CHURCHILL, Winston Leonard Spencer (X, p. 180)
Rovesciato il secondo gabinetto Baldwin alle elezioni del giugno 1929, rimase per un decennio in opposizione solitaria e pertinace.
Conservatore indisciplinato ed eterodosso, tanto meno poteva sperare indulgenza dai leaders nuovi ed antichi quanto più osteggiava la politica indiana del governo laburista, benché perseguita da un viceré appartenente al suo partito, il barone Irwin poi Lord Halifax e suo collaboratore, e quanto più al pacifismo rilassato e al disarmo unilaterale di MacDonald contrapponeva la necessità del disarmo eventualmente collettivo o di far precedere il riarmo dei vincitori al riarmo dei vinti. Troppo erano, d'altronde, recenti le sue invettive contro la Russia sovietica, e il ricordo dei preparativi militari contr'essa al termine della prima Guerra mondiale, e l'elogio, in funzione antibolscevica, da lui tessuto di Mussolini (1927), troppo in questo C. concordava con i conservatori e nel suo militarismo con gl'imperialisti, perché l'avversione comune al cosiddetto "governo nazionale" permettesse un'intesa fra lui e i laburisti. Mentre il governo pareva dipartirsi dai principî della politica britannica, C. volle abbeverarsi alle fonti primigenie della grandezza inglese, riacquistando, e risuscitando in altri, la consapevolezza della storia e l'osservanza della tradizione. Per obbedienza a un dovere domestico e civile, si fece storico e, frugando negli archivî di Blenheim, ripensando in termini di esperienza concreta la vita e l'opera di Marlborough, ne ripropose il problema e le vittorie alla meditazione dei concittadini immemori.
Nessuna delle sue proposte parlamentari era, frattanto, approvata. Vide S. Baldwin rinunziare alla superiorità della RAF sulla Luftwaffe, concludere con Hitler il patto navale, cedere a Mussolini nella questione etiopica, esautorando, e per sempre, la Società delle nazioni. Vide N. Chamberlain disdegnare di concepir la politica estera in funzione di strategia difensiva e abbandonare perciò allo Stato libero d'Irlanda (aprile 1938) e alla sua eventuale neutralità - cioè, in caso di guerra e a guerra dichiarata, ai sommergibili e aerei tedeschi - le basi e gli approcci meridionali dell'Inghilterra, mentre Monaco suggellava poco di poi la perdita definitiva del bastione orientale e la rottura di fatto con l'Unione Sovietica. Questo il tema degli scritti e discorsi di C. nel decennio della sua impotenza politica la quale ancor si aggravò sui primi del dicembre 1936 quando un suo ritorno al governo pareva probabile - prossimo anzi - per il cavalleresco intervento contro l'abdicazione di Edoardo VIII. Stranamente, nella grave crisi costituzionale C. sembra non vedesse che un episodio di politica interna: un pretesto, per Baldwin, a riguadagnare d'un tratto popolarità e autorità.
Monaco gli diede ragione. Disse ai Comuni (5 ottobre 1938) che Monaco non era la fine, ma il principio: l'inizio dell'avventura nazifascista cui un giorno, presto, gli Anglo-francesi non avrebbero potuto rispondere se non con le armi. Quanto più la situazione internazionale s'intorbidiva, tanto più C. parve giustificato e tanto meno la riluttanza di Chamberlain a chiamarlo al governo. Il 3 settembre 1939 tornò all'Ammiragliato. E da lui il paese ebbe la parola d'incitamento e conforto che si attendeva. Luogotenente disciplinato del primo ministro, ma ben più consapevole delle conseguenze, della gravità, all'interno e all'estero, della battaglia intrapresa, mostrò subito di comprendere che alla bisogna, soprattutto perdurando l'isolazionismo statunitense, erano impari le forze delle democrazie belligeranti. Esortò quindi l'Italia alla neutralità e condonò alla Russia il patto con Hitler, la partizione della Polonia, la stessa invasione della Finlandia, pur di sbarrare al nemico la via dell'Est. Cavallerescamerite difese Chamberlain nel dibattito (8 maggio 1940) sulla spedizione in Norvegia che ne provocò la caduta, ma non tacque le insufficienze prossime e remote della preparazione britannica. Il 10, era primo ministro d'un governo di coalizione nazionale. Perché l'unità non poteva farsi che intorno a lui. A lui che ripeteva come Garibaldi: "Io non ho da offrire che sangue, sudore, travagli e lacrime", e nel contempo dettava la parola d'ordine: "Vincere, perché senza vittoria non è vita".
Da quello all'ultimo giorno del conflitto impersonò la patria e diede una voce al sentire di tutti. La sua parola e la sua persona, il cappello, il sorriso e il sigaro e il segno della vittoria e i lazzi mordaci e le battute polemiche e gli epigrammi furono elementi positivi di una politica, strumenti ed armi quando la forza materiale difettava. La forza morale non difettò mai. "Se è necessario, per anni; se è necessario, da soli" (ai Comuni, 4 giugno 1940). Ma quel discorso medesimo all'indomani di Dunkerque già era un appello all'America, e il ragionato invito a non cedere già era, in quell'ora, premessa e certezza della vittoria avvenire. Nell'avere frustrato sin dagli inizî ogni possibilità di "collaborazionismo" e di "ordine nuovo" hitleriano, nell'avere denunziato agli Stati Uniti e alla Russia l'inevitabilità difensiva dell'intervento, nell'aver preveduto ed organizzato il sistematico estendersi del conflitto da anglo-tedesco nella battaglia di Gran Bretagna a mondiale dopo l'aggressione di Pearl Harbour e la dichiarazione di guerra dell'Asse all'America, da Washington derivando frattanto aiuti concreti, e la legge di affitti e prestiti (11 marzo 1941) e la Dichiarazione atlantica (14 agosto) e la mobilitazione delle forze morali, prima e più che delle industrie, stanno il merito e l'importanza storica di Churchill.
Alle capacità del politico indubbiamente conferirono le virtù insigni dell'oratore. Le sue frasi e formule divennero popolari e rimarranno memorabili. Rivoluzione linguistica e validissimo coefficiente di vittoria poiché ne fu temprato l'animo del suo popolo. Plebeo e volgare, pur nella invettiva fierissima, non fu mai: di volta in volta seppe essere, invece, sublime o conversevole, patetico e ironico, pacato e piano e terribile: e lo stesso espertissimo adattamento e uso di citazioni o parole altrui, di Canning e di Longfellow, ad esempio, e di Kipling, valse consapevolmente a inserire quella pubblicistica e quella battaglia nella continuità di una tradizione. Piacquero, infine, il suo coraggio fisico, e la resistenza indomita alla minaccia ripetuta di affezioni polmonari (soprattutto nel dicembre 1943, quando non esitò a farsi somministrare il nuovo farmaco M & B), e il bisogno di vedere e di farsi vedere, fra le rovine delle città bombardate, dopo l'avventuroso volo a Tours il 13 giugno 1940. Quindi la serie infinita di viaggi e conferenze internazionali e ispezioni e visite: l'incontro atlantico, il viaggio agli Stati Uniti e in Canada l'indomani di Pearl Harbour e nei giorni di Tobruch e di Tunisi (gennaio 1942; giugno 1942; maggio-giugno 1943), i due viaggi a Mosca (agosto 1942, contro il secondo fronte; ottobre 1944, per la questione polacca), il convegno di Casablanca (gennaio 1943), dove con Roosevelt escogitò l'infausta formula della "resa incondizionata"; le due conferenze di Quebec (agosto 1943 per l'armistizio con l'Italia; settembre 1944, per la questione polacca), le conferenze tripartite di Teherān (novembre 1943), Jalta e Potsdam (febbraio e luglio 1945); le visite al fronte francese in luglio, al fronte italiano, a Roma e al Papa in agosto, e a Parigi libera l'11 novembre 1944, e il volo ad Atene quel Natale per dirimere sul luogo la crisi greca.
Mentre tutti in Inghilterra amavano l'uomo C., pochi ne amavano, però, la politica. Ed egli ebbe il torto di non accorgersene o di non preoccuparsene, tutto assorto nella sua bisogna di guerra e, nonostante il piano quadriennale preannunziato nel radiodiscorso del 21 marzo 1943, soverchiamente incline a subordinare alla guerra ogni problema di politica internazionale o di cooperazione e ricostruzione postbellica. Se validamente resisté a pressioni di estrema destra (Beaverbrook e i suoi giornali) e a dimostrazioni di estrema sinistra per l'apertura del secondo fronte in Europa nel 1942, se, probabilmente per la collusione russo-americana, il secondo fronte si aprì in Normandia e non in Balcania, C. sperperò nondimeno, per acquiescenza verso l'Unione Sovietica, l'alleanza con i governi esuli di Polonia, di Cecoslovacchia e di Iugoslavia, schiuse alla Russia l'Europa orientale e centrale, benché nel suo primo discorso d'opposizione (ai Comuni, 16 agosto 1945) protestasse poi contro la nuova frontiera polacca sull'Oder e sulla Neisse, non seppe conservare all'Occidente se non la Grecia. All'interno e all'estero, non vide, o mal vide, l'aspetto "politico" della guerra: la rivoluzione che, per una o per altra via, essa portava seco e che lo travolse.
Respinta dai laburisti la sua proposta (18 maggio 1945) di mantener la coalizione governativa fino al termine della guerra contro il Giappone, e dai conservatori il compromesso laburista di elezioni a ottobre 1945, impulsivamente, mentre duravano ancora a Blackpool i lavori del congresso laburista, C. costituì un governo di transizione (23 maggio) e diede inizio alla campagna elettorale col discorso della Gestapo (4 giugno) sull'incompatibilità di laburismo e democrazia. Il verdetto elettorale del 5 luglio fu noto il 26. Malamente rieletto a Woodford, sebbene il partito laburista si fosse astenuto dall'opporgli un candidato proprio, C. rassegnò la sera stessa le dimissioni. Riveste da allora la carica di leader dell'opposizione. E da allora combatte, massime nei discorsi di Fulton e di Zurigo (marzo e settembre 1946), contro la "cortina di ferro" e per l'unità dell'Europa - o, almeno, dell'Europa occidentale. Dal discorso di Fulton originano la cosiddetta "dottrina di Truman" e il piano Marshall; dal discorso di Zurigo il piano Bevin (22 gennaio 1948). Non stupisce perciò che C., per la sua medesima solidarietà con la politica estera laburista, sia ridivenuto il nemico e la mira del comunismo internazionale. Come non stupisce che l'ideatore inconsapevole del piano Beveridge sia l'avversario implacabile della pianificazione e socializzazione laburista. Ma ormai è troppo più grande del suo rango. E il popolo inglese, quanto si allieta di averlo cacciato, quasi a dissipare così ogni velleità o sospetto di autocrazia personale, altrettanto però sente incarnarsi in C., e in lui riverisce, la continuità della propria storia.
Gli scritti d'opposizione: India (Londra 1931); Thoughts and Adventures (1932); Arms and the Covenant (1938; discorsi parlamentari); Step by Step (1939; trad. ital., Milano 1947), nonché gli articoli e ritratti Great contemporaries (2ª ed. accresciuta 1938) e Marlborough (4 voll., 1932-38; rist. in 2 voll. 1947). I discorsi di guerra (compendiati in un vol. War speeches, 1946, e nell'antologica trad. ital., In guerra, 2 voll., Milano 1948); Into Battle (1941); The unrelenting Struggle (1942); The End of the Beginning (1943); onwards to Victory (1944); The Dawn of Liberation (1945); Victory (1946), nonché Secret session Speeches (1946; trad. it., Milano 1947). Un'eccellente raccolta antologica di Maxims and Reflections, Londra 1947. I discorsi di opposizione al governo laburista nel 1945 e nel 1946 raccolti in The sinews of peace (1948) da Colin Coote (Londra 1947). Entro il 1948, cominciarono a uscire le Memorie di guerra (The gathering Storm, Boston-Londra 1948; trad. ital., Milano 1948) che dovrebbero occupare varî volumi.
Bibl.: L'unico saggio degno è A. L. Rowse, Mr. C. and English History, in The English Spirit, Londra 1941, p. 1 segg. Fra le varie biografie cronachistiche, quella di P. Guedalla, Mr. C., Londra 1941, è forse la più elegante; quella di L. Broad, W. C., nuova ed., Londra 1946 la più completa. Veggasi inoltre: Sir G. Arthur, Concerning W. S. C., Londra 1940; R. Sencourt, W. C., Londra 1940; J. Arnavon, C. l'ami de la France, Parigi 1944; L. Lemonnier, W. C., Parigi 1944; G. de Muynck, W. S. C., Parigi-Bruxelles 1944; Sir A. Salter, Personality in Politics, Londra 1947; H. V. Morton, Atlantic meeting, Londra 1943; M. Oxfords, Off the record, 3ª ed., Londra 1944, p. 82 segg.; J. G. Winant, A letter from Grosvenor Square, Londra 1947, p. 20 segg.