Vedi XANTHOS dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
XANTHOS (Ξάνϑος, licio Arñna)
Antica città della Licia, nella vallata principale, quella dello Xanthos o Sirbis, di cui essa controlla lo sbocco nella pianura costiera, a circa 8 km dal mare. La località antica domina il piccolo villaggio turco di Kinik (provincia di Antalya).
Storia. - Il fiume, se non la città stessa, compare nell'Iliade (ii, 876-877; v, 479; vi, 172: xiii, 310-314) come facente parte del regno di Sarpedonte, capo dei Lici, e alleato dei Troiani. Ma la città non entra nella storia che alla metà del VI sec. a. C.: il generale persiano Arpago occupò e bruciò la città verso il 545-540 (Herod., i, 176).
La città, come tutte le altre città licie, conservò la sua autonomia tra l'espansione persiana e le imprese greche. X. dovette appartenere per un certo tempo (470-440) alla lega ateniese, senza dubbio tra la spedizione di Cimone e la rivolta di Samo, e ritrovò in seguito una indipendenza di fatto. Conquistata da Alessandro tra il 334-333 (Arr., Anab., i, 24, 4; Plut., Alex., xvii), essa passò dal dominio di Antigono a quello dei Tolemei (Diod., xx, 27) dal 309 al 197. Era, in epoca ellenistica, una delle sei principali città della lega licia, la quale deve risalire al III sec. (Strab., xiv, 3, 3); caduta in potere dei Rodî chiese l'appoggio ai Romani; dal 177 la lega ritrovò la sua indipendenza (Polyb., xv, 4). Nel corso delle guerre civili romane fu presa e devastata nel 42 da Bruto (Appian., Bel. civ., iv, 70-82; Plut., Brut., 30-31; Cass. Dio, xlvii, 34). Ritrovò la sua prosperità in epoca imperiale (nel 43 d. C. la Licia diviene provincia romana); era ancora fiorente nella prima età bizantina e cadde in rovina solo al tempo degli Arabi.
I testi epigrafici raccolti nei Tituli Asiae Minoris, ci offrono notizie complementari. La più interessante, dal punto di vista storico, è certamente la grande iscrizione del Pilastro Iscritto con testo licio sulle quattro facce; non ancora decifrato; 12 versi greci, inseriti, ricordano le vittorie di un dinasta che deve essere il Kherei delle monete. I nomi proprî riconoscibili nel testo licio ci riportano al tempo della guerra del Peloponneso, tra il 429 e il 412 a. C.
Le monete che si possono assegnare sicuramente a X. sono molto poche. Ma è forse probabile che tra le monete licie che risalgono alla fine del VI sec. a. C. e, tra il 450 e il 340 circa portano dei nomi di dinasti, molte siano state coniate a X., città principale della Licia. Alcune, per esempio portano il nome di Kherei seguito, su alcuni esemplari, dal nome di Arñna. Questo stesso Kberei inoltre, avrebbe dedicato la stele iscritta, la quale, d'altra parte, menziona i nomi di numerosi altri dinasti che coniarono monete. Le monete della lega licia in epoca ellenistica portano talvolta le iniziali ΞΑ.
Le ricerche archeologiche. - Il sito di X. fu riscoperto il 20 aprile 1838 dall'inglese Ch. Fellows che vi ritornò tre volte (aprile 1840; dicembre 1841 - febbraio 1842; ottobre 1843-marzo 1844). I due ultimi viaggi furono vere spedizioni che fruttarono al British Museum una collezione di documenti di incomparabile ricchezza.
Le spedizioni austriache dirette da O. Benndorf raccolsero le iscrizioni, permettendo così (specialmente quelle del 1881-1882 e del 1892), lo studio dei monumenti di X. e in particolare del Monumento delle Nereidi.
Una missione archeologica francese diretta da P. Demargne, P. Devambez e H. Metzger (architetto P. Coupel) ha eseguito scavi a X. dal 1950 al 1962. Essa si è dedicata all'acropoli bassa, detta licia, ai monumenti funerarî, compreso il Monumento delle Nereidi, così come al teatro romano e alle basiliche bizantine comprese nei limiti di questi scavi. I principali ritrovamenti sono stati trasportati ai musei di Antalya e di Istanbul; altro materiale è riunito in un magazzino a X. stessa.
Topografia generale. - L'acropoli licia in forma di pianoro (altezza massima m 85), è difesa da una cinta di mura del V sec. a. C. e domina direttamente il fiume; immediatamente a N, dal basso in alto, una piccola spianata ha accolto i monumenti funerarî di epoca arcaica e classica. Altri sono stati disposti sul pendio di una collina più elevata che diventerà l'acropoli ellenistica e romana. Il Monumento delle Nereidi occupa una terrazza vicina all'acropoli licia, dalla quale un precipizio la separa.
La città si estese in maniera eccezionale probabilmente nel III sec. a. C.; la nuova cinta di mura inglobò un'acropoli alta (altezza m 148) e una serie di terrazze inclinate ai piedi di questa, da N a S. Questa cinta di cui alcune sezioni appartengono ancora alla costruzione ellenistica, non cessò di essere rimaneggiata fino alla piena epoca bizantina. Sembra che infine (forse dopo l'attacco arabo), la città bizantina si sia raccolta sull'acropoli primitiva, il cui muro N a speroni, senza dubbio non è anteriore all'XI sec. della nostra èra.
Necropoli di età diverse, principalmente romane, si distribuiscono a N della località in una specie di "valle delle tombe" e sulle colline circostanti.
Il problema più importante che i monumenti di X. propongono è quello della influenza ellenica che agisce e si innesta su di una tradizione indigena imparentata alle civiltà orientali (v. licia, arte).
1. Arcaismo. - Nessun documento dell'Età del Bronzo né della prima Età del Ferro è stato messo in luce. Il livello più antico dell'acropoli licia, nella sua parte S-E, è rappresentato da un primo palazzo che dimostra una parentela forse con gli edifici neohittiti della Siria del N (Zincirli); questo livello ha dato ceramiche locali a motivi geometrici semplici "nero su rosso" e materiale di importazione greca, risalente alla fine dell'VIII sec. (sub-geometrico rodio, poco materiale orientalizzante rodio, usuale ceramica ionica, niente corinzio): le prime importazioni attiche sono del secondo venticinquennio del VI sec. a. C.). I trovamenti più antichi si collegano a quelli di al Mina, Tarso, Lindos e suggeriscono l'ipotesi che queste prime influenze greche siano giunte attraverso i Rodî. Oltre il palazzo dovette esistere un luogo di culto in questo periodo nella parte centrale dell'acropoli: una favissa del tempio posteriore ha fornito testimonianze in questo senso.
La conquista persiana e l'incendio della città verso il 545-540, apre una nuova epoca che si conclude con un altro incendio verso il 470, in relazione, forse, con la spedizione ateniese di Cimone.
Sull'acropoli, forse proprio da allora circondata da una fortificazione, si trovano un secondo palazzo ed un tempio a tre celle (paragonabile ad alcuni esempî ciprioti e palestinesi). La ceramica attica a figure nere vi abbonda (è il più importante deposito di tutta l'Asia Minore); vi si trovano insieme ceramica di Fikellura e numerose figurine ioniche; è stata rinvenuta anche una testa di koùros di tipo milesio. È proprio in questo periodo che, a una certa distanza, viene innalzato il primo pilastro funerario, quello detto "del leone" (verso il 540), tipo "barbarico" di cui noi ignoriamo ancora l'origine; l'influenza greca è evidente nella decorazione delle lastre di pietra che chiudono la camera funeraria sopra il pilastro monolitico, nonostante i temi iconografici siano dinastici e orientali: leone che atterra un toro; leonessa e i figli; combattimento di un uomo col leone; personaggio seduto (il dinasta?) in una scena scomparsa; scena guerresca parzialmente conservata.
Ai piedi dell'acropoli altri pilastri si eleveranno in seguito: di uno (verso il 525) non rimane che una lastra isolata, reimpiegata in una sepoltura posteriore, con lottatori, suonatore di lyra finemente cesellato, suonatore di flauto. Questa rappresentazione è analoga a quella che decora una delle facce del pilastro di Isinda-Belenkli: essa è dovuta senza dubbio a Greci di Rodi; le forme sono abilmente alternate, a volte di una eleganza raffinata, a volte di una solidità massiccia, secondo la tradizione orientale.
Una generazione più tardi (tra il 500 e il 470) il Monumento detto delle Arpie è uno dei pilastri funerari più caratteristici, ma anche il più tozzo: su di una base massiccia il pilastro monolitico è alto m 5,43; la camera funeraria è chiusa da lastre di marmo (alte m 1,02); la lastra-coperchio è di m 0,44, un blocco di coronamento di m 0,53. La decorazione delle lastre di marmo deve essere attribuita a dei Milesî che la trattano con una pesantezza ereditata dal VI sec. e dai Branchidi, ma addolcendo le forme con i piacevoli e sovrabbondanti particolari delle vesti: si ha in questo monumento senza dubbio una testimonianza dello stile milesio del primo venticinquennio del V secolo. I membri della famiglia dinastica siedono sulle quattro facce (si è potuto pensare anche alle divinità dei morti): uomini sulla faccia N (un giovane), E (il vecchio dinasta), e S (un personaggio grasso e imberbe che potrebbe in verità, essere la regina; un frammento trovato nel 1953 ha potuto essere reintegrato nella testa); due donne sulla faccia O, quella della porta. Vengono fatte diverse offerte; su due facce alcune Sirene (e non Arpie) guidano le anime. L'iconografia dinastica si arricchisce della iconografia greca relativa all'Aldilà.
2. L'epoca classica. - Quella tra il 470 e il 330 circa è una grande epoca per l'arte di Xanthos. Vi si pone il problema dell'accoglienza fatta alle forme successive dell'arte classica greca. Sull'acropoli, la cui cinta risale in parte al V sec. a. C., furono fatti grandi lavori che le diedero l'aspetto che essa conservò senza dubbio fino alla fine dell'antichità; un secondo tempio viene costruito sulla sommità dell'acropoli, più in alto del tempio a tre celle. Il palazzo di questa epoca è scomparso ma si sono potuti ricostruire tre monumenti funerarî o Heròa concepiti nella pura tradizione licia della costruzione in legno trasferita in pietra. P. Coupel e H. Metzger hanno restaurato due edifici col tetto a doppio spiovente e un terzo col tetto a terrazza. Vi sono stati ricollocati gli elementi dei frontoni e dei fregi portati a Londra da Fellows: sono documenti che appartengono tutti senza dubbio all'epoca dello stile severo (470-450). Ma vi si uniscono tendenze diverse le quali, altrove che non in queste zone periferiche, implicherebbero uno scaglionamento cronologico ben più prolungato. Così alcuni rilievi secondarî, forse appartenenti alla base di questo monumento (fregi di galli e uccelli, di satiri, centauri, ecc.) hanno ancora molto della tradizione arcaica del VI sec.: uno dei frontoni evoca lo stile milesio delle Arpie, l'altro con le sue sfingi eleganti (v. licia, arte) appartiene ad uno stile subarcaico che sembra essere stato molto apprezzato in Licia ed essere durato fino alla metà del secolo: si constaterà un fenomeno analogo nell'ellenizzazione occidentale. È a questo stesso stile che si potrà riportare un rilievo con due personaggi, appartenente ad una scena di banchetto funerario, come anche la processione del dinasta in carro. I temi più particolarmente dinastici trovano in questo caso il mezzo espressivo che gli è familiare. Di questa processione fanno parte tuttavia personaggi drappeggiati che portano la lancia, che imitano molto maldestramente lo stile proprio della Grecia; ancora più chiaramente le peplophòroi che apparterrebbero anch'esse ad uno di questi Heròa, sono trasposizioni ioniche di modelli peloponnesiaci o attici. Con lo stesso spirito è trattato un bellissimo rilievo inedito, reimpiegato nel teatro, con una rappresentazione di Nike.
Si può affermare che questa tradizione subarcaica si estingue nella seconda metà del V sec. sotto l'influenza del classicismo libero? Due monumenti funerarî importanti vanno inquadrati in questo periodo. Il primo databile probabilmente tra il 450 e il 400 è il più antico dei sarcofagi lici a decorazione figurata. Si è per lungo tempo fatto risalire all'arcaismo il motivo tradizionale dei leoni che assalgono un toro, che decora il basamento. Ma i resti molto poveri che permettono ora di ricostruire il coperchio, ci obbligano a modificare questo punto di vista: sulle ogive dei lati brevi le sfingi guardiane sono proprio nella tradizione subarcaica di quelle dell'acropoli; sui lati lunghi una caccia al cinghiale (molto parzialmente conservata), un banchetto funerario, accolgono le influenze del nuovo classicismo attico. I personaggi che stanno a capo del letto o sfilano dinnanzi ad esso potrebbero derivare il loro archetipo da vasi o stele. Il dinasta seduto sul letto è trattato in scala più grande e quasi di faccia. Questi sono i procedimenti escogitati dall'arte greca per esprimere la maestà del personaggio orientale.
Il pilastro iscritto, uno dei monumenti più considerevoli di X. ci è particolarmente prezioso perché ben datato (430-410) (v. sopra). Il tipo tradizionale del pilastro rimane, ma più slanciato nelle sue proporzioni (altezza del pilastro e del fregio m 5,58 con una larghezza, alla base, di m 1,71 per 1,50). È definito dalla iscrizione greca inclusa nella lunghissima iscrizione licia νικέων καὶ πολέμου μνῆμα τόδε ἀϑάνατον. Il fregio che illustra queste vittorie si trova agli angoli su degli avancorpi di tori inginocchiati, alla maniera dei capitelli achemènidi: il dinasta, forse il Kherei delle monete, percorre da vincitore il campo di battaglia, abbattendo i suoi nemici, uno dopo l'altro. Gli scudi che egli ha loro preso, formano un fregio al di sopra della scena, mentre alla sommità del pilastro egli era seduto su un trono con leoni, secondo l'iconografia della maestà (la statua è scomparsa, le tracce dei piedi restano sullo zoccolo). Si ritrova qui l'iconografia indigena e orientale della vittoria, che ricorre a certi procedimenti arcaici (la sfilata di guerrieri uno dietro l'altro) ma conosce anche la distribuzione dei combattimenti secondo lo schema delle gigantomachie e amazzonomachie dell' epoca di Fidia.
Il Monumento delle Nereidi non è di molto posteriore (verso il 410-400): gli scavi fatti dopo il 1950, permettono di ricostruirne esattamente l'architettura: esso è un vero documento della completa ellenizzazione. Sullo zoccolo tradizionale dei pilastri (tre assise di marmo al di sopra di una base in calcare) sorge per la prima volta una architettura ionica, quella di un piccolo tempio periptero con quattro colonne per sei, coronato da un frontone. I muri della cella hanno potuto essere ricostruiti, così come le ante. Della porta E sono stati trovati tutti gli elementi: soglia, piedritti, fregio a tre serie di ovoli, cornice; le proporzioni di questa porta, la pesantezza del suo coronamento, sono in una tradizione ionico-arcaica. La cella accoglieva quattro letti funebri in calcare di cui si sono trovati resti: ne appare ancora la traccia sugli ortostati dei muri. Nelle colonne del peristilio, ioniche a base asiatica, si aggiunge ai capitelli un toro decorato con una treccia, ad imitazione dell'Eretteo: semplice particolare attico in un monumento di carattere asiatico. È stato ritrovato anche un capitello d'angolo, il primo che noi conosciamo a quattro volute.
Se l'architettura greca fa la sua apparizione a X. nel Monumento delle Nereidi, la decorazione era da molto tempo ellenizzata. Tuttavia essa si dispiega qui con una ricchezza sovrabbondante. Fra l'assise di marmo semplice della base e la cornice a due serie di ovoli, si trovano due fregi dello zoccolo sovrapposti, tutti e due illustranti le vittorie del dinasta: l'uno, il più alto (m 1,1) è posto sul secondo (m 0,63). Il primo trasforma le battaglie in combattimenti mitologici alla maniera greca delle amazzonomachie (anche se qui i combattenti dei due campi sono uomini); vi si distinguerebbe volentieri la mano di uno scultore greco della Ionia che conosceva i modelli attici ma gli dava proporzioni più pesanti, e quella di un imitatore indigeno. Il secondo fregio celebra gli stessi vincitori, con la stessa arte ma con tutt'altro spirito, quello del realismo indigeno e dinastico: il dinasta seduto sotto il suo parasole accoglie gli inviati nemici. Lo scultore ricorre a procedimenti artistici tutti diversi: sfilate di persone una dietro l'altra, rappresentazione dei muri della città assediata con i suoi difensori sugli spalti, rappresentazione che sarebbe straordinaria nella Grecia propriamente detta, ma che è familiare ai Lici e sembra risalire, attraverso tappe che noi ignoriamo, all'eredità della tradizione narrativa orientale, quella assira per esempio.
Gli altri due fregi, l'uno sull'architrave, l'altro sul muro della cella, hanno rilievi assai schematici. Sono consacrati a temi indigeni e orientali e usano volentieri l'artificio della ripetizione, per esempio per la sfilata dei servitori. Il fregio dell'architrave ha per tema principale la caccia e la consegna di offerte; l'altro il sacrificio e i banchetti funerarî.
I frontoni, come ci si poteva aspettare, sono riservati ancora a due scene di glorificazione del sovrano: una scena di battaglia, in cui egli doveva figurare a cavallo, e un'altra in cui egli siede al fianco della moglie, fra i dignitari della corte: quest'ultima scena è trattata con una pesantezza ed una mancanza di eleganza che stupisce in questa età; vi si sente l'influenza delle statue in maestà che coronavano i pilastri; notiamo una volta di più che le rappresentazioni più legate alle tradizioni indigene ritrovano naturalmente i procedimenti dell'arcaismo.
Al simbolismo greco dell'Oltretomba appartengono al contrario le famose Nereidi degli intercolumnî e le figure degli acroterî principali (due scene di rapimento). Le Nereidi sono tra le più belle figure che ci siano pervenute di un'arte classica ionica ispirata all'arte attica.
Il passaggio dal V al IV sec. a. C. ha una grande importanza, come in ogni altra zona periferica. Il fenomeno di ellenizzazione prosegue e si accentua ed anche si stabilizza. Certe incoerenze scompaiono e nasce un nuovo stile che sembra essere stato particolarmente brillante a X. nella prima metà del IV secolo. Una necropoli di quest'epoca, sul pendio S-E dell'acropoli alta, riunisce un certo numero di innovazioni originali. Un pilastro funerario, l'ultimo (con un altro che si rizza sopra il teatro), ha singolarmente ellenizzato la sua forma e le sue proporzioni; non si erige più su di uno zoccolo massiccio, ma su tre gradini alla moda greca. La lastra coperchio è divenuta molto più modesta, il fregio è di marmo, ma non decorato. Nelle vicinanze si allineano alcune facciate di tombe rupestri trattate secondo la moda tradizionale, mentre proprio accanto, una di esse è trattata per la prima volta alla greca, con un piccolo portico e due colonne tra le ante, con una porta centrale circondata di modanature.
Non lontano il sarcofago di Payava è un chiaro documento dell'arte nuova: fedele alla tradizione licia del sarcofago di pietra imitante quello in legno, si sviluppa in altezza con una eleganza maestosa (una tomba inferiore, uno zoccolo massiccio, il sarcofago propriamente detto col suo coperchio); le zone decorate, come nel Monumento delle Nereidi, manifestano una esuberante ricchezza, i temi dinastici tradizionali sono conservati, ma trattati con gusto straordinario dell'effetto: si paragoni alle scene schematiche del pilastro iscritto e anche alle scene tradizionali del Monumento delle Nereidi, la vivace battaglia raffigurata sullo zoccolo intermedio: si tratta di Payava senza dubbio, che sta a cavallo trionfando dei suoi nemici nascosti tra le rocce; il suo corpo di guardia di cavalieri lo segue, giungendo dal fondo, con un senso molto nuovo della profondità; l'altra grande scena dello zoccolo è una udienza del satrapo che accoglie personaggi vestiti alla greca, mentre lui stesso e i suoi due ufficiali sono vestiti alla persiana, rappresentati con una straordinaria fedeltà nel costume e negli atteggiamenti.
Le monete dello stesso periodo, il secondo venticinquennio del IV sec. circa, in particolare i magnifici esemplari col nome di Mithrapata e di Pericle, ci offrono effetti analoghi; è nato uno stile greco d'Asia (si è fatto, senza molte ragioni il nome di Bryaxis) che usa tutte le risorse della seconda età classica per illustrare la vita di queste corti dinastiche. Sul coperchio del sarcofago di Payava appaiono delle immagini simboliche (la quadriga che porta il dinasta nell'Aldilà), ma anche scene di vita reale (la coppia dinastica nell'ogiva, le scene di caccia relegate sulla trave del columen). Gli antichi animali guardiani perdono la loro importanza: le sfingi non occupano più che una piccola parte dell'ogiva; i leoni si riducono alle protomi sporgenti del coperchio. Insieme a quello di Merehi, trattato con lo stesso spirito, il sarcofago di Payava è il solo a rappresentare a X. questa grandissima epoca della scultura licia testimoniata dai monumenti funerarî di altre città (Trysa, soprattutto, ma anche Telmessos, Limyra, ecc.).
È molto sorprendente che questo impulso creativo duri poco; l'ultimo sarcofago di epoca classica di X., quello detto delle danzatrici, databile all'epoca di Alessandro con ogni probabilità, ritorna a scene molto più schematiche e alla tradizionale iconografia indigena; quella della caccia e della guerra (si ritrova nella scena di guerra, il vincitore fuori dell'azione, che tocca, secondo il vecchio gesto magico, lo scudo preso al vinto, mentre i suoi nemici fuggono sui loro cavalli). Il simbolismo alla greca e la testimonianza di un'arte più colta non appaiono che nelle figure delicate delle danzatrici col kàlathos, raffigurate nelle ogive, al posto delle sfingi guardiane.
3. L'età ellenistico-romana; la prima età bizantina. - Si sa che la città di X. si ingrandì singolarmente nel III sec. a. C., all'epoca dei Lagidi, che fu per X. un'epoca di prosperità. Alcuni settori delle mura della città si sono conservati nel loro aspetto ellenistico, in particolare in vicinanza della porta S (la quale presenta una iscrizione di Antioco il Grande con la dedica della città alla triade apollinea). La città ellenistica non è stata ancora sistematicamente esplorata: vi si indovina una urbanistica nuova nella zona delle terrazze sovrapposte, dietro il Monumento delle Nereidi. Solo alcune zone sono conosciute: un cimitero ellenistico fu accertato ai piedi del Monumento delle Arpie ed ha fornito qualche oggetto di arte alessandrina: una tazza di vetro, una oinochòe di faïence col ritratto della regina Berenice. L'epoca romana che si prolunga senza interruzione nella prima età bizantina, ha lasciato tracce profonde a X. la cui importanza continuò, senza però riuscire ad eclissare quella delle città della costa come Platea e Myra. I soli monumenti scavati finora sono il teatro romano, posto sul pendio N dell'antica acropoli; una grande agorà è stata riconosciuta nelle vicinanze del teatro e fu senza dubbio uno dei centri della vita pubblica in età romana: una iscrizione datata all'età di Domiziano, ricorda nelle vicinanze un bouleutèrion. L'acropoli nuova doveva essere coronata da un grande tempio di cui molti blocchi sono ancora visibili.
Nel III e IV sec. della nostra èra devono essere sorte ancora grandi costruzioni nella città, a giudicare dal numero dei resti architettonici di questa epoca; si aggiunga che le monete di questi stessi secoli sono molto numerose. L'acropoli antica, di nuovo fortificata nella tarda antichità, accolse numerosi monumenti nella prima età bizantina, principalmente una residenza dell'epoca costantiniana, i cui mosaici pavimentali sono tuttavia trattati in uno stile particolarmente barbaro (Meleagro e Atalanta; Teti e Achille allo Stige; medaglioni di Eirene ed Eupripeia).
Le basiliche cristiane si moltiplicarono a Xanthos. Una è stata esplorata sull'acropoli antica, un'altra nella parte S-O della grande agorà romana; una terza di grandi dimensioni è stata solo riconosciuta nella parte E della città. Un grande monastero sostituì il tempio romano sull'acropoli alta, in data senza dubbio assai tarda. Nelle mura della città sono inglobati numerosi blocchi appartenenti a monumenti romani; le mura dovettero essere difese fino agli attacchi arabi, dopo i quali l'acropoli antica dovette ancora servire da recinto. Il suo muro N a speroni non deve essere anteriore alla seconda età bizantina.
Dobbiamo ricordare infine, fuori della cinta, numerosi complessi funerarî di epoca romana: un mausoleo, già scavato da Ch. Fellows, nella pianura a S della città; una serie di tombe a N, facenti capo ad un heròon su di una collina ad E. Mausoleo ed heròon hanno fornito sarcofagi attici e altri del II e III sec. della nostra èra.
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