SHAKESPEARE, William
Nacque a Stratford-on-Avon nell'aprile 1564; s'ignora la data precisa della nascita; si presume che questa precedesse di poco il battesimo, che avvenne il 26 aprile; l'opinione che nascesse il 23 aprile (lo stesso giorno in cui morì nel 1616) sembra dovuta a un errore commesso verso la metà del Settecento. Il nome era comune nel Warwickshire, e l'ascendenza del poeta non può accertarsi al di là del nonno, Richard, fittaiuolo di Snitterfield, di cui il figlio John, padre del poeta, amministrava il patrimonio nel 1561, come appare da un documento ove John è qualificato agricola, coltivatore. John apparteneva alla corporazione dei pellai e guantai di Stratford, ed esercitava commerci connessi con tale attività (macellaio) e con la qualità di coltivatore (vendita di orzo e legno). Prosperando i suoi commerci, John coprì alcuni uffici municipali di Stratford, e nel 1568 fu eletto balivo (sindaco). Aveva sposato tra il 1556 e il 1558 Mary Arden, di antica famiglia di possidenti. William fu il terzogenito di otto figli. Verso il 1577 la situazione economica di John appare dissestata; dieci anni dopo diviene critica in seguito alla cattiva piega degli affari del fratello Henry che morì carico di debiti nel 1596. Di tutte le proprietà che passarono per le sue mani, solo le case in Henley Street furono trasmesse al poeta alla morte del padre nel 1601.
Poco si sa dei primi anni di Sh.; è attendibile la notizia che il padre dovesse toglierlo dalla scuola di Stratford per le sopravvenute ristrettezze economiche; ma se Sh. poté aiutare il padre nell'esercizio della macelleria, la tradizione che vuole che "quando ammazzava un vitello, lo faceva in grande stile, con un discorso", sembra piuttosto riferirsi agl'inizî della carriera d'attore, poiché killing a calf pare fosse uno dei numeri del repertorio dei guitti. Molto controversa è la tradizione che Sh. fosse imprigionato e frustato per avere rubato un daino nella bandita di sir Thomas Lucy; se il fondamento della tradizione appare incontestabile, è anche vero che quella di rubare daini dai parchi gentilizî sembra fosse comune consuetudine tra i giovanotti del tempo, che il giudice non trattava con severità. Né, secondo la legge del 1563 sulla caccia, Sh. avrebbe potuto esser frustato.
A molte congetture ha dato luogo il matrimonio di Sh. verso la fine del 1582 con Anne Hathaway, figlia di coltivatori, probabilmente di Shottery. La licenza del vescovo di Worcester, del 27 novembre, dà il nome della sposa come Anne Whateley di Temple Grafton; l'atto di cauzione, del giorno successivo, parla di Anne Hathwey di Stratford. È probabile che la cauzione, atto originale, sia corretta, e che lo scritturale che inserì la licenza nel registro episcopale commettesse un errore. Mentre si ha la licenza vescovile per il matrimonio, non si è trovata traccia di questo nei registri parrocchiali, a meno che esso non fosse realmente registrato, come fu asserito, nella cappella di Luddington il cui registro andò distrutto. L'assenza di registrazione parrocchiale ha fatto sorgere la congettura, non altrimenti suffragata, che il matrimonio fosse celebrato di nascosto col rito cattolico. La fretta (speciale licenza vescovile invece di bandi) e la segretezza del matrimonio possono venire illuminate dalla data di nascita della prima figlia, battezzata il 26 maggio 1583: all'epoca del matrimonio Anne doveva essere già incinta. Un'altra circostanza pare indicare il matrimonio come un ripiego con cui Sh. riparò a un atto di giovanile irriflessione: essendo nata circa il 1556, Anne era di otto anni più anziana di lui. Che in realtà non fosse un matrimonio felice, si è voluto argomentare dal testamento di Sh., del 25 marzo 1616, ove la sola disposizione riguardante la moglie è una postilla interlineare che le assegna il second best bed (letto secondo per qualità), in cui si è voluto vedere un deliberato affronto. Ma non vi era bisogno di disporre nel testamento in favore della moglie, a cui la common law garantiva il vitalizio d'un terzo dei beni lasciati dal testatore. D'altronde il miglior letto sarebbe stato considerato, come di consuetudine, un heirloom, cioè trasmissibile ai discendenti secondo la regola della primogenitura. È quindi possibile che, rileggendosi il testamento, la moglie di Sh. chiedesse il letto proveniente dalla sua casa paterna a Hewland.
Alla prima figlia, Susanna, fecero seguito due gemelli, Hamnet e Judith, battezzati il 2 febbraio 1585. Riassumendo la situazione che emerge dai nudi fatti che siamo venuti elencando: a ventun anno Sh. si trovava ad avere tre figli, una moglie più anziana di lui sposata probabilmente per ripiego, un padre che versava in gravi condizioni finanziarie, e quattro fratelli e sorelle più giovani da allevare. Si può comprendere perché egli migrasse a Londra in cerca di fortuna.
Non abbiamo certezza della presenza di Sh. a Londra prima del 1592, allorché un passo del Groatsworth of Wit del Greene lo mostra già attore e drammaturgo: "Non è strano che io e voi, a cui tutti si sono inchinati sinora, dobbiamo essere così abbandonati a un tratto? Un villan rifatto di Corvo, abbellitosi con le nostre penne, con un cuor di tigre nascosto sotto la pelle d'un attore, s'immagina d'esser capace di dar fiato agli endecasillabi come il miglior di voi: ed essendo nient'altro che un Iohannes Factotum, presume di essere l'unico Scuoti-scena dell'intero paese" (Shake-scene "Scuotiscena", giuoco di parole con Shake-speare "Scuotilancia"). Resta dunque nella cronologia della vita di Sh. una lacuna di parecchi anni, gli anni più importanti forse nella formazione di un artista, quelli che sono intorno al venticinquesimo. Che egli dovesse in questo frattempo completare la sua educazione con letture che gli acquistarono una cultura vasta sebbene non esatta, è provato dalle opere, che presuppongono anche una varietà di esperienze, in parte, certo, solo genialmente intuite. Questo periodo, che dovette essere denso di avventure materiali e spirituali, non può ricostruirsi con le sovente ingegnose ma immancabilmente insignificanti ipotesi di biografi e dilettanti, di cui il campo abbonda.
Gli anni dal 1592 al 1594 furono anni di disorganizzazione nel mondo teatrale londinese: stagioni brevi interrotte dalla peste, fusione e rovina di compagnie effimere, fine del predominio degli University Wits nel dramma (v. inghilterra: Letteratura, p. 286) che il passo del Greene riportato sopra chiaramente annuncia.
Lo Sh. appariva al Greene un usurpatore, poiché godeva del crescente favore del pubblico, come ci è attestato da Henry Chettle che preparò per la stampa il Groatsworth of Wit, e volle scagionarsi da ogni responsabilità per l'attacco allo Sh. ivi contenuto scrivendo in Kind-Harts Dreame (1592): "Mi duole di non aver temperato l'ultima allusione all'altro come se la colpa originale fosse stata la mia, poiché io stesso ho veduto che la sua condotta non è men civile di quel che egli non sia eccellente nella professione che esercita; inoltre diverse degne persone han testimoniato della sua rettitudine nel trattare che prova la sua onestà, e della sua spiritosa grazia nello scrivere, che dimostra la sua arte". Già in questa testimonianza si delinea il carattere di Sh. quale apparì ai suoi contemporanei, che lo definirono gentle.
La prima data a cui si possa far risalire l'attività drammatica di Sh. è il 1591, se sono da attribuirsi a lui, sulla fede del primo in-folio, la seconda e la terza parte di Henry VI Anche come attore, è possibile che la sua carriera non sia cominciata molto prima; la tradizione vuole che egli l'iniziasse come avvenitizio di basso rango (guardiano di cavalli all'ingresso del teatro, secondo William Davenant). Può essere che fin dal principio venisse a far parte della compagnia sotto il patronato di lord Strange, di cui era primo attore Edward Alleyn. Ma fino al nuovo raggruppamento delle compagnie nel 1594, la posizione di Sh. rimane nell'ombra; gli unici drammi che possono assegnarsi a questo periodo sono Richard III, continuazione di Henry VI (parti 2ª o 3ª), Titus Andronicus e la Comedy of Errors. Il frontispizio di Titus Andronicus indica che fu rappresentato successivamente dalla compagnia di Alleyn, dai Pembroke's Men e dai Sussex's Men; il rimaneggiamento del dramma da parte di Sh. potrebbe essere stato fatto per l'una o l'altra compagnia, forse per l'ultima. Si è supposto che egli passasse parte del periodo 1592-94 nell'Italia settentrionale, perché, alla ripresa dell'attività dei teatri dopo la peste, Sh. mise fuori una serie di drammi d'ambiente italiano, che mostrano familiarità con certi particolari di topografia locale.
Tali allusioni locali sono: la menzione del pozzo di San Gregorio presso Milano (nei Two Gentlemen of Verona); l'introduzione di Bellario come nome padovano, com'è infatti; i particolari del funerale di Juliet (che, tuttavia, si trovano già nel poema del Brooke, fonte di Sh.) e della messa di sera a Verona (in Romeo and Juliet); la menzione del ponte di Rialto, del tranect o traghetto che congiunge Venezia con la terraferma, e dell'esatta distanza tra Belmont, cioè Montebello, e Padova (nel Merchant of Venice). Vi sono, è vero, incongruenze che mettono in pericolo il colore locale (per es. nei Two Gentlemen Verona s'immagina su un fiume che subisce gli effetti dell'alta e della bassa marea, e comunica con Milano per via d'acqua), ma non è necessario cercar di dimostrare (come ha fatto sir Edward Sullivan in un articolo pubblicato in Nineteenth Century, agosto 1908) con citazioni di autori italiani e carte dell'epoca l'effettiva esistenza di quella via di comunicazione, poiché è evidente che in quei casi lo Sh. pensava a Londra e usava i nomi di Milano e di Verona come semplici etichette (accuratezza in fatto di esotismo non è fenomeno dei tempi di Sh.). Del resto le incongruenze ricorrono di solito nelle scene comiche, dove i personaggi sono realmente buffoni inglesi.
L'alternativa all'ipotesi di un viaggio nell'Italia settentrionale è che Sh. apprendesse quei particolari da qualche italiano residente a Londra. Sh. può avere avuto frequenti occasioni d'incontrare mercanti italiani alla locanda dell'Oliphant (l'Elephant Inn di Twelfth Night), a Bankside (il sobborgo dei teatri), che aveva una clientela d'Italiani (cfr. G.S. Gargàno, Scapigliatura italiana a Londra sotto Elisabetta e Giacomo I, Firenze 1923); e d'altronde è accertato che Sh. conobbe Giovanni Florio, dai cui First Fruits (1578) e Second Fruits (1591) trasse le espressioni italiane che usa in The Taming of the Shrew. Sh. frequentava la casa di Henry Wriothesley, conte di Southampton, presso cui il Florio era stato messo come maestro forse dal suo protettore William Cecil, lord Burleigh, col segreto proposito di sorvegliare per suo mezzo un giovane destinato a contare nel campo politico (di fatto il Southampton prese parte alla congiura del conte di Essex); si può quindi immaginare che il Southampton avesse ragioni politiche per veder di malocchio la imposta presenza del Florio: così acquisterebbe forza la teoria che lo Sh., in Love's Labour's Lost, desse una caricatura del Florio nel personaggio del pedante Holophernes e forse anche in quello di Armado, personaggi, del resto, modellati sul pedante e sul capitano spagnolo della Commedia dell'arte. Il Florio si sarebbe risentito della caricatura nella prefazione al World of Words (1598) con l'allusione ad Aristofane che scrive una commedia per burlarsi di Socrate (vedi C. Longworth-Chambrun, Giovanni Florio, un Apôtre de la Renaissance en Angleterre, Parigi 1921, e Frances A. Yates, John Florio, Cambridge 1934, specialmente il capitolo finale su Florio e Sh.).
Gli anni di peste diedero modo allo Sh., in ogni caso, di provarsi in un campo letterario diverso dal dramma, coi poemi narrativi di Venus and Adonis (1593) e Lucrece (1594), entrambi dedicati al conte dì Southampton, il primo come first heir of my invention (primo erede della mia invenzione, cioè prima opera pubblicata).
Nonché patrono di Sh., Henry Wriothesley conte di Southampton sarebbe stato anche suo fortunato rivale nell'amore per Anne Davenant, moglie del proprietario della Crown Tavern ad Oxford, se si dovesse accettare l'ingegnosa ipotesi di A. Acheson (Mistress Davenant, the dark lady of S.'s Sonnets, Londra 1913, e Shakespeare's Sonnet Story, ivi 1922) che ha ceduto di poter identificare con essa l'Avisa di Willobie his Avisa, poemetto satirico pubblicato nel 1594, dove si descrivono gli assalti alla virtù di Avisa da parte di varî corteggiatori, tra cui "Henrico Willobego, Italo-Hispalensis", le cui iniziali corrispondono a quelle di Henry Wriothesley, e di un suo "familiar friend W. S.", iniziali di Sh. In un dialogo tra W. S. e H. W. è messa in bocca a W. S. un'espressione che ne ricorda da vicino una del sonetto 41 di Sh., alla cui Lucrece si accenna in certi versi commendatizî che precedono Willobie his Avisa. L'Acheson suppone che Avisa stia per il nome Bird (lat. avis; ingl. bird) e crede di poter identificare la prima moglie di John Davenant con Anne, figlia naturale di William Bird sindaco di Bristol, e adottiva di un William Sachfeilde. Con costei lo Sh. avrebbe avuto una relazione amorosa, che la tradizione avrebbe trasferita alla seconda moglie di John Davenant, Jane Shepherd, il cui secondo figlio, il drammaturgo William Davenant, fu tenuto a battesimo da Sh., e probabilmente diede credito alla voce, diffusasi nel Seicento, che Sh. fosse di fatto suo padre.
Il conte di Southampton si mostrò per lo Sh. un generoso patrono, e forse rese possibile con la sua munificenza l'acquisto da parte di Sh. di una quota di cointeressenza nella compagnia del lord Chamberlain. Comunque, Sh. figura con William Kempe e Richard Burbage quale delegato dei Chamberlain's Men al pagamento di drammi dati a corte nell'inverno del 1594. Tra i drammi figurano Titus Andronicus, The Taming of a Shrew (forse già nella forma datale da Sh. in The Taming of the Shrew) e Hamlet (non la redazione shakespeariana di questo dramma).
La compagnia comprendeva le cinque persone che insieme con l'Alleyn apparivano nel certificato di costituzione dei lord Strange's Men (del 6 maggio 1593), e cioè William Kempe, Thomas Pope, John Heminges, Augustine Phillips e George Bryan; inoltre lo Sh. e Richard Burbage, che ne divenne l'attore principale. La carriera di Sh. s'identifica con la storia di questi Chamberlain's Men, che, sotto Giacomo I, assunsero il nome di King's Men. La compagnia divenne la favorita a corte, e godette d'ininterrotta prosperità; Sh. dedicò tutte le sue energie alla composizione di drammi, e non fece seguito alla sua attività di poeta non drammatico, che pure gli aveva procurato i successi di Venus and Adonis e di Lucrece, se non con i sonetti, la cui composizione si estese fino al 1600 circa. A meno che non si sia perduta un'edizione del 1602, i Sonnets rimasero in manoscritto fino al 1609, quando vennero pubblicati con una dedica dell'editore Thomas Thorpe a un Mr. W. H. definito the onlie begetter of these insuing sonnets. Siccome i sonetti paiono dirci cose assai più precise sulle passioni dell'uomo Sh. di quante non possano arguirsi dai drammi, i critici si sono accaniti a escogitare un'identificazione del misterioso Mr. W. H., senza peraltro giungere a risultati positivi.
Una teoria molto diffusa vuole che i sonetti fossero indirizzati al conte di Southampton (W. H. sarebbero le iniziali, invertite, di Henry Wriothesley). Miss C. C. Stopes (The Life of Henry, Third Earl of Southampton, Shakespeare's Patron, Cambridge 1922) identificò W. H. col patrigno del conte di Southampton, sir William Harvey, che, alla morte della contessa sua moglie nel 1607, avrebbe ritrovato il manoscritto dei sonetti, alcuni dei quali (quelli esortanti il giovane conte a sposarsi) egli avrebbe già suggeriti, e li avrebbe dati al Thorpe. Trova credito la teoria che vede in W.H. William lord Herbert (divenuto poi conte di Pembroke), al quale patrono di Sh., e a suo fratello, venne dedicato il Primo in-folio. Se lo Sh. scrisse drammi per la compagnia sotto il patronato del padre di William Herbert, il secondo conte di Pembroke, nel 1592-3, egli potrebbe avere scritto il gruppo di sonetti incitanti al matrimonio nel 1595, per le progettate nozze di William Herbert con Elizabeth Carey (questa sposò poi sir Thomas Berkeley, occasione forse celebrata in Midsummer-Night's Dream). Altri, a cui non sembra che un editore avrebbe potuto designare un potente patrizio col semplice Mr. W. H., hanno pensato a William Hall, uno stampatore che avrebbe procurato il manoscritto (begetter può interpretarsi come "procuratore" oltre che come "ispiratore") senza peraltro (e la circostanza sarebbe ironica) venire incaricato della stampa. Si aggiunga inoltre che la dedica augura a W. H. "l'eternità promessa dal nostro immortale poeta", sicché appare difficile che W. H. possa essere altra persona da quella per cui Sh. aveva scritto i sonetti. Il problema dell'identificazione suggerì a Oscar Wilde l'elegante novella The Portrait of Mr. W. H.
Un altro problema che ha appassionato i critici è l'identificazione del Poeta Rivale a cui si accenna nei sonetti 78-86: Barnabe Barnes, George Chapman ed altri sono stati suggeriti (v. A. Acheson, Sh. and the Rival Poet, Londra 1903). Ma le investigazioni su questo e sulla Dama Bruna (the Dark Lady) di un altro gruppo di sonetti non sono riuscite ad accrescere la nostra conoscenza positiva dei particolari biografici di Sh.
Un esame critico di tutte le teorie proposte può vedersi in J.M. Robertson, The Problems of the Shakespeare Sonnets (Londra 1926), acuto ma da accettarsi con molta riserva per la parte costruttiva.
Il tono dei sonetti, che, a parte la convenzionalità di certi motivi spira sazietà e pessimismo, e pare preludere a Hamlet e alle fosche tragedie seguenti, sembra rivelare uno Sh. ben diverso dal fortunato professionista della scena che emerge dagli aridi documenti.
Nel 1596 cominciano a riapparire testimonianze di archivio circa i contatti di Sh. con la famiglia e il paese natale; è del 1596 la morte del figlio Hamnet, e anche una petizione al Collegio degli araldi per la concessione di uno stemma alla famiglia (pratica che il padre di Sh. aveva iniziata e poi abbandonata nel 1568-69, quand'era sindaco di Stratford). Lo stemma fu concesso, non senza biasimo per gli araldi per aver dato un'arme a gente di bassa condizione. Nel 1597 Sh. acquistò a Stratford la proprietà di New Place, e nel 1602 centosette iugeri di terra lavorativa a Old Stratford per 320 sterline, e una casetta in Chapel Lane. Ma per il momento non dovette abitar molto a New Place, ché ci è attestata la sua dimora a Londra, in quegli anni, da una serie di documenti ì quali ce lo mostrano residente a St Helen's, Bishopsgate, a Southwark presso il Bear-Garden (col proprietario della casa in questo luogo lo Sh. si trovò coinvolto in un processo per minacce intentato da un William Wayte), nel Clink sulla Surrey Bankside, e a Silver Street, Cripplegate (nel 1604), presso un ugonotto francese, Mountjoy, fabbricante di parrucche, la cui figlia, per i buoni uffici dello Sh., sposò uno Stephen Belott, che nel 1612 doveva far causa al suocero per inadempimento di promesse pecuniarie sulla cui entità lo Sh. fu chiamato a testimoniare, come colui che aveva combinato il matrimonio. Da tali carte d'indole legale e giudiziaria è certo ben difficile farsi un'idea dell'uomo vivo, né molto di più ci aiuta la storia d'una diatriba letteraria in cui Sh. fu coinvolto intorno al 1599, la così detta "Poetomachia" sorta dapprima tra Ben Jonson e Marston. Nella seconda parte del Return from Parnassus, commedia recitata a Cambridge probabilmente nell'inverno del 1601-02, l'intervento di Sh. è così definito: "Ma c'è il nostro compagno Shakespeare che li ha messi tutti sotto (gli scrittori accademici), e anche Ben Jonson. Oh, quel Ben Jonson è un individuo pestifero! Ha resuscitato Orazio per dare una pillola ai poeti, ma il nostro compagno Shakespeare ha dato a lui tal purga da fargli macchiare la sua riputazione". L'allusione è al Poetaster di Ben Jonson, e forse alla descrizione di Aiace nel Troilus and Cressida di Sh., a meno che l'autore del Return from Parnassus non credesse di Sh. il Satiromastix, effettiva risposta al Poetaster dovuta al Dekker.
Alcuni vogliono vedere nella congiura del conte d'Essex (febbraio 1601) una svolta decisiva nella vita del poeta. La compagnia a cui apparteneva Sh. partecipò indirettamente alla congiura prestandosi, per ordine di certi seguaci di Essex, a recitare Richard II in cui figurava un re deposto dai sudditi per incapacità di governo. Si pensa che Sh. avesse sposato la causa dell'Essex per via del comune amico, il conte di Southampton, e che il fallimento della congiura, con le esecuzioni capitali che seguirono e l'imprigionamento del Southampton, influisse sulla concezione della vita di Sh., quale si manifestò in Hamlet. D'altronde non riesce possibile vedere analogia tra il personaggio di Riccardo II e la regina Elisabetta, e non ve la dovettero vedere i contemporanei, poiché la compagnia di Sh. nulla ebbe a soffrire dalla congiura.
Giacomo I, non meno di Elisabetta, fu "conquiso dai voli del dolce Cigno dell'Avon" come ebbe a dire Ben Jonson nei versi commemorativi premessi al Primo in-folio; molti dei vecchi drammi di Sh. furono scelti insieme con dei nuovi per le rappresentazioni di corte del 1604-05. Nel 1599 la compagnia di Sh. aveva aperto il teatro chiamato The Globe (dall'insegna di Ercole col globo sulle spalle, e il motto: Totus Mundus Agit Histrionem); nell'autunno del 1609 cominciò a occupare il teatro coperto di Blackfriars, che finì con essere la sede principale. Sh. aveva una cointeressenza nella proprietà di uno o di entrambi questi teatri: era, secondo il linguaggio corrente, degli housekeepers della compagnia. Quanto alla sua capacità d'attore, le testimonianze che possediamo sono tarde e contrastanti. Una tradizione raccolta da John Aubrey vuole che "recitasse straordinariamente bene"; Nicholas Rowe (1709) lo dice attore "non straordinario", e che il suo cavallo di battaglia era la parte dello spettro in Hamlet; John Davies of Hereford (1610) parla della sua attitudine a recitare la parte di re. Non si trova il suo nome tra gli attori dopo il 1603, e si può credere che lo scrivere i drammi e il curarne la messa in scena fosse considerato sufficiente contributo alla compagnia. Come sharer e housekeeper, non si calcola che i suoi guadagni possano essere stati superiori alle duecento sterline annue, somma lontana dalle seicento stimate da sir Sidney Lee, ma sempre cospicua per i tempi. Nel 1605 acquistò per 440 sterline l'affitto di una parte delle decime già appartenute al collegio di Stratford.
I drammi scritti dallo Sh. nei primi otto anni del Seicento mostrano uno spirito turbato: Hamlet e Troilus and Cressida sono seguiti da Measure for Measure, Othello, King Lear, Macbeth. Un ritorno di serenità adombrato da Antony and Cleopatra fa luogo all'abbattimento di Timon of Athens, dramma non finito. Si può congetturare che a questo punto (1608) intervenisse una malattia, da cui Sh. sarebbe uscito con un'anima rinnovata, forse dalla fede religiosa, poiché la concezione del mondo degli ultimi drammi specialmente della Tempest, può dirsi cristiana. Il sacerdote Richard Davies, verso la fine del Seicento, dichiarò che Sh. era morto "papista", cioè cattolico romano.
A questo tempo, o poco dopo (circa 1610), si può datare il ritorno permanente di Sh. a Stratford, dove egli passò gli ultimi anni secondo le parole del Rowe, "come tutti gli uomini assennati desiderano di passare i loro, in agio, vita ritirata, e conversazione degli amici". La sua figlia maggiore, Susanna, aveva sposato nel 1607 un distinto medico, John Hall. Suo padre era morto nel 1601, sua madre nel 1608. Pur essendosi ritirato a Stratford, lo Sh. seguitava a scrivere per i King's Men; nel 1613 per l'ultima volta, in collaborazione, pare, col giovane drammaturgo John Fletcher. Si recava ogni tanto a Londra: così nel 1612, per deporre nel processo Mountjoy; nel marzo 1613, quando disegnò un'impresa (che il Burbage dipinse) per Francis Earl of Rutland - nello stesso mese acquistò per 140 sterline una vecchia casa nel quartiere di Blackfriars -; nel 1614 per affari comunali di Stratford. La tradizione e il testamento ci mostrano Sh. in buone relazioni con i concittadini e con le nobili famiglie locali (specialmente la famiglia Combe) negli ultimi anni; qualche dispiacere può essergli stato causato dalle figlie: Susanna nel 1613 sporse querela dinnanzi alla corte ecclesiastica per una calunnia d'incontinenza; Judith si sposò il 10 febbraio 1616 con un mercante di vino, Thomas Quiney, in un'epoca non consentita dalla legge canonica, il che condusse alla scomunica della coppia.
John Ward, che divenne vicario di Stratford nel 1662, ed era stato studente di medicina, afferma che "Shakespeare, Drayton e Ben Jonson s'incontrarono per far baldoria, e sembra che bevessero troppo, perché Shakespeare morì d'una febbre contratta in quella circostanza". D'altra parte l'attore William Beeston informò l'Aubrey che Sh. non era un compagnone, che rifuggiva dalle ribotte e che, invitato, metteva a scusa qualche indisposizione. Che la sua salute dovesse essere stata da qualche tempo malferma, lo prova il testamento, cominciato a stendere probabilmente nel gennaio, e completato e firmato il 25 marzo. Il 23 aprile 1616 lo Sh. moriva.
Ritratti. - Sh. è sepolto nella chiesa di Stratford; il busto sulla sua tomba, opera del mediocre scultore Gheerart Janssen, mostra un volto appesantito da un grasso malsano, sotto una nobile fronte; il busto fu imbiancato, poi ridipinto verso la metà dell'Ottocento. Non più attraente è l'immagine del poeta incisa in rame da un altro mediocrissimo artista fiammingo, Martin Droeshout, per il Primo in-folio, dove, con un po' di buona volontà, può scoprirsi un occhio sognante, una bocca sensitiva e voluttuosa, una mascella debole, che, con la fronte indubbiamente vasta e alta, significherebbero una prodigiosa prevalenza della sensibilità e della fantasia sull'energia e la volontà. Il cosiddetto "Flower portrait", ora nel museo di Stratford, anziché l'originale dell'incisione pare ne sia una copia ritoccata. Più attraente è il "Chandos portrait" nella National Portrait Gallery di Londra, attribuito al Burbage, e appartenuto, secondo il pedigree, a sir William Davenant; ma non offre molta rassomiglianza col busto e con l'incisione. Il "Grafton portrait" nella Rylands Library di Manchester, dipinto nel 1588, mostra il volto d'un giovane, dichiarato (nell'apposta iscrizione) ventiquattrenne, che ha grande somiglianza con l'incisione del Droeshout, a cui è superiore per l'espressione. Soprattutto quest'ultimo, se fosse realmente attendibile, rivelerebbe quei caratteri di gentilezza, di sincerità e di benignità che la tradizione ha associati con Sh. Vi sono altri ritratti, in parte derivati, in parte mistificazioni.
Autografi. - Si possiedono di Sh. soltanto sei autografi d'autenticità indiscussa: in tutti i casi, salvo una piccola eccezione, si tratta di firme. La prima si trova in calce alla deposizione nella causa Belott-Mountoy, ed è in forma abbreviata: Willm (sopra le ll c'è la tilde ~) Shaksp???; vengono quindi due firme negli atti relativi all'acquisto della casa in Blackfriars (10 e 11 marzo 1613), una in due righe: William Shakspẽ, l'altra: Wm Shakspẽ; infine le tre firme apposte ai tre fogli del testamento (25 marzo 1616), la prima in due righe: William Shakspere, la seconda: Willm??? Shakspere, la finale: By me William Shakspeare.
Moltissimi altri esempî di scrittura shakespeariana, di solito firme su libri, sono stati discussi e, nella quasi totalità, dichiarati non autentici. Se ne contano 108, tra cui 79 contraffazioni dovute al famigerato William Henry Ireland (1777-1835) che fabbricò anche i manoscritti di due drammi pseudoshakespeariani, Vortigern and Rowena e Henry II che ingannarono molti filologi settecenteschi. Più seria considerazione meritano l'iscrizione in una copia delle Metamorfosi ovidiane (Aldo, 1502) che si trova alla Bodleiana ("Wm Shr" o "Wm Sre" sul frontispizio, e a fronte: "This little Booke of Ovid was given to me by W. Hall who sayd it was once Will Shakesperes. T.N. 1682"), e una copia della versione di Florio dei Saggi di Montaigne (1603) al British Museum, che recava la firma "Willm??? Shakspere" già prima del 1780, data in cui fu rivelato per la prima volta l'uso che Sh. fece di Montaigne.
Si è voluta attribuire a Sh. una delle mani (quella designata con la lettera D) nel manoscritto, composto da varî, del dramma Sir Thomas More; si tratta di tre pagine in un gruppo di scene che descrive i tumulti xenofobi della "mala giornata di maggio" del 1517. Le tre pagine devono essere state scritte verso il 1594, cioè una ventina d'anni precedentemente alla prima firma che possediamo di Sh. La base per il confronto è assai tenue; tra l'altro, gli autografi certi di Sh. offrono solo 11 di 26 minuscole, e 3 maiuscole. Tuttavia una notevole concordanza di argomenti, paleografici, ortografici, linguistici, stilistici, psicologici, rende l'ipotesi sufficientemente plausibile.
Opere non drammatiche. - Il primo volume apparso col nome di Sh., il poema Venus and Adonis ("the first heir of my invention"), mostra l'autore bene addestrato alla scuola di poesia narrativa rinascimentale che lo Spenser aveva introdotto in Inghilterra. L'opera ha un'aria di famiglia con il contemporaneo Hero and Leander del Marlowe, e con il precedente Scillaes Metamorphosis di Thomas Lodge (1589), che può aver suggerito allo Sh. il metro (la stanza di sei versi rimati ababcc); è in tutto e per tutto impregnato del gusto dell'epoca, e ha di mira, con la sua serie di quadretti voluttuosi, un ben definito pubblico di cortigiani "italianati" come si definivano allora i fautori delle mode continentali. Una stessa aura d'alessandrinismo concettoso e licenzioso spira da questo poema come da un altro tipico prodotto dell'età, l'Adone del Marino: entrambi sfruttano gli stessi motivi, come per es. quello del cinghiale che non ha intenzione di azzannare il fianco di Adone, ma solo di baciarlo, motivo che risale al poemetto pseudoteocriteo Εἰς νεκρὸν "Αδωνιν. Allo stesso pubblico cortigiano, per il quale altrove Tiziano e Veronese avevano dipinto le belle adagiate ignude e languide nel sonno o nell'invito, s'indirizzava The Rape of Lucrece: qui è una casta sposa violata da un libertino, come in Venus and Adonis era un casto giovine sedotto da un'esperta cortigiana. Il quadretto licenzioso è al centro: con gli occhi di Tarquinio che solleva le cortine del letto, vediamo Lucrezia dormiente, una visione di candore alabastrino appena ombrato dalle azzurre vene. Molto discorrono, implorano, inveiscono i personaggi, ma fra tanta scintillante retorica non è dato scorgere il segno di quello che sarebbe stato un grandissimo poeta tragico.
Se questi due poemi non si levano al disopra del comune gusto dell'età, i Sonnets, d'altronde (del tipo detto elisabettiano o shakespeariano, tre quartine a rime indipendenti, seguite da una coppia a rima baciata) si distinguono da tutti i canzonieri contemporanei per l'appassionato accento d'esperienza vissuta, al punto di farli definire al Wordsworth "la chiave con la quale Shakespeare ci ha aperto il suo cuore" (sebbene un altro grande poeta, il Browning, a ciò replicasse col famoso: "If so, the less Shakespeare he!").
È vero che non manca chi (sir Sidney Lee) ha cercato di mostrare questi sonetti come null'altro che esercizî in un genere allora in voga. Ma la maggioranza dei sonetti di Sh. non potrebbe venire classificata nell'una o nell'altra categoria di motivi che formano i luoghi comuni della lirica petrarchista.
Quelli contrassegnati con i numeri 145 (propriamente un madrigale), 153, 154 formano le più cospicue eccezioni: i due ultimi appartengono all'immensa schiera di derivazioni dagli epigrammi greci. Il gruppo dei primi diciotto sonetti (i sonetti "matrimoniali") non è esente da convenzionalismi: tali il tema dell'immortalità assicurata dal verso (un tema ripreso al n. 55), un luogo comune oraziano messo in voga dai poeti della Pléiade. Il fine stesso di questi sonetti, d'invitare la persona a cui son diretti, al matrimonio e alla procreazione dei figli, se lo proponevano anche le raccolte di emblemi d'amore diffuse allora tra le alte classi, per es. gli Amorum Emblemata di O. Venio, la cui edizione con testo inglese (1608) è dedicata allo stesso conte di Pembroke e a suo fratello ai quali doveva essere dedicato il Primo in-folio di Sh. (nel conte di Pembroke, alcuni, come s'è detto, hanno voluto vedere il Mr. W.H. della dedica dei sonetti di Sh.). L'Epistola di Cupido alla gioventù, che precede questi emblemi, ha curiose coincidenze di pensiero e di frase coi sonetti "matrimoniali" di Sh. I sonetti 27, 28, 43, 61 trovano innumerevoli corrispondenti nei canzonieri dei petrarchisti (tema dell'apparizione notturna dell'amata); lo stesso può dirsi di alcuni dei sonetti che trattano il motivo dell'assenza (per es. i nn. 39, 43, 51), e di altri che elaborano concetti in voga: il 46, il 47 (contrasto tra gli occhi e il cuore), il 99 (complimenti derivati dai fiori), il 113 (l'amata è vista dappertutto dall'innamorato), il 139 (occhi assassini: un motivo del Guarini). Il gruppo dei sonetti sulla Dark Lady mostra una forte proporzione di luoghi comuni. I tre sonetti su Will (135, 136, 143) sono scherzi quali i più grandi poeti non sdegnano talora di comporre, e che Sh. non si peritasse di scrivere talvolta nella vena più usuale è mostrato dai sonetti messi in bocca ai personaggi di Love's Labour's Lost.
Ma, rilevati tutti i possibili contatti di Sh. con gli altri sonettisti (soprattutto inglesi: Sidney, Constable, Drayton), restano nel canzoniere shakespeariano due o tre fili conduttori che indubbiamente si riferiscono a situazioni reali: il loro senso è chiaro, benché ci manchi la chiave delle allusioni. Il canzoniere shakespeariano ha uno sviluppo drammatico quale si cercherebbe invano nelle raccolte altrui, caratterizzate da una qualità di passe-partout che non lascia scoprire un ben definito accento individuale. I sonetti di Sh. che paiono appartenere a questo genere sono disseminati nella raccolta secondo una legge di economia comune a ogni opera anche grandissima: un volume ove ogni sonetto fosse un capolavoro sarebbe anomalo, artificiale, quale potrebbe risultare solo da una scelta.
Questa legge di economia rende conto dei sonetti mediocri assai meglio d'ogni possibile teoria che rappresenti il canzoniere shakespeariano come opera collettiva. L'ipotesi avanzata da J. M. Robertson (The Problems of the Shakespeare Sonnets, Londra 1926), che i sonetti shakespeariani formassero in origine il contenuto di un album compilato da William Harvey (adottando e ampliando l'ipotesi della Stopes: vedi sopra), non regge di fronte al ricorrere di sonetti indubbiamente dovuti allo Sh. da un capo all'altr0 della raccolta. Come sarebbe stato possibile che sonetti di varî altri autori s'alternassero con quelli d'un singolo, senza rompere la successione di questi, ma anzi ispirandosi alle stesse circostanze? Come si concilierebbe l'unità d'ispirazione con la pluralità degli autori, che alcuni disintegratori (H. T. S. Forrest, The Five Authors of "Shakespeare's Sonnets'', Londra 1924) hanno cercato d'identificare con Donne, Chapman, Barnes? Una delle più convincenti attribuzioni è quella del son. 129 a George Chapman, ma che lo Sh. si dilettasse talora a scrivere nella maniera di qualche suo contemporaneo, è dimostrato per es. da quell'esercizio in stile ampolloso che è la descrizione della morte di Priamo in Hamlet, II, 2.
Si sono volute trovare ragioni di ritmo per togliere allo Sh. il son. 20 ("A woman's face with Nature's own hand painted/Hast thou, the mastermistress of my passion") d'ispirazione innegabilmente omosessuale (e ne dovrebbe seguire la non autenticità del 53, sullo stesso motivo). Ma sia i versi shakespeariani per il suo lovely boy, sia quelli di Michelangelo per Tommaso Cavalieri e quelli del Varchi per Giulio Stufa s'ispirano al concetto dell'amore platonico diffusissimo nel Rinascimento: come prova il verso finale del son. 20: "Mine be thy love, and thy love's use their (cioè: women's) pleasure", ove si applica all'amore la distinzione giuridica tra proprietas e usus. La migliore formulazione, in Inghilterra, di eodesto amore si trova in alcuni versi di Bussy's Revenge del Chapman (V, 1, 184 segg.):
But what excites the bed's desire in blood
By no means iustly can be construed love,
For when love kindles any knowing spirit,
It ends in virtue and effects divine,
And is in friendship chaste and masculine.
Che un tale amore conosca la gelosia, appare evidente dai sonetti 35, 41 e 144, ma occorre resistere alla tentazione di voler costruire una precisa storia su dati forniti da un'opera di fantasia: Louis Gillet (Shakespeare, Parigi 1931) vi trova addirittura una trama di romanzo alla Marcel Proust.
Un argomento contro i disgregatori è offerto anche dal fatto che, a parte i nn. 153-154 derivati dall'Antologia greca, nessuno di questi sonetti ha una precisa fonte continentale, fatto unico tra le raccolte di sonetti elisabettiani, che s'accorda però perfettamente con le risultanze della ricerca di fonti dei drammi (lo Sh. non utilizza le fonti continentali di prima mano, ma nelle riduzioni inglesi).
Per giudicare come il genio di Sh. riesca a trasformare anche un tema trito, basti leggere il son. 59 ("If there be nothing new...") accanto a: "When Priam's son in midst of Ida plain" nella Passionate Century of Love di Thomas Watson; o il famoso 129 ("The expense of spirit in a waste of shame") accanto al sonetto del conte of Surrey sulla bellezza, che ne precorre il disegno: "Brittle Beauty, that nature made so frail".
I più celebrati tra i Sonnets sono: il 18 ("Shall I compare thee to a summer's day"), il 29 ("When, in disgrace with fortune and men's eyes"), il 30 ("When to the sessions of sweet silent thought"), il 31 ("Thy bosom is endeared with all hearts"), il 53 ("What is your substance, whereof are you made"), il 54 ("O, how much more doth beauty beauteous seem"), il 57 ("Being your slave, what should I do but tend"), il 73 ("That time of year thou mayst in me behold"), l'87 ("Farewell! thou art too dear for my possessing"), il 90 ("Then hate me when thou wilt; if ever, now"), il 94 ("They that have power to hurt and will do none"), il 97 ("How like a winter hath my absence been"), il 98 ("From you have I been absent in the spring"), il 102 ("My love is strengthen'd, though more weak in seeming"), il 104 ("To me, fair friend, you never can be old"), il 106 ("When in the chronicle of wasted time"), il 109 ("O, never say that I was false of heart"), il 116 ("Let me not to the marriage of true minds"), il 129 (cit.), il 146 ("Poor soul, the centre of my sinful earth"). Due dei sonetti pubblicati nel 1609 (il 138 e il 144) erano già apparsi, in versione alquanto diversa, nel Passionate Pilgrim, volume pubblicato col nome di Sh. nel 1599, e contenente venti poesie tra cui, ai nn. 3, 5 e 17, le missive poetiche di Love's Labour's Lost, atto IV, scena 2ª, 108-22; scena 3ª, 60-73, 101-20. È assai dubbio se alcuna delle altre poesie sia di Sh., forse il n. 12. Il tema (Venere e Adone) di 4, 6 e 9, ha fatto pensare che queste tre poesie siano variazioni di Venus and Adonis. Altre ricorrono in altre raccolte, sotto nomi d'altri autori.
Nella raccolta di versi di Robert Chester, Love's Martyr (1601), intesa a celebrare sotto i simboli della fenice (Amore) e della tortora (Costanza) le nozze di sir John Salisbury di Lleweni e di Ursula, figlia illegittima di Henry, quarto conte di Derby e il loro frutto, la figlia Jane, si trova una poesia di Sh. non molto in armonia con l'evento, poiché lamenta la morte senza prole della fenice e della tortora.
Il poemetto A Lover's Complaint stampato coi Sonnets è di dubbia attribuzione; alcuni vogliono vedervi una composizione del Poeta Rivale; il Robertson lo ascrive al Chapman.
A completare il profilo dello Sh. lirico occorre accennare al centinaio di canti disseminati nei suoi drammi, e difficilmente separabili dalle situazioni di cui dànno come una trasposizione fantastica in un simbolo magico: tali il meraviglioso canto della trasfigurazione marina del padre di Ferdinando nella Tempest ("Full fathom five thy father lies"), la canzone del salice in Othello ("The poor soul sat sighing by a sycamore tree"), i canti di Ofelia impazzita (Hamlet, IV, 5), i sortilegi delle streghe in Macbeth, il canto del fanciullo in Measure for Measure (IV, 1: "Take, oh take those lips away"); vere e proprie traduzioni del dramma terreno in un linguaggio soprannaturale che sembra darne l'intimo senso eterno. Altri canti, senza possedere tale profondo rapporto con i drammi, esprimono come la quintessenza della loro atmosfera: così il contrasto tra primavera e inverno, tra cuculo e civetta in Love's Labour's Lost ("When daisies pied and violets blue"), la ninnananna del Midsummer-Nighl's Dream, il canto di libert di Ariele nella Tempest ("Where the bee sucks, there suck I"), il canto che guida la scelta di Bassanio nel Merchant of Venice ("Tell me where is Fancy bred"), l'aria di Autolico nel Winter's Tale (IV, 2) che commemora i gaudî d'una vagabonda vita in seno alla natura. L'abilità dello Sh. nel mettere a profitto tutte le risorse della prosodia in queste liriche è tale, che, anche senza l'accompagnamento musicale per cui furono create, esse riescono, pur nella loro breve durata, a propagare un incanto il cui segreto sta tutto nel suono.
Opere drammatiche. - La pubblicazione dei drammi di Sh. avvenne senza la sua sorveglianza. Perciò il loro testo offre parecchi problemi. Fino a che punto il testo che possediamo può essere considerato una riproduzione fedele della forma in cui Sh. lasciò i drammi? Fu egli il solo autore delle opere che vanno sotto il suo nome, oppure sono quelle opere il risultato di adattazioni e collaborazioni? Alterò o riscrisse egli stesso i drammi da lui composti? Possiamo classificare i drammi cronologicamente, sì da poterci formare un'idea più precisa dello sviluppo della personalità di Sh., che poco o punto s'intravvede attraverso gli aridi dati biografici, la dubbia tradizione, e l'enigmatica confessione contenuta nei sonetti?
La pubblicazione dei drammi di Sh. in quei volumi separati che sono gli in-quarto (Quartos) fu intrapresa da un gruppo di editori di solito poco scrupolosi da un punto di vista letterario e probabilmente anche commerciale. Verso la fine del regno di Elisabetta erano apparsi quindici testi. Sei, probabilmente sette, di questi erano originariamente cattivi: Henry VI, parte seconda e terza, Romeo and Juliet, Henry V, Merry Wives of Windsor, Hamlet, e forse Love's Labour's Lost, sebbene di due, e probabilmente di tre, venissero poi sostituiti buoni testi (Romeo and Juliet, Hamlet, e forse Love's Labour's Lost). Di otto i testi originari erano buoni: Titus Andronicus, Richard II, Richard III, Henry IV, parte 1ª e 2ª, Much Ado About Nothing, Midsummer-Night's Dream, Merchant of Venice. Rimanevano inediti, benché probabilmente datassero dal regno di Elisabetta: The Comedy of Errors, The Taming of the Shrew, Two Gentlemen of Verona, King John, Julius Caesar, Twelfth Night, All's Well That Ends Well, As You Like It, Troilus and Cressida, sebbene lo Stationer's Register (il registro della corporazione degli stampatori e spacciatori di libri, in cui s'iscrivevano i libri da pubblicare per la tutela del diritto degli editori) mostri che vi era intenzione di pubblicare i due ultimi. King Lear e Pericles apparvero in mediocri testi rispettivamente nel 1603 e nel 1609; nel 1609 apparve un buon testo del Troilus and Cressida; finalmente, alla vigilia della pubblicazione del Primo in-folio fu pubblicato l'in-quarto di Othello (1622). Delle ristampe è notevole un gruppo di dieci drammi (di cui due false attribuzioni a Sh.) stampati da Pavier e Jaggard nel 1619, ma con date di impressioni anteriori, per la diffida sopraggiunta nel frattempo da parte dei King's Men di stampare i drammi del loro repertorio senza il loro consenso. Tuttavia questo incidente non impedì che proprio al Jaggard fosse affidata la stampa del First Folio curata da due dei King's Men, Heminges e Condell, nel 1623. Questo Primo in-folio conteneva diciotto dei diciannove drammi già pubblicati in-quarto, essendosi omesso il Pericles. Vi apparivano per la prima volta buoni testi di Henry VI, parte 2ª e 3ª, Henry V e Merry Wives of Windsor. Si aggiungevano diciotto drammi: The Tempest, Two Gentlemen of Verona, Measure for Measure, The Comedy of Errors, As You Like It, All's Well That Ends Well, Twelfth Night, Wìnter's Talei Henry VI, parte 1ª, Henry VIII, Coriolanus, Timon of Athens, Julius Caesar, Macbeth, Antony and Cleopatra, Cymbeline, The Taming of the Shrew, King John. Il frontespizio del Primo in-folio reca: Mr. William Shakespeares Comedies, Histories, & Tragedies. Published according to the True Originall Copies. (Ritratto, firmato "Martin Droeshout sculpsit. London") London. Printed by Isaac Iaggard, and Ed. Blount. 1623.
Si hanno circa 180 esemplari del Primo in-folio, di cui solo 14 in perfetto stato di conservazione. Le successive edizioni in-folio (1632, 1663, 1685) e gli in-quarto posteriori al 1623 hanno poca importanza per la critica del testo.
Il Primo in-folio, nel frontespizio e nella testata, afferma che i drammi sono stampati di sugli "originali" dell'autore, e, nell'Epistola ai lettori, Heminges e Condell ribadiscono di avere offerto quei drammi, che circolavano già in forma mutila, curati e perfetti nelle loro membra e nella loro prosodia "come egli li concepì". Coloro che curarono le prime edizioni critiche dello Sh., soprattutto il Malone (1790), impressionati dalle corruzioni del testo e dai segni di rimaneggiamento per le scene, prestarono poca fede alle affermazioni che accompagnavano il Primo in-folio. La principale ragione addotta da coloro (vedi per tutti sir Sidney Lee) che sostengono che i drammi furono stampati di sulle copie in possesso di attori o di patroni, è che gli originali di Sh. dovettero perire nell'incendio del Globe Theatre nel 1613. Oggi tale circostanza appare molto improbabile, e non si vede perché alcuni dei testi degli in-quarto e dell'in-folio non debbano essere stati stampati di sugli autografi di Sh. In ogni modo il problema del genere di manoscritto che lo stampatore ebbe dinnanzi deve essere risolto dramma per dramma. Nel caso dei cattivi in-quarto, per es., si è potuto dimostrare che il testo fu in parte almeno ricostruito a memoria. In alcuni casi il testo fu fissato da stenografi durante lo spettacolo. Se si potesse essere certi che le tre pagine di Sir Thomas More a cui abbiamo accennato fossero di mano dello Sh., il ricorrere di specifiche grafie negli in-quarto potrebbe costituire una presunzione sulla provenienza autografa del manoscritto che ne è alla base (vi sono molte grafie anormali in quelle pagine, e alcune di queste, o di un tipo simile, si trovano negli in-quarto).
Per quattordici drammi si hanno testi paralleli in-quarto e in-folio. Il confronto permette di trarre due conclusioni generali: 1. che, malgrado la diffida di Heminges e Condell circa gli in-quarto, quasi tutti i testi in-folio sono basati su esemplari degli in-quarto, di solito nell'ultima edizione. Le sole eccezioni certe sono costituite da Othello e Hamlet; 2. che i più, e forse la totalità, dei testi ristampati hanno subito modifiche che vanno al di là di quanto potrebbe attribuirsi ai compositori tipografici.
Per i diciotto drammi di cui non si ha altro testo che quello in-folio, e per i quattro di cui offrono alternative i cattivi in-quarto, non vi è ragione contro l'ammissione dell'uso di manoscritti originali per la maggioranza di essi. La più cospicua deficienza di coloro che curarono l'in-folio è di non aver fatto uso della versione di Hamlet contenuta nel secondo inquarto (v. amleto, App.).
Il Primo in-folio è l'autorità principale per l'attribuzione a Sh. dei drammi ivi compresi, e merita fede in quanto lo curarono colleghi di Sh. che si trovavano in grado di conoscere i fatti. Ma molti studiosi ritengono che i testi degli in-quarto e dell'in-folio siano stati alterati o abbreviati da altre mani; che Sh. facesse una revisione dei suoi drammi, col risultato che testi divergenti, o anche uno stesso testo, possano contenere frammenti di diverse redazioni; che egli rimaneggiasse drammi di predecessori e di contemporanei la cui opera si troverebbe così confusa con la sua nei testi. E, conoscendo i metodi di lavoro dei drammaturghi elisabettiani, e come sovente si dividessero tra loro la stesura d'un dramma, non sorprenderebbe affatto che Sh. collaborasse con altri. Inoltre la ripresa d'un dramma era talvolta accompagnata da una revisione, di solito per aggiungere scene conformi ai mutati gusti del pubblico; ma di revisione stilistica, di rifacimento del dialogo dal punto di vista della frase si hanno ben poche prove, sicché non bene si appongono certi teorici che l'ammettono come un fattore costante. Si è voluto vedere (specialmente da parte di J. M. Robertson) nello Sh. un revisore di genio di drammi altrui, generalizzando così l'affermazione di Edward Ravenscroft, nel 1687, che Titus Andronicus era stato solo ritoccato da Sh. Le testimonianze lasciate dai contemporanei non dànno di Sh. l'impressione che egli fosse un paziente esperto del lavoro di lima.
Heminges e Condell dichiarano: "La sua mente e la sua mano andavano di pari passo; e ciò che pensava, l'esprimeva con facilità". E Ben Jonson: "Egli scorreva con facilità". Altra cosa da una revisione è l'uso di fonti, il fare proprio un soggetto già trattato da altri.
Le conclusioni a cui arriva il Robertson (The Shakespeare Canon, parti I-IV, Londra 1922-1930) in seguito a un'ingegnosa e illusoria analisi degli stili disparati che egli crede di scoprire nelle opere di Sh., sono: che la paternità di Richard III, Richard II, Henry V, Julius Caesar, e The Comedy of Errors spetterebbe in primo luogo al Marlowe, quella di Romeo and Juliet a Peele, quella dei Two Gentlemen of Verona a Greene, quella di Troilus and Cressida, All's Well That Ends Well, e Measure for Measure a Chapman. Vi sarebbe stata molta collaborazione tra alcuni di costoro, e forse col Kyd e altri. Sh. avrebbe rimaneggiato tutti questi drammi, in maggiore o minore misura, "con l'unico intento di adattarli ai requisiti della sua compagnia". La maggioranza dei drammi non sarebbe stata stesa da Sh. Illusoria è l'analisi del Robertson, poiché non basta l'analogia di passi isolati per determinare un'attribuzione: ogni scrittore contiene echi di suoi predecesaori, è echeggiato dai più giovani e dai minori, ed echeggia sé stesso. I drammaturghi che fiorirono alla fine del Cinquecento in Inghilterra possono con ragione chiamarsi una scuola, avendo uno stile e un vocabolario in gran parte in comune. Lo stile di Sh., - e ciò è vero dello stile di ogni grande - rappresenta la storia d'una progressiva differenziazione da questa maniera comune; per es., l'influsso di Marlowe dura a lungo sulla sua opera.
Da un altro punto di vista si è cercato di disgregare l'opera dello Sh., da quello della bibliografia applicata (A. W. Pollard, J. D. Wilson) che, partendo dall'osservare nei testi irregolarità non spiegabili come provenienti dallo stampatore, le ascrive alle condizioni del manoscritto, e cerca di renderne conto ricostruendo le vicissitudini di questo, supponendosi che le alterazioni successive abbiano avuto luogo sullo stesso copione (teoria della continuous copy, che forse non è che una generalizzazione del caso del manoscritto di Sir Thomas More, per cui vedi sopra). Per questa via, si è giunti a congetturare revisioni da parte di Sh. di opere anteriori, revisioni dell'opera di Sh. da parte di rimaneggiatori successivi, revisioni di Sh. della propria opera.
Il principale difetto delle teorie dei disgregatori è di concepire lo stile di Sh. come alcunché di perfetto e di rigido, alieno da quelle ineguaglianze che, naturali in ogni opera d'artista, lo sono tanto più in un'opera destinata alla scena, spesso scritta affrettatamente; e di voler spiegare le deviazioni da quel rigido canone come dovute a interferenze e a stratificazioni del carattere più complicato e, talora, romanzesco. A dare un'idea. delle argomentazioni dei disgregatori, il Wilson ritiene che la revisione consistesse talora nel riscrivere in prosa scene originariamente stese in versi, di cui farebbe la spia qualche "fossile di verso", cioè la presenza di qualche verso tra la nuova prosa. Ma in quale prosa non si possono trovare passi scandibili come versi?.
La critica disgregatrice non è riuscita a scuotere la convinzione che la maggioranza dei drammi siano dovuti alla penna di Sh., da un capo all'altro, e che egli, una volta scrittili, non vi sia tornato sopra. Ma è naturale che molti dei testi dovessero subire qualche adattazione (tagli, interpolazioni) ai fini dello spettacolo.
Se si ammette la sostanziale omogeneità della maggioranza dei drammi, il problema della loro cronologia diventa più semplice, poiché si esclude che allusioni databili possano essere state aggiunte da un revisore, e che il trovare ricordato un dramma per nome possa riferirsi a una forma di esso diversa da quella che possediamo.
Accettando il criterio esterno offerto dalla lista in Palladis Tamia di Francis Meres (compilata prima del settembre 1598), si è in grado di assegnare al periodo iniziale sei commedie: Two Gentlemen of Verona, The Comedy of Errors, Love's Labour's Lost, Love's Labour's Won (titolo alternativo sotto il quale è possibile che si nasconda The Taming of the Shrew), Midsummer-Night's Dream, The Merchant of Venice; quattro drammi storici: Richard II, Richard III, Henry IV, King John; due tragedie: Titus Andronicus e Romeo and Juliet.
Per molti drammi è possibile stabilire un terminus ante quem per la rappresentazione in base all'inserzione nello Stationer's Register o al frontespizio delle edizioni (la stampa essendo sempre posteriore alla rappresentazione). Solo un dramma, Henry V, contiene in un coro l'indicazione del terminus ante e del terminus post quem. Un racconto dell'incendio del Globe Theatre (1613) mostra che Henry VIII era allora un nuovo dramma. Ben Jonson echeggia un verso del Julius Caesar in Every Man out of His Humour (1599). Per il resto, ci offrono termini di riferimento solo le date in cui divennero accessibili le fonti, date di solito troppo remote per riuscire utili, e le allusioni ad avvenimenti storici contenute nei drammi, ma nel caso di queste occorre procedere con molta cautela, tanto più che non sembra che Sh. solesse ricorrervi. Si è tentato di stabilire un ordine cronologico sulla base di un'analisi stilistica: passi paralleli, vocabolario, metrica. Il parallelismo può aversi tra luoghi comuni o tra passi significativi legati da un'associazione d'idee o tra simboli e immagini germoglianti da una stessa intuizione (un acuto studio di questi ultimi è stato fatto da C. F. E. Spurgeon, seguita, non senza aberrazioni, da G. Wilson Knight). Molto si è faticato a ridurre a schemi statistici i risultati dell'analisi del trattamento del blank verse (variazione della lunghezza dei versi, del numero delle sillabe, del valore delle vocali mute, della distribuzione di accenti e pause). Le irregolarità tendono a crescere, fino a toccare il massimo nelle tragedie scritte durante il regno di Giacomo. Il tipo più riconoscibile di variazione sillabica è dato dalla clausola "femminile" del verso (di solito finali non accentate di parole, ma anche pronomi personali e altri monosillabi atoni). Un altro notevole criterio è fornito dalla pausa nel mezzo del verso. Per l'accertamento cronologico le variazioni di un genere riflesso come la pausa sono più significative di quelle di carattere deliberato. Il Malone e il Fleay, p. es., impressionati dall'abbondanza della rima in alcuni dei primi drammi, videro nella proporzione delle rime un punto di riferimento per stabilire priorità; così si giunse a ritenere Midsummer-Night's Dream da alcuni, Love's Labour's Lost da altri, la prima commedia di Sh. Ma l'uso della rima invece degli sciolti è atto deliberato, e può indicare un preciso esperimento di dramma lirico; poiché è errata generalizzazione quella che rappresenta la rima come caratteristica del dramma preshakespeariano, che lo Sh. avrebbe a poco a poco scartata; i modelli di Sh. erano in sciolti, e la rima dei suoi drammi lirici costituisce un'innovazione. In conclusione i criterî metrici, sia singolarmente e sia cumulativamente, non offrono una pietra di paragone sicura per determinare la successione di drammi vicini di data; possono però fornire un utile mezzo di controllo per le indicazioni offerte da criterî esterni.
La tabella alla colonna seguente dà la cronologia dei drammi secondo il Malone (1821), il Furnivall (1877) e il più autorevole dei critici moderni, E. K. Chambers (1930). Gli anni dell'ultima colonna si riferiscono solo alla cronologia del Chambers.
Accettando i drammi nella successione cronologica proposta dal Chambers, lo sviluppo dell'artista presenta quattro fasi caratteristiche. Nella prima, che può chiamarsi "fase di tirocinio", lo Sh. esperimenta nei varî tipi di dramma in favore, il dramma storico, la tragedia senechiana d'orrori (Titus Andronicus), la farsa plautina (Comedy of Errors), la commedia di carattere (The Taming of the Shrew), la commedia cortese degli "University Wits" spirante le grazie e le arguzie della civile conversazione e una sentimentale galanteria (The Two Gentlemen of Verona, Love's Labour's Lost).
L'atmosfera cortese di questi ultimi forma anche lo sfondo dei primi due capolavori: la tragedia di Romeo and Juliet e le fiaba di Midsummer-Night's Drean. Tra i drammi di Sh., Romeo and Juliet è il più ricco di ardite metafore e di eufuismo. L'amore di Romeo si esprime nello stile della scuola di Serafino Aquilano, che aveva avuto grande fortuna all'estero (v. petrarchismo): nei discorsi di Romeo, più ancora che nei sonetti di Sh., troviamo l'influsso dei concetti convenzionali dei precursori del secentismo. Ma già Sh. rivela il suo genio: l'artificialità, invece di rimanere solo amena decorazione come nei drammi del Lyly e del Greene, non fa che conferire un accento più patetico all'umana tragedia che la trascende, e l'angoscia e la morte non sono meno reali e commoventi per infierire in un lezioso giardino all'italiana, ma ne son come circonfuse di dolcezza. L'artificiosità si redime nella vita, in Romeo and Juliet; si redime nel sogno in Midsummer-Night's Dream, ove miti e concetti diventano parti vitali di uno dei più prodigiosi pageants del tardo Rinascimento, e le fate e gli elfi del nord si temprano ai modi di un classico ninfale.
La seconda fase nella carriera di Sh. - coincidente press'a poco con gli ultimi cinque anni del secolo, in cui, per la prematura morte o la cessata attività drammatica dei suoi concorrenti, Sh. dominò senza contrasto sulle scene - è occupata dal dramma storico e dalla commedia gioconda. L'ondata di nazionalismo che travolse l'Inghilterra all'epoca dell'Armada spagnola e durò fino alla fine del regno d'Elisabetta, trovava sfogo nel teatro con la rievocazione epica del passato nei chronicle plays. I drammi storici di Sh. sono la parte più ineguale della sua opera, ma le ineguaglianze di stile e d'interesse scenico non sono necessariamente indice di contributo solo parziale di Sh. alla stesura di essi: l'ibridità d'un genere a rime obbligate può rendere conto delle deficienze. Se il motivo centrale di codesti drammi è la commossa rappresentazione delle vicende dei grandi, dei varî effetti delle arti di governo, delle vittorie e delle sconfitte e del supremo cimento della morte, dinnanzi a cui i personaggi si atteggiano in pose senechianamente stoiche, se il senso dei drammi è quello di grandi affreschi, pure l'interesse di Sh. pare concentrarsi nella delineazione dei ritratti degli eroi, anzi è proprio un dramma storico, Richard III, che offre il suo primo ritratto in piedi d'una grande figura tragica già accennata nella terza parte di Henry VI. Ritratto retorico d'un sinistro e grottesco tipo di superuomo rinascimentale, senza pietà, senza paura, senza amore, divorato d'egocentrismo (I am myself alone), sì da fare addirittura pensare alcuni a una creazione del Marlowe, a un colosso parente di Tamerlano e dell'Ebreo di Malta. D'accordo col personaggio è lo stile di tutto il dramma, stile esasperato, pieno d'interiezioni e d'invettive, echeggiante, da un capo all'altro, della parola "sangue" che vi ricorre come tema dominante. Psicologia e stile che sono parsi troppo crudi e primitivi per essere di Sh., ma che possono ben essere tali se si ha in mente non lo Sh. delle grandi tragedie, ma quello dei primi tentativi, ancora sotto l'influsso dei suoi predecessori. Assai superiore è la maestria con la quale Sh., nei suoi drammi storici più maturi (le due parti di Henry IV), delinea l'immortale figura di Falstaff, quintessenza di tutti i vizî simpatici, corpulento e annoso birichino, millantatore delle sue prodezze e delle sue debolezze, incrocio del Miles Gloriosus plautino e del Panurgo rabelaisiano, che decadrà poi nelle Merry Wives of Windsor (la commedia che ha divulgato la sua figura) al rango di furfante scornato, con appena qualche scintilla del suo attraente humour.
Ma la seconda fase della carriera di Sh. brilla soprattutto per le commedie a cui, in special modo, i contemporanei e i posteri legarono la sua fama: The Merchant of Venice, Much Ado about Nothing, As You Like It, Twelfth Night; ove la schermaglia d'amore, il romanzesco dei travestimenti, la drammaticità dei casi, il serio e il faceto, l'apprensione e il riso, la dotta loquela delle corti e le note boscherecce delle fresche canzoni sono intrecciati con tocco leggiero e maestro in un genere di spettacolo ove l'alessandrinismo del Cinquecento - trattati e dialoghi d'amore e di belle creanze, paradossi e madrigali, pastorelleria arcadica e peripezie picaresche - trova la sua espressione più perfetta e umana.
Si è notato che la figura del re in Richard II - temperamento artistico, per molti aspetti adorabile, ma inadatto a sostenere le responsabilità del governo, e perciò destinato a tromrsi in situazioni patetiche e grottesche - precorre quegli studî di anime ancipiti che formano l'argomento principale delle cupe e violente tragedie della terza fase shakespeariana, la fase dello Sh. maggiore. Conflitti e ripugnanze di anime melanconiche travolte da eventi che esse sono impari a fronteggiare: Bruto in Julius Caesar, il principe danese in Hamlet. L'interesse, vivissimo in quegli anni in Inghilterra, per il carattere melanconico, diffusosi sotto l'influsso degli Essais di Montaigne, improntava di nuovi modi la vecchia tragedia senechiana di vendetta e d'orrore. Se ne colorava la follia di Hieronimo, nel rimaneggiamento (probabilmente di Ben Jonson) della Spanish Tragedy del Kyd, e lo Sh. vi ricorreva per giustificare il ritardo della vendetta nella primitiva tragedia da lui utilizzata (v. amleto). Altre tragedie rappresentano il consumamento d'un'anima ambiziosa e criminale di guerriero, incapace di imbestiarsi annichilando il rimorso, e incapace di tornare completamente umana pentendosi (Macbeth); e la dissoluzione dell'anima d'un altro guerriero malato di voluttà per la più maliosa delle donne (Antony and Cleopatra); e il disumanarsi d'un cuore occluso dall'orgoglio (Coriolanus), e l'agonia d'un altro cuore, di vecchio re tornato fanciullo - quasi patetico simbolo della stessa anima umana, cieca e vaneggiante - incapace di distinguere tra malvagità e bontà, e cooperante, nella sua colpevole ignoranza, al trionfo del male (King Lear); e infine, il fondo dell'abisso, il gusto quasi artistico per il male in sé stesso, la sete tenebrosa di Iago (Othello). Grandi tragedie ove la vicenda esterna proietta, ombra gigantesca, una vicenda metafisica che ci comunica il brivido d'un mistero attinente alle più profonde radici della nostra umanità: vero e proprio Inferno shakespeariano. Anche le commedie di questo periodo (All's Well that Ends Well, Measure for Measure, Troilus and Cressida) si tingono di fosco e di sanguigno, d'un disperato sarcasmo.
L'ultima fase (1608-16) segna un ritorno al dramma romanzesco, in. un clima d'indulgenza e di serenità. L'atmosfera di quello che si ritiene l'ultimo dramma di Sh., The Tempest, è l'atmosfera purificata dopo una tempesta. Lo sfondo è la solitaria riva d'un'isola in mezzo al mare. Una luce calma, armoniosa, si diffonde dappertutto; l'aria, impregnata di luce e di salsedine, risuona di voci soprannaturali. La grazia del cielo con le sue rugiade ha toccato le rive dell'isola segregata dal mondo, e questa soave influenza celeste par conferire una solennità di sacra rappresentazione, di mistero, alla storia umana che si svolge dinnanzi ai nostri occhi. Benché si possa affermare quasi con certezza che Sh. non lesse il Purgatorio di Dante, l'atmosfera della Tempest ricorda assai quella della riva dell'isola immaginata da Dante. Il tremolar della marina, la purificante freschezza della rugiada, le voci degli spiriti, si trovano in entrambi i poemi. Gli uomini naufragano sulla magica riva, e approdano alla strana terra per pentirsi ed espiare. E Prospero ci appare come un santo vegliardo, non dissimile da Catone sulla riva del Purgatorio.
Così la visione ultima dello Sh. rivela affinità con la visione di Dante, e un'altra affinità, anche, col sacro mistero eschileo delle Eumenidi.
In ciascuno dei tre grandi poeti, la giustizia è restaurata per mezzo d'un rito d'espiazione; il tono dei loro versi più tardi è lo stesso, un tono di dolcezza e gravità commiste, un tono di perdono. Essi hanno raggiunto una visione del mondo che si esprime in termini d'ordine e d'armonia, la musica d'Ariele, gl'inni cantati dalle anime purganti, il suono della cetra d'Apollo che tutto placa.
La maestria verbale di Sh. ha pure caratteristiche differenti nelle varie fasi: nei primi drammi, come ha osservato il Dowden, il linguaggio dà a volte l'impressione d'una veste - veste ridondante di superflui ornamenti - gittata indosso al pensiero, sicché questo par quasi perdervisi dentro; nei drammi del periodo di mezzo (di cui può servire d'esempio il Julius Caesar) si nota perfetto quilibrio tra pensiero ed espressione; nei drammi più tardi le idee sembrano preponderare sui mezzi espressivi, i periodi si fanno compatti, l'espressione si contrae per adeguarsi alle brusche svolte del pensiero, quasiché il poeta, impaziente di seguire il suo fantasma, sdegnasse di elaborare minutamente le sue idee.
I singoli drammi: fonti e argomenti. - Henry VI, parti 1, 2, 3 (Enrico VI). - La seconda parte fu pubblicata anonima nel 1594 come The first part of the Contention betwixt the two famous Houses of Yorke and Lancaster; la terza parte nel 1595 come The true Tragedie of Richard Duke of Yorke, and the death of good King Henrie the Sixt; la seconda e la terza parte, con alterazioni del testo, apparvero nel Primo in-folio insieme con la prima parte. Il dramma è basato soprattutto sulle Chronicles di Holinshed (1577), ma anche Halle, Fabyan, Grafton, e Stowe possono essere stati consultati.
Richard III (Riccardo III). - I fatti storici sono quasi tutti desunti dalle cronache di Halle e Holinshed, basate alla loro volta sulle Anglicae Historiae di Polidoro Virgilio (1534) e sulla Vita di Riccardo generalmente attribuita a sir Thomas More.
Al centro del dramma è il personaggio dell'usurpatore, che già nella terza parte di Henry VI si era definito come colui che avrebbe "set the murderous Machiavel to school", curioso anacronismo che sostituiva il "set the aspiring Catalin to school") (far scuola all'ambizioso Catilina) della prima redazione. L'identificazione col tipo del machiavellico, bestia nera del teatro elisabettiano, non domandava alcun travisamento delle fonti storiche, poiché in queste il carattere di Riccardo già possedeva tutti i requisiti del tipo. I principali episodî del dramma sono l'imprigionamento e l'assassinio di Clarence per ordine di suo fratello Riccardo; il corteggiamento di Anna, vedova di Edoardo principe di Galles, da parte di Riccardo, mentre essa segue la bara del defunto marito, scena che fa pensare alla famosa situazione della matrona d'Efeso; la morte di Edoardo IV e le macchinazioni di Riccardo per conquistare la corona; l'esecuzione di Hastings, Rivers e Grey; l'incoronazione di Riccardo; l'assassinio dei figli di Edoardo nella Torre - famoso pezzo d'antologia che doveva suggerire un celebre quadro di Paul Delaroche -; il progetto di Riccardo di sposare la nipote, Elisabetta di York; la ribellione di Buckingham che si dichiara per il conte di Richmond, la sua cattura ed esecuzione; la disfatta e la morte di Riccardo a Bosworth (1485), preceduta da una retorica scena ove gli spettri delle vittime sfilano dinnanzi a Riccardo (scena probabilmente non dovuta a Sh., ma un tempo assai celebrata).
The Comedy of Errors (La commedia degli equivoci). - La fonte principale, diretta o indiretta, sono i Menaechmi di Plauto, ma probabilmente la scena prima dell'atto III è basata sull'Amphitruo. Vi è aggiunto un intreccio tragico probabilmente suggerito dalla storia d'Apollonio di Tiro che doveva essere usata per il Pericles. Si sono trovate analogie, non rilevanti, col Knight's Tale del Chaucer e l'Arcadia del Sidney.
Titus Andronicus (Tito Andronico). - Il Ravenscroft nel 1687 riferì una tradizione teatrale secondo cui questo dramma era dovuto a un "private author" e Sh. "only gave some master-touches to one or two of the principal parts or characters". L'ignoto autore accennato dal Ravenscroft rivela influsso di Kyd, nell'uso di orrori, mistificazioni ed episodî di follia, di Marlowe nella concezione del carattere di Aaron, un arcimalvagio calcato sul protagonista del Jew of Malta, Barabas, di Peele nello stile. È difficile vedere quali possano essere stati i ritocchi di Sh. Il Greg ha escogitato un'ingegnosa ipotesi, secondo cui la versione riveduta da Sh., la quale autorizzò l'inserzione del dramma nella lista del Meres, sarebbe perita nell'incendio del Globe, e sarebbe stata sostituita con la versione primitiva, aggiuntavi di memoria la scena seconda dell'atto III, ove sarebbero tratti shakespeariani.
Non si sono trovati che temi solo di lontano affini col soggetto del dramma, ma gli studî del Morgan, del Dibelius e del Granger rendono probabile che la fonte sia in un travisamento di cronache bizantine relative all'imperatore Andronico Comneno (sec. XII) e alla regina di Georgia, Thamar, più o meno sua contemporanea.
The Taming of the Shrew (La bisbetica domata). - Commedia basata su una precedente, dal titolo un po' diverso (The Taming of a Shrew): Sh. ebbe un collaboratore che per l'intreccio secondario risalì alla fonte, I Suppositi dell'Ariosto, o la sua versione inglese, i Supposes del Gascoigne.
Precede il dramma una Induction in cui Christopher Sly, uno stagnaro ubriaco raccolto da un signore e dai suoi cacciatori nella landa, è portato al castello, trattato con ogni riguardo, e, nonostante le sue proteste, è indotto a credersi un signore che ha perso l'uso della ragione, ed è obbligato ad ascoltare il dramma che segue, rappresentato proprio per lui da una compagnia di guitti.
Petrucchio (grafia inglese corrispondente all'ital. Petruccio), nobiluomo di Verona avveduto e imperturbabile, decide di sposare Katharina, la bisbetica figlia d'un ricco signore di Padova. Le fa la corte fingendo di trovarla dolce e gentile quando quella più lo maltratta; poi, a sua volta, la sottopone a umiliazioni, la priva di cibo e di sonno, fingendo che le vivande e il letto non siano degni di lei, e infine la riporta a casa di suo padre, che essa raggiunge interamente domata. Intanto la sorella di Katharina, Bianca, è conquistata da Lucentio, che l'ha corteggiata sotto le spoglie d'un maestro di scuola; Hortensio, l'innamorato abbandonato da Bianca, sposa una vedova. Al banchetto finale gli sposi scommettono quale delle loro mogli sia la più docile, e Petrucchio vince la scommessa.
The Two Gentlemen of Verona (I due gentiluomini di Verona). - L'intreccio è modellato su quello d'una tipica commedia dell'arte, sicché o Sh. usò come fonte un dramma di carattere italiano, quale sarebbe potuto essere il perduto Felix and Philiomena, o sviluppò in modi derivati dalla commedia italiana una tenue trama quale si trova nella Diana del Montemayor che di solito si dà come fonte.
Valentine e Proteus s'innamorano entrambi di Silvia, figlia del duca di Milano. Proteus tradisce l'amico e la propria fidanzata Julia rivelando al duca l'intenzione di Valentine di rapire Silvia. Valentine viene bandito e si fa capitano di masnadieri, e Proteus continua a corteggiare Silvia, raggiunto, nel frattempo, da Julia travestita da paggio. Silvia, per sfuggire alle nozze con Thurio, sceltole dal padre, abbandona Milano per raggiungere Valentine, è catturata da masnadieri, e liberata da Proteus. Sopraggiunge Valentine, e Proteus, preso da rimorso, si mostra così contrito che Valentine gli sta per cedere Silvia, allorché lo svenimento del paggio rivela Julia, che con tal prova di costanza riconquista il cuore di Proteus.
Finalmente il duca concede la figlia a Valentine. Il clown Launce, servo di Proteus, e il suo cane Crab, introducono l'elemento buffonesco.
Love's Labour's Lost (Fatiche [ovvero Pene] d'amore perdute). - A meno che Sh. non attingesse a un preesistente dramma, può essere stato informato da qualche viaggiatore inglese o francese dell'avvenimento storico che è adombrato nella commedia: la visita fatta a Enrico IV a Nérac, nel 1578, da parte di Marguerite de Valois, sua moglie, principessa di Francia. I personaggi minori sono modellati sulle maschere della commedia dell'arte, quali il capitano, il pedante, l'affamato, ecc.; ma è possibile che lo Sh. vi mettesse allusioni personali (per Holofernes-Florio, v. sopra).
Romeo and Juliet (Romeo e Giulietta). - Il motivo della "morta viva" destinato a trovare la sua suprema espressione in questo dramma, è stato studiato nella sua genesi e nelle varie versioni da Henri Hauvette (La Morte Vivante", Parigi 1933). Giunse allo Sh. per il tramite italiano: Masuccio Salernitano, Luigi da Porto, che diede alla leggenda forma d'arte già notevole, al punto da farla passare per autentico episodio di storia veronese, Bandello, divulgato all'estero da Pierre Boisteau; la versione di quest'ultimo fu a sua volta tradotta in inglese nel Palace of Pleasure di William Painter, e resa liberamente da Arthur Brooke nel poema The Tragicall Historye of Romeus and Juliet (1562), a cui attinse Sh. Si è tentato di stabilire una relazione tra il dramma di Sh. e quelli, derivati dalla stessa fonte, di Lope de Vega (Castelvines y Monteses) e di Luigi Groto (la cui Adriana, 1578, contiene frasi e immagini che si ritrovano nel dramma di Sh., ma che sono luoghi comuni del petrarchismo: i due drammi sono del resto diversissimi nel modo di trattare l'argomento e nello studio dei personaggi).
I Montagues e i Capulets (Montecchi e Cappelletti), le due principali famiglie di Verona, sono nemiche. Romeo, figlio del vecchio Montague partecipa, mascherato, a una festa in casa dei Capulets, e s'innamora di Juliet; dopo la festa, stando sotto la finestra di Juliet, la ode confessare il suo amore per lui, e ottiene il suo consenso a un matrimonio segreto. Con l'aiuto di Friar Laurence, si sposano il giorno seguente. Mercutio, amico di Romeo, incontra Tybalt, della famiglia Capulet, furente per avere scoperto la presenza di Romeo alla festa: i due litigano. Romeo interviene e cerca di far intendere ragione a Tybalt, ma questi combatte con Mercutio, che cade. Allora Romeo sguaina la spada e uccide Tybalt. Perciò Romeo è condannato al bando, e il giorno seguente, dopo avere passato la notte con Juliet, lascia Verona per Mantova, esortato dal frate, che intende di far pubblico il suo matrimonio al momento opportuno. Juliet, forzata dal padre a sposare il conte Paris, è consigliata dal frate a consentire, ma, la vigilia delle nozze, a bere un narcotico che la farà sembrare morta per quaranta ore; egli stesso penserà ad avvisare Romeo, che la libererà dal sepolcro al suo risveglio e la condurrà a Mantova. Juliet segue il consiglio. Ma il messaggio non giunge a Romeo, che riceve invece la notizia della morte di Juliet. Egli acquista un veleno, va al sepolcro per vedere un'ultima volta l'amata; sull'ingresso, s'imbatte in Paris e lo uccide in combattimento. Quindi Romeo, dopo avere baciato Juliet per l'ultima volta, beve il veleno. Juliet si sveglia, trova Romeo morto, con la coppa ancora in mano. Si rende conto dell'accaduto, e si pugnala. Questa tragica fine è narrata dal frate e dal paggio del conte Paris, e Montague e Capulet, commossi dalla catastrofe provocata dalla loro inimicizia, si riconciliano.
Richard II (Riccardo II). - La Chronicle di Holinshed, nella seconda edizione (1587) è la fonte principale, poiché atto II, sc. 4ª usa un passo che non si trova nell'ediz. del 1577. Fino a poco tempo fa, si voleva vedere in questo dramma l'influsso del modo marlowiano di trattare la cronistoria. Ma recenti ricerche (Charlton e Waller, in Works del Marlowe, Londra 1933) sembrano far concludere che Henry VI, parti 2 e 3, precedette l'Edward II del Marlowe; che il Marlowe, che aveva influito sullo Sh., ne ricevette a sua volta l'influsso in questo caso, volgendosi alla drammatizzazione delle cronache. È certo però che il carattere di Riccardo II offre analogie con quello di Edoardo II.
A Midsummer-Night's Dream (Sogno d'una notte di mezza estate). - Sh. sembra avere attinto alle fonti più disparate per questo dramma: folklore inglese (in R. Scot, Discovery of Witchcraft, 1584, potrebbe avere trovato le notizie intorno a Robin Goodfellow e la storia della trasformazione in asino, che risale a Luciano e Apuleio), Chaucer, Plutarco, ecc.
Ermia rifiuta di sposare Demetrio, impostole dal padre Egeo, perché ama Lisandro, mentre Demetrio ha già dichiarato il suo amore all'amica di lei Elena, da cui è riamato. Secondo la legge ateniese, il duca Teseo dà a Ermia quattro giorni di tempo per obbedire al volere paterno, scorsi i quali le toccherà morire. Ermia e Lisandro si accordano ad abbandonare Atene segretamente per sposarsi dove la legge ateniese non può colpirli, e di trovarsi in un bosco a qualche miglio dalla città. Ermia rivela il piano a Elena, che ne informa Demetrio. Questi insegue Ermia nel bosco, e Elena Demetrio, sicché tutt'e quattro si trovano nel bosco quella notte. Il bosco è il soggiorno favorito delle fate.
Oberon e Titania, re e regina delle fate, si sono bisticciati per via d'un paggio. Oberon chiede al folletto Puck, simbolo dell'elemento capriccioso dell'amore, di procurargli un certo fiore magico, il cui succo, versato negli occhi di Titania mentre dorme, la farà invaghire del primo essere che vedrà al suo risveglio. Avendo udito Demetrio nel bosco rimproverare Elena perché lo segue, e desideroso di riconciliarli, Oberon ordina a Puck di versare un po' del filtro amoroso negli occhi di Demetrio, quando Elena gli è vicina. Puck, scambiando Lisandro per Demetrio, propina a lui il filtro, ed essendo Elena la prima persona che Lisandro vede, egli le fa profferte d'amore, non riuscendo che ad irritare la donna che si crede burlata. Oberon, scoperto lo sbaglio di Puck, pone il filtro sugli occhi di Demetrio, di modo che ora sono in due a fare la corte a Elena. Le donne si leticano, e gli uomini si preparano a combattere per Elena.
Intanto Oberon ha posto il filtro sulle palpebre di Titania, che al suo risveglio si trova accanto il tessitore Bottom con una testa d'asino invece della propria: Bottom che con una compagnia d'artigiani ateniesi si trova nel bosco a far le prove d'un dramma da recitarsi per le nozze del duca, e Puck lo ha conciato col capo asinino. Titania s'innamora tosto di lui e ne complimenta l'aspetto. Li sorprende Oberon che, compatendo Titania, e ottenutone il rapito giovinetto, le sfiora gli occhi con un'erba che la libera dall'incanto. Puck, per ordine di Oberon, circonda di nebbia gli amanti umani e li riunisce insieme; mentre dormono, spreme sugli occhi loro l'erba che scioglie l'incanto, sicché al loro risveglio tornano agli amori di prima. Sopravvengono Teseo ed Egeo, i fuggitivi sono perdonati, e le coppie si sposano. Il dramma termina con una scena di Piramo e Tisbe, recitata in modo grottesco da Bottom e dai suoi compagni, per le nozze di Teseo e Ippolita.
King John (Re Giovanni). - Basato su un dramma preesistente, The Troublesome Reign of King John, che lo Sh. riscrive pur conservandone i lineamenti. Alcune alterazioni di poco rilievo possono indicare che Sh. consultò anche le cronache.
The Merchant of Venice (Il mercante di Venezia). - I due motivi principali dell'intreccio, il motivo dell'obbligazione e quello degli scrigni, sono antichi e diffusi. Il primo giunse a Sh. attraverso Il Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino, e, per il particolare del furto della figlia dell'usuraio, Zelauto di Anthony Munday (1580); il secondo attraverso la versione di Richard Robinson dei Gesta Romanorum (pubbl. apparentemente nel 1577). I due motivi possono essersi trovati riuniti in un dramma preesistente, The Jew, di cui sappiamo solo indirettamente.
Bassanio, veneziano nobile ma povero, chiede al ricco mercante Antonio, suo amico, tremila ducati per poter proseguire degnamente il suo corteggiamento della ricca ereditiera Portia. Antonio, il cui denaro è tutto impegnato in affari all'estero, si propone d'imprestare il denaro da Shylock, usuraio ebreo già da lui rimproverato per le sue estorsioni. Shylock acconsente a prestare il denaro contro un'obbligazione per la quale, se la somma non sarà pagata il giorno fissato, Antonio perderà una libbra di carne. Bassanio ha successo. Portia, per volere del padre, sposerà quel pretendente che di tre scrigni (uno d'oro, uno d'argento, uno di piombo) sceglierà quello che contiene il ritratto di lei. Bassanio sceglie giusto (lo scrigno di piombo), sposa Portia, e il suo amico Gratiano la sua ancella Nerissa. Giunge nuova che i vascelli di Antonio sono naufragati, che il debito non è stato pagato alla scadenza, e che Shylock chiede la libbra di carne. La questione è portata dinnanzi al doge. Portia si traveste da avvocato, e Nerissa da suo assistente, e, all'insaputa dei proprî mariti, si recano alla corte a difendere Antonio. Fallito il tentativo di ottenere grazia dall'ebreo, Portia ammette la validità della sua domanda, ma lo ammonisce che perderà la propria vita se verserà una sola goccia di sangue, poiché l'obbligazione gli dà diritto solo alla carne. Inoltre argomenta che Shylock deve pagare con la vita il delitto di avere cospirato contro la vita d'un cittadino veneziano. Il doge fa grazia a Shylock della vita, ma assegna la metà delle sue ricchezze ad Antonio, l'altra metà allo stato. Antonio rinunzia alla sua parte se Shylock si farà cristiano e lascerà la sua sostanza alla sua morte alla figlia Jessica, che è fuggita e ha sposato un cristiano, Lorenzo, ed è stata perciò diseredata; Shylock acconsente. Portia e Nerissa chiedono come compenso da Bassanio e Gratiano gli anelli che hanno dato loro le mogli, e da cui essi hanno promesso di non separarsi mai. Essi li cedono con riluttanza e ne sono rimproverati al loro ritorno a casa. Alla fine si apprende ehe i vascelli di Antonio sono arrivati sani e salvi. Famoso il carattere di Shylock, che coglie un atteggiamento d'intelletto, di volontà, di moralità, riconosciuto proprio del tipo ebraico.
Henry IV, parti 1 e 2 (Enrico IV). - Fonte, la Chronicle di Holinshed, e per le parti comiche (Oldcastle-Falstaff) un dramma preesistente, The Famous Victories of Henry the Fifth. Nella caricatura del giudice Shallow si è voluta vedere un'allusione a sir Thomas Lucy col quale Sh. aveva avuto a che dire per il bracconaggio (vedi sopra), e, da altri (Leslie Hotson, Shakespeare versus Shallow, Londra 1931), un'allusione al giudice Gardiner.
Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla). - Il motivo principale, dell'amante ingannato da una persona che assume le sembianze dell'amata - antico motivo - lo Sh. l'ha desunto dal Bandello, tradotto in Histoires Tragiques, III (1569) del Belleforest, e dall'Ariosto (storia di Ginevra e Ariodante). Le argute schermaglie di Benedick e Beatrice sarebbero state ispirate da quelle di Gaspare Pallavicino ed Emilia Pia nel Cortegiano (trad. da sir Thomas Hoby, 1561).
Henry V (Enrico V). - Fonti: Holinshed e l'ultima parte delle Famous Victories of Henry the Fifth (vedi sopra, Henry IV). Nel coro dell'atto V (v. 31) si trova l'unica allusione diretta di Sh. ad avvenimenti contemporanei (spedizione di Essex in Irlanda 27 marzo-28 settembre 1599).
Julius Caesar (Giulio Cesare). - Fonte: le vite di Bruto, Cesare, e Antonio, di Plutarco, nella traduzione di sir Thomas North (1579: dal francese di Jacques Amyot), spesso seguita dallo Sh. letteralmente. Si sono paragonati dei passi con la Pharsalia di Lucano, con le Epistole di Cicerone, con la Storia Naturale di Plinio, con le Guerre Civili di Appiano, con gli Annali di Dione Cassio, con le Vite dei Cesari di Svetonio, con Il Cesare di Orlando Pescetti (1594), ma non si può dire quanto Sh. derivasse direttamente da queste fonti, perché si sono perduti altri drammi inglesi preesistenti sul soggetto. (Le coincidenze col dramma del Pescetti sono state esaminate da A. Boecker, A Probable Italian Source of Sh.s Julius Caesar, New York 1913).
Sospetto per le ambizioni di Cesare provoca una congiura tra i difensori della libertà romana, soprattutto Cassio e Casca; essi persuadono Bruto, che odia le mire di Cesare, ma non Cesare stesso, sicché ogni suo atto è accompagnato da ripugnanza per ciò che gli tocca di fare. Cesare è ucciso dai congiurati nel senato. Antonio solleva il popolo contro gli uccisori con un abile discorso al funerale di Cesare. I triumviri muovono contro l'esercito dei congiurati, che sono sconfitti a Filippi e si uccidono. La lite e la riconciliazione di Bruto e Cassio, con la notizia della morte di Porzia, moglie di Bruto, costituiscono una delle scene più ammirate dai contemporanei di tutto il teatro di Sh. (half-sword parley "colloquio a ferri corti").
As You Like It (Come vi pare o Come vi piace o A piacer vostro). Fonte: il romanzo Rosalynde, or Euphues' Golden Legacy di Thomas Lodge (1590), che alla sua volta deriva in parte dallo pseudo-chauceriano Tale of Gamelyn.
Twelfth Night or What You Will (La notte dell'Epifania, o Quel che volete). - Il contemporaneo di Sh., John Manningham, nel suo Diary paragonò questo dramma a uno italiano, gli Inganni. Forse intendeva il dramma di questo titolo di Niccolò Secchi (stampato nel 1562 forse per la prima volta), forse uno omonimo di Curzio Gonzaga (1592), forse Gl'Ingannati degli Accademici Intronati (1537) che offre più analogie con la commedia di Sh. Quest'ultimo dramma italiano è la fonte di Bandello, Novelle, II, 36 (tradotta da Belleforest, Histoires Tragiques, IV, 59), da cui alla sua volta deriva il racconto di Apolonius and Silla, in Farewell to the Military Profession di Barnabe Riche (1581). Sh. probabilmente vide quest'ultimo per il motivo del naufragio. Il motivo della dama travestita da paggio ricorre in altre opere che lo Sh. potrebbe aver veduto: per es., Parismus di Emanuel Forde (1598), ove si trovano il naufragio e i nomi di Olivia e Violetta.
Hamlet (Amleto). - Per la fonte, ecc., v. amleto, App.
Il re di Danimarca è stato assassinato dal fratello Claudius, che ha usurpato il trono e si è sposato con fretta indecorosa con la vedova del morto, Gertrude. A Hamlet si presenta lo spettro del padre, che riferisce le circostanze del delitto e chiede vendetta. Hamlet gli vota obbedienza, ma la sua natura melanconica e introspettiva lo rende irresoluto e gli fa differire l'azione. Si finge folle per evitare il sospetto che egli minacci la vita del re. (L'espediente della pazzia era stato già usato dal Kyd nella Spanish Tragedy, forse derivato dai Discorsi del Machiavelli [III, 2]: "Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia"). La sua condotta è attribuita ad amore per Ophelia (figlia del ciambellano Polonius), che egli ha già prima corteggiata, ma che ora tratta crudelmente. Hamlet controlla il racconto dello spettro facendo recitare dinnanzi al re un dramma che riproduce le circostanze del delitto, e il re si tradisce. Segue una scena in cui Hamlet inveisce contro la madre. Credendo che il re sia dietro una tenda ad origliare, trae la spada e uccide invece Polonius. Il re decide di sopprimere Hamlet. Lo invia con una missione in Inghilterra con Rosencrantz e Guildestern. Ma i pirati catturano Hamlet e lo rimandano in Danimarca. Al suo arrivo trova che Ophelia, folle di dolore, si è annegata. Il fratello di lei, Laertes, il cui carattere contrasta con quello di Hamlet, è tornato per vendicare la morte del padre Polonius. Il re fa che accada un duello tra Hamlet e Laertes, in cui questo usa una spada avvelenata, e uccide Hamlet, ma non prima che Hamlet abbia mortalmente ferito Laertes e trafitto il re, mentre Gertrude ha bevuto la coppa di veleno destinata al figlio. Il puro Fortinbras, principe di Norvegia, succede nel regno.
The Merry Wives of Windsor (Le allegre comari di Windsor). - Il motivo dell'amoroso nascosto in qualche arredo domestico si trova in varie novelle italiane: più vicina alla versione shakespeariana è quella del Pecorone, ove l'uomo è nascosto "in un monte di panni di bucato". Poco altro vi è da dire circa le fonti di questa commedia.
Falstaff, che si trova squattrinato, decide di far la corte alle mogli di Ford e di Page, due gentiluomini di Windsor, perché esse hanno il governo della borsa dei loro mariti. Nym e Pistol, i compagnoni di Falstaff da lui scostati, avvertono i mariti. Falstaff manda identiche lettere galanti alle due donne, che ne complottano lo scorno. A un primo appuntamento alla casa di Ford, arrivando il marito, nascondono Falstaff in una cesta, lo coprono di panni sudici, e lo scaraventano in un fosso melmoso. A un secondo appuntamento, lo mascherano da "donna grassa di Brentford", e come tale è battuto di santa ragione da Ford. Anche il marito geloso è stato burlato due volte, ma ora gli viene scoperto il complotto, e si dà un ultimo appuntamento a Falstaff nella foresta di Windsor, dove egli è assalito e pizzicato da pseudofate, e finalmente smascherato da Ford e Page.
L'intreccio secondario rappresenta il corteggiamento di Anne, figlia di Page, da parte di tre pretendenti, Doctor Caius, un medico francese, Slender, lo sciocco cugino del giudice Shallow, e Fenton, un bizzarro giovanotto, che Anne ama. Mistress Quickly, serva del Doctor Caius, fa da mezzana per i tre, e li incoraggia imparzialmente. Sir Hugh Evans, parroco gallese, s'interpone in favore di Slender, e viene sfidato da Caius, ma le ostilità si riducono al maltrattamento della lingua inglese. All'ultimo appuntamento dato a Falstaff nella foresta, Page, che favorisce Slender, dispone che costui rapisca sua figlia, che vestirà di bianco, mentre Mrs. Page, che favorisce il dottore, dispone che sua figlia vesta di verde e sia rapita da lui. Ma al momento buono, i due pretendenti si trovano tra le mani un ragazzo travestito, mentre la vera Anne è fuggita con Fenton di cui diviene sposa.
Troilus and Cressida (Troilo e Cressida). - Direttamente o indirettamente questo dramma attinge a quattro fonti: Troilus and Criseyde del Chaucer, il Recuyell of the Historyes of Troye del Caxton, il Testament of Cresseid di Robert Henryson, e Omero, nella versione del Chapman o di Arthur Hall. Del resto il soggetto era stato già portato sulle scene. Le analogie con Iron Age di Thomas Heywood sono dovute probabilmente a imitazione da parte di questo drammaturgo.
Se nell'intreccio lo Sh. segue il Chaucer, a sua volta derivante dal Filostrato del Boccaccio, diversa è la concezione dei caratteri dei personaggi. Cressida è leggiera, incostante, di sensi grossolani; Pandaro, da amico servizievole, è tramutato in vecchio libertino che fa del ruffianesimo il suo sollazzo. Quello che Pandaro è a Troia fra gli amanti, Tersite è nel campo greco fra i guerrieri: nelle due ciniche figure culmina il senso di nausea che spira da tutto il dramma, in cui l'amore e l'eroismo sono parole vane, e gli uomini si muovono come grottesche marionette. Un mondo che risponde appieno alla definizione data nel Macbeth: "una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, e ehe non significa nulla".
All's Well that Ends Well (Tutto è bene quel che finisce bene, o Tutto è bene ciò che a ben riesce). - Fonte: Decameron, III, 9, novella tradotta nel Palace of Pleasure di William Painter (1566), I, 38.
Measure for Measure (La pena del taglione, o Occhio per occhio). - Fonte: Promos and Cassandra di George Whetstone (1578), commedia basata sugli Ecatommiti di Giraldi Cintio, VIII, 5. L'idea della sostituzione dei corpi si trova però solo nel dramma Epitia del Giraldi, derivato da quella novella.
Il duca di Vienna, col pretesto di un viaggio in Polonia, affida il governo ad Angelo, per evitare l'impopolarità derivante dall'applicazione delle leggi contro la scostumatezza, che per lungo tempo sono state lettera morta. Angelo immediatamente condanna a morte Claudio colpevole di seduzione. Claudio ne avverte la sorella Isabella, una novizia, e la prega d'intercedere presso Angelo. Le preghiere d'Isabella non riescono a ottenere il perdono di Claudio, ma la sua bellezza eccita le voglie di Angelo, che a un secondo colloquio le offre la vita del fratello se essa gli sacrificherà il suo onore. Isabella rifiuta indignata; e in una famosa scena nella prigione, mette al corrente il fratello della proposta, ed egli, che prima accetta sereno la morte, s'aggrappa a un tratto disperatamente all'obbrobriosa speranza. Intanto il duca, che non ha lasciato Vienna, ma che si è travestito da frate e così ha appreso dell'infame condotta di Angelo, escogita un tranello per salvare Claudio. Ordina a Isabella di acconsentire a recarsi alla casa di Angelo alla mezzanotte, e ottiene che Mariana, che ama Angelo che pur l'ha ripudiata, prenda il posto d'Isabella. Il trucco riesce, ma ciò non ostante Angelo ordina che l'esecuzione di Claudio abbia luogo all'alba. Il duca dispone che invece del capo di Claudio, sia portato ad Angelo quello d'un malfattore giustiziato. Poi, abbandonato il travestimento, e simulando un improvviso ritorno, il duca ascolta la supplica d'Isabella e quella di Mariana, e confuta Angelo, che nega i racconti delle due donne. A istanza di Mariana e d'Isabella Angelo è perdonato e congiunto in matrimonio alla prima, mentre il duca dichiara il suo amore a Isabella. Claudio è graziato.
Othello, The Moor of Venice (Otello, il Moro di Venezia). - Fonte: Ecatommiti di Giraldi Cintio, III, 7; ma il capitano moro e l'alfiere non hanno nome in Giraldi. Si è congetturata l'identificazione del moro col patrizio Cristoforo Moro che fu luogotenente a Cipro nel 1508 e perdette la moglie nel viaggio di ritorno a Venezia (Rawdon Brown), e con "il capitano moro" (in realtà un italiano meridionale) Francesco da Sessa che fu mandato in catene dai rettori di Cipro alla fine del 1544 o al principio dell'anno seguente, a Venezia, per un delitto non specificato (A. da Mosto, in Bollettino degli studi inglesi in Italia, aprile 1933).
Desdemona, figlia del senatore veneto Brabantio, si è sposata in segreto col moro Othello, generale al servizio di Venezia, che ha conquistato il suo amore col racconto delle sue gesta e dei pericoli corsi. Othello è accusato da Brabantio dinnanzi al doge di avergli rapito la figlia. Intanto giunge nuova d'un imminente assalto turco a Cipro, contro cui è necessario il braccio di Othello. Questi spiega come abbia conquistato il cuore di Desdemona, e Desdemona conferma il suo racconto. Brabantio a malincuore cede la figlia al moro che subito parte con lei per Cipro. Othello ha promosso luogotenente Cassio, e questo fatto, e la voce che il moro abbia giaciuto con la moglie di Iago, Emilia, sono le ragioni apparenti della terribile vendetta meditata da Iago, l'alfiere. Questi dapprima riesce a screditare Cassio presso Othello, sicché viene privato del grado; poi spinge Cassio a pregare Desdemona d'intercedere in suo favore, ciò che ella fa con zelo. Al tempo stesso Iago instilla nell'animo di Othello il sospetto della fedeltà della sposa, e la gelosia di Cassio. Con uno stratagemma fa che un fazzoletto dato da Othello a Desdemona sia ritrovato presso Cassio. Othello, accecato dalla gelosia, soffoca Desdemona nel letto. Poco dopo Cassio, che doveva essere ucciso da Roderigo a istigazione di Iago, è portato ferito. Ma su Roderigo, assassinato da Iago per evitare che si scopra il suo piano, si trovano lettere che provano la colpa di Iago e l'innocenza di Cassio. Othello, fulminato dalla scoperta di avere ucciso la sposa innocente, si uccide drammatizzando la sua figura in un supremo gesto.
King Lear (Re Lear). - La storia di Lear e delle sue figlie, motivo che ha molto occupato i folkloristi, si trova in Geoffrey di Monmouth, in Holinshed, in un contributo di John Higgins (1574) al Mirrour for Magistrates, nella Faerie Queene dello Spenser (II, X, 27-32). Sh. usò un dramma preesistente, Leir. (Per uno sguardo alle questioni folkloristiche, vedi G. Cocchiara, La leggenda di re Lear, Torino 1932).
Lear, re di Britannia, vecchio autoritario e male avvisato, ha tre figlie: Goneril, moglie del duca di Albany, Regan, moglie del duca di Cornovaglia, e Cordelia, alla cui mano aspirano il re di Francia e il duca di Borgogna. Intendendo di dividere il regno tra le sue figlie in misura dell'affetto che esse gli portano, Lear ordina loro di mostrare quale lo ami di più. Goneril e Regan fanno proteste di sviscerato affetto, e ciascuna riceve un terzo del regno. Cordelia, modesta e dignitosa, dice di amarlo quanto il dovere le comanda. Irato da tale risposta, il re divide la sua porzione tra le sorelle, con la condizione che egli, con cento cavalieri, sia mantenuto a turno da ciascuna delle figlie. Il duca di Borgogna si ritira, e il re di Francia accetta Cordelia senza dote. Il conte di Kent, che prende le parti di Cordelia, è bandito. Goneril e Regan rivelano il loro malvagio cuore mancando al patto stipulato dal padre, e cacciandolo di casa durante una tempesta. Il conte di Gloucester mostra pietà per il vecchio re, ed è sospettato di complicità con i francesi che sono sbarcati in Inghilterra, e fatto accecare dal duca di Cornovaglia. Il figlio di Gloucester, Edgar, fuggito dalla casa del padre, a cui l'aveva calunniato il fratello bastardo Edmund, e camuffatosi da demente, trova rifugio dalla tempesta nella stessa capanna in cui si è riparato Lear col fedele Kent e il pazzo di corte. Lear perde la ragione, ed è come se una benda gli cadesse dagli occhi, ché ora per la prima volta diviene sensibile al dolore umano. Kent mena Lear a Dover, dove lo riceve Cordelia. Intanto Goneril e Regan si sono entrambe innamorate di Edmund. Goneril, per sbarazzarsi della rivale, avvelena la sorella, e subito dopo si uccide. Gl'Inglesi guidati da Edmund e da Albany sconfiggono l'esercito francese che viene in soccorso di Lear, e questi e Cordelia sono imprigionati. Lear, che, ritrovata Cordelia, sogna di starle da ora in poi sempre accanto, se la vede strangolare sotto i suoi occhi, e non gliene resta tra le braccia che il cadavere, che invano si sforza di rianimare. Lear muore sopraffatto dal dolore. Edgar riesce a provare il tradimento di Edmund. Albany, che non ha approvato il crudele trattamento fatto da Goneril al padre, succede nel regno.
Macbeth (Macbeth). - Fonte: Holinshed, basato per le cose di Scozia sulla versione inglese (di John Bellenden) delle Scotorum Historiae (1527) di Hector Boece.
Macbeth e Banquo, generali di Duncan re di Scozia, tornando da una vittoriosa campagna contro i ribelli, incontrano in una landa tre streghe, che profetano che Macbeth sarà thane di Cawdor, e poi re, e che Banquo genererà dei re, benché egli non debba esserlo. Subito dopo giunge nuova che il re ha nominato Macbeth thane di Cawdor. Stimolato dall'incentivo soprannaturale, e da lady Macbeth che eccita in lui la volontà, inaridendo "il latte dell'umana gentilezza", Macbeth assassina nel sonno Duncan mentre è ospite nel suo castello, e subito è colto dal rimorso. I figli di Duncan, Malcolm e Donalbain, fuggono, e Macbeth prende la corona. Per rendere vana la profezia delle streghe relativa a Banquo, Macbeth decide di sopprimere costui e suo figlio Fleance, ma questi sfugge. Perseguitato dallo spettro di Banquo (famosa la scena durante il festino), Macbeth consulta le streghe, che gli dicono di guardarsi da Macduff, il thane di Fife; che nessuno nato di donna ha potere di nuocere a Macbeth; che egli non sarà vinto se non quando la foresta di Birnam venga a Dunsinane. Sapendo che Macduff si è unito a Malcolm, che raccoglie un esercito in Inghilterra, Macbeth fa assassinare lady Macduff e i suoi figli. Lady Macbeth, cui era caduto di mano il pugnale quando aveva tentato per prima d'uccidere Duncan dormente, che le era parso suo padre, perde la ragione e cerca invano di togliere dalle sue mani l'immagine del sangue; infine muore. L'esercito di Macduff e di Malcolm assale Macbeth; passando per il bosco di Birnam ciascun uomo taglia un ramo, e dietro questa cortina di foglie avanzano contro Dunsinane. Macduff, che è stato estratto con i ferri dal ventre materno anzi tempo, uccide Macbeth. Malcolm diviene re. Il dramma è in parte un atto di omaggio a Giacomo I (processione dei futuri re scozzesi, atto IV, sc. 1ª; e altri particolari).
Antony and Cleopatra (Antonio e Cleopatra). - Fonte: Vita d'Antonio di Plutarco (versione del North). Forse Sh. usò anche le Guerre Civili di Appiano, e poté vedere altre opere inglesi sul soggetto.
Il dramma presenta Marcantonio ad Alessandria, schiavo della beltà di Cleopatra. Richiamato dalla morte della moglie Fulvia e dagli avvenimenti politici, Antonio si strappa dal fianco di Cleopatra e torna a Roma, dove è posta fine allo screzio tra lui e Ottavio Cesare col suo matrimonio con la sorella di Cesare, Ottavia, un avvenimento che provoca la gelosia di Cleopatra. Ma la riconciliazione non dura, e Antonio abbandona Ottavia, ritorna in Egitto, dove la catena della voluttà lo riavvince. Si assiste al suo disfacimento interiore, solo a quando a quando interrotto da moti generosi che ricordano il guerriero d'un tempo, come allorché con la sua generosità egli confonde di vergogna Enobarbo, che l'aveva disertato, e che ora si uccide disprezzando sé stesso. Dopo la battaglia di Azio, Antonio è inseguito fino ad Alessandria da Cesare, e lì, dopo un effimero successo, subisce la finale sconfitta; alla falsa notizia della morte di Cleopatra, si gitta sulla sua spada. È portato al monumento dove si è rifugiata Cleopatra, e spira nelle sue braccia. Cleopatra, per sfuggire all'onta di figurare nel trionfo nemico, decide di troncarsi la vita in un modo che ha del regalmente voluttuoso, col morso d'un aspide; con lei si uccidono Carmiana e le altre ancelle.
Coriolanus (Coriolano). - La vita di Coriolano di Plutarco è la fonte.
Timon of Athens (Timone d'Atene). - Fonti: la storia di Timone è narrata brevemente nella vita di Marcantonio di Plutarco, e di nuovo in quella di Alcibiade; è narrata con maggiori particolari nel Misanthropos di Luciano: di questo non esistevano versioni inglesi, ma ve ne erano delle italiane, e una francese di Filbert Bretin (1582). Le affinità con un dramma accademico inglese, Timon, sono probabilmente da spiegarsi come dovute all'uso di una stessa fonte di derivazione lucianesca, poiché Timon rimase manoscritto e non sembra probabile che Sh. potesse vederlo: è possibile che questa fonte sia italiana, ma non è né il Timone del Boiardo né quello di Galeotto del Carretto.
Pericles, Prince of Tyre (Pericle principe di Tiro). - Fonte: la storia di Apollonio di Tiro, diffusa in un testo latino del sec. V o VI, nella versione datane dal Gower in Confessio Amantis. Gower recita il coro nel dramma di Sh. La provenienza del nome Pericles è discussa.
Cymbeline (Cimbelino). - Fonti: un frammento di storia britannica, liberamente adattato da Holinshed, la novella II, 9 del Decameron (motivo della scommessa), il dramma The Rare Triumphs of Love and Fortune (1589) (vita di Belario e Imogen nella caverna).
The Winter's Tale (Il racconto d'inverno). - Fonte: Pandosto or The Triumph of Time del Greene (1588), ristampato (1607) col titolo di Dorastus and Fawnia. L'episodio della statua vivente può essere stato suggerito dalla Woman in the Moon del Lyly (1597) o da Pygmalion's Image del Marston (1598). Alcuni nomi sono tolti dall'Arcadia del Sidney.
Leonte, re di Sicilia, ed Ermione, la sua virtuosa moglie, ricevono la visita del re di Boemia Polissene, amico di Leonte. Questi, a un tratto adombratosi per un infondato sospetto circa le relazioni di Ermione con Polissene, cerca di avvelenare quest'ultimo, ed essendo costui sfuggito, imprigiona Ermione che in carcere dà alla luce una bambina. Paolina, moglie del nobile siciliano Antigono, tenta di commuovere il re presentandogli la neonata, ma invano. Egli ordina ad Antigono di abbandonare la bimba su una spiaggia deserta, senza dare ascolto all'oracolo di Delfo che proclama Ermione innocente. Presto apprende che suo figlio Mamillo è morto dal dolore per il trattamento di Ermione, e poco dopo che Ermione stessa è morta; per il che è invaso dal rimorso. Frattanto Antigono lascia la bimba, Perdita, sul lido di Boemia, ed è ucciso da un orso. Perdita è trovata da un pastore che l'alleva. Quando è grande, Florizel, figlio del re Polissene, s'innamora di lei da cui è riamato. L'idillio è scoperto da Polissene, per sfuggire l'ira del quale Florizel, Perdita, e il vecchio pastore fuggono dalla Boemia alla corte del re Leonte, dove è scoperto chi sia Perdita, con gran gioia di Leonte, che pur sente ravvivarsi il suo dolore per la scomparsa di Ermione. Paolina si offre di mostrargli una statua che rassomiglia perfettamente a Ermione, e quando il dolore del re s'inacerbisce alla vista di questa, la statua si rivela essere Ermione in carne ed ossa, la cui morte era stata inventata da Paolina per salvarle la vita. Polissene acconsente alle nozze di suo figlio con Perdita, trovando che la pastorella è in realtà la figlia di Leonte. Le bricconate e le canzoni del venditore ambulante Autolico circonfondono di gaiezza le ultime scene.
The Tempest (La tempesta). - La fonte è da ricercarsi nella Commedia dell'arte italiana: alcuni intrecci analoghi descrisse F. Neri in Scenari delle maschere in Arcadia (Città di Castello 1913); vedi pure P. Rèbora, La "Tempesta" di Sh. e la commedia popolare italiana (in Bollettino della R. Univ. per gli stranieri, Perugia 22 agosto 1932); e B. Croce, Sh., Napoli, e la commedia napoletana dell'arte (in Critica, maggio-luglio 1919 [fascicolo shakespeariano]). Lo Sh. vi ha combinato particolari del naufragio a Bermuda di sir George Somers, 25 luglio 1609.
Prospero, duca di Milano, spodestato dal fratello Antonio, e messo in una barca in balia delle onde con la figlioletta Miranda, è approdato a un'isola deserta, dove era stata bandita la strega Sycorax. Grazie alle sue arti magiche, Prospero ha liberato varî spiriti imprigionati dalla strega, tra cui Ariel, ed essi obbediscono ora ai suoi ordini. Ha al suo servizio anche il figlio della strega, Caliban, creatura mostruosa, abietta e ingenua, unico abitante dell'isola. Dopo che Prospero e Miranda sono vissuti così per dodici anni, una nave su cui viaggiano l'usurpatore, il re di Napoli, suo alleato, e il figlio di costui, Ferdinand, è fatta naufragare sulle coste dell'isola per gl'incanti di Prospero. I passeggeri si salvano, ma Ferdinand è creduto annegato dagli altri, ed egli stesso pensa che gli altri lo siano. Ferdinand e Miranda si incontrano, s'innamorano e si fidanzano. Ariel, per ordine di Prospero, procura varî spaventi ad Antonio e al re di Napoli. Antonio è domato dal terrore, il re si pente della sua crudeltà, si riconcilia con Prospero e riottiene il figlio Ferdinand. Tutto finisce felicemente, la nave ricompare per forza d'incanti, e Prospero e gli altri si preparano a lasciare l'isola, dopo che Prospero ha rinunciato alla magia spogliandosi della verga fatata (episodio in cui ad alcuni è piaciuto vedere un adombramento della definitiva rinuncia di Sh. a scrivere drammi). L'isola rimane a Caliban, che nelle scene con Stephano, un dispensiere ubriacone, e il buffone Trinculo, ha provveduto l'elemento comico del dramma.
Henry VIII (Enrico VIII). - Fonti: Holinshed, il Book of Martyrs di Foxe, e forse When You See Me, You Know Me di Samuel Rowley (1605).
The Two Noble Kinsmen (I due nobili parenti). - Scritto da John Fletcher in collaborazione con Sh. È una drammatizzazione della storia di Palamon e Arcite quale si trova nel Knight's Tale del Chaucer: vi sono aggiunti gli episodî della liberazione di Palamon dalla prigione per opera della figlia del carceriere, e dell'innamoramento di essa per lui.
Il genio shakespeariano. - Anche da un arido esposto come il precedente ci si può rendere conto di due fatti: la grande varietà del teatro shakespeariano, e la poca originalità nell'invenzione degli intrecci (distinta dall'originalità del trattamento). La varietà sembra in parte modellarsi sui gusti del pubblico e seguire le correnti del teatro contemporaneo (v. inghilterra: Letteratura); a questa stessa duttilità dello Sh. si deve la complessità d'impressione che ricaviamo dai suoi drammi, sicché non è possibile immaginarvi dietro una particolare impalcatura filosofica, o meglio, è possibile vedervene parecchie. Onde le qualifiche di universale e oggettivo date allo Sh., alle quali egli giunse solo perché possedeva in grado supremo, in un'età che aveva l'istinto del teatro, il genio della teatralità, sia come tecnica dello spettacolo sia come efficace e coerente presentazione dei personaggi. Ché nei drammaturghi dell'epoca manca omogeneità da un capo all'altro d'un dramma: questo sembra scritto per un effetto immediato con mal articolate giunture, su cui un pubblico d'ascoltatori non ha tempo di soffermarsi, trascinato dalla turbinosa urgenza dei fatti. Codesta arbitrarietà e insufficienza di motivazione sono assenti dai grandi drammi di Sh., se pur possono riscontrarsi nelle sue commedie. Solo Sh. sa creare caratteri a tutto tondo: un Marlowe non dà che scorci lirici, potenti, ma da guardarsi appunto soltanto da un determinato angolo; un Ben Jonson, d'altronde, non dà che statue di cera, laboriosamente fuse a forza di studio, che della vita hanno il colore ma non il palpito. Eppure proprio un drammaturgo erudito come Ben Jonson accusò la piena e multiforme vita del teatro shakespeariano di non essere arte. E certo, arte come studio libresco, come scienza di candela, il teatro di Sh. non è, anzi è l'opposto; ma è arte in sommo grado come adeguazione perfetta alla necessità teatrale, come magistrale possesso di un mestiere e di una tecnica; senza voler per questo far di Sh. addirittura una "forza della natura" come piacque ai romantici. Anzi, quel che di incolto, lussureggiante e sfrenato s'attribuisce a una forza naturale è alieno dallo spirito di Sh., di cui sono queste parole, espressive del perfetto equilibrio dell'arte, nell'ammonimento di Amleto agli attori (Hamlet, atto III, scena 2ª): "Trattate tutto con discrezione, perché nel torrente stesso, nella tempesta, e, come dire, nel vortice della vostra passione, voi dovete acquistare e generare una temperanza che dia ad essa morbidezza". Onde l'impressione di assenza di sforzo, di inevitabilità che dànno le grandi tragedie shakespeariane, e l'enorme sfera di mistero che la concretezza della sua arte riesce ad abbracciare, sicché il Goethe poté dire quei drammi "libri aperti del Destino, in cui il vento della commossa vita soffia, e qua e là li sfoglia violento".
Fortuna di Sh. in Italia. - È prova dell'ignoranza italiana dei drammi di Sh. al principio del Settecento l'opera Ambleto di Apostolo Zeno (1705), per la quale lo Zeno è risalito a Saxo Grammaticus, senza avere mai sentito parlare di Sh. Il primo italiano a ricordare Sh. è Antonio Conti di Padova, che fu a Londra tra il 1715 e il 1718 e in una lettera a Iacopo Martelli, stampata col suo proprio dramma Cesare (Faenza 1726), chiama "Sasper" il Corneille degl'Inglesi (come poi dirà il Voltaire) e biasima la sua violazione delle unità in Julius Caesar. Ben diversa familiarità e stima di Sh. mostra Paolo Rolli, che arriva a paragonare Sh. a Dante e ad ascrivere a colpa degli attori quel che si scorge di non sublime o inelegante, o dispiacevole nel teatro shakespeariano; loda soprattutto i drammi storici e nota che il Voltaire non deve mai avere letto la Tempesta e il Macbeth, che egli giudica la migliore tragedia inglese (Osservazioni in risposta al Saggio del Voltaire sulla poesia epica, 1728). Ma la fortuna di Sh. in Italia non comincia realmente che come riflesso dell'interesse per lo Sh. in Francia provocato dalle Lettres philosophiques (1734) del Voltaire: questi notava in Sh. una selvaggia energia priva di gusto, belle scene disseminate in quelle mostruose farse che erano le tragedie, paragonava il genio di Sh. a un lussureggiante albero incolto che sarebbe morto se si fosse tentato di potarlo come gli alberi nel giardino di Marly. Il Voltaire subì l'influsso di Sh. ma quando vide il pubblico prendere gusto all'autore da lui rivelato, e le traduzioni di Letourneur e le adattazioni di Ducis avere successo, si ribellò, e chiamò lo Sh. saltimbanco buffone e selvaggio ubriaco. Sulle opinioni del Voltaire si modellarono in Italia l'Algarotti (che trovava che nella Mort de César il Voltaire aveva "tolto di Sh. quello che di Ennio toglieva Virgilio"), il Quadrio (il cui Della storia e della ragione d'ogni poesia, Milano 1743, è la prima storia letteraria italiana che nomini Sh.), Luigi Riccoboni (che in Francia aveva imparato a detestare la violenza sanguinaria delle tragedie di Sh.), il Denina, il Bettinelli (che del giudizio volteriano di Sh. gran tragico di cattivo gusto fece un curioso epigramma su "Scespir"), il Cesarotti, G.B. Roberti (che nella Commedia scrisse: "Sovra del britanno palco Troppo imperversa la man tinta e lorda Di caldo sangue la crudel Tragedia"), Agostino Paradisi, Francesco Milizia, Aurelio Bertola (che antepone il Maffei allo Sh., come il Cesarotti gli aveva anteposto Antonio Conti), Giovanni Andres. Il Goldoni chiama "Sachespar", "gran poeta e tragico politico", e nei Malcontenti (1754) satireggia il Chiari (Grisologo) quale sciocco imitatore di "Sachespir". L'anglomania, inaugurata anch'essa dal Voltaire, non tardò a reagire favorevolmente nei riguardi di Sh. A Siena, nel 1756, apparve la prima traduzione italiana di un dramma shakespeariano, il Giulio Cesare, dovuta a Domenico Valentini, professore di storia ecclesiastica all'università di Siena. Presto si trovarono in Italia ammiratori di Sh., familiari con le sue opere, a differenza di coloro che echeggiavano i giudizî di Voltaire. Primo tra essi il Baretti, che tra l'altro diceva: "Sh., come l'Ariosto, è uno di quei trascendenti poeti whose genius soars beyond the reach of art", e replicava alla famosa lettera di Voltaire all'Académie Française con il Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire (Londra 1778, trad. in italiano e pubblicato a Milano nel 1820), ove con più entusiasmo che ordine faceva suoi gli argomenti del dottor Johnson e dell'Addison, e precorreva lo Schlegel in un serrato attacco contro le unità drammatiche; poneva i drammi di Sh. al disopra dei capolavori del teatro francese, e affermava non potersi quell'alta e originale poesia tradurre in nessuna delle lingue derivate dal latino, e tanto meno mettere in alessandrini; esponeva gli errori e le goffaggini dei saggi di versione dati dal Voltaire. Anche Alessandro Verri accusava il Voltaire o di non capire l'inglese, o d'aver voluto a bella posta rendere lo Sh. ridicolo; cercava nei suoi tentativi drammatici di mettere a profitto un lungo studio di Omero e di Sh. Lorenzo Pignotti esprimeva il suo entusiasmo nella Tomba di Shakespeare (1779), ripetendo alcuni degli argomenti dell'Essay on the Writings and Genius of Shakespeare (1769) di Mrs. E. Montagu. Ammiratore di Sh. fu anche l'Alfieri, nel cui teatro anche i contemporanei videro caratteristiche shakespeariane (specialmente nel Saul, e nei frammenti dell'Ugolino), sebbene l'Alfieri dichiarasse nella Vita d'avere smesso la lettura di Sh. per non perdere la propria originalità. Tale timore non aveva il Monti, che lesse Sh. nella versione francese del Letourneur, pianse per le sventure di Giulietta e Romeo, raccapricciò per i furori d'Amleto, e tentò d'ormeggiare lo Sh. nei suoi drammi, mostrandosi soprattutto colpito dalle apparizioni di spettri. Verso la fine del secolo si ha il primo tentativo di versione sistematica con Giustina Renier Michiel (Opere drammatiche di Sh., volgarizzate da una cittadina veneta, I, Venezia 1798: il vol. contiene Otello; la traduttrice vi fece seguito con Macbeth e Coriolano; la versione è in prosa). La versione di F. Gritti della modernizzazione dell'Amleto dovuta al Ducis ebbe gran successo a Venezia nel 1774; nel 1779 Romeo e Giulietta mandava il pubblico italiano in visibilio; dai drammi shakespeariani si cavavano opere in musica. Al Foscolo, che classificava Sh. con Dante e Omero tra i genî sovrumani, mandava per un giudizio le sue versioni Michele Leoni; di queste apparve per prima quella del Giulio Cesare che fu favorevolmente recensita nel Giornale Enciclopedico di Firenze, del 1811; lo stesso giornale nel 1814 dava saggi di versioni del Crudeli, del Leoni e di D. Bertolotti. Le Tragedie di Sh. nella versione del Leoni, apparvero a Verona tra il 1819 e il 1822, in 14 volumi. Il teatro shakespeariano fu come una rivelazione per i romantici, quali il Pellico e, più tardi, il Tommaseo, ma in nessuno provocò risonanze profonde come nel Manzoni, per il quale Virgilio e Sh. erano i sommi poeti, anzi Sh. era "grande ed unico poeta". Numerosi sono i passi relativi a Sh. nelle opere manzoniane, specialmente nella Lettre sur l'unité de temps et de lieu, ove contrappone Otello alla Zaire del Voltaire, nei frammenti del saggio Della moralità delle opere tragiche. La scena della morte di Ermengarda nell'Adelchi è tolta dalla famosa scena della morte di Caterina in Henry VIII (atto III, sc. 1ª) già imitata dall'Alfieri (Ugolino), i soliloquî sono modellati su quelli di Sh.; altri influssi si notano nel Carmagnola e forse nei Promessi sposi. Lo Sh. era noto al Manzoni nella versione del Letourneur. L'allusione ironica al Voltaire contenuta nel cap. VII dei Promessi sposi, ove Sh. è chiamato "un barbaro che non era privo d'ingegno", fu creduta detta sul serio dal rev. C. Swan, primo traduttore inglese del romanzo del Manzoni; al che il Manzoni replicò con una lettera ove professa la sua ammirazione per Sh., così potente "nella pittura di tante e tanto varie passioni, nel linguaggio di tanti caratteri e di tante situazioni, così umano e così poetico, così inaspettato e cosl naturale, linguaggio cui non trova se non la natura, nei casi reali, e la poesia nelle sue più alte e profonde inspirazioni". Al tempo delle tragedie del Manzoni e delle versioni del Leoni, l'eminenza di Sh. può considerarsi universalmente riconosciuta in Italia, benché non manchino echi attardati dei giudizî di Voltaire, per es. in Sovra il teatro trogico italiano di G.U. Pagani-Cesa (1825), che provocò una levata di scudi da parte dei romantici ormai devoti a Sh., specialmente nell'Antologia di febbr., marzo, aprile 1826. E nell'Antologia apparvero nel 1830 tre articoli del Mazzini sul Dramma storico, e uno Della fatalità considerata com'elemento drammatico che dovevano avere profonda risonanza nell'opinione degl'Italiani: lo Sh. vi era concepito come il supremo individualista, le sue creature parevano dotate di vita e movimento come se uscissero dalla mano di Dio; Dante, Tacito e Michelangelo soli possedevano il meraviglioso potere di Sh. di delineare un carattere in pochi tratti; ma il genio di Sh. riproduceva un'età passata, non ne proclamava una nuova, egli non era un profeta come Dante. Nel corso sulla "Poesia drammatica" del 1846-47 Francesco De Sanctis tenne dodici lezioni su Sh., che però non poté leggere nell'originale, ma che non per questo ammirò meno: lo Sh. congiungeva a un'immensa realtà un'immensa verità e poesia; quella vita che ad altri appariva disperatamente contraddittoria e che induceva altri ancora a far atto di sottomissione agl'imperscrutabili consigli di Dio, appariva allo Sh. armonica; se nelle tragedie di altri autori il carattere era una direzione straordinaria delle facoltà umane in un momento straordinario della vita, nello Sh. esso era tutta l'educazione e tutta la vita, considerata nei diversi suoi gradi, e dall'uomo, dal semplice uomo comune, si vedeva a poco a poco sorgere l'eroe, ma non sì che anche nell'eroe non restasse la debolezza dell'uomo. A questi ed altri concetti del De Sanctis si ricollega B. Croce, che nel suo saggio sullo Sh. (1919) vede l'essenza dell'ispirazione shakespeariana nel senso dei contrasti nella loro unità vitale.
Il trionfo di Sh. in seguito al movimento romantico culminò intorno al 1830, quando apparvero versioni di G. Niccolini, G. Barbieri, G. Bazzoni e G. Sornani, V. Soncini, I. Valletta. Nel 1839 Carlo Rusconi pubblicava una traduzione in prosa, completa; seguì Giulio Carcano, il cui primo saggio (dal Re Lear) vide la luce nel 1839, e l'opera completa tra il 1875 e il 1882. L'unico tentativo moderno di dare una traduzione in versi di tutta l'opera shakespeariana è quello di Diego Angeli; un'analoga intrapresa di A. Muccioli restò troncata dopo i primi volumi; numerose le buone versioni di singoli drammi, di C. Chiarini, G.S. Gargàno, C. Formichi, A. Cippico, R. Piccoli, G. Celenza (il cui notevolissimo Sogno d'una notte d'estate, 1934, è forse la migliore traduzione che si abbia in Italia d'un dramma di Sh.) e altri. Tra i grandi attori italiani di cui si ricordano famose interpretazioni di personaggi shakespeariani vanno ricordati Ernesto Rossi (il primo a impersonare con successo in Italia la figura d'Amleto), Tommaso Salvini, E. Novelli (Shylock e re Lear), E. Zacconi (Otello), F. Garavaglia, R. Ruggeri (Amleto), A. Moissi (Amleto).
Edizioni. - Degli in-quarto e in-folio si è già parlato sopra. Il primo tentativo di produrre un'edizione critica di Sh. è quello di Nicholas Rowe (1709, voll. 6) che provvide liste dei personaggi e una sistematica divisione in atti e scene. Seguirono le edizioni curate da A. Pope (1723-25), Lewis Theobald (1733) che aveva criticato il Pope nel suo Sh. restored (1726), sir Thomas Hanmer (1743-44), William Warburton (1747), Edward Capell (1767-68) che aggiunse a parte Notes and Various Readings. L'edizione curata da Samuel Johnson (1765, voll. 8) subì una serie di revisioni, le due prime a cura di George Steevens che nel 1766 aveva pubblicato di sugli in-quarto Twenty of the Plays of Sh. Alla seconda revisione (1778) Edmund Malone contribuì col suo primo Attempt to Ascertain the Order in which the Plays of Sh. were Written, cui aggiunse (1780) un supplemento con note, e le poesie e i drammi di dubbia attribuzione. Successive revisioni dell'ediz. del Johnson sono dovute a Isaac Reed. Alcune note del Malone all'ediz. del 1785 condussero a una polemica con lo Steevens, e infine a un'ediz. indipendente curata dal Malone (1790, voll. 10), che lavorò a perfezionarla fino alla morte (1812): così riveduta fu ristampata da James Boswell il giovane nel 1821. (Sono correnti in libreria le denominazioni First e Second Variorum Shakespeare per le ediz. del 1803 e del 1813 di Johnson e Steevens, e di Third Variorum per l'ediz. 1821 del Malone la quale può considerarsi il coronamento della critica shakespeariana settecentesca). Nel 1857 apparve l'ediz. di A. Dyce, e nel 1863-66 (voll. 9) l'ediz. di Cambridge di W.G. Clark, J. Glover, e W. Aldis Wright (riveduta dal Wright, 1891-93) con apparato critico ancora consultato. Una più minuta analisi genetica delle relazioni tra i testi è in parte fornita dalle introduzioni di F.J. Furnivall, P.A. Daniel, ed altri agli Sh. Quarto Facsimiles. L'edizione con testi paralleli di J. Appleton Morgan e altri (edizione Bankside, New York 1886-1906, voll. 22) lascia a desiderare. L'edizione più raccomandabile per il commento è la Arden (1899-1924, voll. 39) a cura di varî sotto la direzione di W.J. Craig prima e di R. H. Case poi. L'edizione New Variorum (1871-1928, 19 drammi pubblicati) a cura di H. H. Furness e del figlio omonimo è sovraccarica di materiale caduco. L'edizione New Shakespeare curata da A. Quiller-Couch e J. Dover Wilson, con storia teatrale di Harold Child (Cambridge 1921 segg., in corso) è raccomandabile per la critica del testo, ma da accettarsi con riserva per la storia del testo. Di edizioni in un volume, usatissima la Globe (1864) a cura di W. G. Clark e W. A. Wright, la cui numerazione dei versi è generalmente adottata. Conveniente anche l'ediz. completa in un volume a cura di A. H. Bullen, Oxford 1934.
Delle versioni italiane, di cui si è già accennato, è soprattutto raccomandabile la serie, a cura di varî, con testo a fronte, commento, e introduzioni critico-estetiche, nella "Biblioteca Sansoniana straniera", Firenze, 11 volumi pubblicati sinora. La versione del Macbeth di A. De Stefani (Torino 1922) è accompagnata da un vasto studio critico-estetico. Nel 1930 (Torino) è uscito il primo degli Studi sugli apocrifi shakespeariani di G. Ramello (The Tragicall Historie of Hamlet Prince of Denmarke), col quale la critica shakespeariana assume vero e proprio carattere filologico anche in Italia. I Poemetti furono tradotti da A. Mabellini (Bologna 1913), i Sonetti da E. Sanfelice (Velletri 1898) e da P. Padulli (Lecco 1924).
Bibl.: L'opera fondamentale su Sh. è il W. Sh., a study of facts and problems di E. K. Chambers, Oxford 1930, voll. 2, corredata da abbondantissime notizie bibliografiche su ogni aspetto dell'argomento, e su ciascuna delle opere. La Vita dello Sh. del Chambers, le cui conclusioni abbiamo in genere seguito in quest'articolo, sostituisce quella compilata da Sidney Lee (Londra 1898; nuova ed., 1925). Se ne può vedere un compendio in Shakespeare: a Survey, dello stesso Chambers (Oxford 1935). Notevole The Essential Sh. di J. Dover Wilson, Cambridge 1932. Utile potrebbe riuscire per gli italiani la Vita compilata da Diego Angeli (Milano 1934), se fosse purgata dai parecchi errori di stampa e da alcune sviste. Di piacevole lettura, Shakespeare as a Dramatist di John Squire, Londra 1935; lo Shakespeare di Louis Gillet, Parigi 1931, e il profilo W. Sh. di C. Formichi, Roma 1928. Ottimi studî generali: A. C. Bradley, Shakespearen Tragedy, Londra 1904; E. Dowden, Shakespeare: A Critical Study of his Mind and Art, ivi 1875; id., Shakespeare, ivi 1877; id., Introduction to Sh., ivi 1893; B. Croce, Sh. e la critica shakespeariana, in La Critica, maggio-luglio 1919; id., Ariosto, Sh. e Corneille, Bari 1920; F. Gundolf, Sh., Sein Wesen und Werk, Berlino 1928. Completamente oltrepassato il W. Sh. di G. Brandes (edizione inglese, Londra 1898); presentano interesse per la personalità degli autori i Characters of Sh.'s Plays di W. Hazlitt, Londra 1817; il Racine et Sh. di Stendhal, 1823; il W. Sh. di V. Hugo; Sh.s Mädchen u. Frauen di H. Heine; A Study of Sh., di A. C. Swinburne, Londra 1880; il W. Sh. di J. Masefield, Londra 1911 (Home University Library); lo Sh. di J. Middleton Murry, Londra 1936. Per la tecnica teatrale v. A. C. Sprague, Sh. and the udience: a Study in the technique of Exposition, Cambridge Mass. 1935.
I vecchi tentativi di completa bibliografia (per es. W. Jaggard, Sh. Bibliography, Londra 1911) e di manuale shakespeariano (per es. quello di F. G. Fleay, del 1876; nuova ediz., 1878) hanno perduto ogni valore. Buona la Shakespeare Bibliography di W. Ebisch e L. L. Schücking, Oxford 1931. Tengono al corrente delle pubblicazioni sullo Sh. lo Sh.-Jahrbuch (Berlino 1865 segg., voll. 71, dal 1924 n. 3), e le bibliografie e riviste citate a: inghilterra: Letteratura. Un buon panorama è quello di GN. Giordano-Orsini, Nuovi orientamenti della filologia shakespeariana, in Civiltà moderna, IV (1932), pp. 503-46; di caratter einformativo sullo stesso tema l'articolo I primi drammi di Sh. dello stesso Giordano-Orsini, in La cultura, IX (1930). Utile guida A Companion to Sh. Studies di H. Granville-Barker e G. B. Harrison, Cambridge 1934. Ottima la History of Shakespearian Criticism di A. Ralli, Londra 1932. Trra gli scritti critici più recenti notevole per indirizzo C. F. E. Spurgeon, Leading Motives inthe Imagery of Sh.'s Tragedies, in Sh. Association, 1930; id., Sh'.s Imagery and What It Tells Us, Cambridge 1935; W. Clemen, Shakespeare Bilder, ihre Entlwicklung und ihre Funktionen im dramatischen Werk, Bonn 1936. Per lo Sh. in Italia: L. Collison-Morley, Sh. in Italy, Stratford-upon-Avon 1916; S. A. Nulli, Sh. in Italia, Milano 1918, e B. Croce, in La Critica, con bibliografia, ristampato in volume, Bari 1925.
Grammatiche, dizionarî, concordanze, ecc.: E.A. Abbott, A Shakespearean Grammar, Londra 1869, e ristampe; W. Franz, Sh.-Grammatik, Heidelberg 1924 (1ª ed., 1900); P. Simpson, Sh. Punctation, Oxford 1911; R. J. Cunliffe, A New Shakespearean Dictionary, Londra 1910; C. T. Onions, A Sh. Glossary, 2ª ed., Oxford 1922; L. Kellner, Sh. Wörterbuch, Lipsia 1922; J. Bartlett, A New and Complete Concordance of the Dramatic Works and Poems of Sh., Londra 1894, e ristampe.
Questione baconiana. - La teoria che Francis Bacon sia in realtà l'autore dei drammi che vanno sotto il nome di Sh. nacque verso la metà del Settecento e cerca di appoggiarsi su supposte prove interne (la cultura, il vocabolario) e su circostanze esterne (il poco risalto che la figura di Sh. ha dai dati biografici che possediamo), nonché su crittogrammi che pretende scoprire nelle opere (per es. nella parola honorificabilitudinitatibus, in Love's Labour's Lost). Tra i sostenitori di questa teoria, che appartiene piuttosto all'occultismo da dilettanti che alla filologia o alla critica, si possono ricordare fra le molte opere: J. P. Wilde (Baron Penzance), Bacon-Sh. controversy, Londra 1902; I. Donnelly, The Great Cryptogram, ivi 1888; E. W. Gallup, Bi-Lateral Cypher, Detroit 1900; G. G. Greenwood, Sh. Problem restated, Londra 1908; E. Durning-Lawrence, Bacon is Sh., ivi 1910; id., The Sh. myth, ivi 1913; un'altra teoria non meno fantastica riterrebbe Lord Oxford e Lord Derby autori dei drammi: cfr. A. Lefranc, Sous le masque de W. Sh., Parigi 1919; J. T. Looney, Sh. identified in E. de Vere, Londra 1920.