Yan Yuan Filosofo cinese (Boye 1635 - ivi 1704). Vissuto in un’epoca di generale instabilità politico-sociale, segnata soprattutto dal drammatico epilogo della dinastia Ming (1368-1644), condusse una vita interamente dedita agli studi. Al discepolo Li Gong (1659-1733) si deve la diffusione delle sue dottrine non solo negli ambienti culturali di Pechino, ma anche della Cina meridionale. Il decadimento della dinastia Ming, e ancor più dei costumi dei cinesi, furono, a detta di Y., un inevitabile effetto del lento smarrimento del dao. Ancora vivissimo nella condotta virtuosa dei nobili sovrani della remota antichità e successivamente purtroppo presente solo nelle parole di Confucio e Mencio, il dao scomparve definitivamente dalla società umana a partire dal 3° sec. a.C. Tale abbandono fu agevolato e per lungo tempo sostenuto, secondo Y., anche da un lento e inesorabile svuotamento della tradizione confuciana, iniziato con le diatribe esegetiche del periodo Han (3° sec. a.C
3° sec. d.C.) e culminato con le astruse speculazioni metafisiche dei filosofi d’epoca Song (secc. 10°-13°) e le perduranti contaminazioni dottrinali sia buddiste sia taoiste. Sebbene Y. non sia sfuggito al fascino del pensiero di Zhu Xi (➔), ben presto però assunse un atteggiamento rigorosamente critico verso la sua filosofia, tanto da considerarlo, insieme ai suoi discepoli, come la vera e ultima causa della decadenza dell’epoca. Nel trattare la natura umana, Y. rifiutò la distinzione, allora in voga, fra natura morale, fonte di ogni bene, e natura corporea, origine del male, riaffermando così la dottrina originaria di Mencio. Infatti, la natura umana, fondamentalmente corporea, reca, secondo Y., un’innata disposizione alla pratica del bene, sicché ogni sorta di male scaturisce dall’azione di forze estranee alla natura stessa e proprie invece della vita sociale. Similmente rigettò la distinzione fra li («principio») e qi («forza materiale» o «energia vitale»), affermando per contro la natura inscindibile della loro azione nell’Universo. È evidente pertanto il primato riconosciuto da Y. alla pratica (xi) e quindi alla dottrina confuciana, che, restituita però ai principi originari, può da sola ristabilire il giusto ordine nel mondo (jingshi).