di C. Gozzi - è conclusa da W. in catarsi nuova, ed analoga al Liebestod: Ada, la Fata, non può diventar donna, ma Arindal, giunto all'Assoluto d'amore nella sfida agli Inferi, entra egli stesso nell'immortalità.
Pur suggerita da un impulso immediato, privo di grandi complessità spirituali, questa modificazione vale già di per sé a caratterizzare, sia pure fuori d'artistica concretezza, il particolare romanticismo del W., che all'uomo - puro senziente nel mondo fantastico dei primi romantici - restituisce pienezza di coscienza. Per ora, soltanto, lo spirito di W. non è tanto ricco da poter reagire all'ambiente: la ricomparsa dell'eroe si compie grazie all'aiuto degli "eroicí" Gluck e Beethoven (gluckiano il finale, beethoveniani i tentativi d'elaborazione tematica) e si compie, isolata, di fronte alle sussistenze dell'opera primo-romantica: la scena di azione vien dal Marschner, la lirica dal Weber e dallo Spohr, e via dicendo. E l'eroe non vi è più corporeo dei fantasmi cui si vuol contrapporre. Maggior "corpo" avrà nelle prossime opere: Liebesverbot e Rienzi, dove però, abbandonato il confronto con i "fantasmi", perderà l'evidenza di quella spiritualità.
Terminata la partitura delle Fate, W. deve presto rinunziare alla rappresentazione (la 1ª avvenne postuma) tanto a Würzburg quanto a Lipsia dove - anche per questo scopo - ritorna per qualche mese al principio del 1834. A Lipsia gliela respingono in nome di J. S. Bach. In un articolo per la rivista del Laube, ove protesta contro la reazione che dalla vita pratica e dalla politica dilaga anche nell'arte, W. dà i primi segni d'un nuovo orientamento. Lascia intanto perdere le Fate, e, con esse, anche il mondo fatato che fino allora era stato tanta parte della sua fantasia.
Urgono in lui, esasperati, i sensi giovanili: l'amore, fino a questo momento più immaginato che sentito, riassume ora, risvegliatti dal desiderio, la sua natura dionisiaca, concretamente agogica; la quale attrae il giovane W. lungi dagl'incantesimi e dai misticismi (cui egli per ora non sa attribuire funzioni di umanità) e lo sospinge a cercare la soluzione in questo mondo; mondo che per l'ancora ingenuo W. s'identifica col fenomenico. Il teatro deve quindi tenersi alla chiara rappresentazione del visibile agire dell'uomo tra gli altri uomini. Esso abbandona allora le fonti germaniche o germanizzate ond'eran nate Hochzeit e Feen e si volge a quelle dello Shakespeare e degli operisti latini, che attraverso un'interpretazione assai arbitraria darebbero nel "realismo".
La nuova soluzione del processo d'amore: dal Liebestod (che ritornerà poi vittorioso) al Liebesleben, è avvalorata, nello spirito di W., da una maggiore consapevolezza in confronto con la precedente. W. comincia ad assimilare e quindi a reagire secondo motivi suoi e capaci di varie illazioni. Che W. non sa escludere, nonostante tutto il suo odierno anti-simbolismo, dalla concezione delle sue nuove opere. La prima di esse accusa un suo motivo ideologico già nel titolo: non si contenta dell'originario Measure for measure e diventa Das Liebesverbot; il luogo dell'azione si muta da Vienna in Palermo. La prima illazione del motivo Liebesleben è la più immediata: vittoria della sana sensualità mediterranea (Palermo) sull'ipocrita reazione nordica (il governatore tedesco). W. ne realizza il poema subito nell'estate del 1834, tra un viaggio e l'altro di Germania in Boemia, e mentre si rivolgono in lui nuove esperienze d'ambienti e di uomini e di cose d'arte.
Tra queste, la belliniana Giulietta nella dionisiaca interpretazione dI Wilhelmine Schroeder-Devrient e l'incisiva stilistica teatrale della Muette di Auber. Quadro d'opera latina che - durante l'attività di W. al teatrti di Magdeburgo (1834-36) come direttore d'orchestra - s'estende fin dentro la composizione della nuova partitura. Il cui conseguente eclettismo (Gluck-Mozart, sì, ma in realtà più Bellini e Auber) è però rialzato esteticamente da quell'insopprimibile tematismo drammatico che W. tiene dalla sua razza come ne tiene - nel poema - l'urgenza della tesi ideologica.
L'unica, e caotica, rappresentazione cui giunse l'opera (29 marzo 1836) fu anche l'ultima del teatro, il cui impresario, bancarottiere, se ne era già fuggito. A Lipsia il Liebesverbot è rifiutato per la sua "immoralità" e a Berlino non ne vogliono saper nulla. Indebitato già adesso come lo sarà per tutta la vita, W. passa, come alcuni colleghi di Magdeburgo (tra i quali l'attrice Wilhelmine, o Minna, Planer) al teatro di Königsberg e - nonostante tutte le sue miserie - sposa la buona quanto volgare Minna, che prestissimo cominciera a dargli anch'essa pene e delusioni. Dopo pochi mesi, chiusura del teatro di Königsberg, per le stesse cause già verificatesi a Magdeburgo, e nuova peregrinazione di W., che passa a Riga, direttore d'orchestra di quel teatro, per restarvi dall'estate del 1837 alla primavera del 1839. Alla prosaica pratica teatrale, che scarsamente compensa la sua Komödiantenwirtschaft (gioia di Minna Planer) con qualche rappresentazione di Bellini, di Méhul ecc., da Königsberg a Riga W. ora soccombe ora violentemente reagisce. A Königsberg (1836-37) disegna una grande opera in 5 atti: Die Hohe Braut, di cui lascia poi musicare il testo ad un amico, J. Kittl, sotto il titolo Die Französen vor Nizza, e compone due ouvertures: Polonia e Rule Britannia. A Riga, pur seguitando ad allestire opere di repertorio e a diriger concerti, si avvilisce fino ad iniziare una sorta di farsa: Männerlist grösser als Frauenlist, con musica "à la Adam" ed insieme subito si rialza in un orgoglioso appello a tutto il suo vigore creativo, all'apparirgli, nel romanzo di E. Bulwer-Lytton, dell'eroica lotta di Rienzi per il nome di Roma.
Nuova illazione, meno immediata, del motivo Liebesleben (amore come anti-monade, risolvibile non solo nel rapporto uomo-donna ma anche nel rapporto individuo-collettività), Rienzi diventa, nell'antimonadistico e dionisiaco W., un motivo di fecondità dionisiaca. Che rinasce in musica e da questa avvia il suo estetico divenire: da un'ispirazione di natura musicale si va delineando il disegno del dramma.
Processo (comune del resto, in sé e per sé, al buon teatro musicale d'ogni tempo), per il quale il Lebensbild "Rienzi", questo stimolo alla musicalità, che già al suo primo prodursi in musica tende a mostrarsi non tanto nella sua gelosa interiorità quanto nei rapporti collettivi più visibili, finisce per dare un teatro di momenti e di "situazioni", sia pur collegato da drammatici sensi, ma pur sempre efficace più per le varie riaccensioni che per questo legame; più che per l'interiore, per il fenomenico. (Si vedrà che in future opere di W. lo stesso processo musica-dramma darà un teatro opposto). Teatro, questo del Rienzi, che W., con la sua arbitraria terminologia, chiamerà operistico, e che d'altra parte era proprio quel che dal Liebesveroot ad allora stava vagheggiando. W. "vede il suo soggetto attraverso la lente del Grand-Opéra di Spontini, Rossini e Auber. E Spontini è il "genius loci" del ritardatario lavoro wagneriano. Ma a Riga, W. s'illude di poter lui stesso dare il massimo coronamento all'edificio del Grand-Opéra. S'illude, per il suo orientamento d'allora verso l'opera latina, e del resto si compiace in questa fiducia: la stessa concezione d'un Grand-Opéra eroico quale il Rienzi è per lui la prova della sua spirituale superiorità e - idest - dell'urgenza d'un più degno ambiente.
Al termine del contratto con quel teatro, W., portando seco la partitura già composta per 2 atti, lascia Riga (quasi di nascosto per le solite miserie della sua vita quotidiana) e a Pillau s'imbarca per la Francia, dove giunge dopo una tempestosa traversata di quasi un mese (prima visione del Fliegende Holländer) e dove subito si dirige a Parigi. La metropoli di Gluck era ormai quella di Meyerbeer, né W. vi apportava parole nuove come ne aveva apportate l'autore dell'Ifigenia in Aulide. Non c'era alcun bisogno di lui, ed a W. ciò fu fatto sentire con vera crudeltà, nonostante l'appoggio (forse più dichiarato che effettivo) dello stesso Meyerbeer e l'amicizia stretta con W. dai migliori artisti. Tra le sconfitte, le umiliazioni, le miserie senza confronti che riempiono la sua giornata (altro che la vecchia Komödiantenwirtschaft della già disprezzata provincia tedesca!), W. si rifà di quando in quando al suo lavoro: tra una canzonetta da pochi franchi a una riduzione per cornetta di qualche aria in voga, egli reagisce con una Ouverture per il Faust di Goethe (motivo profondo e germanico, che già gli suggerisce ben altra musica da quella dello stesso Rienzi!), con pubblicazioni polemiche o a polemico significato (sempre più chiara rìbellione all'opera "internazionale"), e - attraverso tutto ciò - con la ostinata prosecuzione e il compimento dell'opulenta partitura del Rienzi.
Il cui discorso è sempre rivolto al nobile, al grandioso, e - insieme - sempre più sforzato, esasperato in bruschi contrasti, in crudi clangori assordanti, che attirano l'attenzione - più che sull'opera - sulla singolare psicologia dell'uomo che l'opera ha così composto. Giunge alle soglie dell'arte e non può varcarle che di rado, proprio per quello stesso temerario sforzo in cui W. tende ogni sua fibra. La volontà dell'uomo si fa direttamente sentire attraverso il lavoro dell'artefice.
Comunque, soltanto in forza di tale innaturale tensione W., già trepidante in cuore ai suadenti richiami della spiritualità tedesca, riesce a concludere l'opera: merce da sfruttare, a Parigi o dovunque (e infatti essa è spedita a Dresda), questa la riuscita dell'eroico sforzo di W. per il "più umano". Le voci che dalla patria ora ritornan chiare al suo cuore gli svelano che non nell'"evidenza" (dono dei Latini) ma nell'mnteriorità" egli, R. W., potrà superare il vuoto, intuire l'Umano. La nausea del "vuoto" (terribile monito che salva gli artisti) rivolta le viscere di W. con incontenibile violenza sovvertitrice. La lunga purificatrice febbre della latinità lascia W. in una sorta di stordimento: confuso rifluire di disgusti e di aspirazioni, di sùbiti sdegni e di repentini desiderî.
"Io mi trovavo allora in uno stato d'animo dolorosamente voluttuoso" dirà R. W.; ed era, questo, il primo trepido sguardo ch'egli ardiva rivolgere entro l'essenza del suo cuore, per tanto tempo delusa. Sguardo che ora però diviene subito penetrante, fuori delle contingenze e di quanto contingente può sembrare, fino all'ultima ragione. A questo contatto, scoppia allora come un fulmine il genio di W., carico di tutte le forze per anni accumulate: forze di gioia delirante e di spasimo, di ribellione satanica e d'esasperato amore. Quivi "nacque il Fliegende Holländer, ch'io da lungo tempo portavo in me".
Esplosione d'una forza della natura, dell'umanizzata terribile Natura del Nord, il W. del Nibelungo annunzia già ora il suo arrivo, tra le rauche trombe diaboliche e l'urlo selvaggio della bufera oceanica. E mai W. stesso (né certo alcun altro dei moderni) strappò al teatro una visione più sfolgorante. Per trovarne l'eguale, occorre tornare al Prometeo di Eschilo.
W. aveva toccato direttamente, come s'è detto (e cioè attraverso e, finalmente, al di là d'ogni contingenza) il motivo primordiale della sua vita: il desiderio d'Amore. Nel quale bruciavano, unificandosi quasi in un acuto cuneo, tutte le passioni di W., dall'Eros sessuale all'universale: il desiderio dell'Olandese unifica insieme, nel liberatore "Femminino", la Donna e la Patria, il godimento assoluto e l'assoluto "riposo": la suprema pace, dopo l'incessante odissea quotidiana, del porto supremo.
Questo contatto con l'Urliebe, con il motivo primordiale del vivere di W., si determina, anche nella lirica espressione, come motivo primordiale del dramma. Dalla sua immagine sintetica: la ballata di Senta al 2° atto, s'irradia infatti il sommario affresco dell'opera intera. Di ciò che avviene al 1° atto, quella ballata è il sogno, come è il presentimento (ed anzi la volontà) di ciò che avverrà nell'ultimo: poeticamente quanto musicalmente. E non per nulla la prima concezione dell'opera era stata quella di una "ballata drammatica in un atto". Esulava, come esula anche dai 3 atti definitivi, ogni contingenza di figure (tali quelle del Grand-Opéra) e di visioni (quelle, per es., dell'opera primoromantica) che possa interporsi fra tesi, antitesi e sintesi di questa dialettica dell'Io che si universalizza nell'Assoluto dell'amore.
L'idea, ancora astratta in Hochzeit ed in Feen, astratta (perché appiattita nel fenomenico) in Liebesverbot e in Rienzi, passa ora, nel Fliegende Holländer, a vero motivo lirico, determinandosi in travolgente dinamismo. Tra i quadri apparentemente simili agli "operistici" (vocabolario Wagner!) e cioè "chiusi", e intonati in una musicalità qualche volta ritornante al vecchio Weber (fatto inconscio quanto significativo), circola continuo questo dinamismo, producendo un discorso sempre agogico e caratterizzato - contro gli stilemi operistici del tempo - dall'interno denominatore di comuni temi (presentimento del futuro Leitmotiv), dal rompersi delle cadenze armoniche in reiterati slanci, dal flusso tempestoso del contrappunto. Siamo di già, nell'idea e nell'arte, vicini al Tannhäuser e al Lohengrin.
W. compone il suo primo dramma musicale in sei settimane, poco dopo aver terminato il Rienzi, e cioè quando ancora si dibatte tra le miserie del suo soggiorno francese. Al Fliegende Holländer egli deve però la sua liberazione spirituale: quelle miserie, oggi W. le traversa sorridendo sdegnoso. Tutt'al più, egli denuncia in uno scritto l'incompatibilità tra l'arte vera e il teatro del tempo. Ma la liberazione materiale (il ritorno alla patria, a quella patria tanto più sua oggi ch'egli ne ha ripreso la voce per la Sehnsucht del suo "Olandese") non l'avrà dal capolavoro ma dal Rienzi, che - accettato a Dresda ed accoltovi nell'ottobre 1842 da imprevedibile entusiasmo - rende il nome di W. celebre, di colpo, in tutta la Germania. Gli è conferito il posto di Hofkapellmeister a Dresda e gli si rappresenta, il 2 gennaio 1843, il Fliegende Holländer. Successo "di stima"? In tutti i casi, delusa perplessità d'un pubblico che era in attesa d'un secondo e forse più spettacoloso Rienzi e che si vedeva messo alle prese con questo dramma violentemente sbozzato come in livida pietra, solo in ultimo rischiarato dai pallidi raggi della Morte redentrice. Soltanto alcuni pochi (L. Spohr, R. Schumann) salutano il geniale artista. Il quale ormai non può più - anche se voglia - ritornarsene fuori della sua conquistata ultima ragione. Le nuove opere - prima quel Tannhäuser ch'egli ha già in lavoro - non faranno che precisare sempre più analiticamente le aspirazioni dell'artista che intanto si va ponendo - su di esse medesime - come demiurgo.
Aspirazioni all'Assoluto (che è assoluto amore) cui trarre, per virtù d'arte (di polemica e d'azione rivoluzionaria, in certe occasioni) il mondo ridotto a congerie di pseudo-esistenze monadistiche. La precisazione dei varî momenti della dialettica spirituale wagneriana è data - come si diceva - dalle varie espressioni artistiche. Noi oggi siamo in grado di aggiungere: soltanto da esse. E ad esse dobbiamo attenerci, quando - come spessissimo accade presso W. - differiscano dalle dichiarazioni teoretiche. Le quali dichiarazioni e auto-esplicazioni tendono a collegare con sistemi religiosi o areligiosi, ottimisti o pessimisti, intuizioni in nessun modo riducibili che al loro proprio W. Il motivo Liebessehnsucht, centrale in W., ha avuto nel Fliegende Holländer un'immagine concreta più nei toni di ansia che in quelli di appagamento: il dubbio dell'Olandese non cede che di fronte ad una rivelazione altrui, ed il Liebestod vi è tinto di pallore: non annunzia, artisticamente, una nuova vita, ma un meritato riposo. Ottimismo o pessimismo? Il Liebessehnen non s'è risolto secondo una sua necessità, una sua entelechia, però W. accettava, in quel momento, proprio una soluzione di "riposo".
Nel Tannhäuser, lo stesso suo riacceso orgoglio (coscienza e volontà di vittoria) lo conduce ad un Liebessehnen più esigente, per così dire, perché più ricco di energie e più cosciente della propria eticità. Non potendo vincere, esso non potrà che coscientemente rinunziare. Questo ci esprime la realtà artistica del dramma musicale, caratterizzata da un discorso tormentoso quanto tormentato, rotto da repentine cadute e riprese. Questa musica dell'inappagato desiderio è realmente vita sofferta, anzi sofferenza e gioia in atto, agogica proprio nelle sue cadute e nelle sue brusche deviazioni: essa si sprigiona dolorosamente dalla confusa resistenza dei suoni, erompe ora come splendente fiamma, ora serpeggia ardendo di fibra in fibra; tormenta l'accordo acuendone la volontà di moto che bruscamente storna o sopprime; eleva la parola dal recitato alla melodia e là ora l'impone ora la rigetta giù nella materia, sotto il canto puro; rivolve l'orchestra nelle sue masse da paurosi silenzî a sùbiti clangori, o l'una sull'altra le erge quasi in gigantesche pale d'altare. Poiché infatti quel tormentoso agogismo non si risolve in una "cadenza" interamente implicita nei suoi stessi elementi, ma soltanto s'arresta e si comprime di fronte al riapparire di superni, mistici miraggi. Rimane un dualismo, che invano W. cerca di ridurre a unità, e proprio qui è il segreto della forza di questo dramma: noi assistiamo, in realtà artistica, ad un'impari lotta di Tannhäuser (cioè di W.) contro le astrazioni cui la società umana ha ridotto l'Amore: puro senso da una parte, puro spirito dall'altra. E Tannhäuser non riesce a riconquistare la pienezza d'Amore, che è Possesso assoluto, ma soltanto ad uccidere i sensi, nella contemplazione del sacrificio d'Elisabetta e nella rassegnata sua propria morte.
L'Amore rinunzia così, presso Elisabetta e Tannhäuser, alle sue funzioni umane, e cerca l'Assoluto nella religione; concludendosi il dramma in toni di solenne adorazione. Qualunque ne sia l'esplicazione proposta dal W. teorico (quella del 1851, p. es., o quella - opposta - del 1856), nella realtà artistica noi sentiamo che la redenzione, nel Tannhäuser, avviene soltanto nel transito delle virtù di amore in un piano propriamente religioso. Nella quale soluzione permane un dualismo di cui W. sente ancor più dolorosamente le pesanti catene. Quale sarà, insomma, la ragione della rinunzia? Questa la nuova angoscia di W., cui egli cerca soluzioni per ogni strada, transvalutando in varie immagini tanto quell'angoscia quanto le soluzioni stesse.
Ed ecco il W., non appena terminato il Tannhäuser, al lavoro su temi con quello connessi, subito da lui ridotti a quel suo Essenziale o scartati quando all'Essenziale vogliano sfuggire, come avviene - tra l'altro - al primo abbozzo dei Meistersinger von Nürnberg (1845), che viene lasciato in quanto attaccato alle conseguenze (rapporti artista-antiartista), non al Principio del dualismo. Affermavasi invece, ora, il concetto Lohengrin, già negletto - per scarsa evidenza di valori umani - al suo primo contatto (1841) con la mente di W., e che ora riappariva come il dramma interno dell'amore. Abbozzato nel 1845, il Lohengrin è composto nel 1846-48. Nel frattempo, nuove esperienze importanti per W., tra le quali la rappresentazione (Dresda, ottobre 1845) del Tannhäuser: esito anche meno positivo di quello avuto dal Fliegende Holländer nel 1843 (gli stessi artisti: compositori ed interpreti, tra i quali la stessa Schroeder-Devrient amica e - in certo senso - ispiratrice, tributano elogi abbastanza condizionati); prime campagne contro il W., accusato di sovversivismo artistico e politico; nuove miserie pratiche e morali, che W. combatte con le sue già provate armi: interpretazione di musiche classiche, composizione di musiche nuove, tra le quali - appunto - quella del Lohengrin.
In questa partitura i contrasti fonici del Tannhäuser si attenuano come entro una sola, ampia risonanza di campana: il ritmo, la stessa melodia (che W. sente come "precisazione" rispetto all'armonia) vi sono condizionati da un discorso armonistico che tende a fluire in concentrici cerchi di risonanza. E infatti attraverso questa musica si passa come attraverso un lungo sogno, a tratti incupito da incubi. Lo stesso trasporto d'amore, anche quand'esso è alimentato da fede (e cioè prima dell'"interrogazione" di Elsa), non si esprime in toni di gioiosa conquista ma, piuttosto, in toni di trepida, struggente speranza. Si direbbe che l'"interrogazione", sia già vagamente nell'aria. E quand'essa è ormai pronunziata, non erompenti veemenze, ma piuttosto un'infinita tristezza scossa sol da brividi di freddo: contemplazione della Solitudine che lentamente ci riprende. E di cui mai, nemmeno nella speranza, erasi fugato il timore. Unità di ambiente drammatico-musicale, quindi, in virtù della funzionalità d'ogni momento dell'opera (cioè d'ogni scena) in ordine a motivi drammatico-musicali (o temi) comuni in quanto interiori, anzi radicali. W. si rivolge, infatti, non al fenomenico ma alle intime ragioni (a "un processo che si svolge totalmente nel cuore di Elsa" scriverà R. W.), dove tocca direttamente il suo Urmotiv, che è di natura puramente affettiva: puro sentimento. Egli giunge cioè in quelle profondità dello spirito che oggi si direbbero subcoscienza e che W. sente per fluide, sempre modulanti armonie. Quivi, proprio in questo interno fluire dell'una nell'altra risonanza, l'intuizione lirica di W. tocca la sua vera concretezza. L'aspirazione ideale vi si intona come sentimento nuovamente vibrante della sua essenziale sensualità. E la determinatezza, la precisione di questo lirismo svaniscono se da tale necessaria fluidità di risonanze armoniche esso lirismo voglia riemergere più che per allusioni (cioè per accenni tematici), piuttosto per delimitati concetti (cioè per puro "melos", per frasi melodiche). Quell'aspirazione ideale che bramava reintegrarsi nella primordiale sua concretezza di "sentimento", nella velleità di ritornare a consapevolezza, non fa che nuovamente disintegrarsi. Processo, questo, che - pur escludendosi per ora ogni interno rapporto - ricorda curiosamente quello dello stesso dramma: Lohengrin (l'Idea) ed Elsa (il Sentimento) non possono giungere al reciproco possesso (cioè reintegrarsi l'un per l'altro in creatrice sintesi) se non del tutto purificati da ogni interesse contingente, e così anche dal dubbio, che nei limiti della contingenza li respingerebbe. E la solenne tragicità di quest'opera sta nelle ragioni dell'interrogazione di Elsa (Chi sei? Donde vieni?) che - pur cadendo essa interrogazione nel contingente - non sono futili ma anzi interne alla stessa necessità di quell'assoluto possesso che intanto dal dubbio è distrutto. Come si vede, dal Tannhäuser al Lohengrin W. è venuto accentuando l'immanenza, nell'amore, del carattere di Assoluto. Assoluto che sarà quindi celebrato da ogni processo d'amore nel quale non interferiscano elementi estranei (come il suggerimento di Ortruda nel Lohengrin; "Ortruda è una donna che non conosce l'amore... essa è una "reazionaria". R. W.), elementi, infine, del mondo frantumato dall'assenza d'amore, e cioè astretto all'egoismo e agli interessi suoi quotidiani. L'Assoluto è l'amore stesso, il Contingente è lo stesso mondo di oggi, in quanto privo di amore. Posizione, questa, ove W. interpreterà il suo Lohengrin come opera rivoluzionaria, ed ove egli stesso con nuova arte e con pratica azione vorrà da rivoluzionario agire.
Artista qual'egli è, la sua visione s'accentra nel fatto artistico. Lohengrin intanto diventa simbolo dell'artista, dell'illuminato che dalle raggiunte vette solitarie vuol ridiscendere veno il mondo per desiderio d'amore; amore che il mondo - diffidente anche del proprio sentimento - gli rifiuta. Bisogna dunque mutare il mondo, cioè la società odierna, basata sul giuoco d'interessi individuali, riaccendendovi quell'amore che ne è escluso. Forse, questo l'arte lo può intraprendere. Purch'essa trovi nuove possibilità di "comunicazione", cioè nuove forme di vita, d'organizzazione e sappia essa medesima rinnovarsi. Progetti di riforme teatrali escono dall'irrequieta penna di W., misti ad articoli politici, a curiose interpretazione storiche (della saga germanica), a confessioni e disegni di nuovi drammi: Jesus von Nazareth, Friedrich Rotbart (non musicale), Der Nibelungen-Mythus als Entwurf zu einem Drama e, subito, Siegfrieds Tod (1848); poi (1849), nuovi articoli su problemi politici o sui rapporti tra politica ed arte, nuovi abbozzi drammatici, e - siamo alla "rivoluzione" - discorsi sovversivi al Vaterlands-Verein e alle barricate di Dresda. Poiché è vero che l'arte - posta in altre condizioni di "comunicazione" - può valere grandemente al rinnovamento spirituale della società, ma è pur vero che soltanto una società liberata dai ceppi "reazionarî" potrà dare all'arte le nuove, necessarie condizioni.
Molto intende da sé (ma non precisamente gli elementi tipicamente politico-sociali), qualche cosa gli fanno intendere i rivoluzionarî del tempo: tra gli altri, il vecchio amico e collega Roeckel e M. Bakunin. Di Marx non deve ancora saper nulla, e del resto il suo concetto di arte e di società "comunista" non ha quasi alcun contatto col comunismo vero e proprio. Tra l'altro, W. concepisce il nuovo stato come monarchia, e monarchia assoluta, fuori d'ogni interferenza parlamentare, che vizierebbe il rapporto d'amore "Re-Nazione". Socialmente, l'economia capitalistica va sostituita con la corporativa, e il denaro con lo scambio in natura tra l'una e l'altra corporazione. Questi, dal 1849 in poi, non senza variazioni, i cardini della sincera posizione politica di W. Il quale W., intanto, si trova nel maggio 1849 alle prese con la polizia che lo ricerca con bandi e inseguimenti. W. lascia la Germania con un passaporto falso procuratogli da F. Liszt (il nuovo e grande amico) ed insieme lascia la possibilità di allestire il suo Lohengrin. Minna, la povera piccolo-borghese spaventata, non si risolve a raggiungerlo che a sistemazione compiuta, e del resto non farà che ricominciare a frastornarlo in ogni modo.
Ed ecco W. nuovamente fuori della patria: un breve tentativo di lavoro a Parigi, e - nel giugno 1849 - passaggio in Svizzera, dove si stabilisce, per diversi anni, a Zurigo.
Il nuovo esilio, pieno di miserie materiali e famigliari (vive di sovvenzioni di amici e amiche; amiche non sempre tollerate da Minna) è però meno penoso, in sé stesso, del precedente. Un respiro allarga il cuore di W. all'uscire dalla pratica del teatro e da quell'ambiente reazionario troppo più forte ancora delle armi di W. e di quelle dei Bakunin e dei Roeckel. Comunque, alle sue armi egli ritorna, pur fra tutti gli ostacoli quotidiani. Egli li vede infatti come "mezzi" rivoluzionarî, i lavori e i progetti di lavoro che ha nel suo bagaglio. Si tratta, ora, di renderli anche più efficaci che non fosse quello stesso Lohengrin che ora a questo scopo gli si transvaluta in drammi Individuo-Collettività. Jesus von Nazareth, Friedricli Rotbart, Siegfried, in diverse immagini rispecchiano pur sempre lo stesso fuoco: l'Amore come immanenza d'assoluto. Il che, escludendo da una parte ogni religione teistica, dall'altra fonda una religione, un "culto" dell'Umanità; la quale umanità, sviluppandosi attraverso l'amore, celebrerà l'Assoluto proprio nel suo stesso vivere. Rassomiglianze non mancano, quivi, con varie correnti del pensiero contemporaneo, dalla scuola di Hegel al Feuerbach, ma questo W. non può esser ridotto a tali correnti come il W. del Tristano non potrà ridursi a Schopenhauer. La sorte di quei progetti drammatici è varia: Jesus è abbandonato (diverse e non chiare ragioni, tranne le pratiche, quelle proposte da W.), e così anche è abbandonato il Barbarossa tanto perché, "storico", esso vincola l'artista a ciò che questi giudica "contingenza", escludendo quindi la musica, quanto perché motivo e favola lo collegano in ispirito con un ciclo drammatico nibelungico in cui sta ampliandosi il nucleo Siegfrieds Tod. Pluralità, adesso, di progetti e di riflessioni che giuocano in una crisi dell'intera personalità di W. (Cfr. l'elenco della produzione 1848-51).
Ora, questa crisi non nasce dall'interferire di teoremi tra gli elementi dello sviluppo lirico di W. (intanto le teorie seguono e non precedono i primi avvertimenti del Ring) ma anzi nasce proprio da e per questo medesimo sviluppo: s'è visto come nel Lohengrin avvenisse nell'arte di W. quel che avveniva nella favola: la sintesi raggiunta nel calarsi di W. nel "sentimento" (giù entro il misterioso agogismo delle risonanze armoniche) si perde quando, nella sua essenziale ricerca di totale esplicazione (cioè [R.W.] di melodia), si distacca da quell'agogismo accettando le soluzioni offertele da partiti esterni, cioè le soluzioni melodiche tradizionali nell'opera latina. La sensuale musicalità di W., nata nel sensuale Liebessehnen, non vibra e non vive se non nel tripudio e nel tormento dell'espansione sonora. Romantico, W. senza posa tende ad espandere la sua unità all'infinito, e vi riesce proprio e soltanto nell'atto di quell'agogico espandersi. Nel prodursi, o non, di tale continuità di atto, erano le conquiste e le sconfitte del Lohengrin, che W. avverte tanto più lucidameme oggi che dal serrato giuoco psicologico di quel dramma se ne esce in un nuovo interesse per il vasto e vario mondo, così ricco di diverse persone e quindi di diversi rapporti: rapporti tra gli uomini e - rinnovata insorgenza - tra gli uomini e la Natura. Il poeta rivoluzionario che guarda al complicato quadro nibelungico, scernendovi i motivi poetici della sua rivoluzione, d'istinto ora è tratto a sentir quei motivi come gli stessi moti della Natura, comune madre e maestra: moti eterni delle acque e dell'aria, vita misteriosa delle foreste e delle nuvole bianche e degli uragani; che entrano ora nell'interiore mondo di W., arricchendone la risonanza in vibrazione d'un infinito sensuale godimento.
Onde W. assorbe e rifonde le virtù e le forze nelle figure del suo miraggio: Divinità, eroi, uomini, che ora sorgono dalle stesse linfe - per lui chiare ormai e sensibili - che la Natura ha dato alle foreste e alle acque, come temi sorgenti dall'armonia ad esplicarne le interne volontà di moto.
Quegli appunti musicali che già si moltiplicavano nei primi abbozzi del nuovo poema (e che non erano "melodie" chiuse alla latina, ma "temi" alla Lohengrin) diventano ora per W. l'annunzio, la singolare voce di queste sue singolari apparizioni. E, appena emergenti, ecco queste apparizioni chiedere e indicare insieme la via per la loro vitale espansione. Intreccio di allusive o volitive immagini che complicano la loro stessa pluralità nella mente dell'artista. Il quale, la testa tra le mani, si trova a interrogarle, e ad interrogare, attraverso quelle, sé stesso; tutti i ragionamenti più disparati convergono nei due volumi di Oper und Drama, inseguendo le nuove insorgenze liriche, magari per assicurar loro la via libera. Non abbiano esse a tradirsi per l'erta! Arbitrarie quanto seducenti ricostruzioni storico-estetiche, W. le conduce in ogni modo alla voluta "giustificazione" degli orientamenti a lui imposti dal suo proprio personale impulso; che mira ad esplicare direttamente il senso del continuo desiderio, del continuo amplesso dell'Uno e dell'Universo. Questo "senso" della dialettica, significa, nell'arte di W., porre per così dire il centro direttamente nello svolgersi, più che nei punti d'incontro. Le varie figure non avranno calor di vita se non proprio nella loro reciproca azione; i loro valori annunziati dai concetti verbali ("poetici", li chiama W.) saranno spiegati intimamente proprio nelle vicende drammatiche che i loro temi attraverseranno nell'elaborazione sinfonica. La quale, come rappresentazione sensibile di rapporti in atto, non mai si arresterà (in forme chiuse, per es.; come quelle dell'opera latina), ma incessantemente si svolgerà, dal suo moto esplicando le fenomeniche proiezioni delle scene e degli atti (di forma dunque sempre varia, a seconda del momento drammatico) e al più rallenterà il suo ampio corso per caratterizzare più direttamente determinate immagini: persone o idee o ricordi ecc., ma sempre caratterizzandoli nei loro reciproci rapporti e - soprattutto - nel comune loro rapporto con l'originaria Natura. E persone ed idee si avanzeranno così verso di noi con plasticità tanto maggiore quanto maggiore sarà la loro ricchezza di valori da porre in giuoco in tali rapporti. Alcuni, come Siegfried o Wotan o Brünnhilde o lo stesso Hagen, li avremo conosciuti compiutamente; altri, come Gunther o Gudrun, o Mime li avremo in breve lasciati alla loro povera esistenza di riflesso; altri ancora, le altre figure del mito: numi, draghi e via dicendo, tutt'intorno ed in mezzo riappariranno come mutevoli espressioni dell'umanizzata Natura. Ma, occorre notare, anche la plasticità di Siegfried o di Brünnhilde non è certo quella d'un Rigoletto o d'un Otello. Anche presso di essi, il più forte accento è posto sui loro rapporti, non su quel che essi hanno di peculiare. Come Hagen, essi "obbediscono", certo a loro modo, a principî superiori: il rapporto che li collega all'umanizzata Natura viene dall'umanità propria di W. in cui, non bisogna dimenticarlo, il sentimento è pur sempre sentimento d'un'Idea. Tutte le ricchezze e le forze ricevute dall'amplesso con la Natura, vengono a potenziare una creazione soggettivata in Idea: Siegfried, la vergine gioia della Natura, redimerà per virtù di naturale amore il mondo già materializzato dall'oro. E quando Siegfried morirà per mano di Hagen, sarà ancora in omaggio ad un'idea filosofica cui W. avrà nel frattempo aderito.
D'altra parte, proprio in questa totale soggettivazione delle persone e della Natura sta il segreto dell'organica vita del Ring, di questa immensa adunata ove concorrono cielo e terra. Verrebbe fatto, di fronte a questo universo, di pensare al secondo Faust, se un sorriso superiore allo stesso estro lasciasse a loro stesse, tutt'al più vagamente simbolizzate, queste cento figure. Mentre W. vive egli stesso nel mondo dell'Anello; ne respira la stessa aria lreme o s'abbandona a quelle voci. È una concentrazione di sentimento e di pensiero, che non mai si sperde ma solo si allenta nel sensuale godimento dei lenti riflussi della Natura.
Quante volte ritorna, ripensando alla tetralogia nibelungica, questa parola "Natura"! E qui è l'avvertimento: il Ring è soprattutto il poema della Natura, poema che è nato dal sensuale godimento e che si riassume nella celebrazione ideale di quelle dolcezze e di quelle collere, sacre ambedue e sante come le dolcezze e le collere della Madre nostra, al cui seno soltanto, al suo amore (che è il nostro reciproco amore), tutti dobbiamo tornare, se vogliamo salvezza.
Il Ring, l'impresa più grandiosa" (R. W.) cui l'artista si fosse accinto, per molti anni rimase come l'affresco finale cui i varî lavori più limitati avrebbero riferito i loro sensi. In realtà, questi lavori "più limitati" non appartengono affatto al momento "nibelungico di W., ma ad altri, pure a quello collegati nella generale dialettica dello spirito di W. Il rapporto tra essi e il Ring non è d'altra qualità di quello intercedente tra il Ring e il Lohengrin e le opere anteriori. Essi sono, insomma, completamente autonomi, ed esprimono ognuno un loro proprio W., diverso di volta in volta per quanto sempre riconoscibile.
Il W. della prima concezione completa del ciclo nibelungico s'interessa specialmente ai grandi rapporti natura-umanità, naturalizzando, per così dire, quell'espansione erotica che già aveva considerata - nel Lohengrin - nei suoi svolgimenti interni alla pura personalità umana. Il W. che nel 1857 lascia il suo Siegfried, il sorriso della Natura, nel fondo della foresta, s'interessa invece all'Eros già umanizzato. Del che il maestro potrebbe anche dire d'aver avuto bisogno per controllare la legittimità delle finali vicende del Ring. La questione non è però molto importante in ordine di estetica. Quel che invece importa notare è che W., nel lasciare a mezzo il Ring, obbedisce ad una sua propria necessità di vita, non già a cause pratiche come egli stesso di tanto in tanto darebbe a intendere. Questo spostamento dell'interesse di W. è del resto non spiegato ma almeno confortato da varî interventi che dal 1850 al 1857 giuocano nello sviluppo spirituale di W.; interventi di vario ordine: il ripensamento della filosofia di Schopenhauer, contemporaneo con esperienze artistiche (lo stesso lavoro del Ring, che dal 1853 al 1857 è passato in gran parte a concretezza poetico-musicale, e che ne ha per ora esaurito il diretto interesse alla Natura; in seconda linea le diverse vicissitudini dell'artista che non può - esiliato - seguire e aiutare le sue opere nella loro azione sul pubblico: tra le altre, quel Lohengrin che dal 1850, per iniziativa di Liszt, è ormai noto a tutti, non però allo stesso autore) ed esperienze d'amore, sì intense e tormentose quali mai W. doveva più avere nella sua vita. È noto, infatti, il dramma senza speranze in cui si dibatteva in quel momento R. W., bruciante d'amore per la gentile Matilde Wesendonck, che certo gentilmente l'amava.
Tutte queste, e altre meno distinguibili esperienze, si rifondevano allora in una nuova crisi, di ordine più sentimentale delle precedenti, se il sentimento principe nel cuore di W. sia - come è - l'amore sessuale. Già nel Rheingold il dio del fuoco, Loge, aveva domandato: "Quale maggior Bene, per l'uomo, dell'amor di donna?" ed a F. Liszt, al suo "San Francesco", W. scrive: "siccome nella mia vita io non ho mai goduto in tutta la sua perfezione la felicità dell'Amore, ora io voglio, a questo bellissimo fra tutti i sogni, elevare un monumento: un dramma nel cui corso s'appaghi per sempre questo mio desiderio d'amore:... un'opera estremamente semplice, onde s'espanda un'estrema intensità di vita. E là tra le pieghe del nero vessillo che da ultimo appare, voglio io ravvolgermi, per morire". Già in questo primo annunzio, il tono di W. è mutato. E già l'idea dell'Amore evoca quella della Morte.
W. continua nondimeno ancora, fino a mezzo 1857, il lavoro nibelungico ("... per pietà della giovinezza di Sigfrido" come aveva già scritto a Liszt nel 1854). Nell'estate 1857, non è più possibile. Si direbbe che l'uomo vinca l'artista: "... Ho condotto il mio giovane Sigfrido là nel fondo della foresta solitaria; là io l'ho adagiato sotto i tigli, e mi sono separato da lui non senza versare lagrime salite dal mio cuore... Rude, dura battaglia ho dovuto impegnare tra me e me, prima di risolvermi a questo!". Ma quest'uomo è R. W., e le sue passioni e le sue idee si ricreano spontaneamente in liriche immagini, che alle già esistenti si sovrappongono lasciandole nell'ombra. E così si ritraggono nell'ombra le figure del Ring, alla comparsa dell'Amore tragico ed esclusivo di Tristano e Isotta.
"Io qui mi immersi in totale abbandono nelle profondità dell'animo e dei suoi misteri, e da questo intimo centro del mondo vidi esplicarsi, del mondo, la forma;... La vita e la morte, l'importanza e l'esistenza stessa del mondo esteriore, tutto quivi dipende unicamente dai movimenti interni dell'animo. L'azione che si viene a svolgere dipende da quest'unica causa: dall'animo che la desta, e l'azione giunge alla luce quale l'animo se ne è evocata l'immagine durante i suoi sogni" (R. W.). L'analisi dell'Amore è questa volta molto più minuta, per così dire, che non fosse stata nel Lohengrin, e le risultanze ne sono, questa volta, totalmente conclusive.
L'elemento "Contingenza" che nel Lohengrin era ancora assegnato - con tutte le sue colpe - all'ambiente, al mondo sociale, qui nel Tristano è considerato addirittura nella cerchia dell'Io individuale, la cui persistenza va superata dall'Amore che tende all'Assoluto. Quivi il nucleo drammatico del Tristano. La "contingenza" rappresentata dal mondo sociale non vi esercita più alcun pericolo sin da quando Isotta e Tristano, amanti fino allora trattenuti da quel mondo, accettano il filtro della Morte (che, invece, è un filtro d'amore). Da quel momento (che si produce già nel 1° atto), il diaframma non è più altrove che nello stesso persistere delle due individualità viventi. La stessa congiunzione "Tristano e Isotta", il simbolo del loro Amore, diventa per essi "quel che li separa" fintantoché duri questa vita. Le due vite incomplete non si completeranno in vera vita se non per virtù di morte. La Morte acquista, in tale concezione, i caratteri d'una funzione necessaria alla Vita stessa. Come si vede, lo "schopenhaueriano" W. giunge a rivoltare completamente l'idea di Schopenhauer, che ne rimane - a nostro avviso - anche filosoficamente superata. La dialettica del mondo, riportata a quella dell'Io, riacquista la necessità etica del suo perpetuo svolgimento. Qui il senso più proprio in cui W. ha finalmente precisato il suo tipico Liebestod. E non per nulla di Liebestod (intraducibile con Morte d'Amore) si parla, in genere, soltanto riferendosi al Tristano.
Questa morte che è funzione della vita tendente, per l'amore, all'Assoluto, è il segno (il nero vessillo) che seguono i movimenti del dramma. Il quale, come s'è accennato, già dal 1° atto è ridotto al puro inverarsi dell'Assoluto, cioè all'interno travaglio di queste due convergenze che son Tristano e Isotta. Artisticamente, ciò è talmente realizzato che noi stessi non c'interessiamo delle contingenze esterne: cioè, p. es., delle altre persone, Re Marke, Melot, Brangäne, Kurwenal, più che non se ne interessino i due amanti. Pure, esse son figure vere e viventi, e - tranne Melot - a lor modo viventi d'amore: Re Marke, p. es., giunge anch'egli ad un Assoluto, nella cosciente sua rinunzia (o, meglio, "accettazione"); e la sua interrogativa meditazione sul "tradimento" di Tristano è portata a piena realtà estetica. Ma noi, come Tristano, non possiamo più occuparcene. Ed è giusto che essa ci appaia prolissa, perché non la "sentiamo", in quel momento, che come voce di un mondo dai cui limiti ormai siamo usciti. Con la tristezza che pur sempre si infonde nel lasciare un mondo che altra volta è stato anche nostro, noi ne rivolgiamo altrove lo sguardo: "Tristano se ne va. Vuoi tu seguirlo, Isotta?" Il resto, è nulla. Il resto, è forse l'esasperante frastuono del "Giorno". E noi, come Tristano, siamo ormai già iniziati al mistero della "Notte" e in questo vogliamo tornare. Il "meraviglioso regno della Notte", W. lo ha creato nella musica del Tristano, interiorizzata all'estremo, in un continuo volversi di molecole dall'ombra all'intermittente luce delle stelle. Il discorso nasce tutto da un'armonia d'estremo agogismo cromatico, i cui singoli elementi, costitutivi dell'accordo, tutti anelano, come nervosi tentacoli d'una piovra abissale, ad una loro espansione melica, ed appena a questa avviati riaffondano o s'impongono - come tematici avvertimenti - tra gli altri congeniti e già differenziati. Il tema in questa partitura è ridotto ad un nucleo, a poco più d'un'allusione, d'una risonanza; e infinita è la sua varietà di riemersioni; non altrimenti di quel che avviene al "verso" poetico, che è ridotto al minimo esponente ritmico in funzione d'una ragione ritmica più profonda, che è quella data dalla sinfonia. E giustamente nota E. Bücken come il modello genetico di quest'arte sia l'Allegro beethoveniano, alla cui "smembratura" puramente sinfonica il Tristano fa riscontro in un piano esplicitamente drammatico; congegnando il periodo poetico-musicale come il Beethoven congegnava il periodo musicale puro: la "parola", aveva già osservato il Bücken, è l'ictus cui conduce l'espandersi dell'onda musicale.
Il "miracolo" - come dissero, tra gli altri, F. Liszt ed il formidabile rivale di W.: Giuseppe Verdi - era compiuto con una rapidità (2 anni tra poema e musica) spiegata proprio dall'estrema concentrazione spirituale che vi si imprimeva. Rapidità e concentrazione tanto più ammirevoli in quanto W. aveva condotto a termine il suu capolavoro in momenti che restano fra i più tragici della sua esistenza terrena: la rovina dell'amore (Matilde accampa legittime ragioni per lasciare W. al suo destino); le vicende familiari, cui la povera Minna, separata definitivamente, non sopravviverà molto tempo; l'indigenza in cui W., nonostante ogni aiuto e ogni guadagno, si viene a trovare (e che spiega molte cose, di quelle che a W. vengono troppo spesso rimproverate), avrebbero ucciso qualunque uomo; ma non potevano, certo, uccidere chi stava compiendo il Tristano, cioè l'opera sovrumana. Unicamente la coscienza del proprio miracolo poté del resto condurre W., una volta terminato il lavoro a nuove lotte contro le miserie del mondo. Tra queste, ecco quella della difficoltà di far rappresentare la sua opera. Eppure, W. è ridotto, dal bisogno, a "commerciare" il miracolo. Si contenterebbe di poco, ma "non è il momento", ma si tratta di una partitura "ineseguibile", e via dicendo. Ci sono le altre sue opere, ma - date le norme germaniche sui diritti d'autore - gli rendono pochissimo, ed il disordine pratico di W. pone questi redditi in condizioni anche più incerte.
Ed ecco, a Parigi, l'accettazione del Tannhäuser all'Opéra, "jussu Imperatoris". W. rimette nuovamente piede nella città nemica, e anche questa volta vi riceve una mazzata: il Tannhäuser, cui l'autore del Tristano aveva dato, appositamente, nuove pagine (il nuovo Wenusberg), viene fischiato (13 marzo 1861) dagli eleganti signori del Jockey Club, colà padroni di casa, che s'indignarono per l'assenza d'un "balletto" al 2° atto. L'ammirazione sconfinata dei maggiori poeti ed artisti di Parigi (fra tutti ricorderemo Ch. Baudelaire) non può impedire che W. ritiri la sua partitura e, finalmente graziato, rientri in Germania.
Più dissestato che mai, l'artista cerca in ogni modo un po' di denaro, un po' di tregua, per poter lavorare. Il Ring, lasciato in asso proprio quando più lieta vi fioriva la Natura, e questi Meistersinger che a Parigi gli si sono ridestati in nuova significazione e in stretta urgenza lirica: a questo W. deve lavorare e "il mondo deve dargliene i mezzi" (R. W.). Mai quanto ora appaiono in luce l'incapacità "pratica" e la terribile orgogliosa volontà artistica di R. W. Egli ricorre ai mezzi più disparati ed umilianti (che non umiliano lui), da giri concertistici che gli rendono poco o nulla a richieste di denaro ad amici e nemici, pur di poter scrivere i Maestri cantori di Norimberga. Nulla gli va bene, anzi la sua situazione precipita verso l'irreparabile. Da Vienna, dove per un momento ha potuto avere tregua e modo di portare avanti i Meistersinger, deve fuggire di nascosto per evitare la prigione per insolvenze, debiti, ecc., e non sa dove fermarsi.
È in questi frangenti che Luigi II, il nuovo re di Baviera, devoto in cuor suo all'autore del Lohengrin, raccoglie la domanda che W. aveva lanciato, così alla ventura, nella prefazione al poema dei Nibelungi: si troverà mai un principe, che dia all'arte il suo tempio? In attesa del tempio per i Nibelungi, Luigi II pone l'artista in grado di lavorare senza alcuna preoccupazione materiale.
W., invitato dal giovane sovrano romantico, arriva a Monaco il 4 maggio 1864, e con rapimento ascolta le regali promesse di devozione. In Luigi, W. trova non soltanto l'aiuto materiale, ma la dolcezza della comprensione che sempre, come il suo Lohengrin, ha chiesto al mondo. Dopo poco più di un mese, si realizza per lui anche il trionfo d'amore, o di quel ch'egli sente per tale: Cosima, figlia di F. Liszt e della contessa d'Agoult, sposa di H. von Bülow (il fedele alunno, amico e interprete di W.) lascia "tutto" per la redenzione dell'artista senza pace, ch'ella raggiunge nella villa di Starnberg, per rimanere con lui fino ed oltre la morte. Questo, almeno, sente W., e mancano prove probanti per diverso giudizio. Amore che si svolse in una sorta di calma e "grave solennità" (R. W.) lontana dalle fiammeggianti illuminazioni dell'amore per Matilde Wesendonck, e che è del resto il meglio che il maestro possa ormai avere. Nelle sue nuove condizioni, W. può terminare la sua nuova opera, che da oltre cinque anni (quali anni!) era in lavoro.
Opera, come s'è accennato, già abbozzata dapprima nel 1845, come un'eco, deformata dall'ironia, del Sängerkrieg auf Wartburg (nel Tannhäuser), e poi ripresa, in nuovi sensi, nel 1862. Anteriore dunque, nell'integrità del poema e in gran parte della partitura, alle felici vicende dianzi riferite. E i suoi toni trionfali rispondevano quindi non ad auro trionfo che a quello ove l'artista celebrava la sua vittoria spirituale, tutta interna.
Col Tristano, i Meistersinger hanno un rapporto analogo a quello che abbiamo riconosciuto tra il Lohengrin e il Ring, seppure altri ne siano i termini ora emergenti all'attenzione di W. Questa "Grande opera comica" si presenta come una commedia quanto mai ricca di movimenti e di personaggi; quadro di vita vivace e "solare", ove si afferma la conquista terrena della felicità d'amore e insieme la gioia della creazione lirica: dell'arte, che dà un ampio respiro alla vita della società. E tutto questo, nei Meistersinger, si trova senza dubbio. Anzi, la nota dominante dell'opera proprio quella della gioia. La coesistenza di altre "note", che son poi più spesso date dal discorso musicale, note di commossa, melanconica meditazione (si ricordi il preludio dell'atto III°) ci deve però avvertire della presenza d'una riposta crisi, in cui quella gioia sta vincendo. Hans Sachs, il fuoco dí questa crisi, è passato anch'egli, come W., attraverso il regno della Notte. E il discorso musicale è anche qui analitico, complesso come nel Tristano; soltanto, questa analisi finisce per ricondurre Sachs, sempre come W., dalla Notte ad un "Giorno" che questa volta riscalda coi suoi raggi non pure il mondo esteriore ma anche l'interiore: attraverso la rinuncia Sachs supera il proprio individuo, ritrovandone i valori finali nelle altre vite (Walter, p. es., ed Eva) cui li ha trasmessi. Egli si riaffonda così nell'eterna volontà della Natura, che impone d'attimo in attimo, e sovra le altre, le forze nuove: tra gli uomini, quelle della Giovinezza. L'Amore, che il vecchio Sachs ha svolto in tutto il suo tragico cerchio, è pure, in quella Giovinezza, un'estasi realizzante a suo modo l'Assoluto. E Sachs, benedicendo il nuovo canto di Primavera, rivive egli stesso in questo canto: glorificazione dell'eterna vita. Come Sachs, anche il suo poema musicale è d'indole analitica, ed anche qui ritroviamo un discorso eminentemente tematico, elaborativo. Non però quello del Tristano, caratterizzato com'era dall'atomico: qui nei Meistersinger il dinamismo dei varî elementi dell'idea musicale tende a svolgere tali elementi lungo una lor propria continuità lineare. Il tema diventa, così, più caratterizzato melodicamente, più "autorevole" e sicuro, atto a sostenere una larga polifonia a "parti reali". Nella celebrazione dell'eterna arte germanica, W. risolleva le insegne di J. S. Bach, e le pone idealmente alla testa del suo corteggio trionfale.
Il Tristano era stato rivelato al mondo nel 1865. Tre anni dopo, si rivelava il secondo "miracolo": Die Meistersinger von Nürnberg, orgoglio dell'arte germanica. Ma già W. ha dovuto abbandonare Monaco, scacciato dall'inimicizia (praticamente giustificabile) del governo e degli ambienti statali di Baviera. Certo, ora non gli mancherebbe il denaro per vivere e per lavorare. Gli manca, ora, per realizzare il suo progetto di un teatro d'arte germanica, ove rappresentare, una volta ultimata, la tetralogia (o trilogia, come W. l'ha sempre chiamata) dei Nibelungi. Per un momento, W. aveva ceduto al desiderio di Luigi II, d'erigere un tale teatro a Monaco ora che Monaco non ne vuol sapere, W. ritorna al suo disegno originario, di erigerlo lontano dai grandi centri cittadini e dal loro ambiente anti-spirituale. Con una decisione che sfida ogni difficoltà pratica, W. comincia intanto, con poco denaro, a fondare il suo teatro di Bayreuth (22 maggio 1872), e subito - tra una pagina e l'altra del Ring (ripreso in lavoro da qualche anno) - si occupa delle necessità di questa costruzione, di cui è, in fondo, il vero architetto oltre che il patrono e il dedicatario. Per trovare i mezzi, si rimette in viaggio per l'Europa, dirigendo concerti e imponendo la sua musica all'interessamento mondiale. Si fondano, in molti paesi, dei Wagner-Vereine, che anch'essi procurano somme per Bayreuth. Organizzatrice mirabile di tutta la "pratica" wagneriana è Cosima, che già aveva dato a W. due figli: Isolde e Siegfried e che dal 1870 (dopo quattro anni circa dalla morte della povera Minna Planer) è di W. legittima sposa.
Merito grande di Cosima è stato infatti quello di avere aiutato W. a realizzare i suoi disegni artistici, creando all'artista un'atmosfera di fiducia e di calma, cui chiamava a contribuire le maggiori forze pratiche e culturali del tempo. Bayreuth e la "tradizione di Bayreuth" (oggi invisa come settaria e mortifera per la stessa arte di W.) furono praticamente opera di Cosima; opera di cui il vecchio artista non avrebbe potuto fare a meno.
La stessa aureola mistica che Bayreuth, soprattutto dalle prime manifestazioni teatrali (cioè dalla rappresentazione integrale del Ring: 1876) in poi, formava intorno al capo del maestro, rispondeva a un bisogno tipico della personalità wagneriana: quello dell'azione demiurgica, che già s'era mostrato nel W. del 1848 e che aveva dato un psicologico conforto al W. del Ring. Questo bisogno è ora assurto a urgenza: W. riprende la penna del rivoluzionario per nuovi messaggi all'umanità, dai quali si viene delineando una dottrina della "Rigenerazione", il cui motivo nuovo, rispetto al pensiero wagneriano, è quello del Mitleid (sofferenza della sofferenza altrui) come mezzo necessario e sufficiente per la redenzione. Finora W. ci aveva parlato di Amore: oggi ci parla di Pietà. L'idea, ch s'era intravista nel sacrificio di Senta per la redenzione dell'Errante di Elisabetta per la redenzione di Tannhäuser, ritorna oggi ad annunziare il Parsifal.
S'era intravista, abbiamo detto, poiché in realtà il Mitleid presso Senta ed Elisabetta è confuso nel divenire d'Amore, mentre presso Parsifal esso è preposto in sé e per sé a questo divenire: "Durch Mitleid wissend - der reine Thor - harre' sein - den ich erkor". Il Principio non è dunque più l'Amore ma la Pietà. L'amore, in sé, non è capace d'Assoluto, anzi ne ritorna a valore di limitazione, alla Schopenhauer. Esso può superare questa posizione, e redimere sé e il mondo, soltanto rinascendo dal principio "Pietà" diventando insomma esso stesso una virtù di pietà. Reso cosciente attraverso la coscienza del comune dolore, l'uomo effonderà il suo amore in virtù extra-egoistiche, extra-individuali, e soltanto così potrà ridonare etica necessità all'eterno riprodursi della vita. Dove W. un'altra volta e per altro cammino si contrappone al suo filosofo Schopenhauer. E un'altra volta ci tioviamo, come già nel Tannhäuser, di fronte a un'evasione dell'Assoluto dal piano puramente umano in un piano virtualmente religioso, anche qui contornato di simboli religiosi e tipicamente cristiani.
Intanto, la forza dell'Eros è qui accusata in pieno e in profondo, da tutto un discorso sinfonico che ne analizza i processi (con una sottigliezza degna dell'autore di Tristano), come forza oscura, nemica, in una parola "limitatrice, incapace cioè di contenere in sé" un'immanenza d'assoluto. Il tormento di Tannhäuser invischiato nei sensi diventa ingenuo di fronte al tormento del Parsifal peccatore e soprattutto di fronte a quello di Amfortas o di Kundry. La musica, spinta all'estremo acme del cromatismo, sembra talvolta involversi in sé stessa, senza più speranza, come nelle torture dì Amfortas e nelle affannose implorazioni di Kundry, nel terrore di Parsifal al primo brivido del peccato. Non è più il "meraviglioso regno della Notte" ma il regno delle Tenebre, cui sembra negarsi anche l'ultima stella.
Tanto più luminosa, di fronte a tale perdizione, la luce del Graal. Cui Parsifal, ormai cosciente del dolore universale, e quindi rinato in purità d'assoluto, restituisce alfine la purificata umanità: "Höchstes Heiles Wunder: - Erlösung dem Erlöser!". Scende dall'alto la bianca colomba della Grazia, nel canto dei fanciulli e nel suono delle campane, mentre dall'orchestra salgono a incontrare quel canto le melodie del mondo purificato: quelle stesse melodie (ché tali sono virtualmente i temi religiosi del Parsifal) che fin dal principio erano apparse a segnalare l'esistenza, sopra agli errori ed ai tormenti del senso, di una superiore Certezza.
Unà volta di più, dopo il dionisiaco impeto che ha incendiato d'amore il mondo intero, R. W. invoca la liberazione. Troppo amore l'ha riarso nella sua vita, qui tra di noi umani, troppo inappagato desiderio (inappagato ancora oggi, come ci svelano Parsifal, Amfortas e Kundry). Come il suo Holländer, l'errante W. invoca oggi la Grazia, e già, quando s'appressa a lui la morte, a quella liberazione, a quella suprema Grazia egli intona il suo suo ultimo canto.
Circa sei mesi dopo l'apparizione di Parsifal nel teatro di Bayreuth, il cuore di Wagner più non reggeva, e venne la morte, là in quella Venezia dove ai tempi del Tristano tanto l'aveva invocata il suo amore.
Opere. - 1824-25. - Poesia drammatica: Tragedia nello stile ellenico; sconosciuta.
1825 (circa). - Poesia lirica: carme in morte di un compagno (pubblicato a cura della Kreuzschule di Dresda).
1825-26 (circa). - Poesia drammatica: una tragedia su Ercole: scnosciuta.
1827-28 (circa). - Poesia drammatica: Leubald und Adelheid, tragedia ispirata a Shakespeare (Amleto-Re Lear). W. scrisse per questo lavoro anche alcune musiche, oggi sconosciute.
1828-29 (circa). - Musica: Sonata per pianoforte, aria, trio. Teatro musicale: uno spettacolo pastorale (suggerito dalla VI sinfonia di Beethoven e ispirato al Laune des Verliebten di Goethe), oggi sconosciuto.
1830. - Musica: Ouverture in Si maggiore (1ª esecuzione Lipsia 1830).
1831 (circa). - Musica: Sonate per pianoforte, in La maggiore e in Si♭ maggiore (la seconda pubblicata a Lipsia 1832); Polacca in Re maggiore, per pianoforte a 4 mani (pubblicata a Lipsia 1832); fantasia per pianoforte, in fa♯ minore (inedita); Ouverture da concerto in re minore (1ª esecuzione Lipsia 1832); Ouverture da concerto in Do maggiore (1ª esecuzione Lipsia 1832); Teatro musicale: Scena ed aria (1ª esecuzione Lipsia 1832).
1832. - Musica: Ouverture e Finale per Re Enzio di Raupach (1ª esecuzione Lipsia 1832); Sinfonia in Do maggiore (1ª esecuzione Praga 1832); Inizio dell'ouverture Polonia. Teatro musicale: Musica per il Faust di Goethe: sette pezzi; Die Hochzeit (Le nozze), opera in 3 atti (dalla poesia medioevale Frauen Treue), testo compiuto, musica iniziata (3 pezzi: Introduzione, un coro e un concertato a 7) e subito abbandonata.
1833. - Teatro musicale: Die Feen (Le fate), "opera romantica" in 3 atti, da La donna serpente di C. Gozzi (1ª rappresentazione Monaco 1838); Aria per la parte di "Aubry" nel Vampyr di H. Marschner.
1834. - Musica: Sinfonia in Mi maggiore (frammenti). Neujahrs-Kantate (1ª esecuzione 31 dicembre 1834). Teatro musicale: Das Liebesverbot oder Die Novize von Palermo (Il divieto d'amare) opera in 2 atti (da Measure for measure di W. Shakespeare), inizio.
1835. - Musica: Ouverture per il Colunbus di T. Apel. Teatro musicale: Das Liebsverbot: compimento (1ª rappresentazione Magdeburgo 29 marzo 1836).
1836. - Prosa: Das Liebesverbot (Bericht über eine erst Opernaufführung); è il primo scritto auto-esplicativo di W.
Poesia drammatica: Die hohe Braut, testo d'una "Grande opera" in 5 atti (dal romanzo di H. König), poi musicato non da W. ma da J. Kittl e rappresentato sotto il titolo di Bianca und Fernando oder Die Frtnzösen vor Nizza a Praga nel 1848.
Musica: Ouverture Polonia (compimento, 1ª esecuzione Palermo 1881).
1837. - Musica Ouverture Rule Britannia (forse iniziata o già compiuta nel 1836. 1ª esecuzione Königsberg 1837); Romanza (testo di Holtei) per un vaudeville di K. Blum, rappresentato a Riga nel 1837; Preludio, Marcia, Coro di sacerdoti (inno popolare) per l'ascesa al trono dello zar Nicola I (1ª esecuzione Riga 1837). Teatro musicale: scena di sacrifizio e di congiura, per un'opera (sconosciuta) da rappresentarsi a Königsberg; Rienzi, der letzte der Tribunen, "Grande opera tragica" in 5 atti (dal romanzo di E. Bulwer-Lytton): prima idea.
1838. - Musica: Der Tannenbaum (L'abete), ballata per canto e pianoforte.
Teatro musicale: Männerlist grösser als Frauenlist, oder Fine glückliche Bärenfamilie (Astuzia d'uomo, maggiore d'astuzia di donna, ovvero Una felice famiglia d'orsi), opera comica in 2 atti (dalle Mille e una notte), incompiuta; Rienzi: abbozzo e inizio; Der Fliegende-Holländer (L'Olandese volante, nei paesi latini intitolato Il Vascello-Fantasma), "opera romantica" in 3 atti (da una leggenda popolare), prima idea.
1839-40. - Musica: Les deux grenadiers, ballata per canto e pianoforte (da H. Heine); tre romanze francesi (2 di Victor Hugo, 1 di Ronsard) per canto e pianoforte; Ouverture Faust (riveduta nel 1855).
Teatro musicale: Rienzi, compimento (1ª rappresentazione Dresda 20 ottobre 1842); Der Fliegende Holländer, primo progetto in 1 atto.
1840-41. - Prosa: Eine Pilgerfahrt zu Beethoven; Ein Ende in Paris; Ein glücklicher Abend, Über deutsches Musikwesen; Der Virtuos und der Künstler; Der Künstler und die Öffentlichkeit; Rossinis "Stabat Mater"; über die Ouverture; Der Freischütz: al pubblico parigino; Der Freischütz: resoconto per la Germania; "La Reine de Chypre" von Halévy.
Teatro musicale: Die Sarazenin, opera in 5 atti (dalla storia degli Hohenstaufen): trama del poema; Musica per un vaudeville di Dumanoir (frammento); Der Fliegende-Holländer: compimento (1ª rappresentazione Dresda 2 gennaio 1843); Tannhäuser, und der Sängerkrieg auf Wartburg, Grande opera romantica in 3 atti (da Volkslieder del sec. XIII): prima idea; Lohengrin, opera romantica in 3 atti (da uno degli stessi Volkslieder duecenteschi): prima idea.
1842. - Prosa: Autobiographische Skizze, Teatro musicale: Die Berkwerk zu Falun, opera in 3 atti da leggenda popolare, progetto, poi abbandonato; Tannhāuser, abbozzi poetici e musicali.
1843. - Musica: Cantata per l'inaugurazione del monumento al re Federico Augusto (1ª esecuzione Dresda 7 giugno 1843); Das Liebesmahl der Apostel per coro e orchestra (1ª esecuzione Dresda 6 luglio 1843).
Teatro musicale: Tannhäuser, compimento del poema; Die Sarazenin: abbozzò del poema, poi abbandonato.
1844. - Musica: Omaggio dei fedeli a Federico Augusto il Beneamato, per coro e orchestra (1ª esecuzione Dresda 12 agosto 1844); Musica funebre per la traslazione della salma di Weber (1ª esecuzione Dresda 14 dicembre 1844); Sulla tomba di Weber, coro (1ª esecuzione 15 dicembre 1844).
1845. - Teatro musicale: Tannhäuser: compimento (1ª rappresentazione Dresda 19 ottobre 1845); Lohengrin, abbozzo del poema. Prima idea dei Meistersinger.
1846. - Prosa: Über die Aufführung der IX Symphonie von Beethoven im Jahre 1846. Lettere contenenti accenni al mito nibelungico.
1847. - Teatro musicale: Lohengrin: compimento (1ª rappresentazione Weimar 28 agosto 1850).
1848. - Prosa: Die Wibelungen: Weltgeschichte aus der Sage;Entwürf zur Organisation eines deutschen Nationaltheaters für das Königreich Sachsen. Un articolo rivoluzionario pubblicato il 14 giugno 1848 sul Giornale di Dresda e letto il 15 al Vaterlands-Verein.
Poesia drammatica: Friedrich Rotbart (Federico Barbarossa), progetto di dramma in 5 atti (non per musica), poi abbandonato; Jesus von Nazareth, progetto di dramma, poi abbandonato.
Teatro musicale: Der Nibelungen-Mythus, als Entwurf zu einem Drama: concezione pressoché integrale dell'argomento del Ring des Nibelungen; Siegfrieds Tod, abbozzo d'un dramma musicale (già con appunti musicali), poi rifuso nelle ultime parti del Ring.
1849. - Prosa: Die Revolution, articolo pubblicato sui Volksblätter di Dresda; Kunst und Revolution; Der Künstler der Zukunft; Das Kunstwerk der Zukunft.
Teatro musicale: Wieland der Schmied, abbozzo completo di un dramma (dal mito scandinavo), poi abbandonato; Achilleus, abbozzo di un dramma (dal mito classico), poi abbandonato.
1850. - Prosa: Das Judentum in der Musik; Über Staat und Religion; Kunst und Klima; Oper und Drama in lavoro.
1851. - Prosa: Ein Theater in Zürich; Oper und Drama, compimento; Eine Mitteilung an meine Freunde, Die Goethestiftung; Erinnerungen an G. Spontini.
Teatro musicale: Der Junge Siegfried, testo di dramma musicale, poi rifuso in Siegfried; Nuova concezione del Ring e inizio del lavoro.
1852. - Prosa: Über die musikalische Kritik; Bemerkungen zur Auffuhrung der Oper "Der fliegende Holländer"; Programmi esplicativi sul Coriolano e sull'Eroica di Beethoven.
Teatro musicale: Der Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo); "Festa teatrale in tre giornate precedute da un Prologo" (dalle saghe nordiche): stesura completa del poema (che è pubblicato a sé nel febbraio 1853 e poi, di poco modificato, sarà pubblicato in versione definitiva nel 1863).
1853. - Prosa: Programmi esplicativi per i preludî del Fliegende Holländer, del Tannhäuser e del Lohengrin.
Musica: Sonata in Mi ♭ maggiore, per pianoforte (per l'album di Matilde Wesendonck).
Teatro musicale: Das Rheingold, inizio della composizione.
1854. - Prosa: Über die Ouverture zur Glucks "Iphigénie en Aulide".
Teatro musicale: Das Rheingold, compimento, Die Walküre, inizio della composizione. Primi accenni a un dramma su Tristano e Isotta; primi accenni al personaggio di "Parsifal".
1856. - Teatro musicale: Die Sieger, dramma (d'ispirazione buddistica) abbozzato e abbandonato; Die Walküre, compimento (1ª rappresentazione Monaco 25 giugno 1870); Siegfried, inizio della composizione; nuovi accenni al progetto "Tristano".
1857. - Prosa: Über F. Liszts Symphonische-Schöpfungen; Musica: tre Lieder (testo di Matilde Wesendonck).
Teatro musicale: Siegfried, continuazione fino a gran parte del 2° atto. Interruzione del lavoro per il Ring (dal 1857 al 1865); Tristan und Isolde, dramma musicale in 3 atti (dal poema di Gottfried di Strasburgo): stesura completa del poema e inizio della composizione. Primo progetto di un dramma Parsifal.
1858-59. - Musica: Due Lieder (testo di M. Wesendonk).
Teatro musicale: Tristan und Isolde, compimento (1ª rappresentazione Monaco, 10 giugno 1865).
1860. - Prosa: Die Musik der Zukunft; Lettera ad H. Berlioz; Gruss an L. Spohr und an W. Fischer.
Musica: Albumblatt in La ♭ maggiore.
1861-62. - Musica: Albumblatt in Do maggiore.
Teatro musicale: Die Meistersinger von Nürnber, grande opera comica in 3 atti (dalla storia del Meistergesang): stesura completa del poema ed inizio della composizione.
1863. - Prosa: Dedica della 2ª ed. di Oper und Drama; Das Wiener Hofopertheater.
Teatro musicale: Versione definitiva del testo del Ring, coi nuovi sottotitoli: Siegfried e Götterdämmerung, c con importanti annessi esplicativi, una prefazione ed un epilogo.
1864. - Musica: Huldigungsmarsch (Marcia d'omaggio, per Luigi lI di Baviera).
1865. - Prosa: Die deutsche Kunst und die deutsche Politik.
Poesia lirica: Dem königlichen Freunde (Al regale amico).
Teatro musicale: Siegfried, ripresa della composizione (interrotta poi ancora); Parsifal, primo disegno completo del poema.
1867. - Teatro musicale: Die Meistersinger von Nürnberg, compimento (1ª rappresemtazione Monaco 21 giugno 1868).
1868. - Prosa: Meine Erinnerungen an L. Schnorr von Carolsfeld; Erinnerung an G. Rossini.
1869. - Prosa: Aufklärungen über das Judentum in der Musik; Über das Dirigieren; Mein Leben, compimento (1ª ed., in 4 volumi, 1870-74).
Poesia lirica: Das Rheingold (poemetto); Bei der Vollendung des Siegfried" (intendi: dell'abbozzo musicale).
Teatro musicale: Gotterdămmerung, inizio della composizione.
1870. - Prosa: Beethoven.
Poesia lirica: Am -25 August 1870.
Musica: Siegfried-Idyll, per orchestra.
1871. - Prosa: Über die Bestimmung der Oper; Erinnerung an Auber.
Poesia lirica: An das deutsche Heer vor Paris.
Letteratura drammatica: "Eine Kapitulatian" Lustspiel in antiker Manier (1870-71).
Musica: Kaisernarsch.
Teatro musicale: Siegfried, compimento (1ª rappresentazione Bayreuth 16 agosto 1876).
1872. - Prosa: Lettera a F. Nietzsche sulla cultura tedesca; Über Schauspieler und Sänger; Lettera sulla professione teatrale; Über die Benennung "Musikdrama".
1873. - Prosa: Das Bühnenfestspielhaus in Bayreuth; Schlussbericht sulle vicende teatrali del Ring des Nibelungen; Zum Vortrag der IX. Symphonie Beethovens.
1874. - Prosa: Introduzione ad una pubblica lettura della Götterdämmerung; Su di una esecuzione della "Jessonda" di L. Spohr.
Teatro musicale: Die Götterdämmerung, compimento (1ª rappresentazione Bayreuth, 17 agosto 1876).
1875. - Musica: Albumblatt in Mi ♭ maggiore, per pianoforte.
1876. - Musica: Grosser Festmarsch (per il centenario dell'indipendenza degli Stati Uniti).
1877. - Prosa: Progetto riguardo alla Scuola drammatica a Bayreuth.
Teatro musicale: Parsifal "Bühnenweihfestspiel" (Spettacolo festivo di consacrazione della scena; in 3 atti, dal poema di Wolfram von Eschenbach): compimento del poema e inizio della composizione.
1878. - Prosa: Was ist Deutsch?; Modern; Publikum und Popularität; Das Publikum in Zeit und Raum; Ritckblick über die Bühnenfestspiele des Jahres 1876.
1879. - Prosa: Wollen wir hoffen?; Iettera aperta a E. von Weber contro la vivisezione; Über das Operndichten und Komponieren; Über die Anwendung der Musik auf das Drama; R.W.s Lebensbericht. The Work and mission of my Life (pubbl. in inglese) - approvato ma non scritto da W.?
1880. - Prosa: Religion und Kunst; Was nützt diese Erkenntnis?
1881. - Prosa: Erkenne dich selbst; Introduzione al Giudizio sullo stato attuale del mondo del conte di Gobineau; Heldentum und Christentum.
1882. - Prosa: Das Bühnenweihfestspiel in Bayreuth, 1882; Rapporto sulla ripresa d'un lavoro giovanile (la sinfonia in Do).
Teatro musicale: Parsifal: compimento. 1ª rappresentazione Bayreuth 26 luglio 1882.
1883. - Prosa: Über das Weibliche im Menschlichen (frammento).
Vicino a questi lavori vanno considerati (oltre diversi altri appartenenti alle opere in prosa) specialmente alcuni scritti esplicativi sui preludî del Tristano, dei Maestri cantori e del Parsifal, apparsi postumi; e varî lavori musicali di trascrizione, adattamento, rielaborazione, tra i quali primeggiano le rielaborazioni dell'Ifigenia in Aulide di Gluck e del Don Juan di Mozart.
Edizioni principali: Prosa e poesia, in R. W.s gesammelte Schriften und Dichtungen, 1ª ed., Lipsia 1871-73; nuove ed., ivi 1887, 1911, 1914; trad. inglese (tutte le prose e alcune poesie), Londra 1892-99; francese, Parigi 1907-11; in italiano solo alcune prose (tre le quali: Musica dell'avvenire, Torino 1893, e Opera e dramma, ivi 1894) e tutti i poemi drammatico-musicali (Firenze 1921-36, a cura di G. Manacorda), oltre la traduzione destinata all'esecuzione teatrale, dovuta alla Casa Ricordi di Milano. I carteggi sono raccolti in edizione completa (tranne alcuni numeri) a Lipsia 1912; alcuni di essi sono tradotti in più lingue; in italiano, tra gli altri, quelli W.-Liszt, W.-Matilde Wesendonck e W.-Matilde Maier. Le composizioni musicali sono reperibili in gran parte nelle ed. Breitkopf-Härtel, Peters, Schott e Ricordi (le opere teatrali). L'edizione completa e critica è in corso presso Breitkopf-Härtel a Lipsia. L'autografo di alcune partiture è riprodotto in fac-simile presso l'ediz. Drei Masken di Monaco.
Bibl.: Opere bibliografiche: N. Oesterlein, Katalog einer W. Bibliothek, voll. 4 (10.180 numeri), Lipsia 1882-95; H. Silège, Bibliographie wagnérienne française, Parigi 1902; L. v. Frankenstein, Bibliographie der auf R. W.s bezügtichen Buch-, Zeitung- und Zeitschriften-Literatur 1907-11, Berlino 1912.
Lessici e prontuarî: C. v. Glasenapp, W. Encyclopädie, voll. 2, Lipsia 1891; H. v. Wolzogen, Thematische Leitfäden, Lipsia 1876-80-82 (indicazioni sui motivi conduttori si trovano anche nel lavoro, più oltre citato, di A. Lavignac); E. Kastner, Chronologisches Verzeichnis der estern Aufführungen von R. W.s dramatischen Werken, 2ª ed., Lipsia 1899; H. von Wolzogen, W.-Brevier (piccola scelta di passi wagneriani raggruppati per argomento), ivi 1907; W. Tappert, R. W. im Spiegel der Kritik (scelta di passi dalla critica avversa a W.), 1ª ed., ivi 1877; altre ed., ivi 1903, 1915.
Periodici: Bayreuther Blätter (fondatore R. W.) dal 1878; W.-Jahrbuch, iniziato nel 1886, ripreso, dopo interruzione, dal 1906 al '13; Revue wagnérienne, 1885-1887; The Meister, 1888-1895; W.-Hefte der Musik, 1902; v. inoltre la rubrica Wagneriana nella Rivista musicale italiana.
Biografie e lavori di interesse specialmente biografico. Sulla storia della famiglia W., v. C. v. Glasenapp, Überblick über die Familiengeschichte des Hauses W.s (ordinata in tabelle), in R. W.s Jahrbuch, 1908. - Sul maestro v. specialmente: C. v. Glasenapp, R. W. Leben und Wirken, 1ª ed. (voll. 2), Lipsia 1876-1877; 6ª ed. (Das Leben R. W.s, voll. 6), ivi 1905-11, opera fondamentale per la documentazione; W. Tappert, R. W. Sein Leben und seine Werke, Elberfeld 1883; A. Jullien, R. W. Sa vie et ses øuvres (con le celebri litografie del Fantin-Latour), Parigi 1886; L. Torchi, R. W., Bologna 1890; H. S. Chamberlain, R. W., Monaco 1896, nuova ed. (voll. 2), 1911; M. Koch, R. W., voll. 3, Berlino 1907-18; J. Kapp W., 10ª ed., ivi 1913; E. Schmitz, R. W., 2ª ed., Lipsia 1918; P. Bekker, W. Das Leben in Werke (utile anche per la conosc. dell'arte di W.), Stoccarda 1924; G. A. Hight, R. W.: A critical Biography, voll. 2, Londra 1925; Ph. Hurn e W. Root, The Truth about W. (polemico, su documenti della collezione Burrell), Londra 1930; Aldo Oberdorfer, W., Milano 1933; G. de Pourtalès, W., Parigi 1932.
Opere specialmente utili per la conoscenza del pensiero wagneriano: d'ordine generale, oltre parte dell'op. cit. del Chamberlain, sono le seguenti: É. Schuré, R. W., Son øuvre et son idée, Parigi 1886; ried., 1914; H. Dinger, R. W.s Geistliche Entwicklung (con una tabella sinottica), Lipsia 1892; R. Louis, Die Weltanschauung R. W.s, ivi 1898; L. Dauriac,Le musicien-poète R. W. Étude de psychologie (con bibl. critica), Parigi 1908; H. S. Chamberlain, Das Drama R. W.s, 4ª ed., Lipsia 1910; Peterson-Berger, R. W. als Kulturerscheinung, ivi 1917; A. Drews, Der Ideengehalt in W.s dramat. Dichtungen im Zusammenhang seines Lebens u. seiner Weltanschauung, Lipsia 1930; H. Lichtenberger, R. W. poète et penseur, nuova ed., Parigi 1932.
Lavori utili specialmente per lo studio dell'opera artistica di W.: F. Müller, Über W.s Tannhäuser und Sängerkrieg auf Wartburg, Weimar 1853; H. v. Bülow, Über R. W.s Faust-Ouverture, Lipsia 1860; L. Nohl, Gluck und W., Monaco 1870; H. v. Wolzogen, Die Sprache in R. W.s Dichtungen, Lipsia 1878; A. Lavignac, Le voyage artistique à Bayreuth (utile come guida attraverso le singole opere), Parigi 1879, riedita 1897; O. Eichberg, Parsifal: Einführung in die Dichtungen Wolframs von Eschenbach und R. W.s, Lipsia 1882; K. Mayerberger, Die Harmonik R. W.s, Chemnitz 1882; P. Herrmann, R. W. und der Stabreim, Hagen-Lipsia 1883; H. Wilsing, R. W.: Die Meistersinger von Nürnberg, Lipsia 1888; F. Schultze, Das neue Deutschland, seine alten Heldensagen u. R. W., Lipsia 1888; F. Schultze, Das neue Deutschland, seine alten Heldensangen u. R. W., Lipsia 1888; E. Meinck, Die sagenwissenschaftlichen Grundlagen der Nibelungendichtung R. W.s, Berlino 1892; E. Wechssler, Die Sage vom heiligen Gral in ihrer Entwicklung bis auf W.s Parsifal, Halle a S. 1898; F. Liszt, R. W.: Tannhäuser, Lohengrin, Der fliegende Holländer, Rheingold, Lipsia (2ª ed. op. complete di Liszt, voll. III), 1899; E. Thomas, Die Instrumentation der Meistersinger, ecc., Mannheim 1899; E. Newman, A study of W., Londra 1899; K. Mey, Der Meitergesang in Geschichte und Kunst, ecc., Karlsruhe 1892; 2ª ed., 1901; M. Arend, Harmonische Analyse des Tristanvorspiels, in Bayr. Bl., 1901; W. Golther, Die Sagegeschichtlichen Grundlagen d. Ringdichtung, Charlottenburg 1902; R. Pezsch, W.s Meistersinger, Lipsia 1903; M. Martersteig, Die Oper und R. W., Lipsia 1904; E. Newman, W., Londra 1904; K. Grunsky, W. als Symphoniker, in R. W. Jahrbuch, 1906; M. G. Conrad, W.s Geist und Kunst in Bayreuth, Monaco 1906; H. Porges, Tristan und Isolde, Lipsia 1906; F. Volbach, Die Gesangkoloratur bei R. W., in R. W. Jahrbuch, 1906; L. E. Iselin, Der morgenländische Ursprung der Gral-Legende, Halle 1909; M. Graf, R. W. im Fliegenden Holländer, Lipsia-Vienna 1911; E. Ergo, Über R. W.s Harmonik und Melodik, Lipsia 1914; A. Lorenz, Das Geheimnis der Form bei R. W. (I: Der musikalische Aufbau im Ring der Nibelungen; II: Tristan und Isolde; III: Die Meistersinger (lavoro di notevole importanza per lo studio del discorso musicale di W.), Berlino 1924, 1927, 1930; M. Graf, W. als régisseur, diss., Vienna 1925; W. Hapke, Die musikalische Gebärde bei W., diss., Münster 1927; E. Kurth, Romantische Harmonik und ihre Krise in W.s "Tristan", 3ª ed. (il più notevole lavoro sull'argomento), Berlino 1927; F. Slavik, Die Jugendopern R. W. in ihren Beziehungen zu den späteren Werken, diss., Vienna 1927; W. Ramann, Der dichterische Stil R. W.s ecc., 1929; O. Strobel, Skizzen und Entwürfe zur Ringdichtung, Monaco 1930; G. Vulpius, Das mimische Element bei R. W., diss., Heidelberg 1930; E. Bücken, R. W. (notevole per lo studio dello stile musicale di W. dalle prime composizioi al Parsifal), Potsdam 1933.