Xiaojing («Classico della pietà filiale») Opera cinese assai breve, il cui testo consta di non più di duemila caratteri, e particolarmente suggestiva per il tono incalzante dei dialoghi fra Confucio (➔) e il suo unico discepolo menzionato Zengzi, occupati in una discussione relativa a una delle virtù cardinali della condotta umana: la pietas, ossia xiao («pietà filiale»). Il testo più invalso è in 9 capitoli (juan), divisi a loro volta in 18 sezioni (zhang), gran parte delle quali termina con una citazione dello Shijing («Classico delle odi»). Per la sua natura la paternità dell’opera è spesso attribuita a Confucio, o al suo discepolo Zengzi. Così nel capitolo 67 dello Shiji («Memorie di uno storico») di Sima Qian (n. forse 145 - m. forse 86 a.C.) si legge che Confucio compose il testo (zuo Xiaojing), nel senso che lo pronunciò, mentre Zengzi si preoccupava di prenderne nota per iscritto. Questa opinione fu condivisa per lungo tempo (dal 3° sec. a.C. al 10°), ma decadde in epoca Song (secc. 10°-13°), quando prevalse il convincimento che il testo fosse stato composto da seguaci più tardi. Nella seconda metà del 3° sec. a.C., il testo X. era già ben noto e diffuso, tanto da essere menzionato anche nel Lüshi Chunqiu (➔), opera composta intorno al 239 a.C. e quindi terminus ante quem, secondo W. Boltz, per fissare il tempo presumibile della sua composizione. Legata così profondamente alla figura di Confucio, l’opera ben presto assunse lo status di canone e come tale ebbe parte diretta nella querelle fra «nuovo testo» (jinwen) e «antico testo» (guwen), che tanto accese gli animi degli eruditi durante i secc. 2° a.C
3° d.C. Tutto ciò spiega anche perché circolò sia una versione jinwen di X., conosciuta come Zhengzhu Xiaojing («Classico della pietà filiale con commentario di Zheng»), sia una guwen, nota come Kong Anguo zhuan Xiaojing («Classico della pietà filiale secondo la tradizione di Kong Anguo»).