XINJIANG (v. vol. VII, p. 208, s.v. Serindia)
p. 208, Le recenti scoperte nel X. e nelle regioni vicine, nelle repubbliche centroasiatiche, in Afghanistan, come pure la pubblicazione da parte di una équipe sino-giapponese di una notevole documentazione a colori riguardante siti rimasti inaccessibili per più di sessant'anni, hanno determinato una rinascita degli studi sull'arte della parte orientale dell'Asia centrale, nota anche come Turkestan orientale e corrispondente all'attuale provincia cinese del Xinjiang. Le nuove possibilità di confronto hanno anche condotto a fruttuosi accostamenti e a più rigorose datazioni, talvolta confermate da iscrizioni datate. Queste nuove conoscenze hanno reso possibile una visione più globale delle espressioni artistiche degli antichi siti della «Via della Seta», dall'Afghanistan alla Cina, non solo durante il I millennio d.C., ma anche per periodi precedenti.
Preistoria e protostoria dell'Asia centro-orientale. - In assenza di una ricerca sistematica, fino a questi ultimi anni non si possedeva alcuna visione d'insieme di questi periodi. Lo svedese Sven Hedin, il francese Pierre Teilhard de Chardin, l'inglese Aurei Stein e il cinese Huang Wenbi furono i primi, verso il 1930, a constatare l'esistenza di vestigia anteriori all'epoca storica, assegnandole a un'«epoca neolitica». Vicino ad Aksu, nella regione del Lob-nor, nei pressi di Hami e di Turfan furono raccolti utensili in pietra levigata e numerosi frammenti di vasellame la cui classificazione si dimostrò difficile per la mancanza di altri reperti.
Gli scavi effettuati dai Cinesi dopo il 1959, parallelamente a quelli condotti nell'Asia centro-occidentale e a Ν del Tianshan dagli archeologi sovietici, hanno consentito una prima classificazione dei siti preistorici del X. in «gruppi culturali» succedutisi dal Mesolitico all'Età del Bronzo e del Ferro.
Finora, le più antiche scoperte sembrano risalire al Mesolitico e possono essere accostate a quelle attribuite al Paleolitico finale della Cina settentrionale. Esse si daterebbero intorno all'8500 a.C. Alcuni depositi recentemente portati alla luce nelle regioni di Turfan, di Loulan e nel versante S del Tianshan sono i soli finora attribuibili con certezza al Neolitico, periodo che sembra protrarsi piuttosto a lungo in queste regioni.
Le prime tracce della civiltà dell'Età del Bronzo nel X. potrebbero risalire all'inizio del II millennio a.C. Molti dei siti scavati appartengono a popolazioni di tipo europoide, imparentate sia ai nomadi delle steppe settentrionali dell'Eurasia sia alle tribù sedentarizzate della parte occidentale dell'Asia centrale, come p.es. quelle della valle del Ferghāna (Uzbekistan), o anche della Cina del Nord. I ritrovamenti più antichi di questo periodo prendono il nome da Xintala, il sito di rinvenimento, a Ν del lago Bagraš, nella regione di Karašahr; essi dovrebbero risalire alla metà del II millennio a.C. Nondimeno, il gruppo più notevole è quello detto Wupu, che raccoglie numerosi siti della regione di Hami datati dagli archeologi cinesi tra il 1250 e il 1000 a.C. Vi sono state scoperte tombe contenenti elementi di carri, con ruote e mozzi di legno, e corpi tatuati. Grazie al clima eccezionalmente secco della regione, gli inumati erano particolarmente ben conservati. Alcuni di essi erano vestiti con mantelli di pelle o di pelliccia e portavano pantaloni di lana con ornamenti multicolori, stivali di cuoio, talvolta arricchiti da decorazioni in bronzo e alti copricapi a punta. Questo caratteristico abbigliamento ha indotto alcuni studiosi ad avvicinare questa cultura a quelle, cronologicamente molto posteriori, di Pazïrïk nell'Altai orientale (Russia asiatica).
Altri siti, verosimilmente contemporanei, sono stati scoperti sul versante settentrionale del Tianshan. In questi siti, generalmente attribuiti a popolazioni nomadi, sono stati rinvenuti diversi calderoni in bronzo a due manici con piede circolare, la cui altezza può raggiungere il mezzo metro.
Un periodo piuttosto lungo separa queste culture da quella detta «di Gumingou». (c.a III sec. a.C.), il cui centro si trova nella regione del Lob-nor. La cultura di Gumingou è caratterizzata dall'uso di sepolture individuali. I defunti, anche qui di tipo europoide, avevano il capo coperto con un alto berretto appuntito di feltro ornato da un ciuffo di piume. Alcuni di essi avevano sul petto un sacchetto contenente un ramo di equiseto. L'archeologo cinese Huang Wenbi suggerisce che si tratti già di popolazioni imparentate ai Saci.
I siti scoperti nella valle dell'Ili, fiume che discende dal versante Ν del Tianshan fino al lago Balkaš (Kazakhstan), come pure nella catena del Pamir, testimoniano l'insediamento di tribù sace, verso il IV sec. a.C. In uno dei tumuli del sito di Xinyuan, è stata scoperta un'interessante statua virile in bronzo alta c.a 42 cm. L'uomo imberbe, a torso nudo, con un ginocchio piegato a terra, ha il capo coperto da una tiara che cinge un alto berretto rigido piegato in avanti, alla maniera degli Sciti. Dallo stesso sito provengono un grande calderone con manici, posto su tre piedi zoomorfi, e grandi anelli di bronzo ornati di belve alate affrontate. Nello stesso sito sono stati rinvenuti oggetti di lacca provenienti dalla Cina e numerosi frammenti di tessuti.
Vicino a Urumči, nell'area dell'importante necropoli di Alagou, sono stati rinvenuti anche una lamina d'oro a forma di leone e un vassoio di bronzo, sormontato da una coppia di stambecchi.
Le numerose analogie che si riscontrano in quest'epoca tra le pratiche funerarie e la decorazione dei copricapo di queste genti e quelle che si attribuiscono agli Sciti orientali, sembrano indicare che si tratti dello stesso gruppo di popolazioni.
La prima conquista cinese e lo stile «classicheggiante». - Verso la fine del II sec. a.C., quando la Cina imperiale degli Han si apprestava a lanciare spedizioni militari verso occidente, i principati situati a Ν e a S del bacino del Tarim, lungo i tracciati delle piste carovaniere che molti secoli dopo sarebbero state chiamate le «Vie della Seta», formavano altrettanti piccoli stati la cui estensione non superava di molto quella dell'oasi di cui erano sovrani. In questa epoca, sotto il regno di Wu Di degli Han Anteriori (140-87 a.C.), il X. entra nella storia. Questa regione era allora abitata da popolazioni iraniche imparentate con quelle dell'Iran esteriore. Fin dai primi secoli d.C., i regni situati sulla via meridionale ai piedi della catena del Kunlun subirono l'influenza del potente impero kuṣāṇa e divennero importanti centri buddhisti. L'adesione al buddhismo fu favorita dall'attività dei missionari venuti dall'India attraverso la Battriana e la regione di Gilgit.
Dopo le scoperte fatte nelle regioni limitrofe del X., si comprende meglio la genesi dell'arte buddhistica in quest'area. L'originalità della pittura rispetto al modello ellenistico, di cui è l'evidente erede, è chiara nella scelta di temi indiani. Allo stesso tempo; l'impiego della rappresentazione frontale propria delle tradizioni dell'arte del Vicino Oriente è legato all'utilizzazione di procedimenti tecnici e stilistici venuti dall'Asia occidentale. Questo stile «classicheggiante», il cui ricordo si perpetuerà a lungo nell'iconografia del buddhismo dell'Estremo Oriente, è attestato alle due estremità dell'Asia centrale. Ne sono testimonianza le pitture che decorano i camminamenti processionali (sanscrito: pradakṣiṇāpatha) intorno agli stūpa del monastero buddhistico di Mirān, situato nel territorio dell'antico regno di Shanshan, nel X. sud-orientale e generalmente datato tra il II e il IV sec. d.C., e quelle scoperte nel 1994 nel sito di Karadong (regione di Keriya) e datate allo stesso periodo, come pure, nella parte occidentale dell'Asia centrale, le pitture dei santuarî di Kara Tepe, presso la città di Termez (Uzbekistan). Allo stato attuale delle nostre conoscenze, queste vestigia sono annoverate tra le più antiche della pittura buddhistica. A Mirān, il Buddha, seguito da sei monaci, è rappresentato acconciato con un’alta crocchia di capelli ondulati e con gli occhi spalancati. Queste caratteristiche, che non tarderanno a scomparire, nel X. si ritrovano solo su due teste di bronzo rinvenute nella regione di Khotan e conservate attualmente in Giappone. Lo stile di queste teste le ricollega a una delle tradizioni dell'arte gandharica, fiorita nei primi secoli della nostra era nel Nord-Ovest dell'India. Altri dipinti murali di Mirān rappresentano una delle vite anteriori del Buddha. Esse illustrano il Viśvāntara jātaka e confermano la vicinanza a quello che doveva essere lo stile dei pittori del Gandhāra.
Gli artisti che decorarono questi monumenti mostrano una perfetta padronanza del repertorio decorativo proprio dell'Oriente ellenizzato: larghi festoni sostenuti da putti, da efebi alati e da giovani musicanti incoronati con fiori. Tali elementi saranno integrati nel repertorio dell'iconografia buddhistica che conserverà sino a epoca recente alcune di queste lontane reminiscenze. Così la figurazione frontale, in tenuta militare, del re-guardiano del Nord, Vaiśrāvana, divenuto più tardi dio della guerra, s'imporrà, dal regno di Khotan di cui egli era la divinità protettrice, fino al Giappone. Le arti minori, nei primi secoli della nostra era, in particolare nella regione di Khotan, sono scarsamente attestate, ma la ceramica presenta applicazioni ornamentali o elementi in rilievo che si possano ricollegare allo stile classicheggiante. Le figurine in terracotta, che rappresentano cammelli, scimmie, musicanti, personaggi dai tratti europoidi, al contrario, sembrano più segnate dalle tradizioni locali e vanno ascritte alla sfera d'influenza indo-saka. Il loro uso sembra essere stato funerario. Un'idea delle pitture di quest'epoca, prima del sopravvento dei temi buddistici, ci è fornita dalla decorazione dei tessuti. Si può citare, p.es., un frammento di cotone cerato, scoperto a Niya (Minfeng) oppure un tappeto di lana riportato alla luce ancora più a E, in una delle necropoli di Loulan. Sul primo è raffigurata una divinità femminile che tiene un corno dell'abbondanza, sull'altro una testa di Hermes. L'arte della Cina degli Han, che pure erano militarmente presenti in queste regioni, non vi gioca alcun ruolo. Ne attestano la presenza solo alcuni manoscritti, monete, tessuti di seta lavorati e specchi importati.
Lo stile kuceano e la via settentrionale. - Conosciamo solo attraverso rari documenti l'arte classicheggiante dei primi secoli della nostra era nel tracciato meridionale delle «Vie della Seta». Il caso è del tutto diverso per quell'arte che sarebbe fiorita nel corso dei secoli successivi nei siti buddhistici del tracciato settentrionale. Essi corrispondono alle grandi tappe delle vie carovaniere il cui apogeo si situa verosimilmente fra il IV e l'VIII sec. d.C. L'arte che vi si sviluppa e che si qualifica generalmente come «indo-iranica» ci è nota per le numerose pitture murali e le sculture policrome in argilla rinvenute nei santuarî buddhistici costruiti o scavati nella roccia. In particolare il regno di Kučā, fin dal V sec. d.C., è teatro d'una intensa attività artistica. In questo periodo furono costruiti numerosi edifici religiosi, frutto del mecenatismo dell'aristocrazia locale la cui ricchezza dipendeva dal commercio carovaniero. Questo permise lo sviluppo d'una scuola di pittura originale la cui influenza si farà sentire in tutta la regione, da Khotan a Turfan. Il suo carattere specifico è ben rappresentato dal «primo stile» di Kučā quale appare nelle pitture più antiche del complesso monastico di Qïzïl o del tempio di Duldur Aqur. Queste pitture, eseguite presumibilmente fra il V e il VI sec., sono fortemente segnate dai modelli dell'arte gupta dell'India nel modo di contornare le figure, nella composizione dei soggetti, nell'espressione e nell'atteggiamento dei personaggi e nella scelta dei tempi e dei colori. Sebbene preponderante, l'estetica gupta si sovrappone - senza alterarne il valore - alle antiche tradizioni artistiche ereditate dal Gandhāra. Il permanere di queste ultime attenua la sensualità e l'elegante flessuosità dei modelli indiani per dare maggiore spazio alla ricercatezza un po' stereotipata dell'arte centroasiatica. A differenza degli artisti dello stile classicheggiante che attingevano la loro ispirazione direttamente dall'arte del Gandhāra e dell'Iran ellenizzato, i pittori di Kučā subiscono l'influenza di questi antichi modelli solo dopo che essi vennero trasformati nel lungo cammino attraverso la Battriana e la Transoxiana. Proprio a questo movimento vanno ascritte le pitture murali e le sculture buddistiche recentemente scoperte in Afghanistan e in Uzbekistan. Numerosi temi di tradizione iranizzante sono peraltro illustrati a Kučā. Il tema della scena dipinta su un reliquiario ligneo, databile intorno al 600 d.C., esemplifica questo aspetto; l'oggetto è stato rinvenuto all'interno di un santuario buddhistico, a Subaši nei pressi di Kučā. Sul corpo cilindrico della scatola, è rappresentata una processione di danzatori mascherati accompagnati da musicanti. Si può paragonare questa cerimonia alle feste del Nowruz, il Capodanno iranico. Nello stesso sito è stata portata alla luce la parte inferiore di un'urna antropomorfa raffigurante un personaggio inginocchiato, forse risalente alla stessa epoca. Accostamenti significativi possono essere fatti con ossuarî di tipo analogo rinvenuti in Chorasmia.
Nel «secondo stile» di Kučā, che ha inizio verso la fine del VI sec., il modello indiano scompare per lasciare spazio a uno stile lineare più rozzo dai colori contrastanti, corrispondente verosimilmente al gusto e alla sensibilità delle etnie stabilitesi allora nella regione. L'irradiamento di questa scuola oltrepassò di molto i confini dell'oasi. Lo provano frammenti di pitture nello stesso stile rinvenuti in altri siti dell'Asia centro-orientale come Bäzäklik nella regione di Turfan e Rawak nei pressi di Khotan.
Questo nuovo stile sarà seguito fino all'epoca della conquista cinese, all'inizio del secolo successivo. Meno spontaneo ed estroso dello stile che lo precede, esso privilegia il blu chiaro ottenuto dal lapislazzuli e il verde marcio. Questa tavolozza dà alle composizioni un aspetto vivo e contrastante. Dai temi rappresentati traspaiono le dottrine del Mahāyāna e dell'esoterismo ai suoi inizî con l'apparizione della figura del Buddha cosmico Vairocana. Esso è rappresentato per la prima volta, probabilmente nel terzo quarto del VI sec., sulle pareti d'un santuario rupestre di Qïzïl. All'incirca nello stesso periodo e nella stessa regione, su false cupole cavate a mo' di copertura delle grotte vengono dipinte figure di Buddha, di Bodhisattva e di divinità racchiuse ciascuna in un comparto. Questo tipo di composizione annuncia la disposizione delle figure attestata più tardi nei maṇḍala.
L'abbandono del «primo stile indo-iranico» e la sua sostituzione con una nuova maniera pittorica è accompagnata da una trascuratezza nell'esecuzione dei particolari e da un sicuro impoverimento delle tecniche. Si ritiene che questi cambiamenti siano stati in parte provocati dall'egemonia dell'impero dei Turchi Occidentali, che si frappone come una barriera sul cammino degli influssi indiani, causando in tal modo il sorgere di uno stile più marcatamente locale. Questa trasformazione si accompagna anche all'adozione di un nuovo programma decorativo nei santuarî buddhistici. I ritratti dei donatori, praticamente assenti nel primo stile, diventano così sempre più numerosi. È possibile che questa evoluzione rifletta quella di una società arricchitasi con lo sviluppo del commercio. Per i nuovi mecenati delle fondazioni religiose, desiderosi di acquisire meriti nello spirito del Mahāyāna, in piena espansione, i criterî religiosi ed estetici ereditati dalle antiche tradizioni del buddhismo indiano avevano perduto la loro importanza.
La pittura kuceana scomparve con la civiltà alla quale era legata. Le sue ultime manifestazioni, dopo la conquista cinese dell'Asia centrale, verso la metà del VII sec., sono caratterizzate sia dal regredire delle conoscenze e della tecnica da parte dei pittori sia dall'impoverimento della loro tavolozza. Si può constatare questa decadenza nelle pitture murali dei santuarî di Kiriš, a Ν di Kučā. La fine del regno dell'ultimo sovrano indipendente di Kučā, nel 646, segna il termine di una pittura kuceana originale. Dopo di allora, le influenze cinesi saranno predominanti su tutta la via settentrionale. In breve tempo esse si imporranno ovunque, come si vede da un frammento pittorico che raffigura una parte di un «paradiso» buddhistico: scoperto a Duldur Aqur (regione di Kučā), esso va datato intorno al 700. Lo stesso avviene a Qumtura, dove alcuni riquadri sono magnifici esempî dello stile Tang al suo apogeo. In seguito si potrà osservare uno stile ibrido in cui gli antichi elementi dello stile locale si mescolano con gli apporti cinesi; questo è, p.es., il caso di Kiriš.
L'arte khotanese e la via meridionale. - Nella regione di Khotan non si è conservata alcuna traccia di stile «classicheggiante». Si può ragionevolmente supporre che la pittura di quest'oasi fosse simile a quella conservatasi nei santuarî di Mirān, già descritta prima. Conferma tale ipotesi l'aspetto di talune incisioni su roccia recentemente scoperte lungo la via del Karakorum che collega l'attuale Pakistan alla regione di Khotan. D'altra parte, resti di pitture eseguite nello stile di Kučā erano conservati a Rawak dietro immagini del Buddha poste lungo i muri delimitanti l'area del grande stūpa. Questi resti provano che, intorno al 600 d.C., lo stile settentrionale si era diffuso fino a questa regione. L'imponente monumento di Rawak, di pianta cruciforme con una scalinata su ciascun lato, è racchiuso da una doppia cinta muraria le cui pareti sono scandite da statue monumentali del Buddha circondate da altre figure minori di Buddha e Bodhisattva. L'insieme di questa decorazione, costituita da sculture d'argilla stuccata, appartiene all'iconografia del Mahāyāna, ed è stato più volte rimaneggiato. Le statue più antiche sono ancora debitrici dell'estetica gandharica e dovrebbero risalire al V sec. d.C., altre furono aggiunte nel corso delle trasformazioni successive fino al VII sec., quando il sito venne abbandonato. Queste ultime risentono in particolare dell'influenza della plastica indiana di epoca gupta, ma vi si nota il tipico manierismo dell'arte dell'Asia centrale.
A partire dal VII sec. la pittura khotanese, sia mobile sia murale, si conosce meglio perché meglio conservata; in questo periodo il suo stile si differenzia nettamente da quello settentrionale. La pittura khotanese è profondamente segnata da una nuova ondata di influssi provenienti dall'India che si innestano su tradizioni locali la cui fonte di derivazione sembra debba essere ricercata più a O, in quelle regioni che avevano custodito l'impronta del mondo iranico, ormai prossimo all'islamizzazione. Le immagini che servono da modello agli artisti di Khotan provengono spesso dal Kashmir e dall'India orientale. Vanno imponendosi un nuovo stile e nuove iconografie che illustrano le dottrine insegnate nei grandi monasteri mahāyāna del Bihar, come Nālandā o Vikramaśīla (Antichak). Ciò avviene per mezzo di pitture su tessuto (pata), oggi scomparse, o di manoscritti miniati di cui qualche esemplare si è miracolosamente conservato in uno stūpa della regione di Gilgit in Pakistan, e per mezzo di altari portatili in legno, alcuni dei quali sono stati rinvenuti sui diversi itinerarî delle Vie della Seta. Il tema dei «Mille Buddha», già presente in modo episodico nella regione di Kučā, è ora molto diffuso. Sulle pareti dei santuarî o sulle tavolette offerte ex voto, si vedono apparire nuove divinità venute a integrarsi nel pantheon buddhistico. Alcune rivelano culti locali, come la divinità della seta, altre derivano dall'iconografia hindu, quali lo Śiva a tre teste, conservato su una pittura murale in un santuario di Balawaste. Una delle innovazioni iconografiche più indicative delle trasformazioni religiose che avvengono in quest'epoca è certamente quella del Buddha cosmico Vairocana. La si vede apparire, verso la fine del VI sec., nella regione di Kučā, ma è nei siti dell'oasi di Khotan che essa assume un'importanza particolare. Vairocana è raffigurato con il corpo coperto di motivi stilizzati (Monte Meru, Gioiello, ecc.) simboleggiami il carattere universale del Buddha trascendente. I pittori khotanesi conferiscono alle immagini centrali delle loro composizioni anche un aspetto ieratico e uno spirito geometrico sconosciuto fino ad allora nell'Asia centro-orientale. Caratterizzano il personaggio centrale una rigorosa frontalità e il viso stereotipato. Bisogna forse ravvisare in questo il desiderio di avvicinarsi, per quanto possibile, ai modelli indiani, come sembra confermare una grande pittura su seta rinvenuta più a E, a Dunhuang, rappresentante le «immagini celebri», ossia le statue più famose del mondo buddhistico indiano. La fedeltà al modello è qui la preoccupazione principale dell'esecutore.
Spesso nella stessa composizione, e in evidente contrasto con lo stile ieratico dell'immagine principale, le divinità secondarie sono rappresentate in modo molto più libero e agile, talvolta non scevro di sensualità. Ne è testimonianza una graziosa ragazza nuda e adorna di gioielli, verosimilmente una nāginī, su una pittura murale di un santuario di Dandan Oiliq. Le immagini e i particolari eseguiti in questo stile mettono in evidenza le espressioni originali della pittura khotanese molto meglio dello stile ieratico. Molte di queste pitture hanno come supporto tavolette di legno precedentemente utilizzate come ex voto. Esse rappresentano la figura del Buddha, ma anche divinità tantriche o del pantheon locale. In altri casi queste piccole pitture illustrano episodî di leggende popolari come quella della «principessa della seta» o del «re dei topi». La scelta dei temi, l'atteggiamento e i tratti del volto dei personaggi suggeriscono l'esistenza di stretti legami culturali fra Khotan e le regioni situate al di là del Pamir, come il Tokharestān e la Sogdiana.
Turfan e l'arte degli Uiguri. - Si hanno scarsi dati sulla pittura nella regione di Turfan fino al momento in cui viene adottato uno stile influenzato dalla Cina, intorno al 650 d.C. Per il periodo precedente sono documentati soltanto rari frammenti di pitture murali, attribuibili allo stile della Via Settentrionale, ben noto dalla produzione di Kučā; esemplificativa è una testa di giovane brahmano, databile approssimativamente al VI sec. d.C., scoperta in una grotta di Bäzäklik. Con l'adozione dei modi della pittura cinese, le forme antiche sembrano essere state completamente abbandonate; nondimeno, le numerose reminiscenze percettibili nelle opere della nuova scuola, mostrano che gli artisti erano rimasti fortemente legati alle tradizioni locali. Una significativa testimonianza di questa evoluzione è un piccolo frammento rinvenuto in un santuario di Gaochang (Qočo) raffigurante un Bodhisattva meditante in una grotta; si possono citare inoltre alcuni dipinti portati alla luce in un piccolo tempio a Ν della gola di Sämgim. Queste composizioni - in chiaroscuro - che hanno per soggetto una coppia (mithuna), la caccia a un garuḍa, un brahmano, uniscono abilmente i soggetti della pittura indiana alle leggende locali; il tracciato sottile del disegno, la sicurezza del tratto, l'equilibrio delle linee e l'elasticità delle forme denotano una conoscenza approfondita dello stile e della tecnica cinese da parte del pittore. Questo stile ibrido è attestato nella regione di Kučā (Duldur Aqur e Qumtura), e, più a O, a Tumšuq.
È solo a partire dal X sec., con l'insediamento dei Turchi Uiguri nel paese, che si può parlare di uno stile originale di Turfan. Ne costituiscono gli aspetti più notevoli la scuola dei miniaturisti e le composizioni murali monumentali di Bäzäklik. Dapprima seguaci del manicheismo, gli Uiguri si convertirono rapidamente al buddhismo. A loro si deve il rifacimento e la decorazione di numerosi santuarî costruiti o scavati nella roccia. Le pitture, gli stendardi buddhistici in canapa e i manoscritti miniati, per la maggior parte manichei, testimoniano il cambiamento delle credenze religiose presso gli Uiguri. Lo stile uiguro di pittura buddhistica si diffonderà fuori dei confini dell'oasi di Turfan, per arrivare almeno fino a Kučā a occidente, e nella regione di Dunhuang a oriente, e sarà seguito almeno fino all'inizio del XII secolo. La decorazione dei santuarî buddhistici di Bäzäklik, p.es., è il riflesso d'una iconografia esclusivamente mahāyāna da cui non sono assenti elementi tantrici. La resa del paesaggio, il contorno delle figure e l'assenza di modellato che caratterizzano queste pitture sono visibilmente derivati dall'arte cinese; ma, nello stesso tempo, appare in queste opere un senso accentuato del movimento e un gusto dell'eccesso che si avvicina facilmente al grottesco. Queste ultime caratteristiche sono ulteriormente sottolineate dall'impiego di una tavolozza dai toni molto vivaci, dominata dal rosso vermiglio e dal verde acceso. Lo stesso eccesso e l'uso di colori violenti si riscontra anche nelle sculture d'argilla policroma che completavano la decorazione dei santuarî; ne è un buon esempio una testa di demone, dalla pelle blu, con una maschera caricaturale e roteante gli occhi fuori delle orbite rivenuta nel sito di Sämgim.
Tuttavia la creazione più originale della scuola di Turfan resta l'opera dei miniaturisti. Del tutto indipendente dalle altre scuole di pittura, il suo stile venne introdotto probabilmente da artisti manichei, alla metà del IX secolo. Queste piccole opere su carta illustrano testi religiosi e si distinguono dalle pitture murali per lo stile prezioso e un cromatismo audace ma sempre armonioso dove dominano rossi luminosi e blu profondi arricchiti da larghe lumeggiature in oro. Queste composizioni presentano alcuni aspetti in comune con le più antiche miniature islamiche, e si può pensare che attraverso la loro intermediazione si affacci il ricordo di una tradizione pittorica molto più antica. Così, su un frammento di manoscritto proveniente da Gaochang (Qočo) sono conservati quattro volti di donne rappresentati di tre quarti. Le figure hanno il capo ornato da pesanti diademi rigonfi - che ricordano quelli delle sculture del Gandhāra - e da boccoli ricadenti sulla fronte e ai lati del viso; vestono un abito dal collo arrotondato, coperto da un mantello drappeggiato. Alcuni di questi particolari si ritrovano anche su un frammento di pittura murale proveniente dallo stesso sito che rappresenta tre divinità femminili su fondo blu, senza dubbio manichee. Queste pitture risalgono probabilmente al IX sec. e dal punto di vista stilistico e iconografico non hanno alcunché in comune con le pitture murali di stile cinese o uiguro a esse contemporanee, né con quelle kuceane che le precedono; al contrario questi frammenti sono molto vicini alle opere - molto anteriori - di stile classicheggiante. In un riquadro che orna la parte superiore dell'ambulacro che circonda lo stūpa V di Miran, raffigurante una principessa su una quadriga, si ritrovano così molti particolari notati nelle opere della regione di Turfan: la posizione e l'espressione del viso, le lunghe ciocche discendenti lungo le guance, i riccioli ricadenti sulla fronte, la forma del collo della veste e il drappeggio del mantello che copre la spalla della fanciulla. Il rifiorire di uno stile pittorico che si rivela molto vicino a quello che doveva esistere nel Gandhāra pone un problema; se si esclude un'influenza diretta dopo un'eclissi così lunga, si deve immaginare una trasmissione totalmente estranea alle principali scuole di pittura che abbiamo ricordato: la tradizione pittorica, reintrodotta in Asia centrale dai miniatori manichei, si fonderebbe quindi su quella dell'arte del Gandhāra e dell'Oriente ellenizzato.
Dalle frontiere dell'Iran a quelle della Cina, l'arte dell'Asia centrale costituisce un insieme, malgrado o piuttosto a causa delle molteplici influenze che hanno contribuito alla sua formazione e pesato sulla sua evoluzione. Questa unità appare chiaramente quando la si studia in funzione delle grandi tradizioni artistiche del mondo asiatico: quella dell'Oriente ellenizzato, quella dell'Iran, quella dell'India, quella della Cina. Il suo debito verso di esse è innegabile, ma non può mai essere confusa con una di loro.
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