Friedkin, William
Regista cinematografico statunitense, di origine ucraina, nato a Chicago il 29 agosto 1939. Le sue opere si rivelano caratterizzate da una notevole forza narrativa, espressa attraverso una messinscena carica di tensione visiva e incline all'immaginifico, mentre costante risulta l'esigenza del regista di affrontare con particolare senso etico la riflessione sul sottile confine che separa il bene dal male e l'indagine sul malessere e l'inquietudine esistenziali. Nel suo cinema l'attenzione a tematiche forti della vita sociale si combina infatti con l'impegno nel narrare storie che mettono in risalto il lato ambiguo e oscuro dell'animo umano, distaccandosi in maniera sostanziale dalle convenzioni narrative imperanti negli studios mediante una capacità di stravolgere dall'interno i generi e i canoni hollywoodiani, rendendoli più sfaccettati e complessi. Nel 1972 ha vinto sia l'Oscar sia il Golden Globe per la regia con The French connection (1971; Il braccio violento della legge) e due anni dopo il Golden Globe per la regia di The exorcist (1973; L'esorcista).Giovanissimo, venne assunto da un'emittente televisiva che, ben presto, gli affidò la regia di programmi e di documentari. L'approccio al cinema fu mediato da questo tipo di esperienza: il suo primo film, Good times (1967), è la messinscena delle vicissitudini artistiche di un duo canoro dell'epoca, Sonny e Cher che interpretano sé stessi. Se Good times con i suoi sketch e lo scarno, se non assente, sviluppo narrativo rivela la confidenza del regista con il linguaggio televisivo, con The night they raided Minsky's (1968; Quella notte inventarono lo spogliarello), The birthday party (1968; Festa di compleanno), e The boys in the band (1970; Festa per il compleanno del caro amico Harold), F. volle invece confrontarsi con il mondo del teatro: nel primo caso in quanto luogo, set sul quale si svolge la storia, negli altri due in quanto testo drammaturgico di riferimento. In particolare il regista si rivela interessato al teatro soprattutto in quanto rivelazione di una realtà straniante, contesto in cui risultano amplificate storie estreme, claustrofobicamente circoscritte in uno spazio delimitato. Al kafkiano The birthday party, tratto da un dramma di Harold Pinter, il quale collaborò anche alla sceneggiatura, fece seguito The boys in the band, che mette in scena un mondo ambiguo, abitato da personaggi che con enormi difficoltà riescono a costruire improbabili equilibri: il gruppo di omosessuali che si riunisce per i festeggiamenti viene costretto a mettere in gioco i propri sentimenti contraddittori, cosicché esplode infine con chiarezza la tendenza all'autodistruzione che pervade gran parte della storia. Il successo arrivò con il quinto lungometraggio, The French connection, opera in cui si concretizza la ricerca stilistica dei quattro film precedenti, mentre l'esperienza documentaristica di F. si sostanzia attraverso la descrizione di tipologie umane paradossali; in particolare, i tutori della legge appaiono sopraffatti dalla necessità di garantire un ordine e, d'altra parte, non riescono a definire quelle che dovrebbero essere le procedure legali e morali del proprio agire. The exorcist, opera della definitiva consacrazione da parte del pubblico, appare muoversi sulla stessa linea: ancora una volta i personaggi sono attanagliati dal dubbio e dall'angoscia su quale sia il percorso che porta al bene o che, almeno, lo definisce. Il film fece acquisire all'horror uno spessore mai avuto in precedenza, e penetrò nell'immaginario di quegli anni grazie alla commistione degli elementi simbolici esibiti: una bambina indemoniata, una madre con problemi di relazione, un padre assente, un sacerdote pieno di dubbi e perplessità. Successivamente il cinema di F. ha alternato film altamente drammatici, come Sorcerer (1977; Il salario della paura), remake di Le salaire de la peur (1953) di Henri-Georges Clouzot, a storie più leggere come The brink's job (1978; Pollice da scasso), senza mai abbandonare l'attenzione partecipe verso realtà e psicologie problematiche e oscure. I generi poliziesco e thriller sono tornati prepotentemente nel suo cinema con Cruising (1980) e, soprattutto, To live and die in L.A. (1985; Vivere e morire a Los Angeles). Si tratta di opere che testimoniano la capacità del regista di raccontare le oscure pulsioni che agitano l'animo umano, senza concedere nulla a facili effetti ma scavando in profondità tra le motivazioni drammatiche. Nel cinema di F. si trovano riflesse le posizioni non solo estetiche ma anche morali del regista, prova ne sia il montaggio e rimontaggio del suo Rampage (1987; Assassino senza colpa? o Ritratto di un serial killer). Nella prima versione F. ha espresso la sua posizione contro la pena di morte, ma successivamente ha scelto di rendere più problematica la tesi espressa dal film. Nel 1990 ha diretto The guardian (1990; L'albero del male), tratto da un romanzo di D. Greenburg, in cui è riu-scito a creare una forte tensione attraverso la materializzazione di riti maligni, in una dimensione sempre sospesa tra l'alterazione della realtà e l'incubo. Il successivo Blue chips (1994; Basta vincere), scritto da Ron Shelton, è apparso anomalo rispetto al suo consueto cinema. In realtà, la vicenda dell'allenatore di una fallimentare squadra di basket che ingaggia, contro il regolamento, tre campioni 'fuori serie', è un'altra amara parabola discendente che mette continuamente in relazione l'uomo con i propri conflitti interiori. Mentre al successivo Jade (1995) F. ha impresso abilmente il ritmo concitato tipico dei suoi polizieschi, attraverso una struttura simile nel montaggio a To live and die in L.A. (la sequenza dell'inseguimento in automobile) che lascia i personaggi (un aspirante procuratore, la sua ex donna accusata di omicidio) in uno stato di continua ambiguità. Dopo Twelve angry men (1997; La parola ai giurati), remake dell'omonimo film di Sidney Lumet del 1957, ha realizzato Rules of engagement (2000; Regole d'onore), in cui ha coniugato, con estrema maestria, frammenti di film bellico (le sequenze del Vietnam) e di film d'azione (l'attacco alla folla nello Yemen) con la struttura di quello processuale.
N. Segaloff, Hurricane Billy: the stormy life and films of William Friedkin, New York 1990; D. Catelli, Friedkin: il brivido dell'ambiguità, Ancona 1997.