REYMONT, Wladystław Stanisław
Scrittore polacco, nato il 7 maggio 1867 nel villaggio Kobiele Wielkie, morto a Varsavia il 5 dicembre 1925. Di origine borghese, passò gli anni d'infanzia in ambiente rurale e in mezzo alla natura, che gli diede le prime e più profonde impressioni. Insofferente del giogo scolastico quanto dell'angustia dei mestieri borghesi, trascorse l'adolescenza in una continua vicenda di tentativi d'assestamento e di fughe, durante le quali fece parte di compagnie di attori girovaghi, e tentò anche la vita monastica. Dopo un ultimo sfortunato esperimento di resistere in un impiego ferroviario, si trasferì definitivamente a Varsavia. Fece poi alcuni viaggi all'estero, in Inghilterra, Francia e Italia. Nel 1894 prese parte a un pellegrinaggio al santuario di Częstochowa e un anno dopo ne pubblicò il diario nel quale, per la prima volta, si affermò come efficace evocatore dei sentimenti della folla.
I romanzi pubblicati tra il 1897 e il 1899 gli procurarono numerosi lettori; ma solo l'indennizzo per un incidente ferroviario occorsogli, riuscì a trarlo dalle ristrettezze materiali. Il romanzo I contadini gli conquistò fama mondiale, consacrata, nel 1924, dal premio Nobel. Nel 1920 fece un viaggio in America. Un omaggio popolare al suo genio gli allietò gli ultimi mesi di vita.
Le tendenze dominanti che plasmarono la vita del R. determinarono anche l'indirizzo della sua arte. Molla centrale della sua ispirazione divenne il fortissimo bisogno d'infrangere gli argini della ristretta esistenza quotidiana che aveva informato la sua gioventù irrequieta; quel bisogno di sentirsi vivere in una molteplicità di vite che lo aveva spinto ripetutamente ad avventurarsi sulle scene, pur non sentendo in sé un vero talento drammatico; infine l'impulso a trascendere, in tutti i sensi, l'orizzonte dell'io. Il suo interesse di osservatore e di narratore è orientato fino dall'inizio, verso le sfere dell'esperienza che esulano dall'ambito ristretto dell'autocoscienza e verso le forme di vita ove prevalgono le forze non soggette all'autonomia e alla volontà del singolo. Già le prime novelle (spesso di esiguo valore artistico, dove la tesi etica si fa violentemente strada attraverso il crudo realismo delle situazioni), come La Cagna, La Morte (1893), vertono sui motivi più elementari dell'essere sullo sfondo dei quali si profila l'idea che l'umanità come valore individuale fatto di coscienza e razionalità non è che un'evanescente apparenza in balia degl'impulsi non ancora, o non più, umani. Mentre correnti contemporanee della letteratura polacca tendono a indagare il problema del subcosciente nelle zone limitari degli stati anormali, il R. andrà ricercando le manifestazioni delle potenze extraindividuali della vita e della psiche nel centro stesso dei problemi fondamentali dell'umanità e della società, nelle forme basilari dell'esistenza, nell'urto di valori collettivi. E mentre il carattere realistico della sua esperienza poetica ricorrerà ai simboli di massima universalità e concretezza, la sua sensibilità eminentemente plastica, informata dall'aspirazione costante alla vastità e all'intensità nell'esperienza, si esprimerà nel carattere comune alle figure e alle situazioni da lui create: le quali sono tutte scolpite in dimensioni più ampie del normale.
Nei due primi romanzi, Komedjantka (La commediante, 1896) e Fermenty (1897), che formano una continuità di narrazione nutrita con dovizie di elementi autobiografici, intorno ai destini della protagonista si svolge un caleidoseopio di figure dove primeggia un'umanità slormata dall'istinto soppresso e degenerato in mania e talvolta in follia. Il romanzo Ziemia obiecana (Terra promessa, 1898) lumeggia un altro aspetto del conflitto tra potenze individuali e potenze totalitarie. Attraverso gli episodî di questo epos della città industriale si svolge il destino dell'io che soccombe all'estrema affermazione di sé stesso. La smisurata volontà di potere dell'individuo si traduce nell'immane simbolo della macchina: e con ciò sbocca nell'impeto della forza cieca, impersonale, che, emancipandosi dal giogo della coscienza che l'ha creata, la soggioga a sua volta e la svuota di ogni intimo possesso vitale. L'argomento letterario si adattava però meglio all'ideologia che al temperamento artistico del R.; a ciò sono dovute le imperfezioni della struttura e l'unilateralità della visione che notiamo nel romanzo. Da questa impostazione del problema, il racconto Sprawiedliwie (È giusto, 1900) ci riconduce a un aspetto più consueto dello stesso tema fondamentale: l'individuo, in urto col volere nella collettività, è fatalmente condannato alla distruzione, in forza di quella giustizia che non è razionale o etica, ma oscura legge elementare della lotta per l'esistenza. L'anima primigenia della collettività, estranea alla società industriale, il R. la ritrova invece nell'ambiente rurale, verso cui sempre più convergono le tendenze della sua arte.
Ma per toccare le ultime scaturigini della potenza elementare della vita e per vagliare i primordiali moventi del suo ritmo inesorabile, l'esperienza poetica del R. dovrà rifarsi al simbolo cosmico. La terra è l'esponente delle eterne leggi del divenire che reggono la vita e informano il palpito subcosciente dell'anima ancora radicata nel suolo materno dell'esistenza cosmica. Sotto questa visuale le passioni, le lotte, le forze positive e negative in ogni individuo acquistano valore universale, e in mezzo agli umili fatti della realtà cotidiana nasce il mito. Così il genio creativo del R. troverà la sua espressione più piena nel romanzo epico Chłopi (I contadini, 1904-09), composizione sinfonica in quattro parti: Autunno, Inverno, Primavera, Estate. La terra è la grande protagonista di questo romanzo; non già nell'oggettività del suo divenire, rispecchiato o narrato dall'osservatore della natura - per quanto anche questo motivo resti continuamente presente come sfondo indisgiungibile dei motivi principali dell'azione - ma come soggetto, come grande psiche, che s'incarna nella vita e nelle passioni delle figure umane che popolano il libro: dalla figura tipica di Mattia Boryna, epicamente rappresentativa nel suo aspetto iniziale, miticamente simbolica in quello finale, ove, scomparsa la coscienza con tutti gli elementi che formavano la sua individualità, non resta che l'impulso perenne del figlio della terra che testimonia l'eterna vita di cui fa parte e compie l'atto supremo della propria vocazione disseminando sé stesso con l'ultimo alito nel grembo imperituro delle sue origini; a quella di Antek, ribelle contro le leggi della comunità e sconvolto dallo squilibrio delle passioni finché il possesso della terra non lo incatena alle tradizioni avite; dalla figura di Hanka, tradita e umiliata e pur trionfante nella sua tenacia come la terra che desidera, cui aderisce con tutte le sue fibre, a quella di Jagusia, l'anima semisveglia che non ancora sa di sé, ma "sente sé stessa intensamente" che, "come la terra" è mossa dal divenire delle stagioni, dalla travolgente necessità dell'istinto che si sublima fino alla religione e si avvilisce fino all'abbiezione, estasiata dalla forza dinamica della musica, elevata e annientata dalla stessa potenza universale della vita che è identica in lei e fuori di lei. E l'aura di mito, di cui tutto è soffuso, si condensa tratto tratto in un'atmosfera religiosa: come un filo continuo in questo complesso tessuto riaffi0ra qua e là la nota sommessa di panpsichismo, che ricorre nelle narrazioni di Rocco, e tinge d'insospettati accenti la religiosità in apparenza tutta esteriore, formale, semipagana che spira nella vita di questa gente per cui i dogmi della fede s'incorporano nei processi della natura; e in quest'atmosfera, accesa dall'ultima profezia di Rocco, albeggia infine la religione della patria.
Un episodico tentativo di penetrazione nelle sfere crepuscolari della vita dello spirito è rappresentato dal romanzo Wampir (1911), dove la narrazione sbocca in una soluzione dettata dall'ideologia fondamentale del R.: nelle individualità psichiche staccate dalla base ingenita della vita complessiva l'aspirazione a trascendere l'io non può condurre se non alla distruzione completa della personalità spirituale.
Del progettato grande epos storico delle guerre per l'indipendenza della Polonia, il R. realizzò solo la prima parte nella trilogia Rok 1794 (L'anno 1794; 1913-18), ritraendo il primo germogliare della futura rigenerazione in mezzo alla disgregazione politica e sociale dell'epoca delle spartizioni.
Il R. ha vissuto profondamente la tragedia della guerra, ma la nota dominante nel ciclo di novelle nato da quest'esperíenza, Za frontem (Dietro il fronte, 1919) è quella del trionfo della potenza di vita nell'anima dell'uomo legato alla terra, che incurante della morte continua la sacra tradizione dell'aratro e protegge il sacro simbolo della fede. Solo di fronte allo sconvolgimento dell'ordine sociale negli anni del dopoguerra si afferma una nota di desolato pessimismo, insolita nel R., informando di un'allegoria poco convincente la "fiaba" Bunt (Ribellione, 1924).
L'ultimo aspetto della creazione artistica del R. si andò orientando verso le forme più lineari della primitiva arte religiosa, accentuando la tendenza a uno spostamento definitivo sul piano del mito.
Ma non viene meno, in questo finale prevalere del momento simbolico, l'ampiezza e la plasticità del gesto narrativo, unita a una straordinaria fedeltà d'osservazione e sorretta da un linguaggio che organicamente s'immedesima con l'ambiente: quell'intimo realismo dello stile reymoniano, che era giunto all'apogeo nei Contadini.
Ediz.: Pisma (Opere), volumi 20 (con uno studio introduttivo di A. Grzymała Siedlecki, Cracovia 1920-25); id., voll. 36, Varsavia 1930-32. Traduzioni in italiano: I contadini, a cura di A. Beniamino, voll. 4, Firenze 1932; È giusto, a cura di E. Lo Gatto, Roma 1925; La morte del oosco (novelle), a cura di J. Gromska, Torino 1931; Terra promessa, a cura di N. Maffezzoli, voll. 2, Milano 1933. Fra le traduzioni in altre lingue, segnaliamo: Die polnischen Bauern, a cura di J. P. d'Ardeschah (J. Kaczkowski), Jena 1912; Les paysans, a cura di Franck L. Schoell, Parigi 1935.
Bibl.: Z. Falkowski, Wł. R., Poznań 1929; K. Bukowski, Wł. St. R., Leopoli 1927; St. Wędkiewicz, "Chłopi" Reymonta w Szwecij (I Cont. di R. in Svezia), in Przeglaąd Współczesny, 1925; L. Kociemski, L. S. R., Roma 1925; E. Lo Gatto, W. S. R., ecc., in Studi di lett. slave, II, Roma 1927.