Yajnavalkya
Saggio indiano (n. forse 800 a.C.) che appare come interlocutore in varie Upaniṣad (➔). Nelle Upaniṣad Y. propone argomenti idealisti circa l’esistenza di un unico assoluto che chiama brahman e che dice essere identico al sé (ātman) che pervade ogni cosa pur rimanendone distinto. In una delle Upaniṣad più antiche, la Br̥hadāraṇyaka Upaniṣad, davanti al re Janaka, Y. reinterpreta il sacrificio, conferendo a ogni elemento una dimensione cosmica e interiore insieme (per es., il respiro/vento è detto equivalere al sacerdote udgātr̥). Nella stessa Upaniṣad, Y. allude anche all’impossibilità di una rinascita individuale, parlando invece del brahman come di un oceano in cui un blocco di sale (l’anima individuale) si sciolga, rendendo l’oceano salato. Più oltre, Y. parla del sé come del creatore del mondo interno (piacere e dolore) ed esterno, spiegando però tale creazione mediante l’esempio (poi ricorrente nei Vedānta e nel buddismo Madhyamaka) del sogno come metafora dello status irreale del mondo fenomenico. L’ātman creerebbe il mondo come la coscienza crea un sogno, ne gode e poi se ne ritrae. L’ātman sarebbe quindi allo stesso tempo coscienza e anche causa materiale immanente al mondo fenomenico, il quale però ha un’esistenza solo illusoria. Pertanto, raggiunta l’identità con il brahman, la distinzione fra azioni giuste e malvagie (entrambe in ultima analisi illusorie) si perde e viene meno ogni desiderio. Le idee di Y. saranno poi elaborate e sistematizzate da vari sistemi filosofici indiani (➔ Sāṃkhya, puruṣa, Vedānta).