Blake, William
Poeta, pittore e incisore inglese (Londra 1757-1827). Il ‛ mad Blake ', come era chiamato per scherno, raccoglie in sé le contraddizioni del visionario piuttosto che del riformatore e del mistico. E mentre da un lato partecipa di taluni aspetti innovatori e passionali del Romanticismo e non soltanto della proposta del gotico, la quale, già cominciata in Inghilterra, trovava allora accenti di rivalutazione nel Goethe (1772), nel Wackenroder (1797) e perfino nel nostro Milizia, dall'altro si mostra connesso con l'Illuminismo e col Razionalismo, salvo più tardi a negarli. Si ricongiunge perciò ai liberi pensatori, a De Sade, a Voltaire, agli enciclopedisti. La fortuna del B., incominciata con Dante Gabriele Rossetti (la poetica preraffaellita ha le sue premesse nell'arte di B.) e con Swinburne, è venuta accrescendosi per le possibilità, se non sempre per le probabilità, di scoprire, nella multiforme attività di B. scrittore e pittore, le idee o addirittura i precorrimenti di tante correnti moderne, che non sono, ovviamente, soltanto delle estetiche: del Goethic revival, del purismo, del decadentismo, del surrealismo.
Disegnatore e incisore, B. precorre di vari decenni la splendida rifioritura ottocentesca dell'editoria inglese, che seguendo le idee del Ruskin e l'esempio del Morris doveva ispirarsi al Medioevo, agl'incunaboli della stampa e ai più bei libri del Cinquecento. Concepiti come opere di altissimo artigianato, con spirito analogo a quello degli amanuensi e miniatori del libro medievale e dei primi, grandi stampatori, i libri ideati da B. anche con procedimenti tecnici nuovi, tra cui le famose incisioni a rilievo, che spesso egli acquarellava singolarmente dando a ciascuna copia il pregio dell'esemplare unico, influirono sull'intero preraffaellitismo e specialmente sulla Kelmscott Press di Morris a cui si ispireranno tardivamente i nostri G.A. Sartorio, Giuseppe Cellini, Adolfo de Carolis, Duilio Cambellotti nell'orbita di quel gusto editoriale, tra la fine dell'Ottocento e primi dieci o quindici anni del nostro secolo, che possiamo definire riassuntivamente dannunziano. In tal modo anche lo sviluppo eccezionale del bianco e nero e la fortuna della grafica nell'arte moderna trovarono in B. un pioniere.
Si direbbe che l'incontro con D. fu un passo obbligato della cultura e dell'azione di Blake. Per poter leggere la Commedia nell'originale, infastidito dalla banalità delle traduzioni, B. imparò l'italiano dopo i sessant'anni; e quando nel 1818 John Linnell gli chiese di incidere delle illustrazioni per il poema dantesco, egli cominciò un intenso lavoro di schizzi a penna, disegni e acquarelli, un centinaio in totale: la Tate Gallery di Londra ne possiede venti, altri sono conservati nel British Museum, altri ancora a Cambridge e a Birmingham e negli Stati Uniti (di essi dà conto, indicandone i soggetti, l'Iconografia del Volkmann); e vi attese fino alla morte, benché realizzasse soltanto sette incisioni definitive.
Questo complesso di interpretazioni figurali della Commedia, che attestano una lettura approfondita, libera e critica, costituiscono il massimo monumento iconografico dantesco dell'età moderna, anzitutto per la qualità delle immagini, improntate da un estro inventivo, da una fluidità di segno, da un sentimento della luce e del colore che non si riscontrano in nessun altro illustratore moderno di Dante. La sinuosità delle figure, spesso molto allungate, mostra ormai il superamento del gusto neoclassico cui B. si era accostato specialmente negli anni felici dell'amicizia con Flaxman (anch'egli illustratore della Commedia: v.), e ogni possibile fonte dell'arte sua appare rielaborata con originalità e proiettata nell'avvenire in modo sorprendente. Ciò che egli dovette al michelangiolismo imperante, alle conoscenze indirette di Raffaello e di Diirer nel tempo dell'apprendistato presso il Basire, al gotico, ai manieristi fiorentini (ma l'Allegoria del Bronzino nella National Gallery era attribuita allora a Michelangelo), o al seicentesco incisore bolognese Giulio Bonasone (che il B. poté conoscere attraverso il libro del Cumberland pubblicato a Londra nel 1793) e ancora gl'incontri fuggevoli con Rembrandt o con altri maestri antichi, indicati dal Preston con persuasivi raffronti, infine le suggestioni ricevute dal Flaxman come dal Füssli (v.) entro quell'area nordica che pure assecondando superficialmente l'ideale neoclassico gli si opponeva in sostanza nella stessa Roma del Winckelmann e del Mengs, costituiscono un fondo di cultura autodidatta bruciato al fuoco di una fantasia eccezionalmente fertile e mobile. C'è nelle invenzioni di B. una grande varietà di accenti: dall'eleganza narrativa e quasi meramente ornativa delle tavole su D. e Virgilio che entrano nella foresta o sono in vista della porta dell'Inferno, si arriva alle figurazioni vigorose di Cerbero, di Pluto, del castigo dei ladri, del pontefice simoniaco (del quale B. condivide la condanna compiacendosene, sulla base del suo disprezzo della concezione materialistica della vita), dei giganti simboli della brutalità dei cinque sensi. L'angelo custode della porta del Purgatorio prende in B. le sembianze di un vecchio, probabilmente Urizen, simbolo blakiano dell'imposizione conformista dell'ortodossia religiosa. Il dissenso da D. è manifesto altresì nel colore di questa tavola, dove dominano le tinte scure, di porpora e nero. Il Butlin (v. la bibl.) pone giustamente in rilievo come due disegni di B., l'uno in America, l'altro al British Museum, portino queste lunghe iscrizioni che condannano le idee salvifiche tradizionali di D.: " Every thing in Dante's Comedia shows That for Tyrannical Purposes he has made This World the Foundation of All and the Goddess Nature [i.e.] Memory is his Inspirer and not Imagination [i.e.] the Holy Ghost ". " Whatever Book is for Vengeance for Sin and Whatever Book is Against the Forgiveness of Sins is not of the Father but of Satan the Accuser and Father of Hell ". Perciò - osserva il Butlin - il sole appare sempre più coperto di nuvole nelle tavole che mostrano l'ascesa di D. e Virgilio su per la montagna del Purgatorio. Anche la scena, quale B. l'ha immaginata, di Beatrice che si rivolge a D. dal carro (Pg XXX), viene interpretata come una critica di B. alle credenze del poeta: perché Beatrice, simbolo della Chiesa (ma per B. è anche l'incarnazione della volontà femminile), è rappresentata con una corona, ciò che ne sottolineerebbe il potere su D., a dimostrare la soggezione del genio poetico alle distorte dottrine della Chiesa. Certo questa illustrazione si allontana notevolmente dal testo dantesco: Beatrice, coronata e vestita di un lungo velo verde trasparente, è in piedi sul piano del carro, mentre attorno a lei ricadono curve delle grandi ali con penne occhiute, di pavone, e con quattro teste umane. La Speranza, in verde, solleva un braccio; la Carità, in rosso, è circondata da putti; la Pietà, in bianco, punta il dito su un libro aperto rivolgendosi a D.; a sinistra la ruota, non descritta dal poeta, forma un vortice in cui si riflettono le teste delle tre virtù. D'altronde sono frequentissime le licenze interpretative di B.: da quelle che riguardano soprattutto il suo stile, dominato dal movimento e perciò dalla linea sinuosa (così, nella tavola di Paolo e Francesca, la bufera infernale assume la forma, usata spesso da B., di un gigantesco serpente) a quelle che conseguono a un atteggiamento polemico del pensiero, che non sempre è dato di chiarire in maniera sicura. Nell'illustrazione di D. che nell'Empireo beve al fiume della vita, ovvero che attinge alla immaginazione divina, B. compie, secondo il Butlin, " una sintesi delle idee proprie e di quelle di Dante ", alla cui figura aggiunge, a sinistra, altre tre, una scena di artisti al lavoro, e un vecchio poeta (forse il rigenerato Urizen?), mentre sulla destra introduce due personaggi femminili, Enione e Vala simboli della natura, anch'essi nel loro stato di grazia recuperata. Il fiume e il cespuglio di foglie, a sinistra, si vedono animati da fanciulli festanti. La scena rappresenta la rigenerazione dell'arte e della natura nell'Eterno, ed esalta l'opera salvifica del genio poetico con una trepidante castità di mezzi e col resultato di un ‛ angelismo ' eccezionalmente moderno, così da dare l'impressione quasi di un disegno di Chagall. Ricorderemo infine, tra gli espliciti commenti blakiani al testo della Commedia, il seguente, che si legge in un disegno su Omero e i poeti antichi nel Limbo, raffigurati in una specie di bosco druidico, presso un altare pagano. Blake vi scrive: "Stolen and Perverted from the Bible, not by Chance but by design, by the Kings of Persia and their Generals, the Greek Heroes and lastly by the Romans", e il Butlin rimanda a un passo del testo di B., On Homer's Poetry (circa 1820), dove appare un elogio della classicità, almeno della greca, a condanna del Medioevo: " The Classics, it is the Classics!
And not Goths nor Monks, that Desolate Europe with Wars ": una delle tante contraddizioni del pensiero di B. che riflettono il momento iniziale del Romanticismo europeo, di cui il neoclassicismo segna una delle due proposte basilari del passato.
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