Burroughs, William Seward
Scrittore e sceneggiatore statunitense, nato a St. Louis (Missouri) il 5 febbraio 1914 e morto a Lawrence (Kansas) il 2 agosto 1997. Tra gli esponenti più noti della rivolta e della letteratura hipster, nella sua opera il ruolo del cinema non fu mai secondario. Dal punto di vista stilistico, infatti, nel costruire i suoi romanzi B. rimescolò tempi e parole come se si trattasse di sequenze, elaborando una narrazione in cui i singoli frammenti diventano fotogrammi sottratti a un controllo centrale, e la sua tecnica di cut-up e fold-in, per la quale le pagine vengono tagliate, giustapposte in modo da riorganizzare versi e frasi, si rivela una vera e propria operazione di montaggio. D'altra parte, pur sospettoso del potere manipolatorio dei mass media, spesso citò come fonti dei suoi libri sceneggiature di film e, al contempo, il cinema indipendente utilizzò più volte la sua figura come icona densa di significati.
Proveniente da una famiglia agiata, studiò alla Columbia University e, dopo un tardivo esordio letterario con l'amico J. Kerouac, divenne instancabile viaggiatore tra il Messico, l'Europa e l'Africa settentrionale dove sperimentò ogni genere di droga e, sotto il peso di un'esistenza inquieta e drammatica, sentì la necessità di raccontare le sue esperienze di devastante marginalità. Ne derivò una produzione narrativa sospesa tra l'intreccio spionistico, l'horror e la fantascienza, che esibisce il lato più mostruoso nascosto nell'uomo e l'aspetto deviante della creatività. Ben presto il cinema, in particolare quello underground, lo coinvolse in modi diversi e più o meno diretti. Ispirato dalla sua opera, Bruce Conner replicò e manipolò il girato altrui in A movie (1958), impiantandolo in nuovi contesti e in forme non convenzionali e utilizzando per il recupero di pellicole la tecnica del cut-up and permutations. Corrispettivi filmici dei romanzi di B. si ritrovano nell'opera di Anthony Balch, un regista indipendente che, con Towers open fire (1963), tentò un primo adattamento di temi chiave e situazioni tratti dal famoso romanzo di B. Naked lunch (pubblicato in una prima edizione nel 1959 a Parigi con il titolo The naked lunch, e quindi nel 1962), sulla base di una sceneggiatura elaborata dallo stesso scrittore, e che girò nel 1966 un cortometraggio scritto con B., The cut ups.Fu sul finire degli anni Sessanta che egli decise di mettere il suo talento letterario al servizio dell'industria cinematografica scrivendo vari trattamenti e una sceneggiatura dal titolo The last words of Dutch Schultz (pubblicata nel 1970). Nel 1977 si incontrò più volte con il produttore Jacques Stern, l'attore Dennis Hopper e lo sceneggiatore Terry Southern per realizzare una versione cinematografica del suo romanzo Junkie, confessions of an unredeemed drug addict del 1953, ma il progetto non fu mai attuato. Più tardi, B. provò a estrarre un trattamento per il cinema da un romanzo del 1974 dell'autore di fantascienza A.E. Nourse, che poi pubblicò a cinque anni di distanza con il titolo Blade runner: a movie. Il racconto non ha nulla a che vedere con il più noto film di Ridley Scott, che si sarebbe invece ispirato al romanzo di Ph.K. Dick, Do androids dream of electric sheep? (1968). Tuttavia B. prefigura una metropoli del 1999 che, per atmosfere e apocalittica claustrofobia, anticipa quella evocata dal successivo film, e nella quale audaci scalatori di grattacieli volano da un edificio all'altro grazie a grossi cavi metallici, librandosi su tortuosi percorsi sotterranei e in mezzo a continui raid di idrofobi e bestie rabbiose. Tema centrale risulta un nodo irrisolto della democrazia statunitense, ossia quello dell'assistenza medica non garantita, in uno scenario in cui dominano lo spaccio di farmaci illegali e la diffusione di terapie orientali contro un virus che minaccia di annientare l'Occidente. Di lì a poco David Cronenberg avrebbe catturato bene queste livide atmosfere e l'oscura minaccia del cancro, metafora centrale nei romanzi dello scrittore assieme all'AIDS, un male che Naked lunch sembra effettivamente anticipare. Fu infatti nel 1991 che Cronenberg riuscì a realizzare, dopo averlo a lungo progettato, un film dall'omonimo titolo (Il pasto nudo) liberamente ispirato a questo romanzo, che volle essere un ritratto dello scrittore e della sua poetica più che una trasposizione dell'opera. B. infatti non intervenne nella stesura della sceneggiatura e i due artisti non collaborarono mai direttamente, incontrandosi soltanto in occasione dell'uscita del film. In precedenza, la realizzazione di una trasposizione cinematografica di un'opera così complessa aveva scoraggiato diversi registi, tra cui Balch e persino Stanley Kubrick.
Fugaci, ma costanti, furono infine le apparizioni dello scrittore nei film di altri cineasti beat-underground, da The life and times of Allen Ginsberg (1993) di Jerry Aronson a Chappaqua di Conrad Rooks (1966), sino a Decoder (1983) di Muscha, in cui lo coinvolse Klaus Maeck, e lo stesso Ginsberg sognava di produrre un film di fantascienza dal titolo Burroughs on Earth. Registi più giovani, vicini alla scena musicale new wave newyorkese, gli offrirono quindi ruoli cammeo, da Jim Jarmusch (Stranger than Paradise, 1984), ad Alex Cox (Repo man, 1984), a Gus Van Sant (Drugstore cowboy, 1989; My own private Idaho, 1991, Belli e dannati; Even cowgirls get the blues, 1993, Cowgirl ‒ Il nuovo sesso), quasi a voler sancire definitivamente l'importanza e il significato del suo ruolo carismatico nella 'controcultura'. Di Maeck è invece William S. Burroughs. Commissioner of sewers (1986), un saggio audiovisivo sullo scrittore costruito a partire da un'intervista di Jurgen Plog sul linguaggio come virus, sulla funzione dei sogni, sul riuso di testi e sulla morte dell'autore che, in quanto soggetto, deve liberarsi dalle costrizioni di un'identità univoca.
T. Morgan, Literary outlaw: the life and times of William S. Burroughs, New York 1988 (trad. it. Milano 1991); The beat goes on: 50 anni di controcultura, 53a Mostra internazionale d'arte cinematografica, a cura di F. Minganti, F. La Polla, R. Pavanello, Venezia 1996, passim; D. Sterrit, Mad to be saved: the Beats, the '50s, and film, Carbondale 1998, passim.