Yacht design
Gli yacht sono prodotti molto differenziati per dimensione, natura tecnica e formale. Se da una parte sono assimilabili ad architetture, in quanto artefatti abitabili, dall’altra sono, a tutti gli effetti, macchine mobili, munite di specifici apparati propulsivi, in alcuni casi piuttosto complessi. Inoltre, le tecniche costruttive e la loro dimensione commerciale li collocano nell’ambito dei prodotti industriali, sebbene sopravviva ancora, specialmente in Italia, un artigianato di settore molto qualificato.
Lo yacht design, dovendosi confrontare con problematiche di vario tipo (fluidodinamico, abitativo, ergonomico, produttivo, commerciale ecc.) richiede necessariamente competenze pluridisciplinari, riconducibili ad aree dell’ingegneria navale e aeronautica, dell’architettura e del disegno industriale. Per quanto nella pratica del progetto vengano utilizzati strumenti e metodi molto simili per ogni genere di yacht, un repertorio così articolato ha fatalmente indotto delle specializzazioni di tipo professionale, ma anche produttivo e commerciale, tanto che è abbastanza raro trovare designer e cantieri impegnati stabilmente in più settori.
Nell’ambito delle imbarcazioni a motore, il design gioca un ruolo strategico soprattutto nella ricerca morfologica e stilistica delle sovrastrutture e degli interni. Ciò è riconducibile a ragioni di tipo commerciale e a un processo di ‘osmosi culturale’ con altri comparti industriali. Non è un caso che molti designer e architetti che abitualmente lavorano nel campo dell’industria automobilistica (Pininfarina), dell’architettura (Norman Foster) o dell’arredo (Philippe Starck) abbiano disegnato le forme esterne e gli allestimenti interni di numerosi motor yacht. Nelle imbarcazioni a vela, invece, specie in quelle sportive, la ricerca progettuale è focalizzata principalmente sulle problematiche fluidodinamiche dovute alle peculiarità dell’apparato propulsivo. La barca a vela è, infatti, un sistema dinamico complesso che interagisce con due fluidi (aria e acqua) in cui le forze sviluppate, che ne determinano il movimento, dipendono in parte dal movimento stesso. Inoltre, la presenza di due fluidi con caratteristiche diverse comporta fenomeni ‘non lineari’ che rendono difficile una corretta modellazione del problema e la sua relativa soluzione.
Per avere un quadro sintetico dello stato dell’arte e delle tendenze dello yacht design è necessario focalizzare l’attenzione sia sugli aspetti che caratterizzano il disegno sotto il profilo morfologico e spaziale (quali l’exterior design, l’interior design e l’ergonomia applicata), sia sugli strumenti del progetto di area tecnica che attengono alla ricerca fluidodinamica e strutturale con metodi analitici, sperimentali e numerici.
Exterior design
L’exterior design riguarda il progetto della forma delle sovrastrutture e dell’‘opera morta’ dello scafo. Di solito questa competenza è associata al concept design (ideazione di base del prodotto) e allo studio dei piani generali, che delineano l’impianto distributivo spaziale e funzionale complessivo. Vale la pena chiarire che l’insieme delle suddette attività è spesso chiamato architettura, generando qualche confusione con lo stesso termine utilizzato nelle discipline navali, riferito invece allo studio del moto della nave.
Le peculiarità dello yacht e dell’ambiente in cui si muove pongono alcune problematiche progettuali assai complesse che non possono essere risolte nella mera soddisfazione di requisiti tecnico-funzionali oppure in proposizioni stilistiche. In questo campo, il design si trova a dover esprimere, in una sintesi formale coerentemente ambientata, prerogative funzionali, esigenze abitative ed ergonomiche e, anche, connotazioni simboliche della relazione tra artefatto e contesto naturale e culturale.
L’organismo architettonico, in ragione delle dimensioni e della tipologia, può essere articolato in diversi elementi di tipo volumetrico, spaziale e tecnico-funzionale. Dei primi fanno parte lo scafo (carena e appendici) e le sovrastrutture (ponti di coperta, tughe, plance). I secondi sono rappresentati dagli spazi interni (cabine, saloni, aree tecniche) e dagli spazi esterni (pozzetti, ali di plancia, zone di manovra, ‘terrazzini’, ‘spiaggette’ e così via). Infine, gli apparati tecnico-funzionali (armamenti velici, alberini porta-segnali, roll-bar, idrogetti) sono costituiti da attrezzature che svolgono mansioni operative specifiche, ma che possono assumere anche un ruolo espressivo. Basti pensare alle valenze estetiche che hanno l’alberatura, le vele e le attrezzature di coperta in un’imbarcazione a vela.
Dal punto di vista compositivo, lo yacht pone tematiche inusuali che richiedono particolari sensibilità progettuali come, per es., l’interpretazione della relazione fra uno spazio interno percettivamente ‘limitato’ e uno spazio esterno psicologicamente ‘illimitato’. Oppure la comprensione dell’ambiente marino, della sua dimensione fluida, della sua storia culturale e del suo patrimonio simbolico. Nelle forme delle carene e degli armamenti, che sono l’esito di precisi requisiti funzionali, si riflettono anche, in modo evidente, archetipi dell’immaginario collettivo. Sul piano estetico, le principali matrici formali sono ascrivibili, oltre che alla sensibilità del designer, a fattori di diverso tipo. In primo luogo a repertori morfologici sedimentati nelle diverse culture del costruire: quella, artigianale o semiartigianale, dei materiali classici (legno e acciaio), o quella, più evoluta e industriale, delle materie plastiche rinforzate. In secondo luogo a connotazioni simboliche riconducibili alla natura ludica, veloce, aggressiva dell’artefatto (espressa con precisione dai termini diporto = divertimento e yacht = barca veloce, da caccia); infine alle inevitabili contaminazioni stilistiche dovute ad affinità con altri comparti industriali, come quelli automobilistico, aeronautico oppure militare. Un esempio evidente di questo fenomeno, oggi abbastanza diffuso nei grandi yacht a motore, è rappresentato dai megayacht: A del francese Philippe Starck (n. 1949), Ronin dell’inglese Norman Foster (n. 1935) e Skat del norvegese Espen Øino (n. 1962), che evocano palesemente navi militari, e infine WallyPower nato dalla collaborazione fra l’ufficio design della Wally, l’italiano Claudio Lazzarini (n. 1953) e l’australiano Carl Pickering (n. 1960), ispirato agli aerei stealth. Altre linee di ricerca, più radicali sotto il profilo estetico, riguardano progetti ispirati alla sperimentazione linguistica propria dell’arte come Guilty, disegnato da Ivana Porfiri (n. 1963) in collaborazione con l’artista statunitense Jeff Koons (n. 1955).
Infine, il crescente interesse per il recupero e il restauro di imbarcazioni d’epoca, soprattutto a vela, ha dato vita a un nuovo settore commerciale e tecnico-professionale. Questa passione per la tradizione spiega anche il successo di designer come l’olandese André Hoek (n. 1955). Il suo studio ha disegnato numerosi yacht che evocano, o addirittura replicano, modelli del passato, pur essendo realizzati con materiali moderni come le resine epossidiche e le fibre di carbonio.
Per quanto riguarda il design dedicato a modelli di serie, viene abitualmente sviluppato secondo logiche industriali e commerciali che tengono conto di indagini di mercato e delle strategie di marketing mirate a soddisfare una determinata domanda. Nonostante i processi di globalizzazione, questi modelli sono condizionati da fattori di tipo territoriale (clima, ormeggi) e socioculturale (gusto, usanze). È da notare che nei Paesi in cui è nato e cresciuto lo yachting (in particolare Paesi Bassi, Gran Bretagna, Stati Uniti) molti prodotti, anche tecnologicamente sofisticati, mantengono connotazioni stilistiche tradizionali. Viceversa in altri Paesi, come Francia, Germania e soprattutto Italia, dove la nautica ha avuto una diffusione più recente, prevale la tendenza a sviluppare modelli stilisticamente più innovativi.
Interior design
L’interno di uno yacht costituisce un microcosmo in cui si creano particolari condizioni prossemiche. Le dimensioni degli ambienti e dei componenti d’arredo sono sensibilmente ridotte rispetto alle misure tipiche di uno spazio architettonico, e le relazioni avvengono spesso con distanze intime e personali (non a caso le barche sono di frequente usate per attività di team building aziendali).
Le funzioni abitative non sono molto diverse da quelle tipicamente domestiche (camminare, mangiare, dormire, lavarsi, conversare, ascoltare musica ecc.), ma cambia la fisicità dell’ambiente, le relazioni architettoniche tra spazio e contesto e, soprattutto, il rapporto con il movimento. Nonostante tutti gli accorgimenti di stabilizzazione, uno yacht, di qualsiasi dimensione esso sia, non è mai fermo: beccheggio e rollio, a volte impercettibili, sollecitano incessantemente l’equilibrio degli utenti. Per questa ragione si riscontrano alcune peculiarità tipologiche nelle soluzioni distributive e d’arredo, quali il posizionamento dei letti (allineati quasi sempre per chiglia), la forma dei mobili, la configurazione di scale e corridoi. Dato che si cammina spesso scalzi e poco coperti, assume primaria importanza il controllo progettuale degli aspetti percettivi legati al suono, agli odori, alla temperatura dei materiali e alle loro proprietà tattili. Inoltre, l’orientamento, che normalmente si basa su punti di riferimento esterni, cambia e diventa autoriferito, assumendo come cardini gli elementi fisici della barca stessa (la prua, la poppa, il ponte ecc.).
Il progetto degli interni, specialmente nel caso dei grandi yacht, viene generalmente sviluppato in più fasi interattive fra loro.
Si inizia dal piano di compartimentazione che, dettato da ragioni di natura strutturale, tecnica e normativa, è delineato da paratie di vario tipo (stagne, tagliafuoco, rinforzate). Successivamente, sulla base dei suddetti vincoli, vengono definiti gli aspetti distributivi, il layout generale degli spazi di allestimento e, infine, gli elementi decorativi.
L’allestimento è di solito realizzato all’interno di una ‘scatola’, che permette di isolare lo spazio abitato dalle sollecitazioni meccaniche e acustiche dello scafo. La scelta dei materiali avviene in base ai requisiti progettuali e nel pieno rispetto delle normative vigenti. Sono in genere fondamentali le caratteristiche di leggerezza e, per i componenti metallici, la resistenza all’ossidazione e alla corrosione.
Dal punto di vista terminologico, in questo campo vengono utilizzati vocaboli ed espressioni molto diversi rispetto a quelli propri dell’architettura di interni. Per es., il pilastro è il corrispettivo del puntello, la trave del baglio o, se longitudinale, dell’anguilla; i muri perimetrali corrispondono alle murate, le pareti divisorie alle paratie; i telai delle porte ai braghettoni, le griglie alle ghiotte e così via. Tale terminologia si differenzia anche per tipologia di barca e per località in cui avviene la costruzione.
Nel settore delle piccole imbarcazioni, specialmente quelle prodotte in vetroresina su stampo, gli elementi di arredo e quelli strutturali di rinforzo dello scafo sono spesso realizzati mediante una scocca interna, detta controstampo, che viene fissata allo scafo attraverso incollaggio o altre tecniche. In questo caso il disegno dell’arredo e quello strutturale devono essere sviluppati sinergicamente, tenendo conto delle rispettive funzioni e cercando di assegnare ai materiali una doppia funzione, al fine di minimizzare il peso complessivo.
Per quanto riguarda gli aspetti stilistici, nel panorama dell’interior design attuale non sono identificabili linee di tendenza omogenee. Ciò è dovuto, oltre che ai fenomeni di delocalizzazione dei mercati e della produzione, anche all’eterogeneità della committenza e delle figure che vi operano progettualmente. Fatta eccezione per una propensione crescente al ‘minimalismo’, specialmente nel campo dei megayacht, il settore manifesta un eclettismo generalizzato in cui si trovano però alcune sperimentazioni interessanti. Tra i lavori più significativi degli ultimi anni vanno segnalati: Wally 80 e Sai Ram di Lazzarini e Pickering; Ghost di Luca Brenta (n. 1954) e Piero Lissoni (n. 1956); Esense della francese Odile Decq (n. 1955); Nina J di I. Porfiri e Tommaso Spadolini (n. 1957); Maltese falcon dello statunitense Ken Freivokh (n. 1946).
Sicurezza e comfort
Nello yacht design in generale, e in particolare nell’ambito dei piccoli scafi, i cui ambienti interni hanno caratteristiche a metà strada tra uno spazio abitabile minimo e un ‘abitacolo’, l’ergonomia fornisce un prezioso contributo allo sviluppo progettuale in termini di sicurezza, funzionalità, usabilità e gradevolezza, riferite sia alle attrezzature sia alla vivibilità degli arredi.
I requisiti funzionali inerenti alla sicurezza di posture, movimenti e sforzi muscolari assunti durante le attività svolte a bordo, si relazionano a una valutazione dei fattori di rischio a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. Ricorrendo a diversi metodi, ormai consolidati da un’ampia letteratura ergonomica internazionale (per es., i metodi Owas, Rula, Niosh), si riesce ad analizzare e valutare, scomponendole in sequenze di compiti e sottocompiti, attività semplici e complesse, anche di natura collettiva e che si svolgono in ambiti spaziali ridotti. Nel caso di attrezzature estremamente specialistiche (winches, coffee grinders, timonerie, plance ecc.), la postura con cui queste sono utilizzate assume un ruolo fondamentale. Essa dipende dalla natura dei compiti e dalle condizioni ambientali (barca sbandata, condizioni climatiche, spazi a disposizione) e, nel caso di posture innaturali assunte per periodi prolungati, occorre prevedere la possibilità di mutare di tanto in tanto assetto e posizione del corpo. Alcune norme tecniche di settore possono comunque considerarsi particolarmente utili per assicurare un primo livello di sicurezza a bordo. Tra esse vi è la norma europea EN ISO 15085 (2003), che è stata recepita in Italia dalla UNI EN ISO 15085 (2004) dal titolo Protezioni contro la caduta in mare e mezzi di rientro a bordo. Tale norma si riferisce prevalentemente alla determinazione dei dislivelli della coperta, dei requisiti di fermapiedi, tientibene e draglie, degli elementi antiscivolo e dei mezzi di risalita a bordo utilizzabili senza assistenza.
Molto importante in fase di dimensionamento di spazi e attrezzature è anche l’utilizzazione appropriata dei dati antropometrici: per es., la scelta di ‘percentili’ bassi per il dimensionamento delle zone di raggiungibilità e di visibilità (profondità di gavoni, distanza dei ripiani di uno scaffale dal bordo del tavolo da carteggio) e di ‘percentili’ alti per le misure di ingombro del corpo (altezza minima delle porte, larghezza dei passaggi, dimensioni di cuccette e sedute).
Lo studio del corretto uso di attrezzature è condotto, oltre che mediante le cosiddette prove di valutazione dell’usabilità, anche attraverso l’analisi della gerarchia delle attività e dei compiti che ciascun individuo è chiamato a eseguire.
Un fronte di ricerca agli inizi, che però promette interessanti risultati per il settore, è quello valutativo della gradevolezza delle sensazioni (tattili, prensili, funzionali, termiche, cromatiche, acustiche e olfattive) e, più in generale, delle emozioni provate dagli utenti a contatto con attrezzature, sistemi e ambienti di un’imbarcazione. Si tratta di metodi ergonomici sperimentali (come il Kansei engineering di Mitsuo Nagamachi e il SeQuAM, Sensorial Quality Assess-ment Method, di Luigi Bandini Buti) che, applicati ai prodotti per il diporto nautico, consentono di valutare, per es., la gradevolezza sensoriale degli ambienti (colorazioni, luminosità, scelte formali, sonorità) e dei materiali utilizzati per le finiture: dalle superfici antisdrucciolo di coperta agli effetti visivi o tattili di alcuni materiali utilizzati per gli esterni o per gli interni.
Il mercato delle grandi imbarcazioni da diporto (classificate ‘navi da diporto’ se più lunghe di 24 m) ha avuto negli ultimi anni un’importante crescita, e i cantieri italiani hanno raggiunto in questo settore la leadership mondiale. Queste unità, realizzate custom o semicustom, sono spesso destinate a un’utilizzazione mista, crociera privata e charter. Vengono pertanto progettate con particolare attenzione alla sicurezza e al comfort, adottando norme restrittive in uso nelle navi passeggeri, come SOLAS (Safety of Life at Sea) o MCA (Marine Coastguard Agency) per la sicurezza, MarPol (Marine Pollution) per l’inquinamento e i rifiuti. Un buon livello di comfort a bordo dipende dallo studio di vari fattori, come, per es., il rumore, le vibrazioni, la stabilità e il trattamento dei gas di scarico. I calcoli previsionali dei livelli di rumore nelle varie zone sono generalmente eseguiti con metodi statistici, in ragione della compartimentazione e delle caratteristiche dei macchinari (eliche, motori, compressori, impianti vari). Vengono inoltre studiati speciali trattamenti smorzanti in aree critiche e previsti pavimenti flottanti e sistemi di ancoraggio delle pareti di arredo. Per le vibrazioni si effettuano, in qualche caso, anche analisi dinamiche globali a elementi finiti.
Lo studio della stabilità è finalizzato non soltanto a determinare l’altezza del bordo libero ai fini della sicurezza, ma anche a migliorare i livelli di comfort. È importante, infatti, evitare che l’imbarcazione abbia dei movimenti di rollio e beccheggio con delle accelerazioni troppo rapide. A tale scopo devono essere progettati dispositivi di stabilizzazione (pinne attive e passive, sistemi giroscopici) che garantiscano una riduzione dell’ampiezza di rollio sia in navigazione, sia in rada, dove, secondo alcune statistiche, molti yacht trascorrono il 70% del loro tempo operativo.
Per ridurre l’emissione dei gas di scarico dei gruppi elettrogeni, la tendenza attuale è quella di utilizzare motori con dispositivi common-rail. Le configurazioni degli scarichi possono essere di tipo ‘asciutto’, che utilizzano il classico fumaiolo, oppure di tipo ‘bagnato’, in cui i gas vengono prima raffreddati e poi successivamente fatti passare attraverso un dispositivo di separazione con l’acqua.
Oggi, uno degli ambiti di ricerca progettuale più interessante in questo campo riguarda l’integrazione delle tecnologie di bordo già disponibili con sistemi evoluti di gestione dati e di comunicazione (tra varie unità, tra unità e centri di servizio terra). L’obiettivo è quello di aumentare il comfort, la governabilità e la sicurezza progettando uno yacht ‘intelligente’, cioè capace di adattarsi in modo dinamico a specifiche situazioni ambientali e operative.
Strutture e piano di forma
Un’imbarcazione può essere considerata, in prima approssimazione, come un corpo soggetto all’azione di forze esterne, che si possono inquadrare schematicamente in quattro categorie: idrostatiche, idrodinamiche, aerodinamiche e gravitazionali. La determinazione degli sforzi e delle conseguenti deformazioni risulta piuttosto difficoltosa, poiché è incerta la definizione delle azioni che insistono sul complesso scafo/attrezzature nelle varie condizioni operative.
Per comprendere le sollecitazioni a cui è sottoposta un’imbarcazione a vela, risulta opportuno suddividerla schematicamente in vari subsistemi: armamento (albero, vele, attrezzature); pinna di deriva zavorrata; scafo (senza appendici). L’armamento trasmette allo scafo le forze aerodinamiche sviluppate dalle vele, provocando un ‘momento sbandante’ che viene riequilibrato dal ‘momento raddrizzante’ prodotto dal subsistema zavorra. In questo modo lo scafo è sottoposto a sollecitazioni torsionali importanti, alle quali si aggiungono i carichi di compressione e di flessione indotti dall’albero e dovuti alla tensione delle sartie e degli stralli. Lo scafo dovrà essere progettato in modo da sopportare, oltre agli sforzi sopra descritti, anche quelli dovuti alle pressioni idrostatiche e idrodinamiche. La spinta di Archimede si esercita direttamente sulla carena, in forma di pressioni che agiscono perpendicolarmente alla sua superficie, con modulo proporzionale alla distanza dal ‘pelo libero’. La risultante di queste pressioni sarà tale da eguagliare il peso totale di tutta la barca. In presenza di moto, la situazione è molto più complessa, poiché lo scafo subisce delle accelerazioni che, da una parte, modificano le forze statiche, aumentandole o diminuendole a seconda del segno delle accelerazioni, dall’altra generano altre forze di origine prettamente idrodinamica. Per l’analisi strutturale, l’effetto più evidente è l’insorgenza di sovrapressioni localizzate in alcune aree dello scafo, che sono particolarmente elevate nel caso del cosiddetto slamming, che si verifica quando ciclicamente la barca supera un’onda e la prua scende andando a infrangere l’onda successiva. Sugli yacht a vela, già strutturati per sopportare gli sforzi dovuti al sistema-albero e alla zavorra (la cui massa varia tra il 35% e il 45% del totale, fino a raggiungere il 70% in particolari scafi da regata), gli effetti del moto ondoso hanno importanza soprattutto nella valutazione della resistenza locale dello scafo.
L’analisi a elementi finiti FEM (Finite Element Method) rappresenta uno degli strumenti più efficaci per studiare e dimensionare strutture complesse come quelle di uno yacht, e costituisce uno dei metodi più affidabili nel ‘calcolo diretto’. FEM è una tecnica di analisi numerica nata per lo studio del campo tensionale nelle strutture aeronautiche, che ha trovato larga applicazione nel campo della meccanica del continuo. Sino ad alcuni anni fa, il calcolo delle deformazioni e delle sollecitazioni interne di strutture a geometria complessa era eseguito con approssimazioni, a volte grossolane. L’evoluzione degli strumenti di calcolo ha permesso di utilizzare modelli numerici che prendono in considerazione un numero elevato di ‘nodi’ ed ‘elementi’ con i relativi spostamenti, deformazioni e sollecitazioni interne. Ma la progressiva disponibilità sul mercato di FEM di facile impiego non esime i progettisti dalla comprensione delle basi teoriche del codice, per poter configurare modelli corretti e soprattutto valutare l’affidabilità del risultato.
La scelta della tipologia strutturale da adottare e il dimensionamento dei suoi componenti vengono fatti in base ai calcoli diretti e alla conformità con le scant-ling rules delle società di classificazione, ma anche in ragione delle caratteristiche dei materiali prescelti e delle tecnologie disponibili per la costruzione.
La struttura tradizionale di un’imbarcazione progettata in materiali metallici (acciaio, alluminio) o in legno è costituita dal fasciame (scafo e coperta) e dalla sua ossatura di rinforzo. Quest’ultima è formata da una serie, generalmente parallela, di nervature. Quelle dello scafo vengono chiamate ordinate (semplici o rinforzate) e madieri se disposte trasversalmente, chiglia, correnti e serrette se disposte longitudinalmente. I rinforzi della coperta sono denominati bagli se trasversali, anguille e dormienti se longitudinali. In ragione della prevalenza di ordinate o correnti, le strutture vengono definite di tipo trasversale o longitudinale.
Le imbarcazioni destinate alla produzione di serie su stampo o alla realizzazione di singoli esemplari (one-off) sono progettate utilizzando prevalentemente materiali compositi plastici. Di questi fanno parte la cosiddetta vetroresina, formata da fibra di vetro e resina poliestere, e i ‘compositi avanzati’, creati con fibre di varia natura (vetro, Kevlar®, carbonio) inglobate in una matrice costituita da resine vinilesteri o epossidiche (le più sofisticate per lavorazione e costi). Utilizzando i materiali compositi, il fasciame può essere realizzato, specialmente nelle costruzioni più economiche, in laminato semplice (single skin), rinforzato da una serie di nervature, oppure in sandwich. Quest’ultimo è formato da due laminati resistenti, detti pelli o facce, separati da un materiale connettivo leggero (poliuretano, PVC espanso, nido d’ape di alluminio o di Kevlar®) che prende il nome di anima (core). L’anima ha la funzione di distanziare le pelli, che in questo modo aumentano l’inerzia del fasciame, permettendo di conseguenza una riduzione dell’ossatura complessiva.
Lo scafo ha generalmente una forma geometrica non descrivibile facilmente in modo analitico. Nella pratica tradizionale, non potendo utilizzare gli strumenti offerti dalla matematica del continuo, la sua definizione è affidata, da una parte, a una laboriosa tecnica di rappresentazione grafica e, dall’altra, a metodi di discretizzazione offerti dall’analisi numerica per il calcolo dei parametri relativi alla carena (volume, stabilità ecc.). Il cosiddetto piano di forma o piano di costruzione traccia convenzionalmente le forme dell’imbarcazione, ‘fuori ossatura’ se la costruzione è di metallo, ‘fuori fasciame’ se è di legno o di materiale composito. Nel piano di costruzione, rappresentato in modo classico, sono raccolte le proiezioni ortogonali di almeno tre famiglie di curve, ottenute sezionando il solido con un pari numero di famiglie di piani paralleli, la cui giacitura è la stessa del corrispondente piano principale, individuato dagli assi della terna ortonormale di riferimento. Sul piano di simmetria dello scafo (detto diametrale), normale alla superficie di galleggiamento, giacciono l’asse delle lunghezze e delle altezze. L’asse delle larghezze – o semilarghezze, stante la simmetria del solido – è normale al diametrale. I piani ortogonali sono convenzionalmente denominati: piano trasversale (body plan) oppure delle ordinate (sections); piano orizzontale (half breadth plan) o delle linee d’acqua (water lines); piano longitudinale (sheer plan) o delle longitudinali (buttocks). Un piano di costruzione si definisce tecnicamente ben eseguito quando è ‘avviato’ e ‘bilanciato’, cioè quando l’intera superficie è descritta da linee che non presentano delle discontinuità indesiderate della curvatura (o delle ‘singolarità’) e quando la loro rappresentazione è corretta e univoca nelle varie proiezioni ortogonali. Nell’ambito degli strumenti CAD (Computer Aided Design) dedicati a questo settore, sono stati sviluppati numerosi software per la modellazione di carene e per i relativi calcoli idrostatici di base. Si basano su funzioni parametriche che offrono il miglior compromesso tra versatilità e semplicità di gestione. Le superfici sono modellate con una tecnica detta fairing (che in gergo aeronautico è la tecnica che rende una superficie perfettamente aerodinamica, mentre nel gergo navale è quella che serve a strutturare le forme dello scafo in funzione idrodinamica). Le tecniche CAD e tutte quelle a essa collegate, come CAM (Computer Aided Manufacturing) e CAE (Computer Aided Engineering), si sono diffuse lentamente a causa dei costi elevati dei sistemi hardware, ma hanno introdotto radicali cambiamenti nei metodi di lavoro e nello scambio di informazioni tra progettista e costruttore.
Ricerca aeroidrodinamica
Le metodologie e gli strumenti di ricerca per analizzare e ottimizzare le prestazioni aeroidrodinamiche di uno yacht appartengono a due principali categorie: a) la sperimentazione con modelli fisici in scala, mediante test in vasca navale e in galleria del vento; b) le simulazioni con modelli numerici, mediante programmi CFD (Computational Fluid Dynamics) e VPP (Velocity Prediction Program).
I test in vasca sono finalizzati a delineare le forme e i parametri fondamentali dello scafo, mentre quelli in galleria a studiare le caratteristiche del piano velico e, in alcuni casi, anche il comportamento delle appendici di carena. Queste attività sperimentali servono a rappresentare in forma di coefficienti adimensionali le forze agenti sullo scafo e sulle vele nelle varie condizioni di esercizio, e a valutare così l’efficacia delle diverse ipotesi di progetto. I limiti scientifici di questi metodi sono ascrivibili a diversi fattori. In primo luogo all’esistenza di un rapporto di scala tra modello e prototipo, che rende difficile il trasferimento al vero dei dati misurati (le metodologie sperimentali si basano, infatti, sull’ipotesi della sovrapposizione degli effetti, che prevede la valutazione della resistenza d’attrito separata da quella di pressione e d’onda). In secondo luogo alla difficoltà di riprodurre le reali condizioni in cui si muove l’imbarcazione in navigazione (assetti, moto ondoso ecc.). Nonostante ciò, lavorare su modelli in scala permette di modificare un ampio numero di parametri e di potere così confrontare molte configurazioni progettuali.
Le prove in vasca navale trovano applicazione nello studio e nella progettazione delle forme di carena, delle relative appendici (chiglia, timone, pinne stabilizzatrici) e delle eliche. Gli apparati sperimentali sono molto onerosi, in quanto necessitano di bacini di dimensioni adeguate, con lunghezza nell’ordine di centinaia di metri (in alcuni casi dotati di dispositivi per la generazione del moto ondoso), di un sistema di trascinamento del modello con diverse possibilità di vincolo e di attrezzature per la misurazione della velocità, delle forze e dei momenti agenti sul modello. Nonostante i costi e i recenti progressi delle tecniche numeriche CFD, rimangono strumento di fondamentale importanza per la previsione della resistenza al moto e più in generale del comportamento idrodinamico. Con le esperienze di vasca, inoltre, vengono elaborate e aggiornate le ‘serie sistematiche’ di carene che rappresentano un riferimento fondamentale nelle fasi di progetto preliminare e di massima.
Nei test per imbarcazioni a vela il modello viene rimorchiato dal sistema di trascinamento, in assetto dritto o trasversalmente inclinato e con un piccolo angolo di imbardata. Modalità, quest’ultima, che permette di valutare la resistenza indotta dovuta allo scarroccio. La metodologia sperimentale più utilizzata è quella con modello ‘semivincolato’. Tale metodo consiste nel collegare carro e modello in modo da lasciare a quest’ultimo libertà di moto e di sussulto intorno agli assi longitudinale e trasversale, e impedire invece i moti di abbrivio e di scarroccio. Il modello, libero di muoversi nel suo piano verticale, è tenuto ad angolo di deriva prefissato attraverso due attacchi orientabili. L’azione di tiro è esercitata in una posizione diversa da quella del centro velico. Di conseguenza, a ciascuna velocità di avanzamento è necessario applicare un momento correttivo appruante per simulare l’azione di traino alla quota del centro velico.
Molto interessante è anche la tecnica con ‘modello libero’, sviluppata negli anni Ottanta dal MARIN (Maritime Research Institute Netherlands) e usata con successo per lo sviluppo di Australia II, primo vincitore non statunitense dell’America’s cup (1983). Riproduce in modo più realistico il fenomeno ma, a causa della sua complessità d’attuazione, è oggi un po’ caduta in disuso. Permette al modello un comportamento dinamico di assetto simile a quello dell’imbarcazione al vero, ma richiede anche di mettere in similitudine la posizione del centro di gravità e del centro di azione delle forze aerodinamiche (centro velico). Ciò implica che il modello abbia uno scafo con pinna zavorrata (simile a quella vera) e sia dotato di una struttura mobile per simulare l’albero, la cui deformabilità, però, non garantisce l’accuratezza dei risultati.
Nei test per motor yacht, invece, il modello viene ‘rimorchiato’ dal sistema di trascinamento, in assetto dritto e con il piano diametrale allineato alla direzione del moto. Un tipico programma di ricerca prevede: analisi di diverse configurazioni di carena con differenti posizioni del baricentro al fine di identificare il miglior assetto longitudinale; una serie di test per la valutazione delle appendici; prove in autopropulsione per valutare l’interazione tra carena e propulsore e quindi stabilire il valore della potenza da istallare a bordo. In quest’ultimo tipo di prove, in cui il modello è dotato di motori elettrici e di eliche in scala, viene valutato il comportamento dell’elica ‘dietro carena’ e determinato il rendimento idrodinamico di propulsione. Durante l’esecuzione dei test si effettuano riprese subacquee e fotografie per osservare la formazione ondosa su entrambi i lati del modello, con lo scopo di calcolare la superficie bagnata in corsa e l’effettiva forma della linea di galleggiamento. Inoltre, per visualizzare il flusso che circonda la carena, si fa ricorso a varie tecniche basate tutte sull’uso di vernici, fluidi colorati e fili penduli di lana. Si tratta, in generale, di indagini di tipo qualitativo, che però consentono al progettista di acquisire informazioni che risultano a volte preziose, senza grandi costi aggiuntivi.
Le caratteristiche della vasca di prova sono determinanti per il risultato e anche per l’economia del programma di prova. In particolare va considerato il tempo di attesa tra un test e il successivo, dovuto alle necessità di smorzare le onde provocate dal passaggio del modello e di riportare i valori di turbolenza residua dell’acqua nella vasca al disotto di un limite accettabile. La scala del modello è un fattore di primaria importanza per poter avere misure con valori differenziali maggiori delle incertezze sperimentali: negli yacht da regata si utilizzano rapporti anche di 1:3. La dimensione del modello è però limitata dalla velocità massima raggiungibile dal sistema di trascinamento. L’ipotesi di Froude sui modelli di carena (elaborata nel 1868 dall’ingegnere navale inglese William Froude, 1810-1879), su cui è basato il metodo sperimentale, richiede infatti che le velocità della nave al vero e del modello in scala siano in rapporto pari alla radice quadra del rapporto delle relative lunghezze. Un altro limite per le dimensioni dei modelli, soprattutto per le carene veloci, è costituito dal cosiddetto tank block-age, ovvero l’effetto delle pareti e del fondo della vasca sulla resistenza. Altri fattori da cui dipende l’affidabilità dei risultati sono rappresentati dalla finitura del modello, dalle modalità per la stimolazione di turbolenza, dalla precisione nella misurazione della velocità.
Le vasche navali sono controllate a livello mondiale dall’ITTC (International Towing Tank Confer-ence), allo scopo di confrontare e uniformare le procedure di prova. Tra gli istituti più importanti oggi in attività in questo settore sono da ricordare: David Taylor model basin di Bethesda (Maryland, Stati Uniti); SSPA Sweden AB di Göteborg (Svezia); MARIN (Maritime Research Institute Netherlands) di Wageningen (Paesi Bassi); INSEAN (Istituto Nazionale per Studi ed Esperienze di Architettura Navale) di Roma; HSVA (Hamburgische Schiffbauversuch-sanstalt) di Amburgo (Germania); Bassin d’essai des carènes di Val de Reuil (Francia); IMD (Institute for Marine Dynamics) di St. Johns (Canada).
Il disegno e la realizzazione di una vela erano considerati, fino a pochi anni fa, un’arte basata sull’esperienza. Oggi, quasi tutte le velerie sono dotate di sistemi CAD-CAM che consentono di passare da un file 3D al processo di taglio computerizzato dei ferzi, o perfino alla costruzione di uno stampo su cui la vela viene messa in forma e laminata insieme alle fibre di rinforzo. Parallelamente, la ricerca progettuale è evoluta, spinta anche dalla maggiore accessibilità al know-how aeronautico e alla disponibilità di gallerie del vento di grande dimensione. La vela è un sistema aerodinamico complesso da studiare. Nelle andature di bolina, per es., si comporta come un profilo sottile interessato da strato limite turbolento, mentre nelle andature portanti presenta grandi zone interessate da separazione del flusso. Inoltre, la variabilità della sua forma, dovuta alla deformabilità dei materiali con i quali è costruita e all’effetto delle regolazioni impartite dall’equipaggio durante la navigazione, rende il problema tipicamente aeroelastico.
L’obiettivo principale delle misurazioni in galleria del vento è quello di prevedere le forze e le coppie sviluppate a determinati angoli di incidenza del vento e di regolazione delle vele. Per l’esecuzione dei test, si realizza un modello in scala dell’opera morta dell’imbarcazione completo di albero, vele e manovre correnti (scotte carrelli, tangone ecc.). Questo viene montato su una bilancia dinamometrica a sei componenti, fissata al centro del tavolo girevole nella camera di prova a strato limite. Il modello, posizionato con un dato angolo di sbandamento, è manovrato da verricelli elettrici comandati in remoto dalla camera di controllo. Fissate le condizioni di prova, vengono misurate le forze e le coppie che il vento trasmette allo yacht attraverso il piano velico.
Uno dei principali problemi da risolvere in questi test riguarda la corretta simulazione del ‘vento apparente’. Quest’ultimo è prodotto dalla combinazione vettoriale tra direzione e intensità del vento reale (che normalmente aumenta con l’altezza sopra il livello del mare) e direzione e intensità del vento (relativo) generato dal moto dell’imbarcazione. Il vento apparente ha quindi direzione e intensità variabili lungo l’asse verticale. Tali variazioni della velocità e dell’angolo della vena incidente sulle vele prendono il nome in gergo nautico rispettivamente di: gradiente del vento e di twist del vento. Per simulare il gradiente del vento vengono utilizzati ventilatori, posti in serie a diversa altezza con regimi di velocità differenti. Per riprodurre il twist si utilizzano invece dispositivi formati da una serie di diaframmi opportunamente sagomati che producono uno svergolamento della direzione della vena fluida. Va detto che in questi test è pressoché impossibile raggiungere il numero di Reynolds (proposto nel 1883 dall’ingegnere e matematico inglese Osborne Reynolds, 1842-1912) pertinente alla velatura al vero, poiché il flusso dovrebbe essere portato a velocità non sostenibili dai materiali con cui vengono realizzati i modelli.
Per confrontare diversi piani velici, nelle varie condizioni di prova, si utilizzano coefficienti adimensionali, dividendo le forze misurate per una pressione dinamica di riferimento. Si possono così, per es., valutare le variazioni della spinta all’avanzamento rispetto alla forza sbandante, oppure la posizione del centro di spinta al variare delle regolazioni.
Tra gli istituti di ricerca maggiormente impegnati in questo campo si ricordano il Politecnico di Milano e le università di Southampton (Regno Unito), di Auckland (Nuova Zelanda) e del Maryland (Stati Uniti).
La continua evoluzione dei microprocessori e il costante miglioramento degli algoritmi e delle tecniche di modellazione numerica hanno indubbiamente favorito l’integrazione delle diverse discipline scientifiche, agevolando una visione sinergica degli aspetti progettuali che concorrono alla definizione dell’imbarcazione nella sua complessità.
Grazie alla progressiva diminuzione dei costi computazionali, legata all’evoluzione tecnologica dei calcolatori, la CFD ha conosciuto nel corso degli ultimi anni un notevole sviluppo nel campo dell’idrodinamica navale, e rappresenta un importante strumento complementare, anche se non sostitutivo, dei metodi statistici e/o sperimentali.
Esistono diversi metodi numerici che, in fase di ricerca progettuale, vengono scelti in ragione della loro capacità di approssimazione del fenomeno fisico e della loro facilità d’uso. Uno dei più usati è il BEM (Bound-ary Element Method), noto più semplicemente come metodo a pannelli. Si basa sulla soluzione di un flusso potenziale, ovvero non viscoso e irrotazionale, in cui la velocità può essere espressa come gradiente di una funzione scalare detta potenziale. Il suo principale vantaggio risiede nella rapidità di calcolo: il dominio computazionale è semplice da discretizzare e rende molto facile il preprocessing (operazione di preparazione per il calcolo numerico). Il suo limite sta nella modellazione dei flussi in cui gli effetti viscosi hanno influenza, come nell’area poppiera dello scafo. Il BEM è utilizzabile con successo anche nell’analisi di fenomeni di tenuta al mare (seakeeping), che richiede una notevole attività di calcolo. Lo seakeeping è lo studio del moto ondoso e del comportamento degli scafi che lo subiscono ed è uno dei settori più avanzati dell’architettura navale. Per affrontarlo è necessario partire da criteri probabilistici, non solo deterministici, e occorre ricostruire modelli oscillatori molto complessi.
Per la soluzione di un flusso viscoso vengono invece utilizzati i codici RANS (Reynolds Averaged Navier-Stokes), che si basano sulla soluzione delle equazioni di Navier-Stokes sviluppate da Reynolds, e che sono in grado di descrivere un flusso, sia laminare sia turbolento. L’applicazione di questi metodi per l’analisi idrodinamica di carene è recente. In passato il loro impiego è stato piuttosto limitato a causa delle difficoltà inerenti alla generazione della griglia (mesh) che, riferita a geometrie complesse, comportava tempi di calcolo elevati. Recentemente sono state sviluppate tecniche numeriche capaci di risolvere flussi di superficie libera, quindi di includere tutti quegli effetti di interazione viscosa-potenziale che il metodo a pannelli non comprende. Un’altra area in cui i metodi RANS sono spesso applicati è lo studio delle vele, in particolare di quelle portanti. Queste generano forze attribuibili in larga parte a effetti di separazione del flusso che creano una differenza di pressione con la parte sopravvento. Trattandosi di fenomeni dominati da effetti viscosi, questi metodi risultano utili per studiare il punto di separazione e analizzare le conseguenze della turbolenza generata.
Per lo studio delle prestazioni di un’imbarcazione a vela, spesso si scinde l’analisi dei fenomeni aero- e idrodinamici, utilizzando apparati sperimentali distinti. La definizione separata dei modelli comporta l’uso successivo, per la previsione delle prestazioni, di un VPP che ricerca l’equilibrio tra le forze aeroidrodinamiche nelle varie andature e alle diverse intensità del vento. Per un’imbarcazione generica, il VPP può essere basato su dati sperimentali, ricavati da prove di diverso tipo. Normalmente la componente idrodinamica fa riferimento ai risultati di ‘prove di rimorchio’ eseguite in vasca con variazione sistematica dei parametri fondamentali che governano la resistenza al moto, mentre la parte aerodinamica si basa su dati ricavati da esperimenti eseguiti in galleria. In assenza di prove sperimentali, ci si avvale di tecniche proprie della CFD basate su modelli teorici semplificati. L’attendibilità dei VPP come supporto alla ricerca progettuale dipende dalla loro messa a punto che avviene correggendo i coefficienti utilizzati per il calcolo in base ai raffronti fra i dati previsionali e i dati rilevati dagli strumenti di navigazione. Le prove in mare sono fondamentali per ottenere informazioni sistematiche utili al disegno, ma sono sfortunatamente tra le indagini più complicate. Nonostante l’espansione di equipaggiamenti elettronici e la loro installazione sulla maggior parte delle barche da regata, è ancora difficile ottenere dati affidabili. I sensori sono soggetti a errori sistematici che devono essere corretti e la loro calibrazione va continuamente controllata per non incappare in errori imprevedibili. Inoltre il gradiente del vento e il moto ondoso sono quasi impossibili da misurare e introducono dei gradi di permanente incertezza.
Nelle regate dell’America’s cup e in generale nelle competizioni ad alto livello, i distacchi inflitti dai vincitori vengono considerati dal pubblico come eclatanti quando sono dell’ordine di 120÷180 s su un percorso che può raggiungere con i bordeggi le 20÷25 miglia, ovvero di 6÷8 s per miglio. Questo a sottolineare l’esigua differenza nelle prestazioni tra una barca vincente e una perdente, quantificabile nell’ordine di qualche secondo per miglio, il che significa, considerate le basse velocità in valori assoluti, che i miglioramenti nella ricerca debbono essere apprezzati in percentuali molto piccole.
Gli strumenti di cui si dispone, sia quelli sperimentali sia quelli numerici, forniscono risultati con approssimazioni superiori ai margini di miglioramento necessari. È quindi necessario conoscere le ipotesi fisiche che sottendono ogni algoritmo di calcolo, per utilizzare al meglio le indagini come analisi a carattere comparativo. Le ricerche numeriche e i test sui modelli sono spesso utilizzati anche come semplici indicatori di una tendenza che, se bene interpretata, può risultare illuminante per le scelte progettuali.
Professione e formazione
Per molti anni in Italia la professione di yacht designer si è configurata come una specializzazione, di norma autodidattica, sulla base di una formazione tecnica nell’area del progetto di livello universitario o intermedio. L’apprendistato sul campo, presso i cantieri o presso qualche raro studio specializzato, costituiva la preparazione del progettista, in un contesto operativo fatto di piccoli numeri e caratterizzato da relativa stabilità. Oltre agli ingegneri e agli architetti, molti progettisti provenivano dall’area della pratica sportiva. L’evoluzione del mercato, il successo crescente della nautica da diporto e la richiesta di personale preparato e specializzato hanno modificato fortemente il quadro. Le dinamiche di espansione e di incremento della complessità che caratterizzano il settore hanno reso necessaria la creazione di figure professionali non solo in grado di comprendere e di gestire problemi operativi, ma anche di relazionarsi con committenti e costruttori provenienti da diversi ambiti tecnici e culturali. Dopo alcune iniziative pionieristiche, guidate negli anni Settanta da Pier Luigi Spadolini a Firenze e negli anni Ottanta da Alberto Sposito a Palermo, dal 1990 la Scuola diretta a fini speciali in progettazione per la nautica di diporto di La Spezia ha rappresentato la prima iniziativa italiana strutturata di formazione universitaria. Ispirata al modello inglese del corso in yacht design della University of Southampton, è nata dalla collaborazione tra le facoltà di Ingegneria e Architettura di Genova e l’Istituto di ingegneria navale, con lo scopo di offrire una preparazione integrata che consentisse agli allievi di collocarsi nel mondo del lavoro con una conoscenza adeguata del prodotto e delle problematiche connesse alla sua progettazione. A seguito della riforma degli studi universitari sono stati istituiti nel 2005 due corsi di laurea specialistica: in ingegneria nautica e in design navale e nautico. Il primo privilegia gli aspetti tecnici, costruttivi, statici e dinamici; il secondo approfondisce la formazione propria del design, senza tuttavia trascurare la formazione in ambito tecnico-scientifico. È inoltre da segnalare il master universitario annuale di primo livello in yacht design presso il Politecnico di Milano. Altri progetti formativi sono stati avviati presso varie sedi universitarie (Ancona, Pisa, Palermo ecc.). Anche molte scuole private hanno attivato in questi anni corsi in yacht design e alcune iniziative sono sostenute da gruppi industriali del settore.
Gli yacht designer, come si è già visto, hanno competenze molto differenziate. La forma di organizzazione più diffusa è lo studio professionale, mentre all’interno delle aziende si inseriscono figure con mansioni specialistiche che operano dal semplice disegno tecnico all’ingegnerizzazione del prodotto. Tra le associazioni di categoria italiane si ricorda l’ASPRONADI (ASsociazione PROgettisti NAutica da DIporto), nata nel 1973. La specificità del progettista nautico è stata di fatto privata del valore abilitante dalla normativa europea che ha istituito varie classi di progettazione, attribuendone la responsabilità al costruttore (direttive comunitarie 1994/25/CE e 2003/44/CE, recepite in Italia nel d. legisl. 18 luglio 2005 n. 171).
Tra gli studi professionali che attualmente sono in maggiore evidenza nel panorama internazionale si ricordano, oltre quelli già citati: Judel & Vrolijk (Germania), vincitore con Alinghi di due edizioni dell’America’s cup; Farr Design, Rachel & Puig (Stati Uniti) per numerose barche da regata oceaniche; studio Freers (Argentina-Italia) per i modelli Swan; Ed Dubois (Regno Unito), Ron Holland (Irlanda) e Philippe Briand (Francia), progettisti di megasailers da crociera; Terence Disdale, Tim Heywood (Regno Unito) per alcuni importanti megayacht. Tra i designer italiani che hanno avuto maggiore visibilità: Claudio Maletto del team Luna rossa; gli studi di Giovanni Ceccarelli, Umberto Felci, Massimo Paperini, A. Vallicelli & C. per imbarcazioni a vela di serie e da regata; Cristiano Gatto, Nauta Design, Vittorio Garroni per gli interni; Nuvolari & Lenard per le linee dei cantieri Palmer & Johnson e Oceanco; Francesco Paszkowski per i motor yacht dei cantieri Baglietto; Stefano Righini per i modelli dei cantieri Azimut e Over marine; Gianni Zuccon, Fulvio De Simone principali designer del Gruppo Ferretti.
Bibliografia
Cz.A. Marchaj, Aero-hydrodynamics of sailing, New York-London 1979, 20003 (trad. it. Milano 1987).
U.F. Costaguta, Fondamenti di idronautica. Statica e dinamica della nave. Carene e propulsione, Milano 1981.
S. Crepaz, Teoria e progetto di imbarcazioni a vela, Bologna 1986.
Architetture del mare. La progettazione nella nautica da diporto in Italia, a cura di M. Canfailla, A. Lee, E. Martera, P. Perra, Firenze 1994.
Materiali e tecniche innovative nel settore nautico. Atti del corso di aggiornamento, Milano 13-14 aprile 2000, a cura di A. Ratti, S. Piardi, Napoli-Milano 2001.
La ricerca nello yacht design: processi di scambio tra Coppa America e produzione industriale. Atti del seminario organizzato nell’ambito del MYD, Master in Yacht Design, a cura di A. Ratti, Milano 2004.
Sailing yacht design, ed. A.R. Claughton, J.F. Wellicome, R.A. Shenoi, 2 voll., Southampton 20062.
F. Fossati, Teoria dello yacht a vela, Milano 2007.
L. Larsson, R.E. Eliasson, Principles of yacht design, London 20073.
M. Musio-Sale, Yacht design. Dal concept alla rappresentazione, Milano 2009.
Si veda inoltre:
The chesapeake sailing yacht symposium (15th, 16th, 17th, 18th, 19th), Annapolis (Md.), New York 2001, 2003, 2005, 2007, 2009.