Dieterle, William (propr. Wilhelm)
Regista e attore tedesco, naturalizzato statunitense, nato a Ludwigshafen am Rhein (Renania-Palatinato) il 15 luglio 1893 e morto a Ottobrunn l'8 dicembre 1972. Fece parte della schiera di cineasti emigrati negli Stati Uniti nel corso degli anni Trenta lungo l'itinerario culturale Berlino-Vienna-Hollywood. La parte più significativa della carriera cinematografica di D., quella statunitense, ne rispecchiò la cultura mitteleuropea, la curiosità intellettuale, la sensibilità verso l'impegno sociale e anche la formazione teatrale, e fu caratterizzata dalla tendenza alla trasfigurazione fantastica, alle suggestioni melodrammatiche, a un certo fasto pittorico delle ambientazioni, a un senso plastico della narrazione che si tradusse soprattutto nella predilezione per le biografie, genere di cui fu il maestro indiscusso, tanto da essere definito dalla critica 'il Plutarco di Hollywood'.
Di famiglia povera, si adattò a lavori umili, ma ben presto entrò nel mondo dello spettacolo come attore: dal 1911 al 1924 in teatro (tra il 1920 e il 1923 fece parte del Deutsches Theater di Berlino diretto da Max Reinhardt) e dal 1921 al 1930 nel cinema. In quest'ultima attività acquisì una certa notorietà grazie a un'imponenza fisica non priva di eleganza e a una recitazione anticonformista che adottava moduli naturalistici anche in celebri film espressionisti, come Hintertreppe (1921) di Leopold Jessner e Paul Leni, Das Wachsfigurenkabinett (1924; Tre amori fantastici) di Leni e Faust ‒ Eine deutsche Volkssage (1926; Faust) di Friedrich W. Murnau, in cui interpretò il ruolo di Valentin, o in film di impianto teatrale come Fräulein Julie (1922) di Felix Basch, da A. Strindberg, al fianco di Asta Nielsen. Come regista, nel periodo tedesco D. affinò quel gusto per la teatralità e per un certo romanticismo che lo avrebbe caratterizzato in seguito, esordendo nel 1923 con Der Mensch am Wege, da L.N. Tolstoj, da lui anche interpretato a fianco di una Marlene Dietrich agli inizi della carriera, e continuando con opere di esasperato sentimentalismo come Die Heilige und ihr Narr (1928), di coraggiosa denuncia come Geschlecht in Fesseln (1928), sulla violenza sessuale in un carcere maschile, o ancora riservandosi la parte del protagonista in Ludwig der Zweite, König von Bayern (1930), biografia del re 'folle' di Baviera che anticipò la serie dei suoi grandi film biografici.Trasferitosi a Hollywood nel 1930 per curare le edizioni tedesche dei primi film sonori, D. si inserì con facilità nell'ambiente, realizzando tra il 1931 e il 1935 oltre venti film e consolidando una reputazione di cineasta eclettico dal mestiere solido, capace di passare con disinvoltura dal gangster film alla commedia brillante, dal musical all'avventura, abile nell'orchestrazione degli attori e non alieno da raffinatezze di messinscena, come in A midsummer night's dream (1935; Sogno di una notte di mezza estate), incantata féerie shakespeariana diretta insieme a Reinhardt, in cui si manifestano già un onirismo scenografico e un gusto per le iridescenze fotografiche tipici dei film successivi. L'inclinazione figurativo-fantastica di D. si espresse nella fantasmagoria chiaroscurale di The hunchback of Notre Dame (1939; Notre Dame), da V. Hugo, il cui clima stravolto e minaccioso e le sottolineature dell'intolleranza razziale alludono alla barbarie nazista che stava dilagando in Europa; nel clima visivo da illustrazione fiabesca di The devil and Daniel Webster, noto anche come All that money can buy (1941; L'oro del demonio), curiosa trasposizione del tema faustiano nell'America rurale dell'Ottocento; nel rutilante Oriente di Kismet (1944), con Marlene Dietrich che danza ricoperta d'oro; nella fantasia biblica del fiammeggiante Salome (1953; Salomè), con Rita Hayworth; e nel corrusco noir esotico Rope of sand (1949; La corda di sabbia). Ma soprattutto nel virtuosismo fantasmatico del film più personale di D., quel Portrait of Jennie (1949; Il ritratto di Jennie), tratto dal romanzo di R. Nathan, che riprende atmosfere surrealiste impregnate di amour fou e le trasforma in un arabesco figurativo impastato di un bianco e nero onirico e virato da sequenze a colori. La vicenda del pittore innamorato di una presenza femminile evanescente, che si rivelerà appartenere all'aldilà, diede a D. lo spunto per un melodramma flamboyant che avrebbe incantato un regista come Luis Buñuel.
Ma laddove D. dispiegò sapienza narrativa e senso del racconto storico dipanato lungo una controllata costruzione estetica della messinscena fu nel gruppo dei più riusciti film biografici, tutti interpretati da un versatile Paul Muni: The story of Louis Pasteur (1936; La vita del dottor Pasteur), The life of Emile Zola (1937; Emilio Zola), bloccato dalla censura nell'Europa nazifascista per le idee libertarie che D. vi esprimeva, Juarez (1939; Il conquistatore del Messico), sulla guerriglia repubblicana nel Messico di Massimiliano d'Asburgo, opere in cui traspare un'evidente vena progressista. Questo impegno democratico, già introdotto negli stilemi melodrammatici di Blockade (1938; Marco il ribelle), film sulla guerra civile spagnola sceneggiato dal futuro blacklisted John H. Lawson, si esplicitò, tra l'altro, nel 1941, con l'aiuto offerto a B. Brecht per l'espatrio negli Stati Uniti.Negli anni Quaranta D. confermò la sua prolificità, e si dedicò soprattutto a giocare sulle emozioni forti e a comporre melodrammi pieni di musicalità drammaturgiche e di soluzioni figurative interessanti: da I'll be seeing you (1944; Al tuo ritorno) al pirandelliano This love of ours (1945; Questo nostro amore), dal trasognato Love letters (1945; Gli amanti del sogno) al pittoresco Vulcano (1950), girato nelle Eolie con Anna Magnani. Negli anni Cinquanta, dopo gli eccessi sentimentalistici di September affair (1950; Accadde in settembre), D. girò, tra l'altro, due cupi noir urbani, Dark city (1950; La città nera) e The turning point (1952; Furore sulla città), per poi riprendere il melodramma esotico in Elephant walk (1954; La pista degli elefanti), la fantasia orientaleggiante in Omar Khayyam (1957; Le avventure e gli amori di Omar Khayyam), la biografia romanzata in Magic fire (1956; Fuoco magico), di R. Wagner. La sua reputazione di fiancheggiatore delle lotte progressiste gli costò un'indagine della commissione McCarthy, nonché crescenti difficoltà nel lavoro. Nel 1958 decise perciò il rientro in Germania, dove girò nel 1960 tre film a sfondo storico-avventuroso e lavorò per la televisione, ma soprattutto tornò a dedicarsi al teatro. Fece quindi un fugace ritorno negli Stati Uniti per le travagliate riprese nel 1965 di The confession (distribuito nel 1971 con il titolo Quick, let's get married, noto anche come Seven different ways; Il tesoro del Santo).
H. Dumont, L'homme aux gants blancs, in "Travelling", 1973, 38, pp. 16-31.
H.O. Hermanni, William Dieterle: vom Arbeiterbauernsohn zum Hollywoodregisseur, Worms 1992.
M. Mierendorff, William Dieterle: der Plutarch von Hollywood, Berlin 1993.
H. Dumont, William Dieterle: antifascismo y compromiso romántico, San Sebastián-Madrid 1994.
Der Sprung auf die Bühne: die Jugend- und Theatererinnerungen des Schauspielers und Regisseurs William Dieterle, hrsg. W. Breunig, Ludwigshafen am Rhein 1998.
Der Kampf um die Story: die Hollywood- und Lebenserinnerungen des Schauspielers und Regisseurs William Dieterle, hrsg. W. Breunig, Ludwigshafen am Rhein 2001.