XENOGLOSSIA (dal gr. ξένος "straniero" e γλῶσσα "lingua")
Termine introdotto da Ch. Richet per definire i casi in cui un soggetto medianico parla o scrive una lingua a lui normalmente ignota. Lo stesso Richet ha cura di distinguere nettamente i fenomeni del genere dai casi di glossolalia, in cui i soggetti (anormali psichici) parlano o scrivono lingue immaginarie.
Per quanto raro, il fenomeno della xenoglossia è stato osservato a più riprese nel corso di indagini metapsichiche anche recenti, e spesso in circostanze assai probative. Le forme che esso assume possono essere quelle dell'automatismo verbale, della chiarudienza, della scrittura automatica, della "voce diretta" e della "scrittura diretta". I casi più impressionanti sono quelli in cui il soggetto è un illetterato o un bambino, e quelli in cui le lingue parlate o scritte sono parecchie, o specialmente estranee al soggetto (lingue morte, dialetti particolari, lingue orientali, ecc.).
I casi di xenoglossia sono tra i più ardui a spiegarsi con ipotesi a carattere naturalistico. Il "dono delle lingue" è annoverato dalla Chiesa cattolica tra i carismi, ed è compreso tra i 9 elencati da San Paolo (I Cor., XIV).
Bibl.: E. Bozzano, Medianità poliglotta (xenoglossia), Milano 1933 (ricca casistica, l'autore opta per l'interpretazione spiritistica). Vedi anche carisma (IX, p. 24); psichica, ricerca.