WOLFRAM von Eschenbach
Poeta tedesco, nato verso il 1170 nella media Franconia, morto fra il 1219 e il 1225: la sua famiglia pare aver avuto sede a Eschenbach, cittadina a sud-est di Ansbach: e nella chiesa di Eschenbach, ancora nel sec. XVII, si mostrava la sua tomba. Era di piccola nobiltà e, sembra, figlio cadetto, a giudicare dall'amara considerazione che fa nel Parsifal sul diritto dei primogeniti. Ebbe certamente un proprio feudo, forse castello di Wildenberg, nella regione di Ansbach, dove W. redasse il 5° libro del Parsifal; ma dovette essere possedimento modesto ed egli medesimo amò sorridere della sua povertà.
Fu perciò anch'egli, come Walther, poeta e cavaliere vagante, spesso in servizio presso estranei signori. Egli medesimo chiama mîn Hêrre un conte di Wertheim, probabilmente della famiglia che nel sec. XIII fondò a Eschenbach una Komturei dell'Ordine Teutonico. Ma soprattutto godé considerazione dal 1203 in poi presso la corte del conte Ermanno di Turingia a Eisenach, dove s'incontrò - ed ebbe rapporti ora d'amicizia ora di rivalità - con Walther e dove soggiornò spesso e a lungo, fino alla morte del conte nel 1216. Tuttavia la sorte del cavaliere era sempre incerta e dovette anch'egli, di corte in corte, condurre vita spesso instabile. Infine, perduto, con la morte del conte Ermanno, il suo maggior protettore, sembra essersi ritirato, accanto alla moglie e alla figlia, nella sua casa, e le sue tracce si perdono.
Massimo poeta dell'età sua, e presto riconosciuto da tutti come tale; consapevole della superiorità della sua arte, che non disdegnò all'occasione di far sentire orgogliosamente a chi osasse opporglisi come rivale, lo fu ancora più profondamente della sua qualità e dignità di cavaliere; e volentieri amò contrapporsi a quegli altri poeti che con i versi, anziché "con lo scudo e con la lancia", miravano a conquistare l'amore della loro donna. All'abilità letteraria formale e alla dottrina racimolata sulle opere altrui anteponeva la diretta esperienza della vita, così da vantarsi di non conoscere l'alfabeto, mentre pure la sua propria poesia, dalle fonti cavalleresche francesi all'epica germanica, dagli echi di Virgilio a quelli della lirica trovadorica, mostra tanta complessità di conoscenze. Ma interessi e affetti morali e religiosi dominavano nella massiccia potenza della sua personalità; e direttamente nell'osservazione, profonda e arguta, della realtà umana cercò anche le sorgenti della sua poesia.
È appunto ciò che nettamente distacca la sua opera maggiore - Parsifal incominciato verso il 1200, terminato prima del 1216 - dal Conte du Graal di Chrestien de Troyes, che, all'infuori dei primi due e degli ultimi quattro libri, ne fu indubbiamente la diretta fonte. Non vi è più nel centro dell'ispirazione la gioia della libera immaginazione tra i fasti della vita di corte e le sempre nuove meraviglie di sempre nuove impre- vedute avventure: la "Lust zu fabulieren" congenita a ogni poeta, permane, permangono anche le avventuie, ma in fondo a tutto, e pur tra le frequenti risate dell'umorista, sempre s'affaccia un sentimento serio, sano e robusto ma grave della vita. Come il linguaggio della poesia, colorendosi di aspetti della vita reale, materiale, diventa corposo, plastico, a linee pronunciate e con forte risalto, così nei personaggi della poesia i motivi sentimentali, etici si appesantiscono in elementari forze interiori, in cui i personaggi stessi incontrano il loro destino. Anche nel mondo dell'avventura la vita è, per W., umanità che erra e che espia. È posto da W. il problema "del senso della vita". E anche il mondo della cavalleria che era sorto come sintesi delle "gioie terrestri mondane" e delle aspirazioni cristiane, fuse insieme in un'immagine di ideale armonia, si spezza nella sua unitarietà. Da una parte è la vita mondana che cerca in sé medesima il suo soddisfacimento; dall'altra è la vita che in una crescente purificazione ed elevazione interiore riconosce il suo ideale. Da una parte è Gawan, fra i suoi cavalieri e le sue dame, e dall'altra è Parsifal, fra Gurnemanz e Trevrezent e le donne della sua esistenza o della sua avventura. E questo è il più tragico: che i due mondi si oppongono e si possono anche combattere, ma s'intrecciano l'uno nell'altro, inscindibilmente, così da costituire un'unica realtà. Così dappertutto l'uomo trova, intorno a sé, in agguato, il dubbio, la seduzione, l'inganno. E nel rinnovarsi fatale dei suoi sviamenti, una sola è la sua forza: saldezza d'animo, interiore costanza, fedeltà. E Parsifal, che nel suo errore giunge persino a rinnegare il suo Dio, ma non perde mai sé medesimo nella purità umana della sua dedizione alla vita, ascende infine all'ultima luce, in cui il divino e l'umano si congiungono, e diventa re del Gral (v. gral, san).
La materia cavalleresea appare, nel poema di W., così sostanzialmente rinnovata, anche là dove ci è possibile controllare la sua fonte, che l'identificazione di Kyot - che W. medesimo adduce come una fonte più fededegna - e la connessa questione della fonte a cui W. poté essersi ispirato per le avventure non contenute nel testo che Chrestien morendo lasciò incompiuto, perdono, in realtà, molta parte della loro importanza. L'originalità di un poeta medievale non consisteva nell'invenzione della trama. E sia che W. abbia inventato personalmente le nuove vicende, sia che abbia attinto ad opere altrui, in fondo, la sua personalità di poeta ci appare sempre la medesima: con lo stesso vigore e con la stessa invadenza e, soprattutto, con la stessa compatta consistenza umana. Se c'è un poeta medievale che, a leggerne l'opera, dia compiutamente l'impressione come di parlare a tu per tu con lui, è Wolfram. Non soltanto intreccia nel racconto ininterrottamente le sue riflessioni e divagazioni in una multivaga continua arabescatura di sviluppi imprevedibili; ma partecipa alla vita dei suoi personaggi, soffre con loro, gode con loro, s'esalta, s'intenerisce con loro, ne ride anche, spesso, con larghe risate robuste e cordiali e li stilizza in linea di caricatura; ma, anche quando ne ride, li ama tutti quanti. E la sua parola è dappertutto carica d'immediata emozione, calda di sangue pulsante. Su tutta la letteratura tedesca medievale, nessuna ispirazione eristiana s'era risolta mai in poesia con così piena, varia verità umana, potente evidenza di rappresentazione.
È quel che avviene anche nella sua lirica, che purtroppo è andata in gran parte perduta: una vitalità elementare irrompe entro le forme tradizionali e le tramuta. Nel suo Tagelied, il destarsi degli amanti nella prima luce dell'alba è di un'intensità emozionale da apparir quasi un dramma su sfondo cosmico. La fissità delle forme tradizionali cede davanti al libero urgere dell'ispirazione. I due frammenti dell'idillico patetico racconto degli amori di Siguna e Schionatulander - noti sotto il titolo di Titurel, perché di Titurel si parla nell'esordio introduttivo - sono impostati sopra un succedersi di situazioni liriche e riprendono anche metricamente le forme della lirica nella struttura delle loro strofe.
L'ultima opera di W., condotta sul testo francese della Bataille d'Aliscans, è il Willehalm, su motivi della leggenda di Guglielmo di Aquitania. W. vi si volse per suggerimento del conte Ermanno, del quale è pianta nel poema stesso la morte; e la fine del poema lascia incerti come se dovesse avere ancora un seguito. Certo si sente nel poema l'età tarda che già avanza. La materia è ancor sempre liberamente rinnovata secondo una propria diretta esperienza umana; uno dei personaggi centrali - Rennewart - compare con un carattere completamente nuovo, e tutto il racconto riceve un nuovo senso, in uno spirito che continua quello umano-religioso del Parsifal. Ma il tono del racconto è diventato più uniforme. Soprattutto l'animo del poeta tende alla mitezza del giudizio, alla conciliazione, alla tolleranza. La sola religione vera è la cristiana; ma, pagani o cristiani, quel che importa è essere uomini, in purità di anima.
La tonalità pesante del Willehalm fa sentire, forse più ancora che nel Parsifal, quello che si suol chiamare "lo stile oscuro" di W. È un fatto che per capire le opere di W. qualche volta bisogna lambiccarsi il cervello, e alla fine non si è proprio ben certi di aver capito. Ma è altrettanto vero che questi sfondi o contorni di "zone oscure" sono essenziali alla sua poesia, elementi impliciti e sostanziali del "poetar oscuro" che s'incontra pure nella poesia trovadorica. È stata spiegata anche come una ostentata contrapposizione allo stile letterario ornato degli altri poeti dell'epoca. Ma, in realtà, anche se tutto ciò può aver contribuito all'atteggiamento di W., chiunque legge senza preconcetti sente che non si tratta di ciò soltanto, ma di qualcosa di intrinseco alla poesia di W. Tutta la poesia di W. è una continua intensiva interpretazione della vita nell'immediatezza delle sue esperienze: la poesia medievale tedesca non ha alcun altro poeta che ponga alla vita tante domande: e "l'oscurità" fa anch'essa parte della naturale atmosfera di vita di chi batte con tanta personale insistenza alle chiuse porte del mistero.
Ediz.: Werke, ed. K. Lachmann, Berlino 1833 (6a ed. a cura di E. Hartl, 1926); Parzifal e Titurel, ed. K. Bartsch, Lipsia 1862 (4a ed. a cura di M. Marti, 1927-32); ed. E. Martin, con commento, Halle 1900-03; Parzifal e Willehalm, ed. A. Leitzmann, ivi 1902-06. Ed. scelta di P. Piper, nella Kürschner National Literatur, V segg. Traduzioni: di San Marte, di W. Herz, di K. Simrock, di G. Bötticher (molte volte ristampate).
Bibl.: G. Bötticher, Die Wolframliteratur seit Lachmann, Berlino 1880; G. Panzer, Bibliographie zu W. v. E., Monaco 1897; G. Ehrismann, in Germanisch-romanische Monatschrift, I, e nella Geschichte der deutschen Literatur des Mittelalters, II. - Biografie: San Marte, Leben und Dichten W.s v. E., Magdeburgo 1834-41; A. Schreiber, Neue Bausteine zu einer Lebensgeschichte W.s v. E., Francoforte s. M. 1922; G. Weber, W. v. E., I, ivi 1928.
Fra le bibl. sul Parsifal, v. San Marte, Parzifalstudien, Halle 1861-62; G. Bötticher, Das Hohelied vom Rittertum, Berlino 1886; G. Ehrismann, in Zeitschrift für deutsches Altertum, XLIX; S. Singer, in Sitz.-Berichte d. wiener Akad. d. Wissensch., 1916; G. Misch, in Deutsche Vierteljahresschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, V (1927); G. V. Amoretti, Parzival, ecc., Pisa 1931; per le fonti del Parsifal, cfr. W. Golther, Parzifal und der Gral, Stoccarda 1925; e per la storia del testo, P. Hartl, Textgeschichte des Wolframschen Parzifals, I, Francoforte s. M. 1928. Per il Titurel v. L. Pohnert, Kritik und Metrik von W.s Titurel, Praga 1908. Per il Titurel v. L. Pohnert, Kritik und Metrik von W.s Titurel, Praga 1908. Per il Willehalm v. S. Singer, W.s Willehalm, Berna 1917. E cfr. inoltre, sul pensiero religioso di Wolfram: R. Fritzsch, W.s Religiosität, Lipsia 1893; A. Sattler, W.s religiöse Anschauungen, Graz 1895; e sull'arte e sullo stile: K. Kinzel, in Zeitschrift für deutsche Philologie, V; G. Bötticher, in Germania, XXI; S. Singer, in Sitz.-Berichte d. wiener Akad. d. Wissensch., CLXXX (1916).