MOZART, Wolfgang Amadeus
Compositore, nato a Salisburgo il 27 gennaio 1756, morto il 6 dicembre 1791 a Vienna. Il padre Johann Georg Leopold, anch'egli musicista, a parte la sua produzione strumentale e da teatro, che rimase nell'oscurità, si segnalò particolarmente come violinista ed è ricordato per un suo metodo, Versuch einer gründlichen Violinschule (1756), che gli valse notevole fama.
Leopoldo M. cominciò subito ad avviare i suoi figliuoli, Marianna e Volfango, allo studio del clavicembalo e nel 1759, quando Marianna aveva otto anni, per spianarle maggiormente la via, prese per lei un quaderno di carta da musica sul quale si diede a scrivere e trascrivere pezzi facili, soprattutto nella forma allora in voga del Minuetto. Questo quaderno, che è arrivato fino a noi, porta sulla prima pagina la scritta in francese Pour le clavecin. Le livre appartient à Marianne Mozart, 1759, ed è un documento di considerevole importanza per la conoscenza della prima educazione musicale ricevuta dal piccolo Volfango; quando infatti il fanciullo cominciò anch'egli a esercitarsi sul clavicembalo, il padre gli faceva studiare, sulle orme della sorella, i pezzi già notati per lei sul quaderno, dandosi la cura di scrivere, sotto a ciascuno di essi, la data in cui Volfango l'aveva per la prima volta eseguito. La prima data è del quarto anno della vita di M. Ma il ragazzo cominciò ben presto a non essere pago di suonare la musica degli altri e allora si mise a scriverne egli stesso. I suoi primi saggi di composizione vennero accuratamente trascritti dal padre nello storico quaderno del 1759. Così sappiamo che nel gennaio 1762 scrisse il suo primo minuetto. Dello stesso anno è una composizione più importante, un Allegro in si bem. che è un vero primo tempo di sonata in miniatura, con due temi, una parte centrale di sviluppo e una ripresa.
1762-1772. - Il 1762 è una data storica per la vita artistica di Volfango, perché segna l'inizio dei suoi viaggi musicali. Leopoldo M. se, da un lato, era un valente musicista, non tardò, dall'altro, a rivelare il bernoccolo dell'impresario. Il piccolo Volfango era dotato di facoltà musicali prodigiose e Leopoldo non si lasciò sfuggire l'occasione di condurlo in giro, insieme con la sorella, per farlo conoscere e ammirare. Le vicende di questi primi viaggi musicali ci sono comunicate dalla corrispondenza di Leopoldo M. con un suo vicino di casa di Salisburgo, lo speziale Hagenauer, che gli aveva prestato il denaro per la bisogna. La prima lettera data da Linz, il 3 ottobre 1762, e apprendiamo che il fanciullo fu presentato all'arcivescovo di Passau. Dopo si avviarono alla volta di Vienna e a Ips, dove sostarono in un convento di francescani; il piccolo Wolferl, come lo chiamavano per vezzo, suscitò l'universale meraviglia mettendosi a suonare l'organo, al quale si era arrampicato mentre i frati erano intenti a dire messa. A Vienna cominciò a far rimanere a bocca aperta quei doganieri eseguendo, in loro presenza, un minuetto sul suo piccolo violino. E fu tanta l'ammirazione suscitata a corte, dove suonò alla presenza delle maestà imperiali, che "se ne riferissi i particolari", scrive Leopoldo, "il mio racconto farebbe l'impressione d'una favola".
Questo primo viaggio aveva avuto un successo troppo lusinghiero perché l'accorto Leopoldo non pensasse di attuarne un altro, l'anno appresso; l'itinerario più lungo doveva comprendere fermate a Monaco, Augusta, Ulma, Mannheim, Francoforte, Colonia, Bruxelles, Parigi. Il piccolo Wolferl aveva fatto nuovi progressi, s'era approfondito anche nel violino e il 13 luglio 1763 era in condizioni di suonare un concerto alla presenza dell'elettore di Baviera. A Heidelberg improvvisò sull'organo e tanta ne fu l'impressione che il ricordo dell'avvenimento fu fermato con una lapide. Ma gli spiriti che animavano Leopoldo M., nei riguardi del suo eccezionale figliuolo, non erano certo quelli dell'arte; di fronte allo spettacolo commovente del prodigioso fanciullo che ogni giorno il demone della musica faceva vieppiù sua preda, il padre non faceva che studiare tutti i modi di trarne vantaggio materiale, presentandolo come un autentico fenomeno di curiosità.
Basterà, uno per tutti, il singolare documento che fu il manifesto preparato dallo stesso Leopoldo nel dare l'annuncio d'un concerto a Francoforte (30 agosto 1763) "...Prenderanno parte al concerto la fanciulla (Marianna) che è nel suo dodicesimo anno e il bambino che non ne ha ancora sette. Tutt'e due suoneranno concerti sul clavicembalo e sul pianoforte; la fanciulla è già in grado di suonare i pezzi più difficili dei più grandi maestri; inoltre il bambino eseguirà un concerto sul violino, accompagnerà le sinfonie al pianoforte, si coprirà con un panno la tastiera del pianoforte e al di sopra di esso il bambino saprà suonare perfettamente né più né meno come s'egli avesse i tasti dinnanzi agli occhi e saprà riconoscere a distanza, senza il minimo errore, tutti i suoni che si vorranno produrre, soli o accordi, su qualunque strumento si voglia. Infine egli improvviserà liberamente (per qualsiasi durata di tempo e in tutte le tonalità che gli verranno proposte, anche le più difficili) non solo sul pianoforte, ma anche sull'organo, mostrando come egli sia in grado di comprendere il modo in cui si suona l'organo che è affatto differente dal modo di suonare il pianoforte.
Intanto, durante questo secondo saggio, le conoscenze musicali di Volfango hanno agio di aumentare; ad Augusta conobbe le Arie per organo e clavicembalo dell'italiano Paganelli e subito ne risentì l'efficacia, quando, nell'ottobre seguente, a Bruxelles, compose la sua prima Sonata per clavicembalo. A Stoccarda sente il violinista italiano Pietro Nardini e nel castello di Schwetzingen assiste a una esecuzione dell'orchestra di Mannheim. Alla composizione d'una prima Sonata per clavicembalo segue subito quella di altre e in una lettera del 1° febbraio 1764 da Versailles, Leopoldo M. poteva annunziare con orgoglio che compositori allora in voga, tra cui J. Schobert e J. G. Eckard, avevano offerto le loro sonate in omaggio ai suoi figliuoli e che quattro sonate di Volfango erano in corso di stampa. Quando i M. giunsero la prima volta a Parigi, nel 1764, il gusto musicale francese era sulla via d'un notevole cambiamento. Il Lulli e J.-Ph. Rameau volgevano al tramonto sul firmamento dell'opera francese, dove cominciavano a splendere i nuovi bagliori suscitati dall'opera buffa italiana. Era allora in voga Egidio Romualdo Duni di scuola napoletana; A. Philidor e P.-A. Monsigny cominciavano a mietere allori. E. R. Duni fu tra i primi musicisti avvicinati dal M., a Parigi, e il suo nome sarà tra quelli che il padre raccomanderà a Volfango di tenere presente quando, nel 1777, tornerà a Parigi per la seconda volta. Viva simpatia per i M. mostrò il barone M. Grimm, che li introdusse a Versailles e li avvicinò a personalità quali Diderot, d'Alembert, Helvétius; in seguito, come risulta dal taccuino di Leopoldo, s'incontrarono anche con il violinista P. Gaviniès e con Hochbrucker, arpista presso il principe di Rohan.
Dopo un soggiorno di sei mesi a Parigi, Leopoldo M. e i figli passarono in Inghilterra, dove sostarono per più di un anno e precisamente dal 20 aprile 1764 al 1° agosto 1765. A Londra i successi non furono inferiori che altrove; ricevuto a corte, Volfango suonò musiche di Bach e di Händel, accompagnò al clavicembalo la regina che cantò un'aria e suscitò la viva ammirazione di J. Christian Bach. "Tutto ciò che il piccolo faceva a Salisburgo è nulla in confronto dei prodigi compiuti a Parigi e a Londra", scrive con orgoglio Leopoldo M. In questo periodo Volfango compose la sua prima Sinfonia, un po' sulle tracce di quel J. Christian Bach che doveva essere il suo primo modello anche nella composizione di Concerti. In generale, durante quell'anno londinese, l'esperienza musicale del fanciullo ebbe agio di arricchirsi da ogni lato: Händel era morto da soli cinque anni e l'ambiente era ancora saturo della sua musica; durante la quaresima del 1765 ben cinque furono gli oratorî händeliani che il piccolo M. ebbe agio di sentire al Covent Garden: Iudas Maccabaeus, Alexander's feast, Samson, Israel in Egypt, Messiah. Per altro la nuova atmosfera musicale era riscaldata dal sole italiano; di stile italiano si poteva considerare la musica di J. Chr. Bach ed erano in voga autori italiani per clavicembalo, quali G. B. Pescetti, P. D. Paradisi, M. Vento. Infine a Londra, nel 1765, M. affinò la sua conoscenza di strumenti, quali il clarinetto, per il quale doveva dimostrare in seguito un suo gusto particolare, e il pianoforte di cui il noto costruttore Burckard Tschudi gli fece provare per la prima volta, in pubblico, un finissimo e moderno esemplare; né mancò di scaltrirsi nella tecnica del canto grazie ai contatti col sopranista italiano G. Manzuoli.
L'anno seguente la famiglia M. prendeva la volta per l'Olanda di dove, dopo una lunga sosta a Lilla, per una grave malattia di Volfango, fece ritorno a Salisburgo per Parigi, la Svizzera e la Baviera. Erano stati tre anni di viaggio che furono determinanti per lo sviluppo musicale del piccolo M., divenuto ormai un omino: aveva arricchita l'immaginazione di nuove esperienze e aveva scritto non poca musica, tra cui le prime Sinfonie, in si bem. e in re (rispettivamente la seconda e la quarta delle Opere complete, n. 17 e n. 19 del catalogo Köchel) e alcune Sonate per clavicembalo. Ritornato alla calma della città natia, seguì un periodo di studio e di raccoglimento per Volfango, che di tanto in tanto faceva delle corse a Vienna, tenendosi a contatto con la corte. Tra le opere venute fuori in questo periodo vanno ricordate l'oratorio Die Schuldigkeit des ersten Gebotes ("L'obbligo del primo comandamento"), scritto per commissione dell'arcivescovo di Salisburgo, eseguito nel maggio del 1767, le opere Apollo et Hyacinthus (1767), il Liederspiel: Bastien und Bastienne (1768) e La finta semplice, dello stesso anno, scritta per invito dell'imperatore. Inizia anche le sue fatiche nel campo della musica sacra con la composizione di una Messa (n. 49 del catalogo Kochel), che venne accolta con grande favore.
La serie dei viaggi di M. non si poteva concludere lasciando fuori l'Italia. Vi si recò una prima volta nel 1768 e vi ritornò. Le città da lui visitate furono Verona, Mantova, Milano, Parma, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e l'accoglienza che vi ebbe non fu meno trionfale che altrove. Ricominciano gli episodî di bravura e di entusiasmo e sono tanti che a enumerarli non si finirebbe. Basti ricordare che a Roma, avendo ascoltato nella Cappella Sistina il Miserere di G. Allegri, ne trascrisse a memoria la partitura e dal papa Clemente XIV venne insignito della Croce dello Speron d'oro. A Bologna conobbe il padre G. B. Martini, il quale si prese per lui di sì viva simpatia e ammirazione, che, a facilitargli la nomina d'accademico filarmonico, fece per lui il lavoro di contrappunto richiesto dal regolamento d'esame, in quello stile rigoroso della pura polifonia liturgica di cui M., per l'educazione ricevuta e per l'ambiente musicale in cui era vissuto, non poteva essere esperto. A Milano s'incontrò con G. B. Sammartini e con N. Piccinni e in assai breve tempo scrisse l'opera Mitridate re del Ponto, rappresentata il 26 dicembre del 1770. A Napoli assistette a una rappresentazione dell'Armida abbandonata di Niccolò Jommelli. Lasciata l'Italia nel 1771, vi ritornò nello stesso anno per comporre e farvi eseguire l'Ascanio in Alba, su poesia di G. Parini, e nel novembre del 1772 per la rappresentazione del Lucio Silla, su libretto di Giovanni da Gamerra. Intanto veniva a morte l'arcivescovo di Salisburgo, Sigismondo di Schrattenbach, che amava e aveva protetto M., al contrario di quel che fece poi il suo successore, il tirannico, duro e grossolano Geronimo di Colloredo.
Alla data del Lucio Silla, nel 1772, M. aveva già dato alla luce 135 lavori musicali d'ogni genere; una quantità sbalorditiva e più che mai promettente per qualità. È ancora da venire il periodo delle grandi affermazioni, ma già si delinea l'ambiente spirituale in cui il genio mozartiano sta per orientarsi.
1773-1781. - Ritornato a Salisburgo, M. va incontro a una vita di amarezze e malinconie. Molto, certo, conferisce a rendergli la vita tetra l'incomprensione del Colloredo, che nei M., padre e figlio, non seppe vedere altro che due servi. D'altro canto Volfango, tenuto avvinto al ferreo giogo del principe arcivescovo, si diede a un lavoro continuo, senza riposo e trasse notevoli vantaggi dall'efficacia che su di lui non mancò di esercitare Michel Haydn, allora compositore e maestro dei concerti del principe arcivescovo. Nelle opere strumentali e particolarmente nei quartetti composti in quel tempo da M. si rivelano tracce dei contatti musicali avuti col fratello di J. Haydn. Tuttavia il gusto musicale della corte salisburghese tendeva, per le inclinazioni del nuovo principe arcivescovo, verso la fatuità e la galanteria e in questo senso si doveva orientare la produzione mozartiana di questo periodo: La finta giardiniera, composta e fatta rappresentare durante un breve soggiorno a Monaco di Baviera tra il dicembre 1774 e il marzo 1775, è un'operina buffa, all'italiana, ma piuttosto leggiera e convenzionale. Seguì Il Re pastore, rappresentato a Salisburgo nel 1776, che, nel repertorio mozartiano, è altra opera d'interesse affatto secondario. Ma troppo grave riusciva per M. il giogo del Colloredo né, d'altra parte, la sua attività di maestro di concerti era retribuita in misura conveniente; rinunciò quindi provvisoriamente all'impiego e riuscì a ottenere licenza di andare a cercar fortuna altrove. E prese la via di Parigi, questa volta in compagnia della madre; era il settembre del 1777. Una fermata a Mannheim, durata fino al marzo del 1778, dovette riuscirgli molto utile, perché ebbe agio di ascoltare l'orchestra di quella città stringendo anche legami di amicizia con C. Cannabich, che la dirigeva, ed era uno dei migliori allievi di J. Stamitz. Tra le varie relazioni che contrasse, quella con la famiglia Weber doveva essere fra le più importanti, per il suo avvenire. Fridolin Weber, benché congiunto del futuro autore del Freischütz, era un'assai modesta persona che, nel teatro di Mannheim, attendeva al compito di suggeritore e copista. Aveva quattro figliuole, Josepha, Aloysia, Costanza e Sophie; d'una di esse, Aloysia, che cantava ed era chiamata a brillante avvenire, Volfango si prende d'amore. Ma l'idillio, appena all'inizio, viene bruscamente troncato per volere di Leopoldo che, pure da lontano, non mancava di svolgere un'assidua assistenza epistolare alle azioni del figliuolo. A Parigi, dove si reca senz'altro, M. trova un'accoglienza tutt'altro che incoraggiante; anche il Grimm non è più quello di quindici anni addietro. Era il tempo della lotta fra gluckisti e piccinnisti e l'attenzione musicale della capitale francese ne era tutta assorbita. La presenza di M. è poco notata; non riesce quindi ad avere alcun incarico notevole, poiché è poco rilevante quello ch'ebbe di comporre un balletto, Les petits riens. Gl'impresarî di teatro lo scoraggiano, il bisogno di denaro lo assilla; la madre si ammala di tifo e muore. Unico avvenimento d'arte veramente notevole, durante questo scolorito soggiorno parigino, fu la composizione della Sinfonia in re, detta appunto la Parigina, eseguita ai Concerts spirituels. Intanto il padre, visto che le cose non vanno bene, lo esorta a ritornare a Salisburgo per rientrare al servizio dell'arcivescovo. Benché a malincuore, M. cede; e passa per Mannheim durante la via del ritorno. Si ricorda degli amici Weber, gli sorride alla memoria, forse, l'idillio d'un giorno, ma la casa è vuota. Aloysia ha fatto fortuna ed è diventata una celebre cantatrice; la ritrova a Monaco, ma non più quella di una volta: poco si ricorda di lui, o per lo meno finge, e non lo prende sul serio.
Ed eccolo nuovamente, nel 1779, Konzertmeister e organista del terribile Colloredo in quella natia Salisburgo che non gli offre più né emozioni né interesse e ch'egli non disdegna di chiamare Bettelort, come a dire luogo di pezzenti. Capitata a Salisburgo la compagnia teatrale dell'attore E. Schikaneder, scrisse cori a intermezzi per il Thamos, König in Ägypten, che vi fu rappresentato in quell'anno. Ma una buona occasione gli viene da parte dell'elettore di Baviera, con l'incarico di scrivere un'opera da rappresentarsi a Monaco durante le feste del carnevale 1781. Questa fu l'Idomeneo re di Creta, su libretto dell'abate Varesco, alla quale non mancò un buon successo. Ma il trattamento del Colloredo è diventato insopportabile. M. insorge e questa volta la rottura è definitiva. Tiene duro anche contro il volere del padre che, battezzatolo genio, ora che è divenuto maturo vorrebbe dargli il crisma di servo. Abbandona Salisburgo e prende la volta di Vienna.
1781-1791. - È il decennio dei capolavori, in cui s'è formato ed è venuto alla luce il vero M. Ma anche è un periodo triste, per la sua vita che già volge al tramonto. Incontrati i Weber a Vienna nel 1782, perduta per sempre Aloysia che è andata moglie a un attore di second'ordine, sposa la sorella di lei, Costanza. Durante il periodo del fidanzamento scrisse l'opera Die Entführung aus dem Serail (Il ratto del serraglio) che si può considerare come un primo tentativo di dramma lirico tedesco, così distante dall'opera italiana come dalla concezione drammatica del Gluck. Nei quattro anni seguenti si dedicò alla composizione di pura musica strumentale. Scrisse, fra l'altro, alcuni dei suoi migliori quartetti. Egli stesso dichiarò di aver imparato da Giuseppe Haydn come si faceva un quartetto e a lui dedicò, infatti, la raccolta dei sei quartetti pubblicati nel 1785: I in Sol (Köchel, n. 387), compiuto a Vienna il 31 dicembre 1782; II e III in re min. e in mi bem. (Köchel, nn. 421 e 428) composti nel 1783; IV in si bem. (Köchel, n. 458) nel 1784; V e VI (Köchel, nn. 464 e 465) compiuti nel 1785. Tuttavia egli non cessava di pensare al teatro e invano andò in cerca d'un libretto di suo genio: "Ho esaminato più di cento libretti e scrive nel 1783 "e neppure uno ne ho trovato di cui potere essere soddisfatto". Nel 1786 scrisse un'opericciuola di poco conto, Der Schauspieldirektor, rappresentata a Schönbrunn; qualche mese dopo aveva già pronto Le nozze di Figaro, una delle sue opere più importanti e significative. L'italiano Lorenzo da Ponte, poeta ufficiale del Teatro di Vienna, che aveva elaborato in forma di libretto per musica la nota commedia del Beaumarchais, lo incoraggiò ad affrontare il non facile cimento e di questo suo merito si gloriò apertamente nelle sue Memorie ("La mia sola perseveranza e fermezza furono quelle in gran parte a cui deve l'Europa e il mondo tutte le squisite vocali composizioni di questo ammirabile genio"). Il lavoro del Da Ponte non fu, come accadeva e accade di solito per il libretto d'opera, una riduzione affrettata e approssimativa che dell'originale finisce con serbare soltanto il titolo, ma una vera opera d'arte nella quale, se avvennero variazioni e mutamenti, le linee principali e il carattere fondamentale rimasero inalterati. L'opera del Da Ponte, pure rimanendo nell'ambito della visione scenica del Metastasio, riuscì a offrire al temperamento mozartiano la possibilità di espandersi liberamente. La rappresentazione delle Nozze di Figaro, prima a Vienna e poi a Praga, costituì un vero trionfo per M., che tuttavia non riuscì a trarne notevoli vantaggi economici. Anzi ne furono acuiti l'animosità e lo spirito d'intrigo degl'invidiosi che cercavano in tutti i modi di danneggiarlo; A. Salieri, senza dubbio, fu di costoro. Ma il Bondini, direttore del Teatro di Praga, che ne aveva vagliato i meriti, gli diede senz'altro l'incarico di scrivere un'opera per la stagione seguente: il Don Giovanni che l'abate Lorenzo da Ponte trasse, in parte, dal Don Giovanni ossia Il Convitato di pietra di Giovanni Bertati, rappresentato in Italia nel 1787, e in parte rifacendosi allo scenario di I. Cicognini e a versioni popolari della nota commedia, quali Il convitato di pietra, opera famosissima ed esemplare (Bologna 1732) e Il Convitato di pietra, rappresentazione teatrale stampata a norma dell'originale (Padova 1780). È un Don Giovanni italiano, insomma, imbevuto di elementi ambientali e contemporanei. Il Da Ponte l'anima d'un senso autobiografico, d'uno spirito che quasi fa pensare a un Casanova da libretto d'opera: una commedia frantumata, episodica, ma originale e tipica, d'una varietà che ha del disordine, ma che si equilibra e armonizza nella figura del protagonista. Il buffo s'innesta al drammatico, il cavalleresco al fantastico. Ma la commedia acquista la sua reale vitalità soltanto attraverso la musica del M.; squilibri e disuguaglianze sono temperate e livellate nell'armonia dell'architettura musicale e, a differenza delle Nozze di Figaro in cui la commedia quasi affoga nella musica, personaggi e azione risaltano in una plastica cui la musica dà un'evidenza nuova. M. coglie rapidamente quello che di drammatico è nella vicenda e lo scolpisce con un vigore di stile e una profondità d'accenti che sembrano annunziare il mondo romantico e tuttavia la commedia, attorno, non impallidisce e non stride. La musica aderisce all'azione in tal modo, che sembra crearla e determinarla; e il pezzo di musica, a solo o d'insieme, aria, duetto o quartetto, pure svolgendosi secondo la logica di una sua armonia intrinseca, aderisce perfettamente alla realtà scenica in cui s'incarna il dramma. M. iniziò la composizione del Don Giovanni l'aprile del 1787, per finirla soltanto alla vigilia della prova generale, il 28 ottobre. L'opera ebbe, a Praga, un'accoglienza magnifica. Tornato a Vienna, M. fu nominato Kammermusikus dell'imperatore, al posto del Gluck, morto il 15 novembre di quell'anno. Don Giovanni fu rappresentato nella capitale austriaca il 7 maggio 1788, ma vi ebbe un'accoglienza tiepida. L'amministrazione del Teatro imperiale aveva acconsentito di mala voglia a mettere l'opera in scena e nell'ambiente ostile erano stati rimestati vecchi rancori. Gli muore il padre, nel 1789; Costanza, da cui aveva avuto già un figliuolo, era di salute malferma; la famigliola di M. conduceva vita grama e aveva bisogno d'assistenza. Così, un po' per il bisogno, nella speranza di trovare vantaggio, un po' perché l'amore per i viaggi era stato sempre vivo in lui, M. si decide a lasciare Vienna, per seguire il principe Lichnowsky in un giro attraverso la Germania, a Dresda, Lipsia e Berlino. Il re Federico Guglielmo II lo prende in seria considerazione e gli fa proposte lusinghiere, ma M. non si adatta a dimenticare il suo imperatore; se ne ritorna quindi a Vienna dove Giuseppe II, forse anche per gratitudine, gli dà subito l'incarico di scrivere una nuova opera, Così fan tutte, ossia La Scuola degli amanti, anch'essa su libretto del Da Ponte. Questa riuscì di scarso gradimento e le rappresentazioni (la prima: gennaio 1790) furono interrotte per la morte di Giuseppe II. Il nuovo imperatore Leopoldo II non doveva mostrare, per la musica, l'interesse del suo predecessore; tuttavia la sua incoronazione a Francoforte diede occasione a M. d'intraprendere un nuovo giro di concerti. Le cose non andarono bene e M. non trovò altro di meglio che accettare le proposte dello Schikaneder. Questi, messosi a fare l'impresario d'opera del teatro Auf der Wieden, andava di male in peggio. Alla vigilia della rovina aveva concentrato le poche speranze in una sua commedia fantastica, tratta da un racconto di Ch. M. Wieland, alla quale occorreva la musica. M. era il musicista che faceva al fatto suo e per adescarlo gli fa balenare l'idea di scrivere un'opera di puro carattere tedesco. Era un miraggio e M. ne fu abbagliato. Cominciata nell'aprile 1791, la composizione del Flauto Magico era terminata per il 30 settembre di quell'anno, quando venne rappresentato con successo discreto. Intanto Costanza, che era a Baden per fare la cura dei bagni, il 26 luglio 1791 dava alla luce il secondo figlio di M., Francesco Saverio Volfango. Nello stesso mese M. iniziava la composizione del Requiem e a mezzo agosto, in soli dodici giorni, scriveva un'altra opera, La Clemenza di Tito, su libretto del Metastasio, richiestagli per le feste che dovevano avere luogo a Praga, per l'incoronazione di Leopoldo II re di Boemia.
La dolorosa coincidenza della composizione del Requiem, neppure terminato, con la morte di M. avvenuta prematuramente il 6 dicembre 1791, scaldò la fantasia di qualche biografo e precisamente del Niemtschek, che mise in giro una strana e misteriosa storia.
Un giorno M. vide presentarglisi uno sconosciuto che gli chiese se fosse disposto a musicare una Messa di requiem. Datagli risposta favorevole, M. si mise subito al lavoro, ma dovette interromperlo per l'urgenza dei nuovi impegni di Praga. Al momento di partire per quella città, alla vigilia dell'incoronazione di Leopoldo II, lo strano individuo, avvolto in un cupo mantello, gli sarebbe apparso di nuovo per chiedergli a che punto fosse con il Requiem. Ritornato da Praga, M. fu colpito dalla grave malattia che non doveva dargli più tregua fino al giorno della sua morte e la tetra figura dell'ignoto sollecitatore del Requiem rimase impressa, su questo sfondo di dolore, quasi come un'apparizione del destino sorta ad annunzio della prossima fine, con la simbolica e insistente richiesta d'una Messa funebre. Ma non c'è voluto molto per spogliare il racconto divulgato dal Niemtschek del suo misterioso colore romantico e ridurlo nei giusti limiti della realtà; poiché il cupo messaggiero altri non era che un servo del conte Francesco von Walsegg, un fanatico di musica, il quale all'amore per l'arte univa anche una smisurata vanità e si compiaceva di far passare per sue le composizioni musicali che espressamente faceva scrivere da reputati maestri.
Anche sulla morte di M. si divagò con versioni fantastiche e strampalate; si parlò persino di avvelenamento, attribuendone la colpa al Salieri. Georg Nicolaus von Nissen (1761-1826), che sposò la vedova di M. nel 1809 e fu l'autore della sua prima biografia, assicura che la morte del grande musicista fu dovuta a un'infezione biliare. A. Schurig attribuisce, più verosimilmente, il precoce declinare della salute di M. alle opprimenti fatiche a cui fu soggetto nella tenera età, specialmente dal 1762 al 1773 e all'alimentazione insufficiente e irregolare dai trent'anni in poi. I resti mortali dell'autore del Don Giovanni, sepolti nel cimitero di S. Marco a Vienna, non furono ritrovati.
La produzione musicale di M. fu di una quantità veramente prodigiosa, specialmente se la si confronta con il breve tempo dell'esistenza del maestro: soli 35 anni. Il catalogo delle sue opere, compilato da Ludwig von Köchel, nel 1862 (Chronologisch-thematisches Verzeichnis sämmtlicher Werke W. A. Mozarts) elenca 626 composizioni, numero che Charles Malherbe fece salire a 654 aggiungendo i lavori rimasti incompiuti (Courrier musical, 15 gennaio 1906).
Tutte le forme d'ogni genere interessarono l'inesauribile facoltà inventiva di M.: in ogni campo la sua fantasia mieteva con abbondanza: in quello della musica vocale sacra e profana (Messe, Litanie, Vespri, Dixit, Magnificat e numerose altre piccole composizioni per canto e orchestra, 3 Cantate, 2 Oratorî, 46 Arie e recitativi, Duetti, Terzetti e Quartetti con accompagnamento d'orchestra, 37 Lieder a una o più voci, 21 Canoni); in quello della musica teatrale (21 opere: Die Schuldigkeit des ersten Gebotes, 1767; Apollo et Hyacinthus, 1767; Bastien et Bastienne, 1768; La finta semplice, 1768; Mitridate, 1770-71; Ascanio in Alba, 1771; Il sogno di Scipione, 1772; Lucio Silla, 1772; La finta giardiniera, 1774-75; Il re pastore, 1775; Zaide, 1779; Cori e intermezzi a Thamos König in Ägypten, 1779; Idomeneo, 1780-81; musica di ballo per Idomeneo, 1780-81; Die Entführung aus dem Serail, 1782; Der Schauspieldirektor, 1786; Le nozze di Figaro, 1786; Don Giovanni, 1787; Così fan tutte, 1790; Die Zauberflöte, 1791; La clemenza di Tito, 1791. Né meno fecondo fu nel produrre musica strumentale sinfonica e da camera: (49 Sinfonie, 12 Serenate per strumenti ad arco e a fiato, 2 Cassazioni, e 17 Divertimenti per archi e fiati; Marce e Danze per orchestra; 25 Concerti per pianoforte e orchestra, uno per 2 pianoforti e un altro per 3; 5 Concerti per violino e orchestra, un Concertone per due violini, una Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra, altri concerti per fagotto, per flauto, per corno, per clarinetto, per flauto e arpa. Musica strumentale da camera: 23 quartetti per 2 violini viola e violoncello: 8 quintetti per 2 violini, 2 viole e violoncello; 2 quartetti col pianoforte; 7 trii per pianoforte, violino e violoncello; un quintetto per pianoforte, oboe, clarinetto, corno e fagotto; 17 Sonate per pianoforte, 3 Fantasie, 5 Sonate per pianoforte a quattro mani, Variazioni e numerosi pezzi per pianoforte, 13 Sonate per strumenti ad arco e organo, molti pezzi per complessi e strumenti non comuni: una Sonata per fagotto e violoncello, un Adagio per due corni di bassetto e fagotto, un Adagio per due pianoforti e tre corni di bassetto, una Fantasia e un Andante per organetto a mano, ecc.).
È una quantità enorme di musica, che già in sé stessa costituisce un problema per l'intelligenza e l'interpretazione della personalità mozartiana; ché la difficoltà di approfondire ed esaurire la conoscenza di tanta produzione riesce d'ostacolo alla distinzione definitiva di ciò che nella musica di M. è puramente artistico da ciò che è virtuosismo pratico. M. vive tutto in musica. Egli stesso si riconosce e definisce con precisione in una lettera da Mannheim del 1877: "Io non so scrivere poeticamente, perché non sono un poeta. Non so dare luci e ombre ai miei modi di dire, perché non sono pittore. Non so esprimere la mia sensibilità e i miei pensieri con segni e gesti, perché non sono un mimo. Non so esprimermi che soltanto attraverso suoni perché sono un musicista". La musica è il suo linguaggio d'ogni momento; è linguaggio di poesia, ma è anche linguaggio comune e ordinario. La musica è il suo continuo modo di essere, è la realtà abituale della sua esistenza. Ora questa realtà s'illumina del raggio della creazione poetica nelle forme rare d'una potente affermazione lirica, ed è il capolavoro: un Quartetto del 1782 o del 1785, il beethoveniano Quintetto in Do magg. del 1787, una Sinfonia del 1788, il Concerto per piano in re min., l'Ouverture delle Nozze di Figaro o del Flauto magico, il Don Giovanni; ora essa si esprime sommariamente in gesti vocali e strumentali, ed è comunicazione d'un parlare piano e senza voli forma sonora d'un linguaggio pratico: la massa della produzione mozartiana, semplice, fluida, continua. A volte è poesia e a volte prosa. Non altrimenti si può intendere la non comune capacità musicale di M., che pare un prodigio perché inspiegabile, e lascia perplessa la critica dinnanzi alla difficoltà di conciliare la diversità di prospettiva fra tante cime di così differente altezza e allo spettacolo edificante d'una comunicativa musicale sovrabbondante. E si spiega anche la precocità del fanciullo, la quale è un naturale orientamento della sua conoscenza e comincia a balbettare con la musica come comunemente avviene con il discorso parlato. Sono come due M.: il prosatore e il poeta, spirito pratico e spirito contemplativo: l'uomo comune che riduce l'acquisita esperienza della forma musicale a meccanico strumento di produzione, e il poeta che sorge dal volgersi dell'esercizio alla grazia liberatrice dello stato lirico.
Nacque M. tra gusti d'antico regime, tra lo stile "galante" e la decorazione a conchiglia; spesso la sua musica appare come delizioso e inesauribile fantasticare di cose leggiadre, fonte adorabile di delicatezza armonica e di grazia ritmica.
Ma non è qui tutto M. Già freme in lui il senso lirico d'una personalità più ricca di vita interiore, oltre il rococò e la galanteria. Vi è nella musica di M., nell'opera di teatro come nella sinfonia d'orchestra e da camera, la concezione del pezzo di musica divenuta atto maturo di volontà e di esperienza interiore. Architettura palpitante in un continuo rinnovarsi e riprendersi, lirica di canto che si analizza e riproduce, equilibrio di forme che rispecchia la vita del sentimento. Classicismo, dunque, che non è esercitazione indifferente o mestiere d'artigiani, ma dominio e ricreazione dei sensi. La serenità di M., che è dapprima gioconda spensieratezza di fanciullo, diventa, con la maturità artistica, divino presagio della personalità moderna. La quale culmina, in musica, nell'atto di concepire un linguaggio esclusivamente e tipicamente suo, approfondito nell'esperienza del conoscere, e determina rapporti e forme nuove delle immagini sonore, nello spirito costruttivo dell'architettura sinfonica che gl'Italiani, dopo A. Vivaldi e G.B. Sammartini, avevano intravvisto e che J. Haydn definì.
M. porta la sinfonia sulla scena e idealmente mette d'accordo musica e dramma.
Edizioni moderne: Le opere complete di M. furono pubblicate dagli edd. Breitkopf e Härtel di Lipsia dal 1876 al 1883 in voll. 23 e un supplemento, con l'aggiunta di commenti varî dei singoli revisori (L. v. Köchel, H. Rietz, M. G. Nottebohm, H. Goldschmidt, P. v. Waldersee e altri). Fu anche pubblicata, a cura di L. Schiedermayr, la raccolta completa della corrispondenza del M. (Monaco 1914, voll. 4). Tra le raccolte e traduzioni H. de Curzon, Lettres de W. A. M. (Parigi 1928); A. Albertini, M. (Torino 1926); B. Ziliotto, M. (Milano 1926).
Del catalogo cronologico tematico delle opere di M., citato nel testo, va tenuta presente la 2ª ed. riveduta da P. von Waldersee (Lipsia 1905).
Bibl.: Della grandissima quantità di scritti citiamo i principali: Nekrolog, voll. 2, Gotha 1793 e 1798; G. N. von Nissen, Biographie W. A. M.s nach Originalbriefen, Lipsia 1818; O. Jahn, W. A. M., Lipsia 1856-59 (biografia fondamentale, rifatta in seguito da H. Abert, pubblicata fra il 1919 e il 1921); Th. de Wyzewa e G. Saint Foix, W. A. M., sa vie musicale et son oeuvre de l'enfance à la pleine maturité, Parigi 1912; è un'altra opera fondamentale rimasta incompleta per la morte del de Wyzewa. Giunge fino al 1777. Vi sono aggiunte e correzioni al catalogo di Köchel); A. Schurig, W. A. M., sein Leben und sein Werk, Lipsia 1913 (traduz. francese di J.-G. Prod'homme, Parigi 1925); H. de Curzon, M., ivi 1920; L. Schiedermayr, M., sein Leben und seine Werke, Monaco 1922; W. Wilder, M., l'homme et l'artiste, ultima ed., Parigi 1922; C. Ricci, M. a Bologna, Milano 1891; E. J. Dent, M.s Operas, Londra 1913; H. von Waltershausen, Die Zauberflöte, Monaco 1920; F. Torrefranca, Influenza di alcuni musicisti italiani vissuti a Londra, su W. A. M., in Bericht über den Musikwissenschaftlichen kongress in Basel, 1924; P. Baumgartner, M., Berlino 1928; F. Bayer, Über den Gebrauch der Instrumente in den Kirchen- und Instrumentalwerken von W. A. M., in Studien zur Musikwissenschaft, XIV, Vienna 1927, pp. 23-74; W. Altmann, Orchester-Literatur-Katalog, 2ª ed., Lipsia 1926; F. Torrefranca, Le origini italiane del romanticismo musicale, Torino 1930, parte III (Le origini dello stile mozartiano).