X-efficiency
Concetto introdotto da H. Leibenstein (1966), in contrapposizione a quello tradizionale di efficienza allocativa, fondato sulla constatazione, corredata da importanti riscontri empirici, che le imprese operano all’interno del proprio vincolo tecnologico, anziché sulla frontiera dello stesso. La teoria economica della produzione suppone che le imprese svolgano la propria attività in modo tecnicamente efficiente, scegliendo combinazioni di input e output in linea con il vincolo rappresentato dalla tecnologia disponibile. In altri termini, si ipotizza che nel lungo periodo ogni impresa utilizzi la ‘best practice technology’ e operi in corrispondenza del costo medio totale minimo (➔ anche razionalità). Sulla base di questa premessa, la teoria concentra l’attenzione sulle inefficienze allocative che possono derivare, in senso paretiano, da scelte distorte nella combinazione degli input e degli output.
Leibenstein, criticando la tesi convenzionale secondo la quale si può stabilire una rigida e certa relazione fra le quantità impiegate dei fattori produttivi e quelle di output ottenibili, sostiene che ciò dipende da insufficienti motivazioni, interne ed esterne all’impresa, affinché individui e aziende siano incentivati a impegnarsi nell’erogazione delle prestazioni lavorative e nella ricerca delle soluzioni tecnologiche più efficienti. Tre sono le principali ragioni addotte per giustificare tali affermazioni: contratti di lavoro incompleti; assenza di un mercato per taluni input, in particolare per il management; conoscenza incompleta della funzione della produzione. Leibenstein conclude che la X-inefficienza è particolarmente rilevante in mercati in cui la concorrenza è debole, come in regime di monopolio, e dove l’incentivo alla ricerca della minimizzazione dei costi è meno pressante. Ritiene, peraltro, che i guadagni di produttività conseguibili da un miglioramento della X-efficienza possano largamente sopravanzare quelli ottenibili da un aumento dell’efficienza allocativa.